La critica musicale a giudizio delle composizioni di Beethoven

NEL PRIMO OTTOCENTO

I critici del tempo, secondo le particolari deformazioni del loro orecchio e del loro intelletto, avevano ravvisato in Beethoven e nelle sue opere, genio e sregolatezza, slancio appassionato ma caotico, un’arte ricca di espressione emotiva ma priva di forma, bizzarra e confusa.  Si giunse a definire la Sonata a Kreutzer “un terrorismo artistico” e il suo autore “un mago evocatore di apparizioni magiche”, ad accusarlo di avere scatenato nella Sonata Op.57, l’Appassionata, “molti spiriti maligni”. Lo Scherzo della Quinta Sinfonia aveva suscitato l’impressione di “una voce strana e terribile” da provocare il brivido della “paura degli spettri”.
Magnani

Il 29 e 30 marzo 1795 fu rappresentato, nel teatro di corte vicino alla Burg, nel solito concerto di beneficenza per le vedove e gli orfani dei musicisti, un oratorio del sig. Kapellmeister Kartellieri intitolato “Gioas, re di Giuda”. Il giorno 29, come intermezzo, il famoso sig. Ludwig van Beethoven ha mietuto gli applausi dell’intero pubblico con un nuovissimo Concerto per pianoforte [verosimilmente quello in Si bemolle maggiore, Op.19 che, sebbene porti il nr.2 fu composto prima dei quello nr.1 Op.15. Fu questa probabilmente la prima apparizione pubblica di Beethoven come pianista e compositore a Vienna.]
Wiener Zeitung

Le prime pubblicazioni di Beethoven non riuscirono  a suscitare un interesse sufficiente a giustificare la supposizione che egli sarebbe divenuto un grande compositore. Una stroncatura delle prime composizioni di Beethoven apparsa nel 1784 sul “Musikalischer Almanach“ di Forkel, le paragona a quelle di uno studente alle prime armi: “si potrebbero forse rispettare come primi tentativi di un musicista principiante, ad esempio un’esercitazione di uno studente al terzo o quart’anno delle nostre scuole“. Al tempo in cui erano stati completati i tre quartetti con pianoforte WoO 36, nel 1785, è probabile che i protettori di Beethoven avessero perso la speranza di creare un prodigio mozartiano, … e dal 1784 fino alla partenza di Beethoven da Bonn, fu pubblicata nel 1791, una sola sua composizione [Le Variazioni per pianoforte sul tema “Venni amore” di V.Righini, WoO 65].
Solomon

Recensione delle Variazioni Op.66 e WoO 72.
[Il nome di Beethoven come compositore fu presentato per la prima volta al pubblico viennese in quest’articolo su Allgmeine Musikalische Zeitung, del marzo 1799, in relazione non ad una delle sue opere migliori fino ad allora pubblicate (erano già comparse le Opp.1-11), ma a due gruppi di variazioni cui Beethoven non aveva assegnato numero d’opera: le Variazioni per violoncello e pianoforte sul tema di Mozart furono stampate solo molti anni dopo col numero d’opera 66.] Che il sig. van Beethoven sia un pianista completo è ben noto, e anche se questo non fosse noto, lo si potrebbe supporre da queste variazioni [Otto variazioni in Do maggiore su “Un fièvre brulante” di Grétry, WoO 72 e Dodici variazioni in Fa maggiore, sul tema “Ein Mädchen oder Weibchen” dal Flauto Magico di Mozart Op.66]. Se egli sia egualmente riuscito come compositore, è una questione alla quale sarebbe difficile rispondere in modo affermativo, a giudicare da questi suoi lavori. Questo non significa che certe variazioni non piacciano abbastanza, ed il critico è felice di riconoscere che, con “Mich brennt ein heisses Fieber”, il sig. B. è riuscito meglio di Mozart … Ma il sig. B. è riuscito meno bene con le variazioni sull’altro tema, che contengono modulazioni aspre e sgraziate, che sono ben lungi dal piacere. Sfortunatamente un mare di variazioni vengono composte e anche stampate, mentre molti dei loro autori sembrano ignorare cosa sia una buona variazione.
Allgmeine Musikalische Zeitung, 1799.
[L’Allgemeine Musikalische Zeitung (Gazzetta musicale generale), fu fondata da Johann Friedrich Rochlitz (1769-1842) nel 1798 e fu stampata a Lipsia, dal 1798 al 1849, da Breitkopf e Härtel.]

Recensione delle Tre Sonate Op.12 per pianoforte e violino.
Nonostante tutto questo lavoro non deve essere rifiutato completamente. Ha il suo valore e può essere di buon uso per pianisti molto abili. Vi sono molti che amano le difficoltà nell’invenzione e nella composizione, cose che potremmo anche chiamare perversioni, ma se essi riescono a eseguire la Sonata con grande precisione possono ricavare piacere dalla musica e una sensazione piacevole di soddisfazione. Se Hr.V.B. si volesse smentire un po’ ed essere più naturale egli potrebbe, col suo talento e le sue capacità, fare molto per uno strumento che egli sembra dominare perfettamente.
[Si noti come il critico parli solo della parte pianistica e non della Sonata come pezzo per violino e pianoforte.]
Allgmeine Musikalische Zeitung, 1799

Altra recensione delle Tre Sonate Op.12 per pianoforte e violino.
Il critico dopo essersi fatto faticosamente strada attraverso queste curiose e straordinariamente difficili sonate  ne esce esausto e scoraggiato. Innegabilmente il sig. Beethoven segue la sua strada, ma che strada originale e tortuosa! Ragione, ragione e sempre ragione, ma senza spontaneità, senza canto! È una musica arida e poco interessante, un tentativo sforzato di strane modulazioni, un’avversione per le normali relazioni tonali, un accumulo di difficoltà su difficoltà così da perdere ogni piacere nel compito. Un altro critico ha detto all’incirca le stesse cose e non possiamo altro che essere d’accordo con lui.
Allgmeine Musikalische Zeitung, giugno 1799

Recensione delle Tre Sonate Op.10 per pianoforte.
Non si può negare che il Sig. v.B. sia un uomo di genio, originale e indipendente. Egli è sostenuto da straordinariamente approfondite basi nella composizione e dal suo straordinario magistero dello strumento per cui scrive. Egli certamente è uno dei più eminenti pianisti e compositori per piano dei nostri giorni. La sua sovrabbondanza di idee, conduce troppo spesso nel caso di Beethoven a un selvaggio cumulo di queste idee, o talora ad una stravagante combinazione di esse, così da provocare un effetto di oscuro disegno, che è verosimile prevenga l’ascoltatore verso tutto il lavoro. L’immaginazione che Beethoven possiede in grado non usuale è preziosa e indispensabile per un compositore. Il critico, dopo che ha cercato di avvicinarsi sempre di più allo stile del Sig. Beethoven, ha imparato ora ad ammirarlo molto di più di quanto facesse all’inizio, ma non può nascondere il desiderio che questo compositore pieno di fantasia eserciti una certa economia nel suo lavoro. Questa decima collezione merita un’alta lode. Buona invenzione, uno stile virile ed ardente idee ben ordinate ovunque, difficoltà non portate all’eccesso, un trattamento piacevole dell’armonia pongono queste sonate molte al di sopra delle altre. Non è propriamente una censura che noi facciamo a Beethoven, ma piuttosto un ben intenzionato richiamo, che mentre implica una certa critica contiene molto credito e rispetto.
Allgmeine Musikalische Zeitung, 1799

Il Trio Op.11. per pianoforte e archi, non venne giudicato con maggiore indulgenza dai critici contemporanei. Il critico conviene che non è senza effetto, ma che non sarebbe male consigliare all’autore di evitare la ricerca e di scrivere in un modo più naturale.
“È fuori dubbio, scrive il critico, che il Sig. Beethoven segue una strada che si è segnata lui stesso; ma che cammino pieno di rovi e di spine. Scienza, ancora scienza, sempre scienza! E non un’ombra di naturale e di melodia. È uno sforzo perpetuo una ricerca incessante di modulazioni bizzarre, un’avversione naturale per tutte le modulazioni naturali, e un accumulo tale di difficoltà che, suo malgrado, fa perdere la pazienza e rinunciare alla lotta“. [È a questo proposito che Beethoven scrisse agli editori Breitkopf e Härtel la famosa lettera in cui raccomanda che è bene che i recensori abbiano una certa moderazione, specie quando si pronunciano sulle opere di un giovane compositore! “Ai loro signori recensori raccomandino maggior intelligenza e prudenza, soprattutto riguardo alle opere dei giovani autori, qualcuno, che altrimenti potrebbe anche andare lontano, potrebbe esserne sgomentato; … le chiassate del loro recensore furono, in principio, così avvilenti che io,  cominciando a paragonarmi con altri compositori potevo appena soffermarmici sopra, restai del tutto calmo  e pensai che non capiscono nulla. … Ma ora pax vobiscum; pace a loro e a me …” Lettera del 22 aprile 1801, K.47.]
Wilder

