Sul rapporto tra Beethoven e la politica – Carlo Bianchi

Traendo spunto dal tema del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo

Il Festival Pianistico Internazionale che ha preso il via lo scorso 27 aprile [2017] induce, tramite il tema Beethoven e Napoleone. La musica fra ideali e potere, a una doppia riflessione. Da un lato, il programma è sintomo di quanto ultimamente il rapporto conla politica sia diventato centrale negli studi su Beethoven. Allo stesso tempo, la manifestazione sta indicando possibili strategie per diffondere tale visione critica aggiornata a livello popolare. Prendiamo le mosse dall’ambito musicologico. In anni recenti, studi eclatanti che trattano il rapporto Beethoven/Napoleone i.e. Beethoven/politica sono comparsi negli Usa. Pensiamo ai libri di Stephen Rumph, Beethoven after Napoleon. Political Romanticism in the Late Works  (2004) e di Nicholas Mathew, Political Beethoven (2013) quest’ultimo pubblicato nella prestigiosa serie New Perspectives in Music History and Criticism  della Cambridge UniversityPress (che include fra i vari titoli anche quello di Giuseppe Gerbino, già collaboratore di Brescia Musica e ora docente alla Columbia University, dedicato al mito dell’Arcadia nel Rinascimento italiano). Il tema tuttavia era già stato affrontato seriamente dalla musicologia moderna a partire dagli anni Settanta, in sintonia con l’allargamento quasi violento della sensibilità politica che si verificò sull’onda del ’68.

In merito al caso più eclatante di intersezione fra la musica di Beethoven e la figura di Napoleone, la Terza Sinfonia Eroica, vari studi da Costantin Floros a Lewis Lockwood hanno evidenziato in modo sempre più preciso e circostanziato in che modo si rifletta nella musica della Sinfonia il sentimento di amore-odio che Beethoven ebbe per la figura di Napoleone – quegli ideali rivoluzionari di fratellanza (o democrazia) e libertà che il compositore vide in Napoleone dapprima incarnati e poi delusi nel momento in cui questi si proclamò imperatore. Riesaminando certe testimonianze tramite accurate analisi filologiche delle varie versioni della partitura è stato anche confermato l’episodio esterno più indicativo, ossia che la dedica della Sinfonia a Napoleone venne stralciata dal compositore sull’onda di tale notizia, ma poi la sua indignazione non fu tale da impedirgli di ripristinare e ribadire il titolo di una Sinfonia geschrieben auf Bonaparte “scritta su [intorno a] Bonaparte”. È stato avanzata anche l’ipotesi (da Tohmas Sipe nel suo volume del 1998) che non fu tanto la proclamazione di Napoleone a provocare in Beethoven quella momentanea repulsione, bensì la grave crisi dei rapporti fra Austria e Francia. Questi infatti erano stati dapprima alquanto cordiali per via del trattato di Leunéville (1801) – e anche di qui scaturì l’idea della dedica – ma inseguito le creazioni dell’impero e della coalizione fra Austria, Russia e Inghilterra che portarono alla guerra del 1805, alla battaglia di Austerlitz e all’occupazione di Vienna resero ovviamente assai problematico pubblicare musica nel nome di Napoleone. Per i lettori italiani, ci sono anche le preziose osservazioni di Carl Dahlhaus in Beethoven e il suo tempo e, fra i nostri autori, la guida di Fabrizio Della Seta (Carocci, 2004).

