Biografie e biografi di Beethoven

Le notizie raccolte in questo capitolo sono la sintesi di moltissime informazioni biografiche sparse nella letteratura su Beethoven, cominciando da Wegeler e Ries (1838), per giungere, attraverso Schindler (1840), Thayer (1866-1917), Marx (1858), Lenz (1852-1855), Nohl (1864-1877), von Breuning (1874) a Rolland (1902), Dahlhaus (1990), Solomon (1977, 1988), Stählin (1983), B.Cooper (1991, 2001), Focher (2001, 2002).
Sebbene avesse dichiarato più volte di non ambire a riconoscimenti mondani è certo che Beethoven fu molto orgoglioso delle onorificenze ricevute, e che questo sentimento si fece in lui più marcato negli ultimi periodi della vita. È lui stesso infatti che parla del diploma conferitogli dalla Reale Società delle Scienze Svedese e da quella di Amsterdam, del suo titolo di cittadino onorario di Vienna, in una lettera a Wegeler del 7 ottobre 1826 [K.1436], lettera nella quale dichiara che gli sarebbe gradito essere insignito dell’Ordine dell’Aquila Rossa di seconda classe e riferisce anche con orgoglio di avere ricevuto dal Re di Francia un medaglia con inciso: Donné par le Roi à Monsieur Beethoven. E non va dimenticato il suo compiacimento in occasione degli onori che gli furono tributati in occasione del Congresso di Vienna. Non vi è dubbio che Beethoven fu certo preoccupato di tramandare ai posteri il quadro più esatto possibile della sua opera. Infatti accolse molto favorevolmente l’idea della pubblicazione di una sua opera omnia da lui riveduta e ordinata. E non solo della sua opera. Quasi certamente si preoccupò di tramandare ai posteri anche l’immagine il più possibile veritiera della sua vita. Questa intenzione è storicamente documentata dal biglietto del 30 agosto 1826, scritto di pugno di Holz, ma certamente firmato da Beethoven stesso, che diceva: “È con piacere che rilascio al mio amico Karl Holz la dichiarazione da lui desiderata, ovvero che io lo considero persona qualificata a redigere, a suo tempo, la pubblicazione della mia biografia, sempre che possa ammettere che un’opera del genere venga richiesta. Inoltre ho piena fiducia che egli rimanderà ai posteri, senza alterazioni, tutto ciò che gli ho comunicato a questo scopo. Ludwig van Beethoven”. Biglietto che viene citato da tutti coloro che hanno scritto sui primi biografi di Beethoven, ma che non tutte le raccolte di lettere di Beethoven riportano anche se già presente nella raccolta di Kastner del 1910 [K.1414].
Carl Holz (1798-1858), che dall’estate del 1825 alla fine del 1826 soppiantò Schindler nelle funzioni di segretario e confidente del maestro, era certamente a conoscenza di molte cose, non solo perché, come risulta dal biglietto citato, Beethoven doveva avergli fatto molte confidenze, ma perché nella sua veste di violinista e compagno delle attività di molti musicisti che erano stati vicini a Beethoven per anni, poteva avere avuto molte altre informazioni su episodi che magari il Maestro gli aveva taciuto.
L’idea di presentare al mondo uno schizzo biografico di Beethoven era già stata avanzata, attorno agli anni 1820, da Friedrich Wähner, che desiderava compilare un articolo per una Enciclopedia della casa tedesca Brockhaus, fondata nel 1805, specialista in enciclopedie. Wähner chiese quindi a Beethoven uno schizzo autobiografico, ma il Maestro non se ne diede per inteso.
Fu subito dopo la morte di Beethoven che da varie parti si cominciò a pensare ad una sua biografia. Georg August von Griesinger (1769-1845), Ministro di Sassonia a Vienna, nel 1810 aveva pubblicato una fortunata biografia su Haydn. Era amico di Beethoven dal 1802, o forse anche da prima, e aveva fatto da intermediario fra Beethoven e il Re di Sassonia all’epoca della sottoscrizione per la Missa Solemnis. Nell’aprile del 1827 lamentava il fatto che nessuno fosse all’opera per raccogliere in una biografia le informazioni che qua e là venivano pubblicate sui giornali.

Ci fu però anche chi si mise subito al lavoro e preparò, con rapidità, una concisa biografia del Maestro. Il primo lavoro, che gli studiosi di Beethoven considerano poco rigoroso, fu redatto da Johann Aloys Schlösser e pubblicato nell’estate del 1828 a Praga e in seconda edizione nel 1844. Questi non va confuso con Louis Schlösser (1800-1886), il compositore che nel 1822 incontrò Beethoven a Vienna e che nel 1885 scrisse “Erinnerungen an Beethoven” (Ricordi di Beethoven), una descrizione che viene considerata un po’ troppo fantasiosa del suo incontro col Maestro.
Anche a Vienna si cominciò a parlare di una biografia beethoveniana. Ma la sua realizzazione fu una chimera.
Come siano andate le cose per la vagheggiata biografia non è chiaro. Ma è certo che Holz non iniziò mai il lavoro. Probabilmente aiutò Anton Gräffer (1784-1852), che voleva scriverne una, e che raccolse molto materiale. Ma anche Gräffer non concluse nulla, sebbene il progetto fosse stato annunciato nel settembre 1827. Schindler ne dà notizia in una lettera a Moscheles del 14 settembre 1827: “Il sig. Schlosser ha pubblicato a Praga un biografia di Beethoven assolutamente pessima. Anche qui si sta organizzando una sottoscrizione per un’altra “vita” che, da quanto sento, sarà compilata dal sig. Gräffer”. Anton Gräffer, sebbene non facesse parte degli intimi di Beethoven, era in condizione di avere accesso a molte informazioni, anche per così di dire di prima mano. Era stato impiegato per molti anni presso la Casa Editrice Artaria, e si era occupato delle edizioni del compositore. Aveva conosciuto Beethoven quando compilò il “Catalogue des Ouvres de Louis van Beethoven”, che Artaria pubblicò nel 1819 assieme alla Sonata Op. 106. Questo catalogo, dopo la morte di Beethoven, fu poi aggiornato completato e ripubblicato nel 1828. Aveva compilato il Catalogo d’Asta del lascito di Beethoven. Per di più era cognato dell’editore Tobias Haslinger (1787-1842), che nel 1826 divenne proprietario della Casa Editrice Viennese Steiner, nella quale lavorava da anni e che fu in strettissima relazione con Beethoven fino agli ultimi giorni. Gräffer era inoltre un amico intimo di Jacob Hotschevar.Hotschevar, (ca.1780-1842) regio funzionario della Camera di Corte, era parente lontano di Johanna van Beethoven e aveva sostenuto le petizioni di Johanna nel processo per la tutela di Karl. Alla morte di Stephan von Breuning, nel giugno 1827, gli subentrò nella tutela di Karl. Intanto dal settembre 1827 erano iniziate attraverso i giornali ricerche presso mecenati, sostenitori e amici di Beethoven onde raccogliere la maggior mole possibile di notizie autentiche sul Maestro, che veniva presentato orgogliosamente come un musicista austriaco, dato che aveva vissuto sempre a Vienna. Ma sopratutto si cercavano dei sottoscrittori per la biografia che avrebbe dovuto uscire nel 1828. Il materiale raccolto da Gräffer era notevole. Ma, come si è detto, Gräffer non giunse a scrivere la biografia.