Recensione delle Variazioni WoO 73.
“Queste variazioni [Dieci variazioni in Si bemolle maggiore sull’aria “La stessa la stessissima”, dal Falstaff di Salieri, WoO 73] non danno alcun motivo di gioia. Hanno dei passaggi così antimusicali, in cui delle ruvide tirate di semitoni provocano violente dissonanze coi bassi e viceversa! No, il Sig.v.B. può essere un abile improvvisatore, ma non conosce i primi elementi per scrivere delle buone variazioni”.
Allgemeine Musikalische Zeitung, giugno 1799

Recensione dei Quartetti per archi Op.18, nr.1-3.
Fra le nuove opere vi sono interessanti composizioni di Beethoven, i cui tre quartetti (Op.18) danno la misura del suo ingegno; ma è necessario sentirli molto, sono molto difficili e per nulla popolari.
Allgemeine  Musikalische Zeitung, 1801

L’ultimo volume dell’Allgmeine Musikalische Zeitung include una critica della Sonata Op.13. è il primo indice che il critico ha compreso almeno in parte l’intima poesia non fermandosi solo agli aspetti tecnici. E’ verosimile che il compositore stesso abbia dato una chiave al critico con l’epiteto “Patetica”. “Quest’ammirevole sonata è giustamente denominata patetica, perché essa è profondamente commovente. Una nobile melanconia è presente nel Grave introduttivo, che ricorre di tanto in tanto a interrompere l’appassionato e molto espressivo stato d’animo dell’Allegro. Nell’Adagio in Fa minore, la cui bella, fluente melodia non deve essere strascicata, il carattere diventa quello del riposo e della consolazione. Lo spirito e la tonalità dell’Allegro ritornano nel Rondò, così che uno stesso stato d’animo è mantenuto per tutta la sonata che ne ricava unità, vita interiore e un vero valore estetico. Poter parlare così di una sonata, considerato che tutte le altre condizioni dell’arte musicale sono qui soddisfatte, è indice della sua bellezza. L’unica critica (e questo è meno un rimprovero che un desiderio di assoluta perfezione), è che il tema del Rondò ha un carattere familiare. Il critico non sa dire dove lo ha sentito in precedenza, ma non è nuovo”.
Schindler

Recensione della Sonata Op.26 e delle Due Sonate Op.27.
Queste sono le tre composizioni per piano con cui il Sig. v.B. ha arricchito recentemente una piccola schiera di colti musicisti e raffinati pianisti. Io dico arricchito, perché esse sono veramente un arricchimento e appartengono al piccolo gruppo di opere d’arte del giorno d’oggi che difficilmente invecchieranno.

[L’Op.26] potrà apparire a tratti artificiosa, ma questa accusa non può essere fatta alla veramente grande, solenne e magnifica parte centrale che il compositore ha definito “Marcia Funebre sulla morte d’un Eroe”, per indicare all’esecutore il vero spirito del pezzo. La Sonata, quasi una fantasia, in Do diesis minore [Op.27, nr.2] è dall’inizio alla fine un puro tutto, che origina dalle più profonde emozioni dell’anima, scolpita da un solido blocco di marmo. Nessuno, sensibile alla musica, può non essere preso dall’Adagio iniziale, portato in alto e infine, profondamente commosso, elevato al sublime nel Presto agitato. I due movimenti [primo e terzo] sono del tutto appropriati alla terrificante tonalità di Do diesis minore. Il compositore indica ovunque come eseguirli per mettere in luce le migliori qualità dello strumento. Da queste indicazioni si può vedere come Beethoven conosca perfettamente lo strumento, e forse come nessun altro compositore, eccetto Philipp Emmanuel Bach, lo ha compreso.”
Allgemeine Musikalische Zeitung, 1802

Recensione della Prima Sinfonia in Do maggiore Op.21.
La Sinfonia in Do maggiore fu eseguita con precisione e disinvoltura. Una splendida opera d’arte. Tutti gli strumenti vi sono impiegati in modo eccellente; vi è una non usuale ricchezza di splendide idee, sviluppate in modo affascinante e splendido, e tutto è pervaso di ordine e luce.
Allgemeine Musikalische Zeitung, febbraio 1805

La seconda sottoscrizione dei nostri concerti all’Augarten fu inaugurata brillantemente. Il concertò iniziò con la Sinfonia nr.2 in Re maggiore di Beethoven, un’opera piena di idee nuove originali di grande potenza, dalla strumentazione ricca di effetto, ma che guadagnerebbe con la riduzione di alcuni passi e la rinuncia a molte modulazioni senz’altro inconsuete. Alla Sinfonia fece seguito un Concerto in Do minore [è il nr.3 Op.37] di Beethoven di cui accludo i tempi del primo e dell’ultimo movimento. Questo Concerto è sicuramente una delle composizioni più belle di Beethoven. È stato eseguito come solista dal sig.Ries, unico allievo di Beethoven e suo appassionato sostenitore; aveva imparato il brano sotto la guida del Maestro e lo ha eseguito in modo molto legato ed espressivo, con un’abilità e una sicurezza non comuni, superando agevolmente le più grandi difficoltà.
Allgemeine Musikalische Zeitung, 1804

Recensione della Seconda Sinfonia.
Il critico, pur dopo aver lamentato la lunghezza e altri aspetti dell’opera concludeva: “Comunque tutto questo è schiacciato dal potente, fiero spirito che vive in quest’opera colossale, dalle ricchezza di nuove idee e dalla loro originalità, così come dalla profondità della dottrina artistica, che si può profetizzare che quest’opera rimarrà e sarà ascoltata con rinnovato piacere molto tempo dopo che migliaia di musichette che oggi vanno per la maggiore saranno state sepolte”.
Allgemeine Musikalische Zeitung, 1805

Recensione della Terza Sinfonia in Mi bemolle maggiore Op.55.
Una nuova sinfonia di Beethoven, da distinguere dalla Seconda, è scritta in uno stile del tutto diverso. Questa lunga composizione, di esecuzione estremamente difficile, è in realtà una selvaggia fantasia di enorme dimensioni. Nulla manca in tema di passaggi belli e stupefacenti in cui si riconosce l’energico compositore pieno di talento; ma spesso si perde nell’anarchia. La Sinfonia inizia con un Allegro in Mi bemolle vigorosamente scolpito; segue una marcia funebre in Do minore, sviluppata in stile fugato. Seguono uno Scherzo, Allegro e un Finale in Mi bemolle. Il recensore è un sincero ammiratore di Beethoven, ma deve confessare che vi si trovano troppe cose abbaglianti e bizzarre, il che impedisce di afferrare il tutto, così che il senso di unità è del tutto perduto. [Segue poi un elogio sperticato di una nuova sinfonia di Anton Franz Joseph Eberl, 1765-1807, viennese, pianista e compositore molto prolifico, ebbe grande popolarità e successo, ma oggi è del tutto dimenticato. Al nostro Maestro, commentava Schindler, veniva quindi dato a intendere che avrebbe fatto meglio a scrivere come Eberl. Si era trattato di un concerto semi-pubblico].
Allgemeine Musikalische Zeitung, febbraio 1805.

Pur considerando il gusto artistico del tempo, è difficilissimo credere all’imparzialità di un critico che, sull’Allgemeine Musikalische Zeitung scrive, come questo, di un lavoro così originale quale il primo movimento della Sonata in Fa minore [l’Op. 57]: “Tutti conoscono il modo di comporre da parte di Beethoven una Sonata importante; in tutte, nei suoi vari modi di presentare un materiale bizzarro, Beethoven segue lo stesso metodo. Nel primo movimento di questa sonata egli ha ancora una volta liberato molti spiriti selvaggi, simili a quelli già familiari grazie alla loro comparsa in altre Sonate. Ma in vero, questa volta vale la pena di lottare per superare non solo le estreme difficoltà del pezzo ma anche la ripugnanza che si prova sovente davanti a sforzata cocciutaggine e eccentricità! Abbiamo parlato così di sovente di questi capricci della fantasia del maestro che non abbiamo nulla di nuovo da aggiungere qui”. Invece il secondo movimento “Andante con moto” e il terzo “Allegro ma non troppo”, trovarono favore presso il rigoroso critico; egli espresse piacere nell’ascoltarli. Nel terzo movimento, il critico “non trova nulla di quell’irregolarità e artificiosità che sono caratteristiche di molti degli altri finali forti e vigorosi di Beethoven”.
Schindler

Recensione della Sinfonia Eroica in Mi bem. magg., Op.55.
Proprio come certe opere minori di Beethoven possono essere biasimate per essere troppo macchinose, strane, e difficili da eseguire più di quanto sia necessario, o perché esse non hanno praticamente nulla da dire o forse nulla che non potrebbe essere detto altrettanto bene, o meglio, se fosse espresso più semplicemente, più naturalmente, più semplicemente; proprio così certamente, io dico, egli ignora tutti questi rimproveri quando scrive un pezzo come questo, ricolmo di difficoltà insuperabili anche per l’ascoltatore più attento e l’esperto musicista. Questo non vuol dire che il lavoro non sia superlativo in tutto, né che il genio di Beethoven non manifesti le sue caratteristiche anche in quest’opera, perché la sua peculiare caratteristica consiste nello scrivere musica che, per quanto riguarda gli aspetti meccanici e tecnici, è impossibile eseguire adeguatamente, sia per gli strumenti che per le mani. Comunque, tosto che questa composizione divenga nota, è certo che darà luogo ad una moltitudine di trascrizioni e arrangiamenti.
Allgemeine Musikalische Zeitung, 1807.