Pagine che precisano come gli elementi compositivi della sinfonia, in parallelo con il balletto Le creature di Prometeo e il relativo messaggio ideologico debbano essere investiti di un carattere eroico politicamente ibrido: ossia che non si relaziona in modo diretto alla figura di Napoleone, ma nemmeno con una generica figura eroica che con Napoleone non abbia nulla a che fare. Sull’onda della considerazione di Dahlhaus, secondo cui Beethoven, dopo la crisi del maggio 1804 e il successivo scoppio della guerra, poteva al pari di Hegel prender partito per Napoleone e al tempo stesso contro di lui, Della Seta rileva dapprima che la Marcia funebre, dopo quella intitolata sulla morte di un eroe nella Sonata op. 26, non deve essere semplicisticamente associata a un personaggio storico, fosse Nelson piuttosto che Abercromby. In seguito, ammonisce come i generali caratteri eroici della Sinfonia non debbano essere considerati in relazione alla figura di Napoleone secondo un principio di causa ed effetto, ma sia più corretto affermare che la congiuntura storica in cui Beethoven si trovò a vivere alimentò la sua esperienza intellettuale ed emotiva con fatti quali l’ascesa di personalità straordinarie, battaglie, conquiste, morti gloriose etc., che tali fatti contribuirono a formare un campo semantico identificato dal concetto di ‘eroico’di cui l’immagine di Napoleone era, per così dire, il punto focale e che tale concetto trovò espressione musicale in una serie di opere di cui la Terza Sinfonia  rappresenta la riuscita artistica più compiuta”.

Re e Principi alleati al Congresso di Vienna, 1815. Acquaforte non firmata.

Secondo altri studiosi come Giorgio Pestelli (L’età di Mozart e di Beethoven) e Stephen Rumph, lungo lo snodo degli anni 1810 che conduce al Congresso di Vienna è cruciale per Beethoven il 1809, quando gli sconquassi di Vienna invasa perla seconda volta ebbero forti ripercussioni sulla vita anche musicale della città e sulla sua attività di compositore. A partire da quel momento caratterizzato da rigurgiti di patriottismo germanico, sconfitte e problemi economici, inflazione e crisi dei mecenati, Beethoven – afferma Rumph – inizia a trasformarsi da compositore cosmopolita che scrive opere eroiche dalla spiccata inclinazione francese a patriota tedesco che scrive pezzi di propaganda contro Napoleone”. Ma da questo momento (nel 1809 muore anche Haydn) il rinnovato patriottismo di Beethoven conduce anche a una maggiore attenzione per la cultura tedesca in generale e per le sue tradizioni musicali: fondamentale il rinnovato e intenso studio del contrappunto che caratterizzerà in modo crescente le ultime opere, ma è il tardo stile di Beethoven nel suo complesso, secondo l’ipotesi di Pestelli e Rumph, a prendere le mosse da questo momento. La provvisoria adesione del compositore alle idee del Congresso di Vienna assume così una connotazione di conseguenza e non di istanza primaria. A quel tempo Beethoven scrisse opere assai meno riuscite della Terza Sinfonia, che pure si inseriscono in un filone politico ma che, per converso, recano titoli politicamente più espliciti come La vittoria di Wellington, Il momento glorioso, celebrativo appunto del Congresso di Vienna, l’ Ouverture Zur Namensfeier scritta per il compleanno dell’imperatore austriaco Francesco I, oppure un’opera meno esplicita ma dal soggetto fortemente allegorico come Le rovine di Atene, o ancora brani di piccole dimensioni come la Polacca per pianoforte op. 89 – dedicata a Elisabetta III zarina della Russia nuova alleata – o il lied Des Krieger’s Abschied (WoO143). Anche le marce per banda che Beethoven scrisse a partire dal 1809 dedicandole avari corpi militari e personaggi afferiscono al repertorio popolare sviluppatosi al tempo della Rivoluzione in un modo più fedele e dunque meno artistico rispetto a quanto accade nella Terza Sinfonia o in altre opere maggiori, dove invece tali stilemi vengono trasfigurati. Lo stesso dicasi per alcuni Lieder patriottici degli anni Novanta: lo Abschiedgesang an Wien’s Bürger (WoO 121), il Kriegslied der Österreicher (WoO 122) o Der freie Mann (WoO 117).