La progettata biografia fu annullata, forse per mancanza di sottoscrittori. In sue mani rimase però molto materiale: si trattava di copie del certificato di battesimo; di lettere scritte da e a Beethoven; del contratto per l’appannaggio del 1809; di libretti di Appunti la maggior parte dei quali furono raccolti in quello che oggi viene chiamato Tagebuch. Vi erano pochi documenti originali. Poi però, dal 1832 al 1835, Gräffer stese uno schizzo per una biografia di Beethoven ma soprattutto, come ricorda Solomon, lasciò una sua autobiografia inedita in cui sono raccolte molte notizie su Beethoven. Ad un certo punto Gräffer mise in vendita tutto il suo materiale, ma non trovò acquirenti. Certo è che nel 1842 Karl Holz, probabilmente seccato per il trattamento che Schindler gli aveva riservato nella sua biografia uscita frattanto nel 1840, persuase Ferdinand Simon Gassner (1798-1851), musicista, Kapellmeister a Karlsruhe e scrittore, a scrivere lui una biografia di Beethoven. Gassner giunse a Vienna e ricevette da Holz e da Gräffer tutto il materiale che avevano a disposizione.La storia di questo materiale, oggi noto come “Manoscritto Fischoff” viene raccontata diversamente da vari studiosi. Solomon riferisce che il materiale era stato per un certo periodo in mano al pianista Joseph Fischhoff (1804-1857) che ne fece una copia. Questa copia della raccolta di notizie, consistente in 44 fogli, è quella oggi nota come “Manoscritto Fischoff”. E si dice che il dossier originale sia stato poi dato, dalla vedova di Gassner, a Ludwig Nohl che lo utilizzò per la sua “Beethoven’s Leben”, del 1864. Secondo Eliot Forbes la storia fu diversa. La raccolta, di una sessantina di pagine manoscritte, conteneva lettere e documenti il cui originale è andato perduto; osservazioni, notizie e pro-memoria; ricordi personali di Zmeskall von Domanovecz; copie delle poche fonti a stampa degli anni 1830-1837; (Forbes vi include il Tagebuch). Questo manoscritto fu lasciato al nipote di Beethoven, Karl, e alla sua morte nel 1857, rimase alla vedova Carolina. Il manoscritto poi venduto, scomparve. Ma fortunatamente Jacob Hotschevar, il tutore di Karl, ne aveva fatto una copia aggiungendovi alcuni aneddoti. Questa copia fu poi data a Joseph Fischoff, professore al Conservatorio di Vienna. Alla sua morte finì nelle mani di un commerciante di musica, Julius Friedlander, che lo vendette alla Biblioteca di Berlino nel 1859, ove Thayer ebbe occasione di studiarlo.
Ma intanto era accaduto che nei mesi successivi alla morte del Maestro, un altro pretendente al mandato beethoveniano per una biografia fedele ai fatti della sua vita, si autonominò incaricato a scriverla. Era questi Anton Schindler, che cercò di sfruttare l’opportunità che nasceva dal fatto che era ben noto che egli era stato il “famulus” di Beethoven per alcuni anni, la persona che più era stata vicino al Maestro all’incirca dal 1818 al maggio 1824, e poi nuovamente dalla fine del 1826 alla morte. Dalla sua posizione privilegiata, che egli cercò di rendere per così dire sempre più solida affermando di avere svolto le sue funzioni di segretario-factotum di Beethoven addirittura dal 1816, egli diffuse la voce, anche con una lettera a Wegeler del 6 luglio 1827, (riportata da S.Ley in “Beethoven als Freund der Familie Wegeler – v. Breuning”, Bonn 1927) che Beethoven stesso aveva incaricato lui e Steffen [Stephan] von Breuning di tramandare ai posteri la sua vera immagine, giudicandoli gli unici in grado di farlo. Beethoven aveva avuto con loro rapporti molto stretti: con von Breuning fino dalla giovinezza e dopo con Schindler, e aveva anche vissuto per certi periodi insieme a loro. Nella lettera, Schindler diceva inoltre che il Maestro aveva pregato di coinvolgere nell’opera anche l’altro amico d’infanzia, Wegeler. La critica moderna ritiene queste affermazioni di Schindler del tutto destituite di fondamento. Ma certo che la strategia era stata scelta bene dal “famulus”: Steffen von Breuning non era più in grado di testimoniare o di smentire perché era morto da poco più di un mese, il 4 giugno; l’unico a scrivere una biografia “autorizzata” era rimasto il solo Schindler! Schindler con questo raggiro cercava inoltre di attrarre nella sua orbita Wegeler, l’unico, o uno dei pochi che avrebbero potuto dargli informazioni di prima mano sugli anni giovanili della vita del Maestro. Per gli anni centrali della vita di Beethoven Schindler riconosceva però che si sarebbe dovuto ricorre ai molti ancora in vita che avevano avuto rapporti di amicizia o di lavoro con il Maestro. Ma la fantasia di Schindler, il quale si rendeva conto del fatto che, anche con l’aiuto di Wegeler, gli sarebbe stato difficile avere accesso a informazioni su una parte della vita del Maestro, non si fermò qui. Egli cercò di coinvolgere Rochlitz nella stesura di una biografia beethoveniana, adducendo a motivo il fatto che Beethoven, sul letto di morte, avrebbe proprio nominato Rochlitz quale suo possibile biografo. Johann Fredrich Rochlitz infatti era stato ben addentro alle cose musicali viennesi in quanto direttore di Allgmeine Musikalische Zeitung dal 1798 al 1818, ma, non dimentichiamolo, aveva incontrato Beethoven solo nel 1822 e parla di Beethoven nel suo Für Freunde der Tonkust (1832). Schindler nella “Introduzione” alla sua “Biografie” racconta che un giorno, negli ultimi mesi di vita, von Breuning, chiaccherando con Beethoven delle Vite di Plutarco, colse l’occasione di chiedergli da chi avrebbe voluto fosse scritta una sua biografia. Al che Beethoven avrebbe risposto immediatamente “Da Rochlitz!”. Wegeler all’inizio fu molto collaborante e fornì all’intraprendente Schindler materiale con notizie sul periodo giovanile della vita di Beethoven. Ma certo è che Schindler non mise subito mano alla progettata biografia, probabilmente anche a causa dei suoi impegni di lavoro. Dal 1827 al 1829 visse presso una sorella a Pest. Tornato a Vienna fece l’insegnante. Nel 1831 si trasferì a Münster, con l’incarico di direttore del Musikverein, e nel 1835 ad Acquisgrana come direttore delle attività musicali di quella città.