Un corrispondente della Berlinische Musikalische Zeitung, nel 1805 definì l’Eroica di Beethoven “stridula e confusa” e riferiva che a Vienna “alcuni idolatrano i difetti ed i pregi di questo compositore con lo stesso entusiasmo, fino a sfiorare il ridicolo”.

[Carl Czerny ha scritto che, almeno inizialmente, “tutti i seguaci della vecchia scuola, che si rifaceva a Mozart e Haydn, si opponevano accanitamente a Beethoven“. Ma in realtà anche nel mondo degli ammiratori della vecchia scuola Beethoven trovò ben presto dei fervidi sostenitori, basta citare Lichnowsky, Thun, Lobkowitz, Aponyi, von Swieten alcuni dei quali avevano un ruolo preminente nella vita musicale viennese. Non vi è dubbio che molte volte i critici dell’epoca ebbero delle difficoltà ad afferrare il significato e il valore delle innovazioni di Beethoven stupefatti dalle ardite modulazioni, dalla audacia armonica, dalla ricchezza di idee e dalle molte difficoltà per la esecuzione. Nelle critiche dell’“Allgmeine Musikalische Zeitung“ vi è un florilegio di rimproveri. Eccone alcuni esempi. “Un pezzo come questo,(si trattava della Sinfonia in Mi bem. magg. Op.55 Eroica) è ricolmo di difficoltà insuperabili anche per l’ascoltatore più attento e l’esperto musicista”, e “anche se il recensore è un sincero ammiratore di Beethoven, deve confessare che vi si trovano troppe cose abbaglianti e bizzarre”. Talora i critici, nelle sue prime  variazioni, deplorarono le “rozze e sgradevoli modulazioni“  “i passaggi così antimusicali, in cui delle ruvide tirate di semitoni provocano violente dissonanze”, così che “non danno alcun motivo di gioia” [WoO 73]. ”È una musica arida (e si trattava qui delle Sonate Op.12!) e poco interessante, un tentativo sforzato di strane modulazioni, un’avversione per le normali relazioni tonali, un accumulo di difficoltà su difficoltà così da perdere ogni piacere …”.]

In questa sinfonia [la Seconda Op.36] tutto è nobile, energico e fiero. L’introduzione è un capolavoro. A questo mirabile Adagio è legato un Allegro con brio di una verve trascinante.
L’Andante si compone di un canto puro e candido, esposto da prima semplicemente dal quartetto, poi ricamato con rara eleganza, senza mai allontanarsi dal sentimento di tenerezza che forma il tratto distintivo dell’idea principale. È un quadro stupendo di un’innocente felicità appena velata da qualche raro momento di malinconia.
Lo Scherzo è francamente gaio. Il Finale è della stessa natura, è un secondo Scherzo in due tempi, nel quale il gioco ha ancora qualche cosa di più fine e di più piccante.
Berlioz

Recensioni della prima esecuzione dell’Oratorio “Cristo sul Monte degli Ulivi” Op.85, del 5 aprile 1803.
Kotzebue(?) sul Freimüthige scrisse: “Il nostro valoroso Beethoven, il cui Oratorio è stato eseguito al Theater an der Wien, non è stato fortunato, e nonostante gli sforzi dei suoi ammiratori non ha ottenuto un  vero successo. Anche se certe parti dell’oratorio sono state considerate molto belle, l’opera nel suo insieme è troppo lunga, troppo artificiale di struttura e manca di espressività”. Invece, il critico della Zeitung fur die Elegante Welt, trovò buono il lavoro nel suo insieme: “vi sono alcune parti ammirevoli; in particolare un’aria del Serafino con accompagnamento di tromboni fece un ottimo effetto”. Solo il recensore dell’Allgemeine Musikalische Zeitung parlò di “uno straordinario sucesso”, e aggiungeva: “Questo conferma la mia opinione ormai antica che Beethoven col tempo farà una rivoluzione musicale pari a quella di Mozart, e a questo traguardo si avvicina a gran passi”. Salvo essere contraddetto tre mesi dopo da un altro recensore che scrisse: “Per amore del vero sono costretto a contraddire la recensione dell’Allgemeine Musikalische Zeitung: l’Oratorio non è piaciuto”.
Thayer

Lo stesso critico recensì di nuovo e sempre sulla Allgemeine Musikalische Zeitung, la seconda esecuzione dell’Eroica, diretta da Beethoven stesso, che ebbe luogo poco dopo l’esecuzione precedente. Eccola. “Questa nuova opera di Beethoven ha grandi, coraggiose idee, e come ci si sarebbe aspettati da un uomo di tal genio, fu eseguita energicamente.  Ma la sinfonia guadagnerebbe molto (essa dura un’ora intera) se Beethoven si inducesse a raccorciarla e a introdurre più semplicità, chiarezza e unità. Vi è, per esempio, invece dell’usuale Andante, una Marcia Funebre in Do minore, che è trattata in stile fugato. Un tempo di fuga è piacevole quando può esserne apprezza l’ordine nella sua apparente complessità; quando, come in questo caso, la coerenza sfugge all’ascoltatore più attento, imparziale ed esercitato, anche dopo diversi ascolti, si rimane confusi. Non sorprende perciò che il lavoro non sia stato ben accolto”.
Schindler

[I giudizi critici e le impressioni sul balletto “Le creature di Prometeo” furono del tutto negative come ci raccontano i seguenti estratti di recensioni dell’epoca. Un balletto, “Die Menschen von Prometheus”, non è piaciuto, sebbene la musica del geniale Beethoven presenti dei momenti molto belli; ma non è una musica adatta al ballo. [da Historisches Taschenbuch]. Nel suo diario Joseph Carl Rosenbaum, marito di una celebre cantante e amico di Haydn, scrisse: Venerdì 27 marzo 1801. Tempo freddo e coperto. Orribile. Sono andato presto in ufficio e poi alla prova del balletto “Die Geschöpfe von Prometheus” di Sala Viganò. La musica era di Bethowen [sic]. Il balletto non è piaciuto per niente, ed anche la musica piacque poco. Alla fine del balletto vi furono più fischi che applausi.]

[Critica di Kotzebue su “Cristo sul Monte egli Ulivi”]
Anche Beethofen [sic], il cui oratorio “Christus am Oelberge”  venne dato per la prima volta al teatro della Wiedner Vorstadt, non fu del tutto soddisfatto, e non ottenne un applauso straordinario  nonostante l’impegno dei suoi sostenitori.

Le due sinfonie [nr.1 e nr.2] e alcune pagine dell’oratorio furono giudicate belle, ma l’insieme [dell’oratorio] troppo ampio, troppo artificioso nella costruzione e senza espressione adeguata nelle voci. Il testo di F.X.Huber apparve scritto di fretta come la musica. La rappresentazione però fruttò a Beethofen 1800 fiorini ed egli, insieme al celebre Abate Vogler, ha avuto un incarico presso quel teatro per scrivere un’opera.
Thayer

[Giudizi critici su Fidelio dopo le prime tre rappresentazioni viennesi del 20-22 novembre 1805.] Ricordiamo che il 13 novembre Napoleone aveva occupato la città e i nobili si erano allontanati da Vienna. La maggior parte del pubblico era costituito da ufficiali francesi e fra i musicisti importanti era presente soltanto Cherubini.   Der Freimuthige, Berlino: La musica del Fidelio sta molto al di sotto di quanto gli affezionati e i conoscitori potevano pensare. La melodia, tormentata, manca del felice, magico irresistibile incanto emotivo che ci afferra nelle opere di Mozart e Cherubini. Vi sono nella musica dei bei passaggi, ma siamo molto lontani da un’opera perfetta e di successo. La Gazzetta del gran mondo: La musica di Fidelio manca di effetto ed in cambio è piena di noiose ripetizioni.  Allgemeine Musikalische Zeitung, Lipsia: La partitura non si distingue‚ per l’invenzione‚ per lo stile. L’ouverture (la Leonora nr.2) non può sostenere il paragone con quella di Prometeo. Il tutto non spicca per l’inventiva. Le parti cantate non rivelano alcuna nuova idea di fondo. I cori mancano sempre di effetto: uno di questi che dovrebbe esprimere l’allegria dei prigionieri che escono a respirare l’aria libera, è completamente fallito. Dopo le modifiche apportate a Fidelio la ripresa del 29 marzo 1806 non ebbe migliore successo. Il corrispondente di Der Freimuhtige scriveva della Leonora nr.3: “Non solo i musicisti liberi da pregiudizi, ma perfino i più devoti dell’autore, furono dell’opinione che mai fu scritta musica tanto scucita, confusa, urlata e mortale per l’orecchio come questa ouverture. Le modulazioni più laceranti si susseguono in abominevole armonia; idee povere, senza ombra di nobiltà, tra le quali un solo di cornetta che deve annunciare l’arrivo del governatore, completano l’impressione sgradevole e rumorosa dell’insieme”.
Marinuzzi  

