Beethoven e la religione

Quale la natura della confessione religiosa [di Beethoven]? Chiara è la natura dei suoi sentimenti, attestata dalle citazioni [trascritte da Beethoven da libri] negli Aufzeichnung (Appunti): l’umiltà e quel senso di rapporto privato, a tu per tu, che troviamo tanto negli scritti quanto nella musica, fanno pensare alla fede in un Dio onnipotente e personale; trascendente e tuttavia accessibile (effusioni sulla natura); padre in cui tutti gli uomini sono fratelli (diario e Nona Sinfonia), eppure da loro remotissimo, misterioso e mai conoscibile appieno (citazioni orientali, il “Sanctus” della Missa Solemnis e lo “Heiliger Dankgesang” dell’Op.132). Se Beethoven durante la vita non fu chiaramente un cattolico praticante, quel suo consenso agli ultimi sacramenti sul letto di morte conferma l’impressione che egli, inconsciamente, non si fosse mai distaccato dalla comunità della Chiesa. Chiamarlo, come fa Schmitz un “katholischer Aufklärer (illumista cattolico), per lo più razionalista, ma nelle Messe incline al fideismo”, sarebbe fuorviante.
M.Cooper

Beethoven era un uomo religioso che, allevato formalmente come cristiano cattolico, non aveva mai abdicato al suo ruolo di membro della Chiesa, [anche se non era mai stato un cattolico praticante] ma solo alla fine della vita, attraverso la sventura e l’infermità, venne a conoscenza della stretta relazione tra i sentimenti religiosi nonché le convinzioni religiose, spesso non formulate, in cui era vissuto, ed i fondamentali insegnamenti della Chiesa, cui era stato per lo più indifferente od ostile.
M.Cooper

La religione non era un argomento di cui discutesse molto con altri. Cresciuto nel tollerante cattolicesimo di fine settecento, il lato formale della religione aveva per lui scarso interesse. La divinità cui la sua fede si rivolgeva era un Dio personale, un padre universale cui continuamente ricorrere per consolazione e perdono. Sentiva la presenza di Dio nella bellezza della natura e cercava nella campagna la possibilità di adorarlo.
Kerman e Tyson