Un’altra delle ragioni per cui probabilmente il progetto della biografia di Gräffer e di Gassner non fu mai portato avanti, sta forse nel fatto che nelle mani di Schindler era caduto un materiale importantissimo, che egli diceva di avere acquistato, ma che molti ritengono avesse sottratto dopo la morte di Beethoven: molti manoscritti, carte personali e sopratutto i Quaderni di Conversazione.  Materiale che Schindler si era ben guardato dal mettere a disposizione di coloro che desideravano scrivere una biografia beethoveniana. D’altra parte l’antica rivalità fra Holz e Schindler impedì a quest’ultimo l’accesso alle informazioni raccolte da Gräffer con l’aiuto di Holz. Ma qualcosa nelle ricerche sulla vita di Beethoven si andava muovendo. Nel 1832 infatti, Ignaz von Seyfried publicò il suo libro sugli studi musicali di Beethoven, Beethoven’s Studien im Generalbasse, Contrapuncte und in der Compositions-Lehre, che comprende anche un certo numero di notizie sulla vita ed il carattere di Beethoven. E lo stesso Schindler non aveva rinunciato a redarre una biografia. Vi fu, a questo punto, un tentativo di coinvolgere anche Ries in una collaborazione a tre perché, dato che Ries aveva frequentato assiduamente Beethoven negli anni centrali della sua vita, avrebbe potuto fornire del materiale prezioso su un periodo nel quale, né Wegeler né Schindler, erano stati a contatto col Maestro, e per il quale, sostanzialmente, mancavano loro informazioni dirette. Certo è che anche questo tentativo, con cui l’astuto Schindler voleva trovare un sostituto per von Breuning e Rochlitz, naufragò nel 1836. E poco dopo Wegeler, dopo aver cercato invano di far sì che Schindler pubblicasse il materiale che lui gli aveva fornito, decise di rendere pubbliche le informazioni in suo possesso. Siccome in realtà i suoi contatti con Beethoven, dopo il periodo giovanile, si erano praticamente interrotti alla fine del 1796, quando, dopo il suo perfezionamento a Vienna, era ritornato a Bonn, egli si rivolse a Ries, che come abbiamo visto aveva vissuto a lungo a contatto con Beethoven. E i due amici diedero inizio alla preparazione della loro raccolta di notizie biografiche su Beethoven: “Biographische Notizen über Ludwig van Beethoven”, che apparve pubblicato a Coblenza, ove viveva e visse fino alla morte Wegeler, nel maggio 1838. Ferdinand Ries, che tanto si era adoperato per la stesura del libro, era morto da quattro mesi. Sette anni dopo il Wegeler pubblicò (Coblenza presso Bädeker) un supplemento, “Nachtrag”, con altri brevi ricordi della vita di Beethoven e con alcune nuove lettere. Questo materiale fu poi ristampato a cura di A.Kalischer a Berlino nel 1906-1907. Infine fu tradotto in inglese da F.Noonan, col titolo “Remembering Beethoven”, nel 1987, e in italiano, da A.Focher, col titolo “Beethoven. Appunti biografici dal vivo”, nel 2002. “Notizen“ di Wegeler e Ries è un piccolo libro diviso in due parti. La prima, scritta da Wegeler è una raccolta di notizie sulla famiglia Beethoven, sul giovane Ludwig nel periodo di Bonn, su alcuni eventi ricostruiti attraverso le poche lettere scritte da Beethoven a Wegeler e alcune altre lettere scritte alla famiglia von Breuning. Vi sono annotazioni sul carattere di Beethoven ragazzo, molto precise. La seconda parte, scritta da Ries, riguarda molti eventi accaduti durante il periodo della vita di Beethoven in cui i due furono in contatto, Beethoven naturalmente nella posizione del maestro e Ries in quella dell’allievo. Anche qui sono intercalate delle lettere per ricostruire certi avvenimenti. Ma come dice Ries nella brevissima introduzione, l’intenzione di entrambi era quella di riportare dei fatti autentici, la cui genuinità ne avrebbe fatta una fonte indispensabile per chiunque avesse voluto preparare una vera biografia del Maestro. Si tratta di un’inesauribile miniera di ricordi ed esperienze dirette, non solo relative all’uomo Beethoven ma anche a fatti musicali. Si può dire che, a parte alcuni episodi che potrebbero essere aneddotici, e qualche errore dovuto al tempo trascorso fra quanto raccontato e il momento della scrittura del resoconto, pochi sono i dubbi sull’autenticità di quanto riportato in questo libretto, al quale hanno attinto a piene mani tutti coloro che hanno scritto su Beethoven, dai primi biografi ottocenteschi ai loro epigoni moderni, e molte volte, sia detto per inciso, facendo delle ricostruzioni di fatti, basate solo sui racconti di Wegeler e Ries, senza nemmeno citarne la fonte. Può darsi anche che i due autori, per affetto, abbiano evitato di citare episodi che potessero mettere in cattiva luce Beethoven, il cui comportamento in tema d’affari nei confronti degli editori, e forse anche nel caso della tutela del nipote, poteva essere criticabile. Così come sono stati tagliati dei brani o omesse lettere “in cui Beethoven si pronuncia in modo assai esplicito, e non in termini elogiativi”, come scrive Ries, “riguardo a certe persone”. Come ha scritto Focher, “Non si tratta di uno studio scientifico, di un tentativo di analisi dell’opera beethoveniana, o di una indagine intorno al Beethoven uomo, bensì di una raccolta di appunti, di