Recensione del Fidelio.
Beethoven ha sovente sacrificato la bellezza per qualcosa di nuovo e di strano; ci si attendeva quindi una certa novità ed originalità d’idee per questa sua prima opera teatrale – ed è proprio quello che qui manca. Giudicando spassionatamente nulla si distingue né per invenzione né per esecuzione. L’ouverture [Leonora nr.2] non può paragonarsi a quella del Prometeo. Non vi sono in genere nuove idee nelle parti vocali, che sono troppo lunghe; il testo si ripete all’infinito e manca infine ogni caratterizzazione. Perché il continuo accompagnamento dei violini nei registri acuti esprime piuttosto un giubilo selvaggio che il sentimento di profonda tristezza per gli eventi rappresentati. Molto migliore è il quartetto del primo atto e un efficace aria per soprano in Fa maggiore [è un errore; l’aria è in Mi maggiore] in cui tre corni obbligato e un fagotto formano un accompagnamento bello, anche se un poco sovraccarico.
Allgemeine Musikalische Zeitung, gennaio 1806

Recensione dei Quartetti Rasumovsky.
Tre nuovi, lunghi e difficili quartetti per archi di Beethoven, dedicati all’Ambasciatore russo Conte Rasumovsky, attirano l’attenzione di tutti gli intenditori. La concezione è profonda e la costruzione eccellente, ma essi non vengono compresi facilmente – con la possibile eccezione del terzo in Do maggiore, che non può non piacere agli intelligenti amanti della musica per la sua originalità, invenzione melodica e forza armonica. [In un successivo articolo si diceva che i quartetti, difficili ma belli, erano divenuti popolari e che gli amanti della musica ne attendevano la edizione a stampa.]
Allgemeine Musikalische Zeitung, febbraio 1807

In certe grandi sinfonie di Beethoven esiste una impostazione, uno spirito simile al grande progetto e al carattere di una poesia eroica.
C.F.Michaelis, Berlinische Musikalische Zeitung 1805

Con la pubblicazione delle due sinfonie, Quinta e Sesta [avvenuta nel 1809], i critici di Lipsia fecero un voltafaccia in favore di quasi ogni composizione di Beethoven. Non che le sinfonie fossero state accolte malamente da quel tribunale delle arti, al loro apparire ma la musica per piano, che è il vero messaggero dei più profondi segreti del genio di Beethoven, era stata fino a quel momento mal compresa e sottostimata. Fino a questo momento comunque la critica non aveva penetrato le profondità poetiche delle sinfonie. A questo punto le cose cominciarono ad andare meglio. Le critiche della Quinta e della Sesta nel dodicesimo volume [1809] dell’Allgmeine Musikalische Zeitung contenevano la prima indicazione che le vecchie, tradizionali regole scolastiche stavano perdendo terreno a Lipsia.
Sulla Pastorale fu scritto: “Il lavoro presenta in forma sinfonica un quadro di vita campestre. Un quadro? Si può supporre che la musica dipinga? La rappresentazione di oggetti esteriori in musica è considerata come senza senso. Questa osservazione non riguarda per niente il lavoro che noi stiamo esaminando, perché la musica non è la rappresentazione di particolari cose della campagna, ma piuttosto delle sensazioni e delle emozioni suscitate in noi dalla campagna.” Ed ecco un estratto da un articolo di Hoffmann, lungo oltre venti colonne, sulla Quinta Sinfonia, in Do minore:“La musica di Beethoven ispira agli ascoltatori sgomento, paura, orrore, dolore e quella straordinaria nostalgia che è l’anima del romanticismo. Beethoven ha profondamente radicato nel suo spirito il romanticsmo della musica e lo esprime nei suoi lavori con la massima abilità ed acume. Questo critico non ha mai avvertito questo romanticismo così intensamente come nell’ascoltare questa sinfonia, che proprio fino al culmine finale sviluppa il senso del romantico di Beethoven, esprimendolo in modo più pressante che in ogni altra sua opera, fino a che l’ascoltatore è irresistibilmente costretto nel solenne regno dell’eterno spirito.”
Schindler

Recensione della Quinta Sinfonia di E.T.A. Hoffmann, comparsa su Allgemeine Musikalische Zeitung.
Il recensore è di fronte ad uno dei lavori più importanti del Maestro e cercherà di esprimere con la parola i sentimenti suscitati nel suo  animo da questa composizione. La musica strumentale che, sdegnando l’aiuto di ogni altra forme artistica, esprime come arte autonoma in modo autentico la sua natura specifica è la più romantica delle arti, verrebbe voglia di dire, l’unica autenticamente romantica. Haydn e Mozart hanno portato per primi l’arte musicale al suo pieno splendore; ma chi la ha contemplata pieno d’amore ed è penetrato nella sua natura più intima, questi è Beethoven. Le composizioni strumentali di tutti e tre hanno lo stesso afflato che consiste nella profonda comprensione dello spirito dell’arte. Il carattere delle composizioni di questi musicisti però è notevolmente diverso. L’espressione di uno spirito infantile e gioviale si ritrova nelle composizioni di Haydn; le sue sinfonie ci portano in un variegato mondo di persone felici. Mozart ci conduce nelle profondità del regno dello spirito; senza tormenti la sua musica è un presentimento dell’infinito. La musica strumentale di Beethoven ci schiude il regno del grandioso e del gigantesco. Un balenio di raggi infuocati squarcia la notte profonda di questo regno e noi veniamo avvolti da ombre gigantesche che ci stringono sempre più da vicino e annientano in noi ogni cosa tranne il dolore della nostalgia infinita. Beethoven è un compositore autenticamente romantico; proprio per questo è un vero compositore di musica, e può essere anche questa la ragione per cui egli riesce meno nella musica vocale, che esprime sentimenti già rappresentati dalle parole, e la ragione per cui sua musica strumentale raramente piace alla gente. … Nel profondo dell’animo Beethoven reca il romanticismo della musica che egli esprime nelle sue opere con genialità … Il recensore non ha mai avvertito questo con maggior intensità che nella sinfonia che ha sotto gli occhi  in cui, meglio che in qualunque altra sua opera, il romanticismo beethoveniano cresce fino al parossismo e trascina irresistibilmente con sé l’ascoltatore nel meraviglioso mondo dello spirito: l’infinito.   In questa sinfonia Beethoven ha mantenuto la consueta sequenza dei movimenti: essi sembrano magicamente collegati l’uno all’altro in una sequenza fantastica; e tutti insieme producono l’effetto di una geniale rapsodia. L’animo di ogni ascoltatore sensibile verrà certamente toccato nell’intimo, nel profondo, da una stessa sensazione che si mantiene e dura fino all’accordo finale e che altro non è se non quella di un desiderio infinito e inappagato; e al termine della sinfonia per un po’ di tempo ancora non riuscirà ad uscire dal meraviglioso mondo dello spirito dove, sotto forma di suoni, lo hanno accolto dolore e gioia. … I vari temi che la compongono sono fra loro, straordinariamente affini e questo provoca  quell’unità che mantiene l’ascoltatore in una stessa disposizione d’animo. In poche parole in quest’opera si esprime ad un livello altissimo il romanticismo della musica.
Allgemeine Musikalische Zeitung, luglio 1810

Recensione del Concerto per pianoforte e orchestra Op.73, “Imperatore”.
La ragione per cui questa composizione non ha ricevuto l’applauso che merita va ricercata parte nel carattere dell’opera e parte negli ascoltatori. Beethoven, nella sua orgogliosa fiducia in se stesso, non scrive mai per la folla; richiede sempre comprensione e sentimento.
Thalia [rivista di I.F.Castelli, 1781-1862], 1812

L’8 e il 12 dicembre 1813, all’auditorium dell’Università, furono eseguite [per la prima volta] la Sinfonia in La maggiore [la Settima] e la “sinfonia” intitolata “La vittoria di Wellington, o la battaglia di Vittoria”, in un concerto offerto dal meccanico della corte imperiale Mälzel, a beneficio dei soldati Austriaci e Bavaresi feriti nella battaglia di Hanau. Citiamo alcuni passaggi dell’articolo che apparve sull’Allgmeine Musikalische Zeitung del 1814, che può essere considerato l’espressione della pubblica opinione prevalente nella capitale a quell’epoca:
“Riconosciuto da tempo, qui e all’estero, come uno dei più grandi compositori orchestrali, il Sig. van Beethoven ha celebrato in queste esecuzioni il suo trionfo. Una grande orchestra, formata dai più eminenti strumentisti del paese, si è riunita gratuitamente per esprimere il proprio fervore patriottico e gratitudine per il benedetto successo in questa guerra e, sotto la direzione del compositore, ha offerto una gioia che ha scatenato il più grande entusiasmo. La nuova sinfonia merita in modo particolare un grandissimo applauso e la eccezionalmente calda accoglienza che ha avuto. L’Andante [l’indicazione Allegretto fu sostituita a quella di Andante al momento della stampa] dovette essere ripetuto e ha deliziato musicisti ed amatori. Per quanto riguarda la “Battaglia” se uno dovesse esprimerla in musica dovrebbe fare proprio quello che è stato fatto qui. Si è piacevolmente sorpresi dal risultato, e in special modo dell’ingegnosa e artistica maniera in cui è stato ottenuto. L’effetto, anche l’illusione, è del tutto straordinaria, e ci induce a concludere senza esitazione che non vi è lavoro paragonabile ad esso in tutto il mondo della pittura musicale”.
Schindler