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L’aspetto politico si pone insomma come punta dell’ iceberg, tanto nel mondo della vita beethoveniana quanto per come esso si ripercuote nella sua opera. Come già rileva Della Seta a proposito dello stile “eroico”, è rispetto a una serie molto articolata di istanze e accadimenti che la poetica beethoveniana condivide significati, codici simbolici e di rappresentazione, tramite i quali l’opera stabilisce di volta in volta vari tipi di relazione col dato esterno: espressione, accelerazione, analogia, interdipendenza, causa ed effetto. Si forma così un triangolo fra accadimento, opera e biografia del compositore dove quest’ultima, secondo il concetto di identità in divenire coniato da Klaus Kropfinger, corrisponde a una catena di cambiamenti psico-fisici, contrasti e riprese, cui concorrono molteplici fattori: l’educazione musicale, l’amore per la madre, la seconda casa Breuning, la sordità, il doversi fare piazzista della propria arte fra pubblico e potenti, e certo i tumulti e le correnti ideologiche derivate dall’illuminismo e dalla Rivoluzione francese. Kropfinger ha curato la voce Beethoven per la principale enciclopedia tedesca MGG – Musik in Geschichte und Gegenwart  (“La musica nella storia e nel presente”) – e la sua monografia edita nel 2001 è stata tradotta in italiano nel 2006 da Gabrio Taglietti nella collana Le sfere  diretta da Luigi Pestalozza, serie caratterizzata dalla spiccata attenzione ad aspetti sociali, economici e di costume. Secondo Kropfinger, è centrale in Beethoven un concetto di libertà in cui coesistono componenti individuali, artistiche e pubbliche della definizione di sé. Oltre a motivare le crisi e le riprese del compositore, tale concetto socio-psicologico trascende la distinzione fra personale e politico onde conferire più profonde valenze non solo alle istanze “eroiche” della musica di Beethoven, ma anche ai suoi tratti innovativi. Quella nuova via che egli intese percorrere con risolutezza proprio a partire dal tempo della Terza Sinfonia e che caratterizza tanto le scelte ideali quanto quelle pragmatiche e squisitamente artistiche del compositore.

In base a questa prospettiva, i tratti salienti della produzione beethoveniana possono essere ricondotti di volta in volta a personaggi e fatti di varia incidenza storico-sociale, come a personalissime istanze esistenziali e spirituali. Anche il terzo stile che Beethoven maturerà dopo il congresso di Vienna quando la poetica del contrasto, pure accentuata per taluni aspetti, si ritrova mediata per altri, e quando le tecniche fugate e variative recuperate dal passato sublimano i drammatici processi della forma costituisce il corpo di un iceberg da cui certi brani come La vittoria di Wellington o Il momento glorioso emergono come sintomi esterni di Restaurazioni e Alleanze più profonde; non come momenti sganciati dall’autentica poetica beethoveniana (stile eroico finito nel conformismo secondo Maynard Solomon) finalizzati magari al facile successo presso il pubblico viennese al tempo del Congresso o tutt’al più nella prospettiva di un’incipiente musica a programma. Ciò che gli studi critici moderni hanno individuato è una rete di contesti e rimandi extra-musicali che consente di mettere in relazione la vita e l’opera di Beethoven con tendenze sociali, accadimenti ed eroi anche laddove l’ispirazione non è diretta o dichiarata. Anche se non sempre per la verità tali studi offrono aggiornamenti convincenti, la ricerca si è appuntata su elementi quantomai concreti e circostanziati, stringenti verifiche concettuali filologiche, anche riallacciate a dibattiti degli anni 20/30, onde ridefinire certi miti e suggestioni che a cavallo fra Otto e Novecento scaturirono sovente da istanze soggettive, arbitrarie e fantasiose. Pensiamo ai titoli romantici conferiti a certe Sonate  per pianoforte, dal Chiaro di luna alla Tempesta, dall’ Aurora all’ Appassionata – quest’ultima associata da W.R. Griepenkerl addirittura alla Tempesta  di Shakespeare -, oppure la Terza Sinfonia intesa, da Berlioz fino ad Arnold Schering, come sonorizzazione dei Poemi omerici. La poetica razionalista delle avanguardie anni Cinquanta-Sessanta, che si ripercuoteva in vari ambiti della cultura, aveva messo al bando simili romanticismi e impressionismi storiografici. In seguito, esaurita quella fase, sono stati oggetto di una rinnovata critica non solo i riferimenti a personaggi e accadimenti, ma la produzione beethoveniana nei suoi caratteri programmatici e poetici.