[Molti hanno indagato il credo religioso di Beethoven sulle cui convinzioni religiose non si hanno, specie nei primi  anni, molte notizie. Tutti sono giunti alla stessa conclusione, che Beethoven credesse in una Divinità, in un essere superiore, onnipotente, onnisciente, un Dio al quale si poteva ricorrere per perdono e consolazione, ma al di fuori di ogni concezione dogmatica. Questo problema è stato profondamente analizzato da Solomon in “La ricerca della fede” [Su Beethoven, Einaudi, 1998, pagg. 253-268], di cui riporto qui una stringatissima sintesi.
Beethoven nacque  in una famiglia cattolica, fu battezzato, frequentò una scuola elementare cattolica. Ma non vi è alcuna prova, a parte alcune generiche testimonianze  sulla religiosità della madre, che i genitori e lui fossero dei cattolici praticanti. Beethoven divenne adulto in un ambiente nel quale le idee illuministiche ebbero larga diffusione e presero per molti, e per lo stesso Beethoven, il posto della fede dogmatica. Gli intellettuali della Lesegellschaft, di Bonn, nella cui cerchia fu accolto Beethoven, erano massoni e anticlericali ma, se come razionalisti illuminati rifiutavano il dogma religioso, non escludevano la fede, in altre parole non erano atei. Ma non vi è alcun accenno, nella sua corrispondenza dei primi anni o nei ricordi degli amici di gioventù, a sue convinzioni religiose.
Nei suoi scritti i primi accenni alla religione li troviamo nella famosa lettera a Hoffmeister dell’8 maggio 1802 [K.59], scritta dopo il Concordato fra Napoleone e la Chiesa, in cui alla fine vi è la frase “… ma santo Dio, una tale sonata in questi tempi cristiani che cominciano – …”, frase che non è difficile interpretare come una insofferenza verso i dogmi del cattolicesimo romano, e che Solomon considera addirittura “di disprezzo”.
Altri accenni alla religione li troviamo nelle lettere del 1801 agli amici Amenda e Wegeler [A.51 e A.53],in cui comunica loro l’insorgere della sordità: “Il tuo Beethoven ha una vita molto infelice, in lotta con la natura ed il Creatore. Già più di una volta maledissi quest’ultimo perchè ha disposto le sue creature in modo che spesso anche il più bel fiore può essere distrutto e stroncato”. Dai suoi scritti conosciamo anche la sua adesione allo stoicismo dei Romani: “Plutarco mi ha rivelato la strada della rassegnazione”. È però nel testamento di Heiligenstadt, dell’ottobre 1802, che affiora almeno temporaneamente il sentimento religioso di Beethoven: “Dio Onnipotente, Tu dall’alto guardi nella mia anima intima, leggi nel mio cuore e sai che è colmo d’amore per l’umanità”. Invocazioni di questo tipo ricompariranno poi più volte ad esempio nei suoi appunti privati, che quindi hanno certo il crisma della sincerità, gli Aufzeichnungen, raccolti in quello che oggi si suole chiamare Tagebuch: “O Dio, Dio, guarda quaggiù l’infelice Beethoven (nr.10, 13 maggio 1813]”; “Dio aiutami! Tu mi vedi abbandonato da tutta l’umanità, poiché io non voglio fare del male. Ascolta la mia preghiera [nr.129, 1817-1818]”; “Solo tu, onnipotente, vedi nel mio cuore [nr.171, 1818]”. Queste invocazioni ci fanno ben conoscere una delle caratteristiche del credo religioso di Beethoven: la fede nella esistenza di un Dio onnipotente, un essere superiore, una divinità protettiva cui appellarsi direttamente, personalmente senza bisogno di intermediari, ma nello stesso tempo trascendente, remoto e misterioso. Da dove provenga questo aspetto del suo credo religioso ci viene suggerito dalle numerose citazioni orientali che si trovano negli Aufzeichnungen: “Dio è immateriale, perciò è superiore ad ogni comprensione; poiché è invisibile non può avere alcuna forma [nr.74]”. “Ma dalle sue opere noi siamo consapevoli che egli è eterno, onnipotente, onnisciente e onnipresente [nr.74]”. È dunque un Dio che permea di se la  natura. Attorno al 1815 su un foglio e su uno schizzo egli scrisse: “Ogni albero della campagna mi disse ‘Santo! Santo!’. Nella foresta un incantesimo! Chi può esprimere tutto ciò?”; “Onnipotente nella foresta! Ogni albero parla grazie a te, O Dio!”. Questo ci dice che anche il culto della natura ha per Beethoven un significato religioso.
Ci sono molte opere dell’inizio del 1800 e di anni più tardi che hanno un significato religioso: l’oratorio Christus am Ölberge Op.85 che, ha scritto Solomon, “sembra incarnare la sua identificazione con un salvatore sofferente”. I nr. 4 [Die Ehre Gottes aus der Natur, La Gloria di Dio nella Natura] e 5 [Gottes Macht und Vorsehung, Potenza e provvidenza di Dio] dai Lieder su testi di Geller Op.48, un inno alle opere di Dio nella natura e in tutto il creato. Ma un significato religioso, nel senso di un Padre in cui tutti gli uomini sono fratelli, hanno il Corale della Nona Sinfonia, Op.125, con l’abbraccio dei “millionen” nel Padre che sta sopra la volta celeste, e la Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidio [“Heiliger Dankgesang eines Genesenen an die Gottheit, in der lydischen Tonart” dell’Op.132, in ci si rivolge alla “divinità” e non al Dio di una delle confessioni cristiane. Vale la spesa di ricordare che quando Beethoven mise in musica un testo poetico non lo fece mai su commissione, ma sempre di propria iniziativa, spintovi quindi quasi certamente dal significato che il testo aveva per lui.
Beethoven lesse ed annotò ripetutamente un libro di Christoph Christian Sturm (1740-1786),Betrachtungen über die Werke Gottes im Reiche der Natur und der Vorsehung auf alle Tage des Jahres“,(Riflessioni sulle Opere di Dio nel regno della natura e della Provvidenza in tutti i giorni dell’anno): la copia di Beethoven, di un’edizione stampata aReutlingen nel 1811, con annotazioni di sua mano, è oggi conservata a Berlino. In quest’opera Sturm cercava di conciliare ideali cristiani e ragione dell’uomo. Probabilmente per questo, e perché Dio vi veniva raffigurato come il superno regolatore della sfere celesti e della vita della natura, Beethoven, amava molto, come ha riferito Schindler, questo libro.
È certo che Beethoven non osservò mai gli obblighi  formali di una religione, né tanto meno di una delle dottrine cristiane, anche se in un paio di occasioni accompagnò il nipote Karl a confessarsi. Si dice che una volta abbia  definito Gesù come “nient’altro che un ebreo crocifisso”. E una conversazione col nipote Karl suggerisce che “non ammettesse la divinità di Gesù Cristo che come un simbolo, o come un mistero e non come un fatto sicuro” (Chantavoine). Certamente non vi è alcuna testimonianza durante tutta la sua vita che possa indurci a ritenere che Beethoven credesse nella divinità del Cristo. Per contro restano dei racconti del fatto che egli a volte pronunciò parole di disprezzo verso la gerarchia religiosa e gli uomini di chiesa.
Ma nonostante questo nei suoi Appunti ci sono frasi come questa che ci inducono a pensare che egli avesse trovato nella sua ricerca la certezza dell’esistenza di Dio: “Tutto fluisce limpido e puro da Dio. Se dopo fui oscurato della passione per il male, tornai, dopo ripetute penitenze e purificazioni, alla prima, sublime e pura sorgente, alla Divinità – e alla tua arte” [Afzeichnungen nr.75]. Ma, come ha scritto Solomon “La religiosità di Beethoven è collocata saldamente nel pensiero illuminista, che si era posto alla ricerca di una religione libera dal ricorso al dogma. … E Beethoven che rifiuta l’autorità della Chiesa, dimostra la propria indipendenza dal pensiero cattolico o luterano che presuppongono il dogma quale nucleo della teologia. … L’accettazione da parte di Beethoven di religioni pagane e orientali corrisponde agli sforzi di Leibniz, Voltaire e Herder di ampliare il concetto di divinità fino a includervi la totalità delle sue manifestazioni: … differenti forme di fede sono fondamentalmente in armonia secondo una concezione umanistica di un Dio-padre onnisciente, onnipotente, onnipresente e benevolo, i cui ammaestramenti sono conformi alle esigenze della moralità e della ragione.” Beethoven fu un figlio dell’Illuminismo che non cedette mai del tutto alle lusinghe della religione, della quale tuttavia, come ci mostrano molti suoi scritti, pare che, come chiunque altro, abbia sentito il bisogno.]