I grammatici e i loro seguaci avevano detto: “Beethoven non è capace di scrivere una fuga”. E non vi erano [fino al 1817] prove che potessero mettere in dubbio la loro asserzione. Né “Cristo sul Monte degli Ulivi” Op.85, né la Messa Op.86 avevano qualcosa simile ad una fuga. La fuga nel Quartetto in Do maggiore Op.59, non era una prova sufficiente, i passaggi fugati nella Marcia Funebre dell’Eroica, nell’Andante della Sinfonia in La maggiore, Settima, e in varie altre opere, sembravano sostenere l’argomentazione degli avversari. Allora apparve l’Op.102 col movimento finale della Sonata in Re, Allegro fugato. Subito tutta la schiera dei filistei iniziò a flagellare questo movimento con entrambi i pugni; né essi risparmiarono gli altri movimenti. L’obiezione che si faceva al fugato era la sua confusione e mancanza di chiarezza. La difficoltà di esecuzione dell’opera serviva come pretesto per definire il tutto una cattiva musica. I musicisti fino ad oggi [1860] sono prevenuti contro entrambe queste opere meravigliose.
Un passaggio di una critica su queste opere, nell’Allgmeine Musikalische Zeitung di Lipsia del 1818, ci mostra come [i critici] sostenessero le asserzioni dei nemici [di Beethoven]. Esso recita:
“Queste sonate sono sicuramente fra le più straordinarie, le più strane opere per piano [sic] mai scritte in molti anni.  Qui tutto è diverso da qualsiasi altra cosa udita prima, anche del compositore stesso. Speriamo che egli non se la prenda quando aggiungiamo che questa non sembra un’opera poco importante, e che anche se sembra ben costruita il suo effetto è del tutto bizzarro”.
Schindler

[La prima esecuzione della Seconda Sinfonia in Re maggiore si ebbe il 5 Aprile del 1803, al Theater an der Wien in un colossale concerto, nel quale, oltre alla Prima Sinfonia e al Terzo Concerto in Do Minore per pianoforte e orchestra Op.37, fu eseguito per la prima volta anche l’Oratorio Cristo sul Monte degli Ulivi [Op.85]. I giudizi della critica non furono favorevoli. Il critico dell’Allgmeine Musikalische Zeitung trovava [nella nuova sinfonia] “molte pecche, molte lungaggini, molti passaggi troppo elaborati” e un “impiego troppo insistito degli strumenti a fiato. Il Finale poi”, continuava il critico, ”è troppo bizzarro, selvaggio e chiassoso, ma questo è compensato dalla potenza del genio che si rivela in questa produzione, colossale per la ricchezza dei pensieri nuovi e la profondità del sapere”. Molto meno lusinghiera fu la recensione  che descrisse la sinfonia come “un drago trafitto che si dibatte indomito e non vuol morire, e che al tempo stesso sanguina agitando rabbiosamente la coda”. A Berlino si scrisse soltanto delle “difficoltà eseguite per tre quarti d’ora”. Ma anche il giudizio del pubblico non fu favorevole, probabilmente per le novità di cui era ricca. Solo successivamente, J.F.Rochlitz scrisse sull’Allgmeine Musikalische Zeitung che questa sinfonia era l’opera di un grande spirito che sarebbe sopravvissuta quando la moltitudine di musiche di moda sarebbero state seppellite e del tutto dimenticate.]

[La prima esecuzione pubblica della Terza Sinfonia in MI bem. magg. OP.55, Eroica, si ebbe (preceduta da alcune esecuzioni semiprivate) Domenica sera 7 aprile 1805, al Theater an der Wien, quando aprì la seconda parte di un concerto dato a suo beneficio da Clement. Czerny ricordava, come disse a Jahn, che durante l’esecuzione qualcuno dalla galleria gridò: “Io darò un altro kreutzer se la cosa vorrà finire!”. Il corrispondente del Freimüthige divise il pubblico in tre partiti e scriveva: “Alcuni, amici di Beethoven, affermano che questa sinfonia è il suo capolavoro, che questo è il vero stile della musica di alta classe, e che se essa ora non piace è perchè il pubblico non è sufficientemente colto per afferrarne la bellezza; quando saranno passate alcune migliaia di anni, non mancherà di fare effetto. Un’altra fazione nega che l’opera abbia alcun valore artistico, e vi vede una lotta per l’originalità. Con modulazioni strane e violente transizioni, combinando gli elementi più eterogenei, quando ad esempio una pastorale appare nei bassi o in tre corni, una certa non desiderabile originalità si può raggiungere. Il terzo partito, invero molto piccolo, sta a metà fra gli altri due, ammette che la sinfonia contenga molte cose belle,  ma che la straordinaria lunghezza affatichi anche i competenti; e desidera che H. v. B. ci dia ancora opere come le prime sinfonie in Do e in Re … Né il pubblico né Beethoven furono soddisfatti questa sera. Il pubblico trovò la sinfonia troppo pesante, troppo lunga e Beethoven troppo scortese, dato che non accennò neppure ad un inchino del capo in riconoscenza dell’applauso che venne da una parte del pubblico. Beethoven trovò che l’applauso non era stato abbastanza forte”]
Thayer

[Recensione del concerto del 7 Maggio 1824 [in cui furono eseguite l’Ouverture per La consacrazione della casa, Kyrie, Credo e Agnus Dei dalla Missa Solemnis, e per la prima volta, la Nona sinfonia].
Dove posso trovare le parole per dire ai miei lettori di questi capolavori la cui ha grandezza ha trasceso un’esecuzione che ha lasciato molto a desiderare, specie nelle sezione vocali, dato che tre prove sono insufficienti per un lavoro che presenta tante straordinarie difficoltà. Nonostante tutto, l’impatto fu indescrivibilmente meraviglioso e convincente; esso fu acclamato con urla d’entusiasmo indirizzate al maestro dai cuori straripanti, poiché il suo inesauribile genio ci aveva aperto un nuovo mondo e svelato un magico segreto di musica divina, mai udita prima, mai sospettata.
Il Finale [della Nona] si apre come il fragore di un tuono. Come in un poutpourri, tutti i temi principali già uditi vengono ripetuti in rapida successione, come riflessi in uno specchio; poi sono nuovamente fatti sfilare in brillante schieramento. Il contrabbasso mormora un recitativo che sembra chiedere ’Cosa accadrà ora?’, dopo di che essi rispondono a se stessi con un delicato motivo in maggiore, e poi tutti gli altri strumenti si uniscono progressivamente a loro con combinazioni straordinariamente belle. Alla fine, dopo un invito del basso solista, l’intero coro intona con maestoso splendore il canto in lode della gioia. Il critico ora siede al suo tavolo, ha riconquistato la sua compostezza, tuttavia non può dimenticare l’emozione di quel momento. Arte e verità qui celebrano il loro più glorioso trionfo; è tuttavia impossibile per il resto del poema, composto parte come coro, parte come voci soliste, con diversi tempi e cambi di tonalità, raggiungere un comparabile effetto, non importa con quale perfezione le singole sezioni siano trattate. I più ardenti ammiratori del compositore sono profondamente convinti che questo straordinariamente singolare finale sarebbe ancora più efficace se riassunto in una forma più concentrata.  Anche il compositore sarebbe di quest’avviso, se il fato crudele non gli avesse tolto la facoltà di udire le sue creazioni.
Allgmeine Musikalische Zeitung, 1824

