Beethoven nella storia della musica

[Beethoven ha un posto molto particolare nella storia della musica. Riconosciuto universalmente come uno dei più grandi compositori di tutti i tempi per molti è il più grande in assoluto. Guardando all’opera di Beethoven due elementi colpiscono: la qualità raggiunta con le sue opere in tutti i generi musicali in cui si è cimentato e la grande e durevole popolarità della sua musica.
Vi sono fattori che spiegano la sua posizione dominante nella storia della musica. Molte delle sue idee musicali hanno la loro origine nell’opera di tutti i compositori che lo hanno preceduto. Se questo appare evidente in alcune delle prime opere che ancora hanno qualche carattere settecentesco, meno appariscenti, ma non meno importanti, sono questi legami anche nelle opere delle maniere più avanzate: basta pensare al peso che in esse hanno avuto il contrappunto bachiano e, per ammissione dello stesso Beethoven, la produzione religiosa fino a Palestrina. L’altro aspetto che deve esser sottolineato è che il suo influsso nei confronti dei suoi successori è stato tale che possiamo affermare con confidenza che nessuno dei maggiori compositori dei successivi cento anni è sfuggito completamente alla sua influenza. Molte di queste influenze, estesamente analizzate da musicologi sono per così dire evidenti, balzano all’orecchio al primo ascolto. Altre sono più difficili da individuare. In certi casi si è trattato per così dire di una dipendenza per la vita: basta pensare alla posizione di Brahms (la cui Prima Sinfonia fu soprannominata la “Decima di Beethoven”) e di Bruckner che consideravano le sue sinfonie il più alto e irraggiungibile modello di musica pura strumentale. Echi della Nona Sinfonia, risuonano in molte composizioni di  Mendelsshon, [il respiro cosmico della “Sinfonia Corale” ha improntato la sua Seconda Sinfonia “Lobgesang”] e di Mahler per il quale la sinfonia “doveva essere un mondo”. Lo spirito dell’Allegretto della Settima Sinfonia con il suo andamento misurato risuona nella Sinfonia in Do Maggiore di Schubert e nell’italiana di Mendelssohn. Non furono immuni da influenze beethoveniane Berlioz e più tardi Richard Strauss e Dvoràk, del quale B.Cooper ha detto che la sua musica sarebbe impensabile se non vi fosse stata la Sinfonia Pastorale.
La musica di Beethoven ebbe anche grande influenza sul pensiero e sullo sviluppo delle forme musicali. Wagner fece della introduzione della voce nel Corale della Nona un vessillo propagandistico in favore dell’opera d’Arte dell’Avvenire: la musica strumentale pura aveva finito il suo corso; l’arte del futuro non poteva che fondarsi sul duo musica-parola nel dramma musicale. Alcuni studiosi hanno sottolineato come la genesi dei Poemi Sinfonici di List e Richard Strauss, come di certe opere di Berlioz, ad esempio l’Aroldo in Italia, vada ricercata nella qualità poetica e romantica di opere quale la Sinfonia Pastorale e nel carattere descrittivo di certe ouvertures (quali Leonora nr.3, Coriolano ed Egmont).

Ma anche nella musica per pianoforte vi sono evidenti tracce della influenza di Beethoven: basta pensare ad alcune delle ultime sonate di Schubert. Per non parlare dell’importanza, sovente misconosciuta, che la produzione liederstica di Beethoven ebbe, dopo il 1815, sullo sviluppo del lied romantico: è di Beethoven il primo “ciclo” liederistico della storia, i Sei Lieder “An die ferne Gelibte” Op. 98, formula che verrà adottata nei Liederkreis  a partire da Schubert e Schumann per giungere a Brahms e Wolff. Schumann poi ha addirittura citato un tema di “An di ferne Geliebte” nella sua Fantasia Op.17. Il carattere aforismatico delle sue ultimissime opere per pianoforte, la Variazioni Diabelli Op.120 e le Bagattelle [Op.126] fu un modello cui non si poté sottrarre Webern per le sue opere concentratissime. I motivi per cui la opera di Beethoven ebbe così larga diffusione  sono diversi. Come ha fatto rilevare B.Cooper i compositori con cui la musica di Beethoven ha minore relazione è quella dei suoi contemporanei. La sua opera si erge come un imponente massiccio in un’epoca, i primi venti anni del secolo diciannovesimo, nella quale la composizione d’imperiture opere d’arte fu minima. Si contano sulle dita della mano i pochi capolavori scritti in questi venti anni, che a parte quelli di Beethoven, sono oggi ancora regolarmente in repertorio.