[La fede in un essere superiore che tutto permeava, cui era possibile rivolgersi chiedendo aiuto, direttamente, senza intermediari, e dal quale era possibile ottenere conforto e salvezza era uno dei fondamenti della religiosità di Beethoven. La lettera all’Arciduca Rodolfo del 18 luglio 1821 ce ne da la prova inequivocabile: “… Dio che vede nella parte mia più profonda e che sa che, io come uomo, dovunque adempio nel modo più scrupoloso ai  doveri che l’umanità, Dio e la Natura mi impongono, mi strapperà alla fine, ancora una volta, da queste tribolazioni”. Umanità, Dio, Natura, è questa la trinità spirituale che sta alla base della religiosità di Beethoven.]

La lunga crisi [degli anni 1815-1818] che inaugurò l’ultimo stile beethoveniano, sebbene coincidesse con la dissolvenza degli ideali dell’Età della Ragione, e si accompagnasse all’erosione del raziocinio di Beethoven durante la battaglia per la tutela del nipote, non lo portò a ricusare gli ideali illuministici in sé. Egli non si arrese mai alle lusinghe del misticismo. Abiurò l’intrusione del miracoloso e del soprannaturale nell’arte e nella letteratura poiché, scrisse, “ha un effetto soporifero sul sentimento e sulla ragione”. …
Fu durante questo periodo critico che Beethoven espresse liberamente i suoi desideri di conforto e i suoi sentimenti di dipendenza da un essere soprannaturale; e intraprese la ricerca di un significato religioso nei rituali orientali ed egiziani, nella mitologia classica e nella teologia cristiana.
Solomon