ricordi, il più delle volte privi di commenti o interpretazioni, in grado di svelarci, poco alla volta, un quadro di incomparabile suggestione, in cui un Beethoven dal vivo, in “presa diretta” è presentato nei suoi umori quotidiani, mentre suona, compone o improvvisa, nei suoi rapporti umani con i nobili viennesi, mentre dà lezione o, passeggiando, raccoglie le idee per una nuova composizione. Al fascino di tale lettura, non si mostrò insensibile Robert Schumann il quale, avutane una copia dallo stesso Wegeler, (come si legge sul retro di copertina: ‘inviato da Wegeler, ricevuto il 5 giugno 1838. R.Schumann’), l’11 giugno 1838 scrisse a Berlino alla sua amica Henriette Vogt, grande appassionata di musica: ‘Al suo ritorno l’attende un’interessante lettura, degli appunti biografici su Beethoven appena apparsi ad opera di Ferd. Ries e del dr. Wegeler. Le presterò il libro, dal quale, appena iniziato, non saprà più staccarsi’. Sulla Neue Zeitschrift für Musik, la celebre rivista musicale da lui diretta, apparve una recensione [molto elogiativa]”. Si può dire che è a questo libretto che noi dobbiamo l’immagine di Beethoven che si ritrova in tutte le biografie seguenti, quella di un uomo di buon cuore, ma capriccioso, di cattivo carattere, orgoglioso, diffidente e di umore depresso.
Si deve comunque riconoscere che, sebbene oggi molto criticato, alla fine Anton Schindler è riuscito nel suo intento, quello cioè di scrivere “la biografia” di Beethoven. Infatti nonostante i lavori usciti in precedenza, quella di Schindler è la vera prima biografia beethoveniana: “Biographie von Ludwig van Beethoven”, pubblicata per la prima volta a Münster nel 1840, tradotta in inglese a cura di Ignaz Moscheles e pubblicata a Londra nel 1841 come “The Life of Beethoven, edited by Ignace Moscheles Esq.”, e senza il nome di Schindler! Solo nella prefazione si da notizia che era la traduzione dell’opera del 1840; vi sono note ed appendici, opera di Moscheles. Una seconda edizione tedesca, [con l’aggiunta di un capitolo intitolato “Beethoven in Paris” e già pubblicato nel 1842], si ebbe sempre a Münster nel 1845. Infine la terza edizione apparve nel 1860; fu poi ristampata con note e aggiunte di A.C.Kalisher nel 1909; fu riprodotta in copia anastatica nel 1927 con Introduzione e note di F.Volbach e in una versione ridotta con note aggiuntive da S.Ley nel 1949. Questa terza edizione del 1860 fu tradotta in inglese da C.S.Jolly e pubblicata da McArdle, a Londra nel 1966, col titolo “Beethoven, as I knew him” e con molte note. Sebbene la critica sia divenuta impietosa nei confronti di questo libro esso rimane una lettura affascinante. Sfortunatamente Schindler, nel tentativo di idealizzare al massimo la figura del venerato Maestro, e anche per aumentare il suo prestigio personale, ha aggiunto di suo pugno, dopo la sua morte, delle frasi nei Quaderni di Conversazione dei quali si era impossessato. Questo ha suscitato quindi un’enorme diffidenza per tutto quello che la biografia contiene. Tutto quello che vi è scritto è stato sottoposto ad una critica severissima, e i moderni biografi non accettano più alcuna informazione di Schindler a meno che essa non trovi appoggio in qualche altra testimonianza. Schindler aveva cercato di far considerare la sua biografia la depositaria delle verità su Beethoven con queste parole scritte nell’Introduzione: “Per il racconto dei fatti della giovinezza di Beethoven io sono debitore soprattutto a Wegeler, il compagno di gioventù del giovane Amfione fino al 1796. Quali garanti per i fatti del secondo periodo, non riportati in lettere o documenti, ho gli amici di Beethoven: molti di questi furono in stretta relazione con me negli anni successivi alla morte del maestro. Per gli eventi del terzo periodo li garantisco personalmente, dato che in un modo o nell’altro ho preso parte direttamente alla maggior parte di essi.”
Wegeler e Ries si erano ripromessi di essere il più obiettivi possibile. Schindler ha idealizzato l’immagine del maestro immergendola in un’atmosfera a volte fantastica.

Un nuovo capitolo nella storia della biografica beethoveniana si apre con la comparsa sulla scena di Alexander Wheelock Thayer (1817-1897). Figlio di un chirurgo, studiò alla Harvard University di Cambridge, e si laureò in legge.  Ma già durante i suoi studi, oltre che ad interessarsi di filosofia, un interesse che non venne mai meno, fu anche attratto dal mondo della musica, cui dedicò letture e ricerche: pubblicò brevi articoli sulla storia e sulla critica musicale e sui salmi del New England. Probabilmente il primo contatto con Beethoven lo ebbe, [come racconta la bella ricerca di Bellofatto da cui vengono riportate qui anche altre notizie], da alcuni arrangiamenti di musiche di Beethoven raccolti in una collezione di Melodie Sacre pubblicate attorno al 1820. In Boston vi erano già nella prima metà del secolo diciannovesimo parecchie associazioni musicali molto attive, Händel and Haydn Society, Mendelsshon Quintet Club, Germania Orchestra, Boston Academy of Music, che fra il 1841 e il 1847 presentò sei delle nove sinfonie, alcuni concerti e l’oratorio Cristo al Monte degli Ulivi.