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Porre la produzione beethoveniana in una prospettiva che sulla base delle inferenze politiche diviene infine antropologica, ci aiuta a delineare l’arco di possibilità a disposizione di una rassegna concertistica come quella del Festival Pianistico Internazionale che mira a porgere al grande pubblico un Beethoven al passo con i tempi. La proposta di brani ispirati ai fatti di quel tempo – al centro di tutto la Terza Sinfonia – è solo uno dei passi obbligati. La Sonata op. 26 proposta nel fatidico anniversario del 5 maggio (a Bergamo, da Alexander Lonquich) fa il paio con un brano pressoché sconosciuto come la Polacca op. 89 (Massimiliano Motterle al S. Barnaba). Commenti scritti, fra note di sala e volumi illustrativi generali, nonché le varie conferenze dislocate fra città e provincia possono altresì illustrare aspetti generali, come quelli cui abbiamo accennato. La conferenza introduttiva svoltasi lo scorso 28 marzo nel ridotto del Teatro Grande alternava l’esecuzione delle Sonate op. 54 e op. 109 da parte di Federico Colli a un intervento dallo storico dell’arte Valerio Terraroli, il quale presentava la figura di Napoleone in relazione ai monumenti sorti anche qui a Brescia sulla scia del suo passaggio. Invece Piero Rattalino il 26 aprile al Salone Da Cemmo del Conservatorio, coadiuvato dal pianista Takahiro Yoshikawa, ha illustrato la Sonata op. 13 Patetica, in quanto espressione dell’incipiente sordità di Beethoven, e le note valenze evocative della Sonata op. 81a, dedicata alla dipartita dell’Arciduca Rodolfo avvenuta nell’anno cruciale 1809, per concludere accennando alla Vittoria di Wellington e al Momento glorioso come opere con cui Beethoven aveva conquistatoli pubblico borghese. Una delle originalità più interessanti dell’edizione di quest’anno è la partecipazione della Banda cittadina di Brescia, la Filarmonica Isidoro Capitanio, fondata anch’essa in occasione dell’entrata delle truppe napoleoniche in città, nel 1798, cui la direzione del Festival ha affidato l’esecuzione della Vittoria di Wellington trascritta per banda da Giuliano Mariotti e delle marce militari che Beethoven scrisse per tale organico, oltre alla Marche lugubre di F.J. Gossec e all’immancabile Marsigliese. Si delinea in tal modo anche per l’ascoltatore quel processo che portò Beethoven ad attingere a vari moduli di quei repertori popolari diffusi al tempo della Rivoluzione e ad assorbirli nella sfera alta della musica strumentale. I ritmi marziali, i movimenti di marcia, ancora più in particolare di marcia funebre fatti risuonare dalla Capitanio” rendono la Sonata op. 26 e la Terza Sinfonia  fondamentali opere di raccordo. Risale infatti al tempo della Rivoluzione francese e delle sue cerimonie pubbliche l’impiego della marcia funebre con enfasi sull’elemento eroico-marziale e quindi il suo significato simbolico di esaltazione del valore militare di Generali caduti in battaglia – oltre che delle virtù di grandi uomini civili. Grazie a questo accostamento fra l’organico bandistico e quello orchestrale, è lo stile eroico beethoveniano in generale ad entrare in risonanza con il sound  della Rivoluzione e dei suoi ideali. Ed è l’evento della guerra, infine, tanto presente di fatto nelle composizioni politiche e di circostanza del gigante di Bonn a rivelarsi un fondamentale collante fra politica e dinamica sociale dal basso – se non vogliamo recuperare il concetto coniato dal generale von Clausewitz di guerra come proseguimento della politica con altri mezzi e assumerlo criticamente all’interno di recenti modelli che interpretano il rapporto fra il tempo di pace e il tempo di guerra in base a principi di scarica pulsionale e/o continuità culturale. Si profila così un ulteriore elemento di originalità nelle recenti prospettive su Beethoven: conflitto armato come fulcro attraverso il quale gli ideali di lotta, libertà e solidarietà condivisi dal compositore rinsaldano l’asse portante, e universale, del suo messaggio – un’utopistica fede nelle capacità dell’arte di cambiare i destini del mondo.

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