[Leggendo il testo del recitativo che inaugura la seconda versione di An die Hoffnung, messa in musica da Beethoven nel 1815, possiamo essere presi dal dubbio che la fede di Beethoven in un Dio, essere superiore, onnipotente, fosse molto tiepida. Queste parole infatti sono: “C’è un Dio? Potrà egli un giorno esaudire la promessa di soddisfare i nostri lacrimevoli desideri? L’uomo deve sperare! Non può dubitare!”. Ma la sua incertezza ci sembra svanire immediatamente se nei suoi Appunti leggiamo: “Tutto fluisce limpido e puro da Dio. Se dopo fui oscurato della passione per il male, tornai, dopo ripetute penitenze e purificazioni, alla prima, sublime e pura sorgente, alla Divinità – e alla tua arte” [Afzeichnungen nr.75].E nel 1818 ricopia dal prediletto libro di Christoph Christian Sturm, ”Betrachtungen über die Werke Gottes im Reiche der Natur und der Vorsehung auf alle Tage des Jahres“, (Considerazioni sulle Opere di Dio nel regno della natura e della Provvidenza in tutti i giorni dell’anno): “Mi sottometterò serenamente a tutti i cambiamenti e riporrò tutta la mia fiducia in Te, bene immutabile, o Dio! In Te, immutabile si rallegrerà la mia anima. Sii la mia roccia, Dio, sii la mia luce, mia eterna certezza. (Abzeichnungen nr. 180)]

Beethoven dedica all’Arciduca Rodolfo, l’augusto protettore ed allievo, “elevatissima anima musicale”, che egli chiama “compagno d’arte”, alcune tra le sue opere più alte, che culminano nella Missa Solemnis, ispirata e nutrita da un profondo sentimento religioso, un’opera che si propone “di risvegliare sia negli esecutori che negli ascoltatori sentimenti religiosi”. “Non vi è nulla di più alto”, scrive all’Arciduca, “che avvicinarsi, più degli altri uomini, alla Divinità e spandere i raggi della Divinità sugli altri uomini”.
Magnani

Nessuno dei commentatori ha mai avuto dubbi che fra gli elementi di ispirazione di Beethoven vi fosse anche un sentimento religioso.  Ma sulla natura di questo sentimento sono state fatte le valutazioni più diverse  e questo fu possibile perché Beethoven non ha mai espresso in maniera esplicita e coerente le sue concezioni religiose.
Schindler, nella “Biographie von L. van Beethoven” (Muenster, 1840) dice: “Nur zwei Gegenstaende  wurden bei wissenschaftlichen Discussionen niemals von him berhuert  und mit Beharrlichkeith vermieden. Diese ware: Generalbass und Religion. Er erklaerte beide fuer in sich abgeschlossene Dinge, ueber die man nicht weiter disputieren solle”. (Soltanto due argomenti non furono mai toccati da lui nelle discussioni scientifiche e con insistenza evitati. Questi erano: l’armonia e la religione. Le considerava cose chiuse in se stesse e sulle quali non si doveva discutere ulteriormente).
Ciò che Beethoven dice della religione è sparso ed espresso in modo frammentario nelle sue lettere, nelle sue note e nei Quaderni di Conversazione; è costituito da affermazioni raccolte da persone che furono in contatto con lui ed è illustrato negli aneddoti riferiti dai suoi biografi.
Alla base del sentimento religioso di Beethoven si trovano l’influenze del cattolicesimo e dell’Aufklaerung. Entrambe si esercitarono su di lui in giovane età, a Bonn; la prima per la sua educazione e per il suo frequentare famiglie cattoliche, fra le altre la famiglia von Breuning; la seconda per l’atmosfera di corte dell’Elettore ove si erano diffuse le idee filosofiche venute dalla Francia. Ne poteva scaturire una sorta di cattolicesimo tinto di razionalismo.
Tale concezione non era incompatibile con le dottrine della massoneria, cui Beethoven si poteva sentire vicino per le sue idee umanitarie e liberali.
Se un cattolicesimo tinto di razionalismo ha costituito la base delle credenze religiose di Beethoven … vi sono, nella espressione a parole dei suoi sentimenti, molte varianti.
Nel 1802 il Testamento di Heiligenstadt termina con una invocazione a una “Provvidenza” e a una “Divinità” di vaga e imprecisa definizione.
Nel 1814 Moscheles aveva ridotto per piano la partitura del Fidelio e aveva scritto sull’ultima pagina: “Ende mit Gottes Hilfe” (Fine, con l’aiuto di Dio). Beethoven vi scrisse sotto: “O Mensch, hilf dir selber” (Oh uomo, aiuta te stesso).
Ma nel 1820 troviamo nei Quaderni di Conversazione, di mano di Beethoven: “Socrates und Jesus were meine Muster” (Socrate e Gesù furono i miei modelli).
Nel 1815 si trovano nei quaderni di schizzi, frasi il cui senso è quello di un entusiasmo panteistico religioso: “Ist es doch, als ob jeder Baum zu mir sprache auf der Lande: Heilig! Heilig! Im Walde Entzüchen! Wer kann alles ausdruecken?” (È certo, come se ogni albero mi parlasse dalla campagna: Santo! Santo! Incanto nel bosco! Chi può esprimere tutto?). “Allmächtiger im Walde! Ich bin selig, glücklich im Walde; jeder Baum spricht durch dich. O Gott! welche Herrlichkeith! In einer solchen Waldgegend, in the Höhen ist Ruhe, Ruhe, ihm zu dienen” (Onnipotente nella foresta! Io sono beato, felice nella foresta; ogni albero parla attraverso di te. O Dio! che magnificenza!  In una tale regione boscosa, in alto vi è la pace, pace per servirti) (La frase è preceduta dalla indicazione “Sul Kahlenberg 1815, fine di settembre).
In Beethoven risvegliarono interesse le traduzioni di opere persiane o indiane nelle quali si esprimeva l’infinita potenza e l’eternità di Dio, la sua onniscienza e la sua onnipresenza. Schindler riferisce che, verso la fine della sua vita, Beethoven aveva scritto di suo pugno le seguenti frasi che egli teneva sempre sul suo tavolo di lavoro: “Ich bin was das ist. Ich bin alles, was ist, was war und was sein wird. Kein sterblicher Mensch hat  meinen Schleier aufgehoben. Er ist einzig von ihm selbst, und diesem Einzigen sind alle Dinge ihr Dasein schuldig” (Io sono quello che è. Io sono tutto quello che è, che fu e che sarà. Nessun uomo mortale ha sollevato il mio velo.  Egli è solo per se stesso, e a questo unico tutte le cose devono il loro essere). Era un testo di origine egiziana … di significato panteistico.