Quasi certamente Thayer fu presente a questi concerti. Sia detto per inciso nel 1852-1854 [periodo in cui Thayer rientrò in America dall’Europa]  comparvero su il Dwight’s Journal of Music numerose recensioni dei concerti di queste società di cui più tardi scrisse: “attraverso di essi il nome di Beethoven divenne noto nel nostro paese”. Nacque così il suo interesse per Beethoven e forse cercò delle notizie su di lui. Ma la grande svolta doveva avvenire quando egli cominciò a lavorare, dal 1845, quale assistente alla Harvard University Library. Racconta lui stesso, in un suo schizzo autobiografico, che, appassionato di Beethoven, mentre lavorava alla Biblioteca Universitaria, aveva avuto l’idea, nel 1845, di preparare un’edizione americana corretta della traduzione in inglese [fatta da Moscheles e comparsa nel 1841] della biografia di Schindler [la cui prima edizione era appena stata pubblicata a Münster nel 1840]. Thayer, che si era fatto mandare parecchi libri dall’Inghilterra, si accorse ben presto che, fra il lavoro di Wegeler e Ries e quello di Schindler, vi erano delle discrepanze. Da qui l’idea della edizione riveduta; ma Thayer si rese ben presto conto che per questo bisognava poter risalire alle fonti in Europa. Decise così di dedicarsi alla ricerca della verità, senza sospettare che questo avrebbe trasformato la sua vita. E a questa ricerca della verità sacrificò gli ultimi 50 anni della sua esistenza.

Nell’aprile 1849 s’imbarcò per l’Europa. Da maggio a ottobre, è sempre Thayer che racconta, si fermò a Bonn per studiare il tedesco e “raccogliere fatti e verità su Beethoven”. Fu poi a Berlino e a Vienna. Ma nel novembre 1851, a corto di fondi, tornò a New York e fu assunto alla New York Tribune. Da quei giorni, le sue condizioni di salute lo disturbarono molto, fino alla morte: soffriva come si legge in alcune sue lettere di atroci mali di capo, verosimilmente una forma di emicrania. Ma nel 1854, avendo già cominciato a preparare una Biografia per gli americani (non per i tedeschi, egli dice), lasciò per la seconda volta gli USA e ripartì per l’Europa, ove sperava di mantenersi con gli articoli per la Tribune. Fu allora che studiò i Quaderni di Conversazione e il materiale che si trovava allora alla Biblioteca Reale (il materiale che Schindler vendette alla Biblioteca in cambio di un vitalizio, e il così detto Manoscritto Fischoff). Ma in aprile 1856, stava malissimo e tornò negli Stati Uniti, da dove poté ripartire per il suo terzo viaggio in Europa nell’agosto 1858: non ritornò mai più negli USA, salvo che per brevi visite di qualche settimana.

Thayer poté intraprendere questo terzo viaggio grazie a una generosa sovvenzione della sig.ra Mehetabel Adams e del sig. Lowell Mason. Dal 1856 al 1858 Thayer aveva lavorato alla Biblioteca Privata del sig. Mason, ove aveva schedato un vasto materiale musicale. Come si apprende poi da una lettera diretta a Deiters e ritrovata da Bellofatto la signora era la zia materna di Thayer!  Fu a Berlino, Vienna e Parigi e dal 1859 al 1864 visse a Vienna. Per mantenersi in Europa egli scrisse negli anni 1858-1861 molti articoli e non solo su Beethoven,ma anche su Bach, Gluck, Mozart, Händel, per vari giornali, New York Tribune, The Dwight’s Journal of Music e per New American Cyclopaedia. Riuscì poi, nel 1862, ad avere un impiego al Consolato Americano. Infine nel gennaio 1865 fu nominato Console Americano a Trieste, carica che ricoprì fino al 1882; a Trieste visse il resto della sua vita e nel 1897. In tutto questo periodo fece una ricerca minuziosa e accanita d’ogni possibile sorgente d’informazione sulla vita e l’opera di Beethoven: lettere; diari; atti giudiziari e registri parrocchiali; Quaderni di conversazione; vecchi annunci, giornali.

Cercò di incontrare chiunque avesse conosciuto Beethoven o avesse avuto a che fare con lui e ne serbasse qualche ricordo. E, come scriveva in una lettera a Deiters del 1o agosto 1878, rivendicava il merito di essere stato il primo a comprendere l’importanza degli schizzi musicali di Beethoven per una cronologia esatta della sua opera; una strada che verrà poi battuta da importantissimi studiosi anche del secolo ventesimo.
Thayer fu un vero storico. Critico molto fine mise in guardia davanti alle fonti che per loro manipolazioni, ad esempio il Manoscritto Fischoff, potevano essere causa d’errore.