Il quartetto in Si bemolle maggiore [Op. 130], con sei movimenti, è chiamato giustamente il mostro dei quartetti. La sua prima esecuzione, nel Marzo 1826, si ebbe al concerto finale nella serie di concerti di musica da camera dell’anno. Tutti gli amanti del quartetto erano presenti per assistere alla prima esecuzione di questa nuovissima creazione a proposito della quale si dicevano strane cose. Ascoltiamo cosa aveva da dire il critico dell’Allgmeine Musikalische Zeitung a proposito del successo di questo concerto: “Il primo, terzo e quinto movimento sono seri, scuri, misteriosi, talora bizzarri, bruschi e capricciosi. Il secondo ed il quarto sono pieni di allegria, malizia e bricconeria. Qui, il compositore, che specialmente nelle sue ultime opere, è stato difficilmente in grado di trovare un equilibrio o una meta, si è espresso brevemente e concisamente. Con tumultuosi applausi il pubblico ha chiesto il bis di entrambi. Ma il significato del finale fugato fu per essi incomprensibile, una sorta di puzzle cinese. Quando gli strumenti devono combattere contro enormi difficoltà, quando ciascuno di essi abbellisce il tema in un modo diverso, quando essi si superano l’un l’altro in progressioni irregolari e innumerevoli dissonanze, quando i musicisti poco fiduciosi di se stessi, non suonano con assoluta precisione, allora la confusione di Babele è veramente completa; allora abbiamo un concerto che potrebbe piacere solo ai marocchini [sic]. Forse tutto questo non sarebbe stato scritto se il maestro potesse sentire le sue opere. Tuttavia noi non dobbiamo condannare il lavoro prematuramente; forse verrà un tempo in cui quello che a noi, al primo contatto, apparve così torbido e confuso, apparirà limpido e perfettamente equilibrato.
Schindler

La Wiener Zeitung del 24 febbraio [1814] conteneva l’annuncio di un ”Accademia, sabato prossimo 27, nella grande Redoutensaal”, con “una nuova sinfonia non ancora udita e un interamente nuovo e ancora non udito terzetto” come novità. Un rendiconto dell’Allgmeine Musikalische Zeitung contiene l’intero programma e alcuni commenti pertinenti:

  1.  La nuova sinfonia, in La maggiore [Settima Op. 92] fu accolta di nuovo con lo stesso entusiasmo.
  2.  Un nuovo terzetto, in Si bemolle maggiore, [Tremate, empi tremate] ben cantato dalla Sig.ra Milder-Hauptmann, Sig. Siboni e Sig. Weinmüller, concepito interamente all’inizio nello stile italiano, termina con un appassionato Allegro nello stile tipico di Beethoven. Fu applaudito.
  3.  Una nuovissima sinfonia, non ancora udita, in Fa maggiore [Ottava, Op. 93]. Il maggior interesse degli ascoltatori era centrato su questa, il nuovissimo prodotto della musa di B. e l’attesa era grande, ma non fu abbastanza apprezzata dopo una sola audizione, e l’applauso che ricevette non fu accompagnato dall’entusiasmo che distingue un lavoro che dà grandissimo piacere; in breve – come dicono gli italiani – non fece furore. Il critico è dell’opinione che il motivo non sta in una minore qualità (anche in questa, come in tutte le opere di B. dello stesso tipo, spira quello spirito particolare dal quale sempre deriva la sua originalità), ma nell’errore di averla fatta seguire a quella in La maggiore. Eseguita di nuovo da sola non dubito del suo successo.
  4.   Alla fine La Vittoria di Wellington alla battaglia di Vittoria, la cui prima parte, la Battaglia fu ripetuta.

Thayer

Il compositore boemo Thomasèk, che lo udì a Praga nel 1798, osserva che il nuovo Maestro non si impone tanto per la sua conoscenza dell’armonia, del contrappunto e dell’euritmia. Ben diversi sono i suoi meriti. Altre sono le caratteristiche che lo differenziano da Mozart o da Haydn: e cioè l’originalità con cui si manifesta il suo temperamento, sensibile ma indipendente, brusco e quasi selvaggio.
Herriot

Czerny ricordava che in occasione [della prima esecuzione] l’Ottava Sinfonia non piacque, e che Beethoven, arrabbiatissimo per questo, disse “perché essa è molto migliore delle altre”.
Thayer

Wenzel Johann Tomascèck (1774-1850) considerava Beethoven un artista molto dotato di talento ma allontanatosi dalla giusta via!
Pecmann

Nei primi anni dell’800 vi fu la tendenza a vedere la musica di Beethoven come una sfida al consolidato dualismo Haydn e Mozart, a vedere in Mozart un baluardo della tradizione ed in Beethoven il garante del rinnovamento.
Gruber

Negli scritti dei critici di inizio ottocento, Rochlitz, Christian Frederic Michaelis, Hoffmann, D. Hohnbaum si afferma che la sola vera musica è la musica espressiva, quella che si rivolge alla nostra anima, non ai nostri sensi, e che la musica deve dare la forma più pura ai gradi supremi dell’emozione. Secondo A.Wendt, ad esempio, Beethoven è venuto ad aumentare queste possibilità espressive della musica con le sue innovazioni, dando alle sue opere un carattere colossale che mancava ai suoi predecessori. Per Hoffmann Beethoven è soprattutto il musicista dell’enorme, del colossale, dello smisurato, e grazie al suo romanticismo trasporta irresistibilmente l’uditore nel meraviglioso impero  dello spirito, l’infinito. Nei suoi scritti Hoffmann ha penetrato ammirevolmente il genio di Beethoven. Carattere distintivo di un gran numero di opere di Beethoven è lo slancio, il risalire dall’ombra verso la luce, dall’angoscia verso la gioia serena: come nella Sonata Patetica, nelle sonate Al chiaro di Luna e Appassionata e nella Nona Sinfonia. Anche tutta la seconda parte del Fidelio è un’ascesa dall’ombra delle celle verso la luce della libertà.
Boyer

La musica di Beethoven muove la leva del brivido, della paura, del terrore, del dolore e suscita proprio quell’infinita nostalgia che è l’essenza del romanticismo.
Hoffmann

Quando il Conte von Dietrichstein, nel 1825, mi disse che Beethoven desiderava che scrivessi un libretto per lui ero in dubbio se Beethoven fosse ancora in grado di comporre un’opera. Beethoven era diventato del tutto sordo, e le sue ultime composizioni, fermo restando il loro grande valore, avevano assunto un carattere aspro che mi pareva in contrasto col modo di trattare le parti vocali.
Grillparzer

Beethoven ha “qualcosa di bizzarro”, che nasce “dallo sforzo d’essere originale, e dalle condizioni di vita notoriamente tristi del compositore”.
Grillparzer

Riguardo alla Settima Sinfonia, un arcigno come Friederich Wieck (padre di Clara Schumann) percepiva nell’opera la mano di un ubriaco, e la parigina Revue Musicale, dopo un’esecuzione del 1829, ……… giudicava il finale “una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata”
Pestelli

Un gran concerto, per il quale Beethoven si è preparato durante l’inverno, ebbe luogo il 2 aprile [1800]. È stata la sua prima apparizione pubblica a suo beneficio in Vienna, e per quello che si sa, solo lì, eccetto che in Praga. Tutto ciò che si sa al proposito è contenuto negli annunci (sulla Wiener Zeitung del 26 marzo e sulla Allgmeine Musikalische Zeitung) e sul programma, di cui possedeva una copia Frau van Beethoven, la vedova del nipote Karl. Eccolo: Oggi, mercoledì 2 aprile, 1800, il sig. Ludwig van Beethoven avrà l’onore di dare un concerto a suo beneficio nel Reale Imperiale Teatro di Corte, vicino al Burg(theater). Verranno eseguiti i seguenti pezzi:

  1. Una grande sinfonia del recentemente defunto                Mozart
  2. Un’aria da “La creazione“ del Kapellmeister sig. Haydn, cantata dalla sig.ra Saal
  3. Un grande concerto per pianoforte suonato e composto dal sig. Ludwig van Beethoven
  4. Un settimino dedicato con la massima umiltà e obbedienza a Sua Maestà l‘Imperatrice, composto dal sig. Ludwig van Beethoven, per quattro strumenti ad arco e tre fiati, suonato dai sigg. Schuppanzigh, Schreiber, Schindlecker, Baer, Nickel, Matauschek e Dietzel
  5. Un duetto dalla “Creazione” di Haydn, cantato dal sig. e dalla sig.ra Saal
  6. Il sig. Ludwig van Beethoven improvviserà al pianoforte
  7. Una nuova grande sinfonia con l’intera orchestra, composta dal sig. Ludwig van Beethoven

I biglietti per palchi e posti si acquistano dal sig. van Beethoven, presso il suo alloggio nel Tiefen Graben, nr.241, terzo piano e presso i proprietari dei palchi.
Prezzi di ingresso come al solito.
Inizio alle 6 e mezzo.
Il corrispondente dell’Allgmeine Musikalische Zeittung descrisse così il concerto: “Questo fu veramente il concerto più interessante da lungo tempo. Egli [Beethoven] ha suonato un nuovo concerto di sua composizione, scritto con gusto e sentimento. Dopo improvvisò in maniera magistrale e alla fine fu eseguita una sua sinfonia in cui vi è molta arte, novità e ricchezza d’idee. L’unico difetto è l’eccessivo impiego di strumenti a fiato“.
Non è chiaro quale concerto Beethoven abbia suonato in questa occasione [quello Op.19 o quello Op.15]. La sinfonia era quella in Do maggiore, che divenne rapidamente ben nota in tutta la Germania.
Thayer