Un libro che interessò molto Beethoven  era quello di C. Sturm  “Betrachtungen über die Werke Gottes im Reiche der Natur und der Vorsehung” (Riflessioni sulle opere di Dio nell’ambito della natura e della provvidenza). Vi aveva annotato o marcato con tratti di penna molti passaggi ed era divenuto uno dei suoi libri da capezzale. Cercare Dio nella natura fu l’attitudine religiosa fondamentale di Beethoven. Prove che Beethoven rimase un buon cattolico non mancano. Quando si occupò del nipote Karl non si è disinteressato del lato religioso della sua educazione. Diversi aneddoti ci mostrano Beethoven sempre rispettoso in presenza di sacerdoti. I principali documenti permettono di ricostruire così l’attitudine religiosa di Beethoven. Cattolico di origine ed educazione, ha sempre conservato in fondo l’ortodossia e il rispetto della fede in cui era stato allevato. Ma ha subito l’influenza di diverse correnti d’idee del suo tempo. Ha conciliato, senza troppe preoccupazioni, il suo cattolicesimo con una tendenza razionalista e con una concezione vicina al panteismo. In sostanza egli ha conservato una fede semplice, priva di sottigliezze, e quando le circostanze lo hanno  portato a manifestare i suoi sentimenti religiosi  si è trovato d’accordo con la dottrina cattolica e i suoi rappresentanti. Fra le sue opere musicali, ispirate più o meno essenzialmente dal sentimento religioso, le principali sono alcuni Lieder di Gellert Op.48 (fra i quali La lode di Dio nella natura, Potenza e provvidenza di Dio), la cantata “Christus am Ölberg” (Cristo sul Monte degli Ulivi) Op.85, la Messa in Do maggiore Op.86 e la Missa Solemnis in Re minore Op.123. Nelle Messe Beethoven ha avuto la preoccupazione di mettere l’espressione musicale al servizio di quella delle parole, rispettando la prosodia e sottolineando con una musica appropriata le varie idee essenziali espresse nel testo e ricorrendo alla ripetizione insistente di certe parole. Ad esempio nella Messa Solenne la ripetizione energica che il regno del Cristo non avrà mai fine con “non, non, non”; la ripetizione “Credo, Credo”, scandita dalle voci del Coro per esprimere la fede nello Spirito Santo, nella Chiesa cattolica, nella remissione dei peccati e nella resurrezione. In qualche punto della Messa Solenne in Re minore  l’intenzione espressiva è stata segnalata da Beethoven stesso. All’inizio del Kyrie  aveva scritto: “Von Herzen  moege es wieder zu Herzen gehen” (Dal cuore possa essa di nuovo andare al cuore). Il Kyrie ed il Sanctus  portano, accanto all’indicazione del movimento, l’indicazione dell’espressione da dare: “Mit Andacht” (Con devozione). Nell’Agnus Dei vi è la citazione: “Bitte um innern un ausseren Frieden” (Preghiera per una pace interiore ed esteriore).
Il sentimento religioso non è assente neppure nell’Ode alla Gioia della Nona. La gioia è detta figlia del cielo e fra le sue manifestazioni vi sono i cherubini in presenza di Dio. I milioni di uomini sono invitati ad un abbraccio che deve dare al mondo il sentimento che un Dio paterno si trova al di sopra della volta del cielo. Il mondo è invitato a cercare questo Dio al di la delle stelle.