Come scrisse a Deiters, Thayer aveva desiderato scrivere un’opera sui fatti della vita di Beethoven, sull’uomo Beethoven e basta: “Il mio solo punto di vista è la verità. Ho resistito alla tentazione di discutere il carattere della sua musica. Mi pare che Beethoven come compositore sia abbastanza conosciuto attraverso le sue opere, e in base a questi principi le mie lunghe e faticose ricerche di così tanti anni sono state dedicate all’uomo Beethoven”. L’idea di Thayer, come scrivono Claman e Bellofatto, era stata inizialmente quella di pubblicare l’opera in inglese e di averne anche una traduzione in tedesco. Ma poi cambiò idea, forse perché temeva di non poter controllare la stampa del libro fatta nel suo paese di origine, e sebbene avesse ben appreso il tedesco, nel 1865 mandò a Hermann Deiters, che aveva scelto come collaboratore, il primo volume, in inglese, perchè lo traducesse in tedesco. Da questa collaborazione nacquero i primi tre volumi dell’opera, pubblicati nel 1866, 1872 e 1879 che trattavano della vita di Beethoven fino al 1816 incluso. Ma Thayer, a causa delle condizioni di salute, non riuscì a portare a termine il suo immane progetto. Non si sa esattamente quando finisce la parte scritta da Thayer. Dopo la sua morte, nel 1898, il materiale per il libro fu affidato a Deiters che pubblicò prima una revisione del primo Volume, nel 1901. Poi cominciò il lavoro del quarto e quinto volume. Ma la morte lo colse nel 1907, quando il quarto volume, che giungeva fino all’anno 1824, era ormai avanti nella stesura. L’incarico di proseguire l’opera fu affidato a Hugo Riemann (1849-1919), il grande musicologo tedesco che pubblicò gli ultimi due volumi nel 1907-1908, e che curò una revisione dei primi tre volumi dal 1910 al 1917. Il lungo lavoro per la definitiva e completa versione dell’opera di Thayer, Dieters e Riemann ebbe così fine nel 1917. Alla morte di Thayer il materiale da lui accumulato per la stesura del lavoro era stato spedito in America, da dove tornò nel 1898 a Deiters, in Germania, ove rimase fino a che Riemann ebbe completato il lavoro. Mentre Riemann era ancora al lavoro, una nipote di Thayer, Mrs. Jabez Fox, persuase Henry Edward Krehbiel ad intraprendere la stesura in inglese dell’opera. Krehbiel decise di basare l’edizione inglese sui manoscritti di Thayer, sui quali aveva lavorato Deiters, ma per gli ultimi dieci anni di vita, dal 1817 al 1827, lavorò a modo suo, sfrondando molto i dati di Thayer, e dando, a suo giudizio, e non sempre del tutto obiettivamente, maggior o minor peso a certi avvenimenti. Il risultato fu l’opera pubblicata in inglese, nel 1921, a New York, dalla Beethoven Association, a cura di Henry Krehbiel.
Ma dove è finito tutto il materiale di Thayer? Nel 1921, Mrs. Gertrude Behr di Tamworth, New Hampshire, figlia di Mrs. Fox, ricordava di aver visto molte scatole d’incartamenti del prozio, a Cambridge. Nel 1953 la figlia di Krehbiel disse di non sapere dove fossero finite, alla morte del padre, le scatole del materiale usato per il libro. La sua biblioteca era stata lasciata alla New York Public Library, ove si trovava una Stanza Beethoven, che ora non c’è più. Tutto quello che è rimasto degli incartamenti della collaborazione Thayer-Krehbiel è una raccolta di appunti, consistenti in qualche foglio scritto da Thayer, qualcuno da Krehbiel e appiccicato sugli altri.
Ma attorno agli anni 1950, il musicologo Elliot Forbes riprese in mano l’opera, arricchendola dei risultati delle ricerche degli ultimi cinquant’anni su Beethoven, ma soprattutto cercando di seguire il metodo di lavoro di Thayer, che non era stato seguito dai suoi successori, per gli ultimi dieci anni di vita del Maestro. Le parti del lavoro di Thayer contenenti inesattezze sono state eliminate, così come molte parti ridondanti sono state ridotte rispetto all’originale edizione tedesca. L’opera fu pubblicata col titolo “Thayer’s life of Beethoven. Revised and edited by Elliot Forbes” e fu pubblicata a Princeton nel 1964 e successivamente ristampata. Nel testo le interpolazioni di Forbes sono subito chiaramente evidenziate perché scritte fra due graffe. È un’aggiornatissima e il più possibile obiettiva versione dell’opera iniziata da Thayer più di un secolo prima, nella quale la figura di Beethoven appare sbalzata a tutto tondo, soprattutto nei suoi risvolti umani, e inquadrata nei fatti storici del suo tempo.
Da questo punto di vista possiamo riconoscere che Thayer mentre preparava il suo lavoro non si stancò mai di andare alla ricerca delle fonti per giungere al cuore dei fatti della vita di Beethoven, per controbattere non solo la biografia di Schindler, ristampata con le sue inesattezze nel 1860, ma anche i lavori di Lenz, Oulibischeff, Marx, e anche Nohl con la sua “Beethovens Leben”, il cui primo volume era apparso nel 1864. Nel 1877 prima della uscita del terzo volume della sua biografia Thayer pubblicò un libretto intitolato “Ein Kritische Beitrag zur Beethoven Literatur” (vedi Bellofatto). In esso bollava questi lavori in modo indelebile. A Lenz, [Beethoven et ses trois styles (San Pietroburgo 1852) e Beethoven. Eine Kunststudie (Amburgo 1856-1860)] rimproverava di non aver mai controllato le fonti originali. Del volume di Alexandre Oulibischeff, Beethoven, ses critiques et ses glossateurs (Leipzig 1857), scriveva che era una romanticizzazione dei fatti che si allontanava dalla realtà più di qualunque altro scritto su Beethoven. Del libro di A.B.Marx diceva che non si trattava né di una biografia né di un lavoro critico sull’opera di Beethoven. Ad Otto Mühlbrecht rimproverava di avere fatto del suo Beethoven und seine Werke [Lipsia 1866] una ridicola raccolta di robaccia. Contro Ludwig Nohl [Luwig van Beethoven Leben, Vienna e Lipsia 1864-67 e Beethoven’s Briefe [Stoccarda, 1865], dal quale era certo separato da una furiosa rivalità, inveiva descrivendolo come un terribile asino privo di qualità che aveva scritto solo opere piene di errori. L’unico che si salvava era Gustav Nottebohm di cui ammirava molto Beethoveniana [Winterthur 1872] e Zweite Beethoveniana [Lipsia 1887] che considerava opere straordinarie. Forse perché Nottebohm fu un alfiere delle ricerche sugli schizzi sulla cui importanza Thayer aveva per primo attirato l’attenzione. Vale la spesa di ricordare che nel 1874 Gerhard von Breuning, il figlio di Stephen, pubblicò i suoi ricordi su Beethoven in un libretto Aus dem Schwarzspanierhause.  Erinnerungen an L.van Beethoven aus meines Jugendezeit [Dalla casa degli spagnoli neri. Ricordi di gioventù su L.van Beethoven]. Si tratta dei ricordi, scritti quasi mezzo secolo dopo, da un ragazzino allora tredicenne, che frequentò quotidianamente la casa del Maestro negli ultimi due anni di vita. È considerato una testimonianza molto attendibile, grazie anche ai ricordi familiari, su la vita di Beethoven.