Non si dimentichi che la grande produzione di Schubert, inizia proprio nella seconda metà della seconda decade del secolo. Un secondo elemento spiega la enorme diffusione della sua musica. Durante gli ultimi anni della sua vita e dopo la sua morte il pubblico musicale stava mutando; con lo sviluppo della borghesia una nuova categoria di ascoltatori sostituì i circoli aristocratici settecenteschi per cui Beethoven stesso aveva composto. Come hanno ricordato Kerman e Tyson questo nuovo pubblico fu attratto dalla musica bethoveniana con un’intensità particolare. Le sinfonie, i concerti, le ouvertures e le più famose delle sue sonate per pianoforte divennero dei pilastri nella cultura musicale dell’Ottocento. Le ragioni di questa incredibile diffusione possono apparirci misteriose se non si ricorda che già negli ultimi anni della sua vita la fama di Beethoven, fu legata a qualcosa di più e di diverso dai semplici valori e fenomeni puramente musicali. Noi oggi non abbiamo dubbi nel definire Beethoven un musicista classico, anzi egli rappresenta per noi il punto culminante dell’era Classica, dato che la maggior parte delle forme che egli usò nelle sue opere più grandi e che portò per così dire ai loro limiti estremi (sinfonia, concerto con strumento solista, sonata per pianoforte, quartetto per archi), erano quelle portate alla loro perfezione da Haydn e Mozart. (Ma non dimentichiamo che, come scriveva B.Cooper, le discussioni se egli appartenga più al Classicismo che al Romanticismo furono interminabili. E nel “Répertoire international de la littérature musicale” fu messo nella sezione “Classica”, mentre Schubert, che pur morì solo un anno dopo, in quella “Romantica”.) A provocare la enorme diffusione delle sue opere fu anche la nascita del mito beethoveniano, nel quale la storia della sua vita si mescolò inestricabilmente alle qualità della sua musica, producendo l’immagine del prototipo dell’artista rivoluzionario e  romantico, cosa che lui non era!, immagine che affascinò l’epoca romantica. Il mito fu creato da  appassionati di musica, dilettanti, scrittori di cose musicali che applicarono a Beethoven le proprie categorie mentali romantiche. Ma anche i musicisti dell’Ottocento, che furono spesso scrittori e divulgatori, contribuirono alla creazione del mito. Un ruolo preminente lo ebbero le interpretazioni “romantiche” di E.T.A.Hoffmann nelle quali furono enfatizzati  la sua grandiosità, il tono eroico, le strutture gigantesche ma soprattutto la capacità della sua musica di scatenare le emozioni soggettive, scuotendo l’animo del singolo ascoltatore fino a “muovere le leve del terrore”,  trascinandolo così in alto da farlo penetrare nell’empireo dell’ineffabile e dell’assoluto, soddisfacendone la  aspirazione al sublime. La musica romantica è per Hoffmann una sorta di filtro o di talismano. Il musicista romantico è per Hoffmann una sorta di mago, un essere privilegiato. Si fondeva bene con questa visione l’immagine di Beethoven uomo, l’artista solo, quasi sordo e che affronta orgogliosamente le avversità, e che sul piano artistico combatte per il progresso dell’arte, rompendo i legami imposti da molte delle regole classiche; il compositore che, come ha detto lui stesso, componeva più per i posteri che “per il loggione”, in altri termini il prototipo dell’artista romantico. Come ha scritto B.Cooper “Le sue irregolarità e il suo contravvenire alle idee formali classiche fecero di Beethoven  l’ispiratore dei romantici, l’uomo che liberò la musica dalle pastoie delle convenzionali regole formali del diciottesimo secolo. Egli fu visto, e può essere ancora visto come l’uomo che fece per la musica una rivoluzione fondamentale, come la Rivoluzione Francese la fece per la politica”. Perciò, concludeva B.Cooper, “pur essendo lui in un certo senso un vero uomo della sua età, che ha ampliato e infuso con un nuovo Zeitgeist (spirito del tempo) i generi e le forme che aveva ereditato, è allo stesso tempo un uomo per tutte le età. La sua musica influenza ancora l’evoluzione della musica del giorno d’oggi  e incarna l’intera gamma delle umane emozioni con una tale intensità che essa troverà per l’eternità una pronta risposta negli ascoltatori.”]

E.T.A.Hoffmann nei suoi scritti rese popolare l’idea del musicista romantico mago e demoniaco. La visione dell’artista come eroe affiorò nella letteratura romantica tedesca prima del 1800. L’elemento eroico beethoveniano fu individuato nella forza del carattere, nell’indipendenza e nel liberismo, nella sordità, nella sofferenza e incapacità a trovare l’amore di una donna, nella sincera devozione all’arte. Testamento di Heiligenstadt, lettere all’Immortale Amata e le fantasiose memorie di Bettina Brentano contribuirono ad alimentare il mito. Il mito di Beethoven trascinò nella propria scia la storia e lo storicismo; da Beethoven il creatore il passo è breve per Beethoven, vita di un conquistatore, per giungere poi alla vita eroica di Beethoven e a Beethoven, l’uomo che liberò la musica, tutti titoli di libri diffusissimi nella prima parte del Novecento. Nel 1870, centenario della nascita, la casa in cui Beethoven era nato fu trasformata in una specie di santuario nazionale sulle rive del Reno (cui si aggiunse un imponente archivio di manoscritti e un istituto culturale). Se l’istituzione della Beethovenhaus si può considerare espressione di una rivendicazione del paese natale di Beethoven nei confronti di quello adottivo, Vienna rispose nel 1900 con il più grandioso dei monumenti innalzato al suo eroe: la famosa stanza col fregio di Klimt, ispirato a scene beethoveniane, e la statua di Klinger. Alla cerimonia di inaugurazione Mahler diresse una banda di ottoni e una massa corale di operai viennesi in un’esecuzione all’aperto dell’Ode alla Gioia. [Nella letteratura ottocentesca furono costruiti] i due principali monumenti al mito di Beethoven. La biografia di Thayer e lo studio degli schizzi beethoveniani di Nottebohm. Questi contribuirono ad accrescerne il mito, rendendo visibile la fatica e la devozione che Beethoven metteva in ogni suo atto creativo. [Nessun altro compositore stimolò una produzione di opere di analisi tecnica e di critica come Beethoven, a partire da metà ottocento]. Il culmine della agiografia beethoveniana si ebbe poi all’inizio del Novecento con il Jean-Christophe (1904-1912), il romanzo di straordinaria lunghezza e popolarità, basato sulla vita romanzata del compositore, scritto da Romain Rolland. [Mentre intere generazioni di artisti costruirono la propria carriera su esecuzioni beethoveniane, studi su Beethoven continuano incessantemente e ininterrottamente a comparire  ancora oggi].
Kerman e Tyson