Il fatto che Beethoven abbia composto delle messe basta ad indicare un cattolicesimo ortodosso. Il suo scopo, scrivendole, era quello di cantare la gloria di Dio e di edificare i fedeli. Come aveva scritto nel 1815 in una delle sue note personali: “eine kleine Kapell – von mir in ihr der Gesang geschrieben, aufgefuhrt, zur Ehre der Allmaechtigen – der Ewige, Unendlichen!” (una piccola cappella – per voi scritto ed eseguito da me l’inno a gloria dell’Onnipotente, dell’Eterno, Infinito!”). D’altra parte vi fu in lui una tendenza a cercare Dio nella natura. E infatti, nelle redazioni successive delle epigrafi di alcune sue opere, egli ha sostituito la parola “Dio” con “divinità”, qualcosa di più vago.
Boyer

Il Tagebuch è importante per la documentazione che offre circa il credo religioso di Beethoven. … Esso contiene diverse invocazioni dirette, persino preghiere, rivolte ad un Dio personale ed esemplifica l’adesione non dogmatica di Beethoven ad un’ampia gamma di forme religiose non cristiane. Il suo accogliere imparzialmente concezioni religiose cristiane, orientali e greco-romane è tipico tanto della prospettiva illuministica quanto di quella romantica, le quali rifiutavano l’autorità della Chiesa mentre postulavano una verità religiosa indipendente dalle sue manifestazioni formali.
Beethoven sembra essere particolarmente attratto dalle idee orientali di purificazione, ascetismo, sacrificio [ignorando i piaceri del mondo].
Solomon

Beethoven credeva nella libertà e in Dio e, come molti altri ai nostri e ai suoi giorni, non vedeva motivo di perdere del tempo a dire che cosa egli intendesse con questi termini. Come molti altri egli sentì l’impatto della Rivoluzione Francese. Ma, a differenza della maggior parte della gente, la sua concezione di libertà si sviluppò al di sopra delle considerazioni politiche e gli avvenimenti locali della sua vita, sebbene egli fosse interessato alla politica. … Per suo spontaneo convincimento la libertà è un principio spirituale che va al di là di ogni formulazione di ortodossia religiosa. … La libertà da vincoli teologici è chiaramente indicata nel credo di Beethoven, che egli adottò da una iscrizione su un tempio, presa da Pictures of Egipt di Jean-François Champollion. “Io sono quello che è, che fu e che sarà. Nessun mortale ha sollevato il mio velo.  Egli è solo con se stesso, ed è a questa solitudine che tutte le cose debbono il loro esistere“. … Molto significativa è l’osservazione in una lettera del 1814 a Johann Nepomuk Kanka, sul fatto che egli amava “l’impero dello spirito come la più alta di tutte le monarchie terrene e spirituali“. Per dirla in parole povere Beethoven era un tipo molto intellettuale, avvicinatosi alla visione di un universo entro la quale la natura di Dio è espressa senza limiti concettuali. … Beethoven ha patito un’uscita da questa vita estremamente degradante. Rimane il fatto che in mezzo a sporcizia, dolore e squallore egli ha impressionato tutti quelli che gli furono vicini  per il modo in cui è morto. Un tale comportamento, a quel tempo e in tali spaventose condizioni, può solo significare che le sue parole su Dio e sul regno della mente non erano  vuota ipocrisia.
Bardorf