DOPO BEETHOVEN E AI NOSTRI GIORNI

Il 28 marzo [1827, due giorni dopo la morte di Beethoven], la Wiener Zeitung e l’Allgemeine Musikalisch Zeitung di Lipsia, pubblicarono per prime, due “necrologi” sulla scomparsa di Beethoven, nei quali cominciarono ad apparire le prime riflessioni sul ruolo occupato dal compositore nella storia della musica. [Quello] anonimo della Wiener Zeitung, assai prudente nell’esprimere giudizi sulla sua musica quasi non volesse scontentare tra i lettori viennesi, né i sostenitori né i critici dell’arte beethovenian, probabilmente bene esprime certe diffuse perplessità, circolanti a Vienna, non tanto sul genio di Beethoven, unanimemente riconosciuto, ma in particolare sull’ultimo periodo. Più interessante e profondo nei giudizi, in particolare storico-musicali, sia pure, come il precedente, senza alcun accenno a singole composizioni, l’articolo apparso, con rapidità più che stupefacente [sul  numero 13 del 28 marzo 1827] dell’Allgemeine Musikalische Zeitung di Lipsia, a firma di Rochlitz:
“Beethoven non è più tra noi. Il 26 marzo lo spirito di Beethoven, eccelso e di inusitato vigore, si è disgiunto dalle spoglie terrene, che lo opprimevano, per certi aspetti in modo tanto gravoso, ma che tuttavia seppe dominare, vittorioso, grazie all’energia dell’intero suo essere.È opera sua ciò che di più grande, di più ricco, di più peculiare possiede la musica strumentale dell’epoca più recente. E suo, in primo luogo, è anche lo slancio più audace, più libero e possente che essa abbia in assoluto acquisito ai nostri giorni. Precedendo tutti i contemporanei, è lui l’inventore di tal musica; lui che nelle sue creazioni, tanto numerose, tanto significative, ha addirittura disdegnato di essere imitatore di sé stesso, volendo invece agire in ognuna da innovatore, rischiando persino di non essere talora compreso.
Dove le sue composizioni più audaci, più potenti, più energiche non vengono ancora riverite, apprezzate, amate è semplicemente perché in quel luogo non si è ancora formato un novero di persone in grado di afferrarle. Questa schiera di appassionati crescerà, e con essa si amplierà la sua fama. Dove vengono comprese ed apprezzate, si verrà invece a creare un legame sempre più intimo con esse, e la sua fama continuerà ad aumentare. I pochi che, nelle sue prime fasi, giudicandolo erroneamente, lo hanno schernito, sono ormai da tempo dimenticati, e quelli di loro che ancora vivono non si capacitano ora di come abbiano mai potuto motteggiarlo. Come forse nessun altro egli ha rivolto unicamente all’arte la ricca somma delle energie toccategli, sia innate che acquisite. Ciò che la vita offre ai più, egli non lo ha mai cercato e tuttavia lo ha trovato, e ciò gli è servito solo per garantirsi un’esistenza sopportabile; per il resto non ebbe quasi assolutamente nulla. La sua arte fu per lui anche moglie e figlio. Non seppe capire gli uomini, da quindici anni addirittura neppure nelle loro parole, e come egli non li comprendeva, parimenti per nulla da loro era compreso, se non nei suoi suoni.

Separato da loro egli costruì per sé il suo mondo, in un modo mirabile, da suoni non uditi, ma solamente pensati. Ciò significa percorrere da vero uomo il cerchio, deliberato dalle forze superiori, del proprio pellegrinaggio terrestre. Su chi è stato capace di lasciare in tutte le stazioni di questo percorso monumenti tanto degni della sua presenza, ora che è morto, niente lamenti! Tutti sentiremo certo la sua perdita, veramente incolmabile; ma ciò che ha creato rimane con noi, continuerà ad operare, direttamente o indirettamente, per tempi infiniti, e porterà il pensiero a lui, nella gloria, in ogni storia della musica avendo lui dato ad essa il contenuto fondamentale dell’epoca contemporanea”. Al di là degli slanci lirici e di alcune forzature in merito alla sobrietà di vita ed alla assoluta, titanica concentrazione sulla sua arte, vista coi tratti di una missione quasi ultraterrena (caratteristiche destinate a divenire [parti del mito]beethoveniano, non solo ottocentesco, ma permeanti ancor l’immagine più popolare del musicista), Rochlitz si mostra assai lucido nel cogliere il ruolo fondamentale e anticipatore avuto da Beethoven nella musica sinfonico-strumentale. Il Nekrolog di Rochlitz richiama l’entusiastica critica redatta nel 1813 da E.T.A.Hoffmann, e al contrario, per certe critiche appena accennate, alcune riserve [di altre successive critiche] comuni anche al viennese Franz Grillparzer.
Focher

Dopo Haydn nessun compositore ha provocato uno scisma così ampio nel pubblico d’Europa come Beethoven. La questione sul tappeto potrà naturalmente essere decisa solo dai posteri. Da eminenti professori e fra i più grandi ammiratori di Beethoven sono stati avanzati dei dubbi sul fatto che alcune delle sue ultime opere, possano resistere al test del tempo. Beethoven non ha mai potuto soffrire il sentire ammirare le sue prime opere, eppure si può con certezza affermare che molte di queste sono fra le sue più belle e durevoli. Beethoven fu un grande beffardo delle norme della composizione. Talora, quando era di buon umore, conversando coi suoi colleghi musicisti del suo scarso rispetto per queste regole, si fregava le mani con piacere dicendo “Ah! Ah!, mi piacerebbe vedere cosa direte di questo, voi signori coi vostri trattati di armonia”. Della musica di Beethoven si può dire brevemente e genericamente, che in quanto alla melodia, che ne è  l’anima, come disse Mozart, egli è inferiore sia a lui che ad Haydn; ma nella solida e imponente grandezza dell’armonia egli non è mai stato superato, e probabilmente neppure eguagliato da nessuno, eccetto Händel. Se lo scetticismo cui alludevamo in relazione ad alcune delle ultime opere di Beethoven dovesse dimostrarsi ben fondato, può essere una fortuna per la sua reputazione che egli non abbia vissuto più a lungo. Si è affermato ultimamente che i quartetti postumi, su cui esiste una così gran divergenza di opinioni, non sono genuini; cioè che essi sono stati messi insieme da qualche intraprendente editore da frammenti di manoscritti trovati fra le carte di Beethoven.
“The Penny Magazine”, 11 gennaio 1840.

Come musicista Beethoven deve essere messo al pari di Händel, Haydn e Mozart. Soltanto lui può essere loro paragonato quanto a grandezza delle sue opere e alla loro influenza sullo stato dell’arte. Sebbene egli abbia scritto relativamente poco nella sfera cui Händel ha dedicato tutte le energie della sua mente, tuttavia il suo spirito, più di quello di qualsiasi altro compositore, è simile a quello di Händel. Nella sua musica vi è la stessa gigantesca grandezza di concezione, lo stesso respiro e semplicità di disegno, e la stessa assenza di particolari minuti e dettagli insignificanti. Nelle armonie di Beethoven le masse sonore sono altrettanto ampie, ponderose e imponenti come quelle di Händel, mentre hanno un particolare carattere profondo e melanconico. Come esse si intensificano nelle nostre orecchie e divengono sempre più fosche, sono come nubi tempestose verso le quali guardiamo fino a che siamo scossi dal lampo, e atterriti dal tuono che esplode dal suo interno. Questi effetti egli li ha prodotti specialmente nelle sue meravigliose sinfonie. Anche quando egli non maneggia le energie di una grande orchestra, nei suoi pezzi strumentali da concerto, i suoi quartetti, i suoi trii, le sue sonate per pianoforte, vi sono la stessa ampia e grandiosa armonia e gli stessi effetti, selvaggi, inattesi e stupefacenti. Fra questi, sia nelle sue opere per orchestra che nella sua musica da camera, vi sono melodie indicibilmente appassionate e che rapiscono. Una caratteristica straordinaria di queste divine melodie è la semplicità estrema. Poche note, semplici come quelle di un canto popolare bastano a suscitare le emozioni più squisite. La musica di Beethoven ha le caratteristiche dell’uomo. Quando di movimento lento e tranquillo, non ha la placida compostezza di Haydn o la tenerezza di Mozart; ma è seria e ricca di pensieri profondi e melanconici. Quando rapida, non è vivace e briosa, ma agitata e cangiante – ricca di sfumature dolci e amare, di tempeste e luminosità, di esplosioni di passione che sprofondano in quieti accenti di tristezza o che sono acquietate in lampi di speranza o gioia. Vi sono movimenti cui egli ha dato il nome di scherzoso, o giocoso. Ma questa è diversadallagioconditàcui Haydn amava dar vita nei finali delle sue sinfonie e dei suoi quartetti. Se in un movimento di questo genere Beethoven inizia con un tono di gaiezza, il suo umore cambia involontariamente – il sorriso svanisce – ed egli cade in un mondo di idee melanconiche. I rapidi Scherzi che egli ha sostituito all’antico Minuetto, sono selvaggi, impetuosi e fantastici; essi hanno sovente l’aria di quella violenta e irregolare vivacità cui sono inclini le nature ombrose. Essi contengono comunque molte delle più belle e originali concezioni di Beethoven; e sono straordinariamente dimostrativi del carattere della sua mente. Le opere degli ultimi anni della vita di Beethoven  non sono conosciute ed apprezzate come le precedenti. Le sue prime opere sono chiare nel disegno, facilmente comprensibili e semplici nel loro significato sì che, quando eseguite correttamente, colpiscono subito chiunque sia sensibile al potere della musica. Nelle sue opere più tardive il significato è oscuro e a volte incomprensibile. Egli ha gettato via tutti gli antichi modelli, e non solo ha trasformato i movimenti in forme nuove e senza precedenti, ma ha introdotto lo stesso grado di novità in tutti i loro particolari. Le frasi delle sue melodie sono nuove; le sue armonie sono nuove; la sua disposizione delle parti è nuova; e i suoi improvvisi cambiamenti di tempo, di metro e di armonia sono sovente inesplicabili in base ai canoni codificati dell’arte.
La potenza del genio di Beethoven si è dispiegata appieno nelle sinfonie. La Quinta Sinfonia in Do minore Op.67, spicca da sola senza rivali; e la Sinfonia Pastorale è probabilmente il più bel pezzo di musica descrittiva esistente.
Hogarth