Non vi è dubbio che per la sua scrupolosa obiettiva ricerca della verità Thayer si è meritato, sulla lapide che nel Cimitero Evangelico di Trieste ricopre la sua tomba, l’iscrizione “Alexander Wheelock Thayer, born in Natick, Mass. USA, October 22, 1817 – Died in Trieste, Austria – July 15, 1897. Biographer of Ludwig van Beethoven”.]

Vi sono parecchie persone che, pur non manifestando alcun vivo interesse per la musica “classica”, pur dichiarandosi indifferenti, senza capirne il perché, alla musica di Bach, Mozart, Schubert, Wagner o dei loro successori, ritrovano nella Terza, Quinta o Settima Sinfonia e nel Concerto per pianoforte in Mi bemolle Maggiore Op.73 [Imperatore] lo stesso spontaneo, indistinto moto di elevazione e di sensibilità sublimata che provano di fronte a certi maestosi fenomeni della natura – sulla vetta di una montagna, ai piedi di una cascata o di fronte ad un fiammeggiante tramonto. Queste composizioni “parlano” alla sensibilità meno educata. Ed è forse per questa ragione che [Beethoven] è tutt’ora accolto dalla gente comune come il prototipo del musicista, vagamente identificato come qualcosa al di là ed al di sopra della quotidiana sfera di affanni.
Beethoven si è venuto identificando, nella fantasia di un’infinità di appassionati di musica, come una specie di santo secolare giacché essi non potevano concepire che proprio il creatore di quelle opere per loro sublimi, non fosse altrettanto sublime, o potesse soggiacere agli errori e meschinità umilianti dell’uomo comune. I primi esempi di questa tendenza a romanzare o “eroicizzare” la personalità di Beethoven, sono due di quelle tre lettere che Bettina Brentano pubblicò nel 1839, apparentemente scritte a lei da Beethoven, una soltanto autentica; le altre due sono quasi certamente un falso di Bettina. In queste lettere Bettina ci presenta un Beethoven genio “di natura”, rivoluzionario, mago e sacerdote, e questi rimasero gli attributi dell’artista romantico. Perfino Anton Schindler respinse le lettere di Bettina von Arnim; conosceva infatti l’etica rigorosa di Beethoven del quale scrisse “che non era mai stato né un bel esprit né un mostruoso fanfarone”.
Il contrasto fra l’uomo e la sua musica disturbava già molti dei suoi contemporanei. L’espressione più semplice di tale sconcerto è ravvisabile fin dal 1809, quando il Barone de Trémont riferisce la sua visita al compositore: “Immaginatevi il massimo della sporcizia e del disordine: pozze d’acqua che decoravano il pavimento, e un pianoforte a coda piuttosto vecchio sul quale la polvere si faceva spazio tra fogli di musica scritta o stampata. Sotto il pianoforte – non esagero – un vaso da notte non vuotato … La maggior parte delle sedie erano coperte dagli abiti e dai piatti pieni degli avanzi della cena del giorno precedente”. Quel vaso da notte non vuotato è il simbolo di ciò che l’Ottocento non poteva assolutamente accettare della vita di Beethoven, tanto da negarne l’esistenza insieme ad ogni altra testimonianza di una  personalità  umana  spesso primitiva. [Nello scriverne la biografia] Schindler, che visse in contatto quasi giornaliero con Beethoven durante gli ultimi dieci anni della vita di questi, sapeva bene che avrebbe dovuto sopprimere molto più che un semplice vaso da notte non vuotato per offrire al mondo l’immagine che egli stesso desiderava presentare. Schindler e i vari biografi che lo seguirono, quando le azioni di Beethoven non collimavano con i suoi principi, si limitarono a stendere un velo su quella data circostanza. Così facendo trasgredivano l’esplicita volontà dello stesso Beethoven: “Vi sono carte qua e là”, disse dal letto di morte a Stephan von Breuning, “raccoglietele e fatene il miglior uso possibile, ma la rigorosa verità in tutto. Ve ne rendo ambedue [Schindler e von Breuning] responsabili”. Quando Schindler scrisse la prima biografia ufficiale del compositore, non poté acconsentire a questa esplicita richiesta.  Perché nel 1840 ci sarebbe voluto un uomo di una intelligenza eccezionale per pubblicare tutto quello che Schindler, personalmente, sapeva di Beethoven; per capire che la verità mai avrebbe potuto arrecare danno duraturo al nome di Beethoven; per affrontare infine l’uragano di sdegno che la sua franchezza avrebbe certamente sollevato. Il biografo, più attento alle azioni che alle parole di un uomo, deve tenere presente che, nella vita di ogni artista, le “azioni” di gran lunga più importanti sono le sue creazioni. E Beethoven ne era amaramente consapevole quando disse (come riferisce nel 1824 l’editore C.F.Peters): “Tutto quello che faccio, a parte la musica, è stupido e mal fatto”. Le professioni di idealismo e filantropia, delicatezza e nobiltà d’animo, devozione religiosa e tolleranza umana sparse nelle sue lettere, diari e Quaderni di Conversazione, contrastano spesso con la sua condotta quotidiana; ma si riflettono perfettamente nella sua musica, l’unica cosa nella quale un giudizio su di lui abbia validità; ed è un peccato che Schindler abbia soppresso gran parte delle testimonianze relative alla vita privata tra il 1819 e il 1827 dell’uomo che Antonie Brentano, nel 1819, poteva definire “ancora più grande come uomo che come artista”, distruggendo più del cinquanta per cento delle testimonianze, duecentosessantaquattro dei quattrocento Quaderni di Conversazione. Giustificò il suo operato asserendo che il contenuto di ciò che aveva distrutto era assolutamente insignificante ovvero politicamente sgradito (“sfrenate invettive contro persone del più alto rango, l’imperatore e il principe ereditario”).