[Vi furono] in Beethoven, durante gli anni critici in cui egli aveva avvertito i primi sintomi della sordità, i segni di un breve risveglio religioso. Quegli impulsi religiosi scomparvero in gran parte dall’orizzonte nel decennio successivo; la profonda adorazione di Beethoven per la natura, accanto alla sua devozione per la Ragione, sembravano poter sostituire in lui la teologia. Tuttavia la lunga crisi che dette l’avvio all’ultimo stile beethoveniano, accompagnata dall‘indebolimento della razionalità di Beethoven durante la lotta per la tutela del nipote Karl, vide anche l‘inizio di una vasta e complessa ricerca di una fede religiosa. Intraprese un viaggio spirituale attraverso svariate religioni – orientali, egiziane, mediterranee e i diversi aspetti del cristianesimo – di cui possiamo leggere i particolari nel diario. In questo diario segreto egli entrava in comunione con le divinità più diverse, ed esprimeva liberamente i propri desideri di conforto e insieme il proprio senso di dipendenza da un essere soprannaturale. Ciò non significa che Beethoven fosse diventato osservante in senso formale. Né abbandonò la propria decisa fedeltà alla Ragione. Ma in una lettera all’Arciduca Rodolfo scrisse: “Dio vede nel profondo del mio cuore e sa che io, come uomo, eseguo con la massima
coscienziosità e in ogni occasione i doveri che l’Umanità, Dio e la Natura mi impongono“.
Solomon

Immanuel Kant è il più democratico fra i filosofi della grande cultura tedesca. Beethoven nomina Kant due volte nei Konversations-Hefte. Una volta con noncuranza là dove egli commenta la noia delle lezioni universitarie tenute dal filosofo kantiano Johann  Gottfried  Kiesewetter (1766-1819). Un’altra volta con forte commozione, citando senza commento ma con evidenza anche grafica: “La legge morale in noi, e il cielo stellato sopra di noi. Kant!!!“. [Sono le parole che aprono la conclusione della “Critica della ragion pratica“ (1788). Propriamente nel testo kantiano: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me“]. Questa adesione morale al pensiero kantiano è tanto più importante quanto più incerta è la natura della religiosità di Beethoven, cristiano per eredità culturale e per la profonda suggestione dei simboli cristiani, ma molto lontano dall’ortodossia e dalle pratiche di fede e di culto. Comprendiamo meglio la musica beethoveniana se meditiamo sull’insegnamento kantiano secondo cui Dio, anima e mondo sono idee guida, puri prodotti della ragione, non verificabili criticamente, ma tali da introdurre la libertà nell’azione morale.
Principe

[Per lui, come ci dicono certi suoi Appunti, (gli Aufzeichnungen), Dio era un essere superiore ed eterno (“dalle sue opere noi siamo consapevoli che egli è eterno” [Aufzeichnungen nr.74]) che permeava di se l’universo e la natura tutta (“Onnipotente nella foresta! Io sono beato, felice nella foresta; ogni albero parla attraverso di te. O Dio!”). Questo essere onnipotente, onnisciente e onnipresente [nr.74] per Beethoven vede nel nostro intimo [nr.171] e ci unisce tutti, come dicono le parole di Schiller nell’Ode alla Gioia: “Fratelli, sopra al cielo stellato deve esservi un caro Padre”. A questo essere superiore ci si poteva rivolgere, direttamente, per così dire in forma privata, in un rapporto a tu per tu  senza intermediari al di fuori di ogni dogmatismo[nr. 129 e 171]. Per entrare in colloquio con Dio per Beethoven non c’era bisogno dell’intermediazione della Chiesa o del Cristo. Questa sua visione delle divinità nasceva dalla fusione dei fondamenti dell’educazione cristiana che gli era stata imposta, anche se non in modo eccessivamente assillante nei primi anni di scuola, con vari influssi culturali del pensiero classico antico e delle religioni orientali. Beethoven fu molto attratto dalle “Riflessioni sulle opere di Dio nella Natura”, di Christian Sturm (1740-1786). Questo libro, nel quale si cercava di riconciliare religione e ragione, consiste in una serie di saggi sulle meraviglie del creato che sono una lode al Dio loro creatore; esso combinava perciò parecchi elementi che attiravano molto Beethoven, la creatività, l’amore della natura, e il Padre onnipotente. È molto verosimile che, come scriveva Chantavoine, egli non considerasse Cristo un essere divino ma semplicemente un uomo sofferente o un filosofo. Nel 1820 infatti troviamo nei Quaderni di Conversazione, di mano di Beethoven la frase “Socrate e Gesù furono i miei modelli”. E l’oratorio “Christus am Ölberge” Op.85” è uno straordinario affresco musicale in cui viene cantata la sofferenza terrena di Cristo, più che la sua divinità.
La famiglia di Beethoven era a quanto pare cattolica; Ludvig fu battezzato ed educato nei suoi primi anni in  una scuola cattolica. Ma non vi è alcun ricordo relativo alla famiglia e al Maestro che li veda protagonisti di pratiche religiose cattoliche. Forse l’unica di cui abbiamo notizia fu l’accettazione dell’estrema unzione poco prima della morte: ma in che condizioni psicologiche era il Maestro in quegli ultimi giorni? E vien fatto di chiedersi se Beethoven pregasse. Non vi è dubbio che nei suoi Appunti troviamo molte preghiere dirette a Dio.  “Dio, Dio, mio rifugio, mia roccia, mio tutto, tu vedi nel mio intimo. O ascolta, eterno ineffabile, ascolta me, il tuo infelice, il più infelice di tutti i mortali!” (nr.171). “Dio aiutami! Tu mi vedi abbandonato da tutta l’umanità, poiché io non voglio fare del male. Ascolta la mia preghiera” (nr.129). E queste potevano essere preghiere dirette a quel suo Dio privato e personale. Ma nel 1818, il nipote Karl, nella causa per il suo affidamento a Beethoven quale tutore, dichiarò alla corte, su precisa domanda, che lui e lo zio pregavano insieme tutti i giorni, e qui evidentemente le preghiere avevano un ben diverso significato. Difficile dire se questo fosse una manovra attuata da Beethoven per migliorare le sue possibilità di vittoria nella lotta per la tutela, o se, sensibile quale era, davanti al problema della educazione di un ragazzo, non abbia sentito riaffiorare alla sua coscienza quei precetti morali e religiosi, coi quali era stato allevato dalla madre, e che pur una traccia dovevano aver lasciata. Tuttavia non vi è dubbio che in genere l’ atteggiamento di Beethoven verso la Chiesa fu di indifferenza fino a raggiungere talora l’aperto dissenso; cui si aggiunsero talvolta parole offensive verso il clero.
Ma anche se pare dunque di poter dedurre dagli scritti di Beethoven che dal suo credo fosse esclusa ogni forma di intermediazione fra l’uomo e Dio attraverso i suoi ministri, come invece vuole la Chiesa Cattolica, questa opinione può essere messa in dubbio da certe affermazioni del Maestro. Basti per tutte la lettera all’Arciduca Rodolfo: “Il Cielo mi benedica attraverso V[ostra] A[ltezza] I[mperiale] e il Signore stesso vegli sempre su V.A.I. e La protegga” [A.1248, del 1823]. Vi è poi una lettera di Beethoven relativa alla Missa che ci permette di comprendere un altro aspetto della sua religiosità. “Nello scrivere questa grossa Messa il mio scopo principale fu di suscitare sentimenti religiosi e di renderli durevoli, sia nei cantanti che negli ascoltatori” scriveva nella lettera ad A.Streicher il 16 settembre 1824, (K.1238). Dunque per Beethoven il rapporto fra creazione artistica e religione era molto stretto fino a fargli pensare di poter ispirare sentimenti religiosi negli altri grazie alla sua musica. E quasi certamente, come ha scritto Della Croce, nella Missa Solemnis Beethoven ha voluto celebrare il Dio dei Cattolici.  E d’altra parte altri suoi scritti fanno pensare ad una certa devozione per il Cristo. Nella lettera del 6 ottobre 1824, a Tobias Haslinger [K.1246] ad esempio scrive: “Per quanto concerne il mio benignissimo signore, certo non può fare altro che seguire l’esempio di Cristo, cioè soffrire, ed il maestro [in italiano nel testo] non meno”.  Ed ancora più significativa in tal senso è la aspirazione, confessata nel Tagebuch, ad “una cappella” in cui elevare il suo canto per l’Onnipotente [Tagebuch].]