M.Cooper

Il 21 marzo 1825 Ludwig Rellstab, un giovane poeta e critico musicale Berlinese, intraprendeva un lungo viaggio che, attraverso Dresda e Praga lo avrebbe condotto fino a Vienna. … Se la città imperiale, le sue opere d’arte e la fama dei suoi divertimenti rappresentavano per Rellstab un’indubbia attrattiva, c’era uno scopo verso cui il suo spirito era fatalmente proteso, e che lo spingeva ad interpretare il suo viaggio come una sorta di pellegrinaggio: … conoscere il grande Ludwig van Beethoven … Lasciò passare sedici anni prima di dare ai suoi ricordi una compita forma letteraria. Nasceva così nel 1841, la prima edizione di Beethoven. Ein Bild der Erinnerung aus meinem Leben. Un saggio che avrebbe trovato la sua forma definitiva nel 1854. Rellstab si inseriva così nel filone della memorialistica beethoveniana [accanto a] F.G.Wegeler, F.Ries, A,F,Schindler e partecipava al tempo stesso … a quello della narrativa a sfondo musicale. … Problematico assegnare una collocazione al testo di Rellstab: se da un lato si avvicina al racconto … dall’altro non è un contributo biografico in senso stretto. I fatti esposti sono sostanzialmente esatti, anche se talvolta si rilevano imprecisioni nei particolari, …  ma si avverte la tendenza dell’autore a staccarsi dal rigido resoconto  per trasfigurare la realtà nella libera forma del racconto. … [Ma i suoi] importanti contributi strettamente biografici gli permettono di affiancarsi a volumi storicamente più prestigiosi, come le Notizen di Wegeler e Ries o le Erinnerungen di Gerhard von Breuning.
Zattoni

[Uno dei contributi più rilevanti per una biografia di Beethoven è quello di Ignaz Xavier Ritter von Seyfried, viennese, nato nel 1776 e morto nel 1841, che ebbe la ventura di vivere a stretto contatto di Beethoven per lungo tempo. Compositore e direttore di orchestra ebbe dal 1801 l’incarico di Direttore Musicale del Theater an der Wien e fu legato a Beethoven oltre che da ammirazione ed affetto, da vincoli di stima professionale tanto che Beethoven volle affidare alla sua bacchetta la prima esecuzione di alcune sue opere, basti ricordare a questo proposito la prima del Fidelio nel novembre 1805. von Seyfried e Beethoven vissero anche sotto lo stesso tetto, al teatro An der Wien, per breve periodo nel 1801, ed come racconta von Seyfried, frequentarono lo stesso ristorante e gli stessi amici.
von Seyfried nel 1832 pubblicò, a Vienna presso Haslinger, un volume intitolato Ludwig van Beethoven’s Studien in Generalbasse, Contrapuncte und in der Compositions-Lehre. Aus dessen handschriftlichem Nachlasse gesammelt und herausgegeben. Si trattava di un vero e proprio trattato di armonia e composizione nel quale von Seyfried affermava, come chiaramente detto nel titolo, di avere raccolto, dai manoscritti ritrovati nel lascito post-mortem beethoveniano, regole e teorie sul contrappunto e sulla composizione scritte ed elaborate da Beethoven stesso. Sul fatto che si trattasse di un materiale di mano di Beethoven furono subito avanzati dei dubbi: fu Schindler il primo ad affermare che non si trattava di un lavoro di Beethoven ma solo di una raccolta di regole e leggi riprese dai grandi trattati di armonia e composizione, sui quali per altro si era formato anche Beethoven. Il problema non è stato risolto e non avrà certo soluzione. Quello che interessa in questa sede è che nel trattato erano compresi due capitoli, intitolati rispettivamente Biographische Notizen e Charakterzüge und Anekdoten nei quali venivano riportate notizie biografiche su episodi della vita di Beethoven, molti dei quali vissuti in prima persona, dal von Seyfried medesimo. E da questa fonte, spesso senza citarne l’origine, molti così detti biografi di Beethoven hanno attinto a piene mani per quasi due secoli!
Il lavoro ebbe uno straordinario successo: fu pubblicato per sottoscrizione e, fra le molte centinaia di sottoscrittori [elencati alla fine del libro] troviamo il nomi molti dei più famosi musicisti del tempo, e fra questi anche quello di Chopin (Friedr.) in Warschau.
Il libro ebbe poi una seconda edizione, in tedesco ed inglese (Lipsia, Amburgo, New York nel 1853), con note aggiuntive al testo inglese. E per quello che riguarda la biografia beethoveniana, in questa seconda edizione, apparsa 12 anni dopo la morte di von Seyfried, furono aggiunti due brevi scritti di Georg August Geiringer, che ebbe la ventura di conoscere personalmente Beethoven e di Alfred Julies Becher, un viennese che ebbe contatti con amici e conoscenti di Ludwig. L’interesse per l’opera di Seyfried è testimoniata dal fatto che essa fu pubblicata, anche se solo con le notizie biografiche, in Italia e tradotta in italiano, nel 1855, a Milano da Giovanni Canti. E fra gli acquirenti del volume sono elencati anche Franco Faccio e Giuseppe Verdi.
Ve ne era stata anche una edizione Francese, presso M.Schlesinger nel 1833, e fra i sottoscrittori vi sono Meyerber, Cherubini, Paganini, Rossini, Chopin e Berlioz. Per quanto riguarda il suo significato per la biografia di Beethoven l’opera è stata profondamente analizzata in una magnifica tesi di laurea nel 1997. Nella tesi del dr. Paolini il giudizio della attendibilità delle  informazioni riportate dopo approfondita analisi comparativa anche con altre fonti fu il seguente: “Il contributo memorialistico contenuto nella appendice ai Ludvig van Beethoven’s Studien in Generalbasse, Contrapuncte und in der Compositions-Lehre, rientra in quella corrente di scritti ‘realistici’ che costituisce la base di partenza per ogni indagine biografica. … Raramente sono state riscontrate incongruenze tra la sua versione dei fatti e quella degli altri biografi, il più delle volte, al contrario, Seyfried ha apportato, a informazioni e avvenimenti ormai universalmente accettati, nuove e interessanti sfumature che aggiungono particolari alla memorialistica beethoveniana … anche se in un esiguo numero di casi si è allontanato dalla verità. Nel formulare un giudizio conclusivo … si ritiene di poter affermare che le Biographische Notizen, così come i Charakterzüge und Anekdoten contengono informazioni in linea di massima attendibili e, talora, preziose”. In sostanza  Paolini rileva come la maggioranza delle informazioni riportate da von Seyfried siano ormai da tutti universalmente accettate come attendibili. Solo alcune sono considerate dubbie e poche altre del tutto inaccettabili. In sintesi un contributo di inestimabile valore per una biografia beethoveniana.]