La musica “a programma”, cioè a tema prestabilito, composta con l’intento di rappresentare con i suoni qualche realtà esterna, nelle capitali della musica  era diventata un argomento polemico. Beethoven si era schierato dalla parte dell’interiorità contro l’imitazione ad effetto. Nella sinfonia Pastorale, a parte due momenti imitativi scoperti, il dialogo degli uccelletti (nell’ordine usignolo, quaglia e cucù) ed il sibilare del vento nella “tempesta”, tutta l’opera non descrive, non contempla la natura, per il semplice motivo che ci sta dentro, ne è parte integrante e solidale.
Pestelli

Emanano dalle musiche di Beethoven un alito gigantesco di umanità e un intimo calore di solidale fratellanza. È la fondazione di una religiosità laica.
Confalonieri

Nel fondo di tutta la musica beethoveniana, nell’ansia febbrile dei suoi ritmi e nelle sue melodie noi udiamo una voce che desidera essere ascoltata.
Confalonieri

Ecco dunque Beethoven: è il nostro campione, è l’uomo che noi abbiamo mandato avanti, è il più forte e il più puro di noi. La sua altezza ci sovrasta enorme, ma non vi è cima dove il nostro sguardo non giunga, dove non lo possiamo seguire.
Confalonieri

La musica di Beethoven con ciascuna sua nota, si illumina di un chiaro intento benefico.  Al di là di quanto essa edifica come avventura della fantasia, la musica di quest’uomo solitario deriva la sua novità dalla fiamma di amore che la ha dettata.
Confalonieri

Il “grande cuore di Beethoven” scrisse  Wittgenstein. Ed in effetti nel cuore di Beethoven c’è qualcosa di impressionante: ed è il sentimento della lotta, della lotta per credere in qualche cosa.
Siciliano

Beethoven non cerca la via narrativa, non aspetta eccitamenti dall’esterno; è lui stesso l’argomento primo ed unico del dramma che ci va dimostrando con la sua essenza effimera, spirito e corpo esposti ad ogni offesa del mondo, nudo ai suoi occhi e ai nostri, senza schermo di giustificazioni od indulgenze. È per questa pubblicità, nello stesso tempo generosa ed austera, per il suo essersi documentato fedelmente attraverso l’atto creativo, che Beethoven ci si presenta come la figura più tragica di tutte le epoche musicali, e che, fra tutti i grandi maestri, egli risulterà il solo del quale la storia non potrà mai vincere il mito.
Confalonieri

Non solo il Fidelio è il capolavoro che è proprio in quanto teatro, e non “oratorio laico”, ma la sua posizione all’interno della creatività beethoveniana‚ è centrale ed imprescindibile: nel senso che quella dialettica di opposizioni, quella fede nella positività della vita, quella sostanza morale insomma, che Beethoven condensa in Sonate e Sinfonie in una forma altrettanto compiuta quanto cifrata, nel Fidelio‚ “messa in scena”, diventa teatro, percepita anche fisicamente dall’occhio dello spettatore in sala.
Pestelli

Beethoven è un rivoluzionario per istinto, per decisione cosciente, per fatalità storica. Ma la rivoluzione è tutta interiore. Fondatore di una vocalità istrumentale del tutto diversa da quella che si era andata formando per opera dei violinisti italiani e del movimento haydniano-mozartiano, intento quasi inconsapevolmente a colpire il melodismo melodrammatico, Beethoven non ha temuto di apparire duro o enigmatico, di imporci il suo pensiero anche a scapito del nostro piacere.  Eppure mai come nelle composizioni degli ultimi anni egli si è abbandonato al ricordo di lontane dolcezze. Nulla è così commovente come il vederlo liberato dal suo destino, come il sentire anche noi il sapore nuovo che in certe vecchie melodie egli sapeva ritrovare. “Teneramente” è una didascalia italiana che Beethoven assai spesso scrive in episodi delle sue ultime opere; non è solo un consiglio per l’esecutore, ma la prova di poter essere buono da parte di un artista il quale metteva la bontà più in alto del genio. “Teneramente” si svolge la cantilena del primo tema del Quartetto in Mi bemolle maggiore Op.127 del 1824; “Teneramente” si spengono le ansie dell’Allegro del quartetto in La minore Op.132 del 1825: sono canti ora sommessi ora spianati, che sembrano doni paterni offerti – tra lagrime e sangue – ad una futura gioventù del mondo.
Confalonieri         

Beethoven nelle cui opere fu possibile vedere il più grande progresso della musica dopo Mozart, soprattutto nelle sue sonate e nelle sue sinfonie.
Marx

Nuova è la profondità di pensiero nelle composizioni di Beethoven, la ricchezza nuova di combinazioni sonore nelle sue sinfonie, l’audace modulazione che crea nuove relazioni, la grandiosa unità, la passione mai sentita prima.
Marx

Dopo la ripresa del Fidelio a Vienna, nel 1870, Eduard Hanslick scrisse: “Non conosco altra opera in grado di avvincere e scuotere l’animo dello spettatore come questo Fidelio. È stato il primo capolavoro ad apparire sui palcoscenici d’opera tedeschi dopo Die Zauberflöte. Rispetto alle altre opere tedesche e ai capolavori popolari quale Der Freischütz, Fidelio ha una posizione ben più esclusiva, aristocratica”.
D.Weber         

Beethoven non fu per nulla una sorgente inesauribile di musica come lo furono Vivaldi, Bach, Haydn e Mozart. Lento ed incontentabile nello stabilire la fisionomia dei temi (i suoi schizzi e i quaderni di minute lo dimostrano chiaramente) egli medita a lungo anche le vicende particolari dei pezzi, rifiutando sempre, come ben scrisse un critico tedesco, che  “le forme componessero per lui” e sovente rifacendo più e più volte una stessa composizione (basti l’esempio delle tre versioni della ouverture Leonora).
Confalonieri

L’apparizione di Beethoven fu un fatto essenziale nella storia della musica. Al contatto di quest’uomo straordinario, unico e assolutamente irriproducibile, tutto il meccanismo della conoscenza musicale risultò sconvolto.  Figlio del suo tempo e adepto di una nuova religione artistica, l’isolamento in cui visse, l’indipendenza quasi irata del carattere, l’estrema concentrazione, l’impulso a sentire le idee come gli altri sentono le azioni, lo portarono ben presto al di sopra di ogni vicenda politica o sociale. Fra il giorno della sua nascita (16 Dicembre 1770) e quello della sua morte (26 Marzo 1827) l’Europa vide i moribondi fasti dell’”ancien régime”, la Rivoluzione Francese, il ciclo napoleonico, la Santa Alleanza, i primi fermenti della nuova civiltà in cammino. L’Illuminismo aveva ceduto il campo ai travolgenti sistemi di Kant. Beethoven ci sembra superiore a tutte queste inquiete mutazioni, egli ha creato una storia perpetua. Dopo l’avvento di Beethoven, che esigette di sentirsi vivere come uomo prima di operare come artista, la grande opera musicale non poté più realizzarsi se non in conseguenza di una grande figura umana. In conclusione Beethoven ha riformato la musica per avervi intromesso tutto il suo essere umano con una originalità e un’altezza spirituale fino ad allora sconosciute. La musica non scenderà più dall’empireo dell’arte ma dovrà essere meritata.
Confalonieri

A proposito delle ultime opere di Beethoven, A.D. Oulibischeff [che, per il suo libro su Beethoven, fu bollato da Hans von Bulow con l’epiteto di “calmucco”], scrisse: “Dato che egli non udiva più nulla da moltissimi anni, che aveva perduto il ricordo della musica suonata e che delle ombre avevano in parte invaso la sua intelligenza, produsse delle opere che parevano a lui sublimi di concezione e di armonia, ma che rimanevano lettera morta per coloro che ascoltavano con le loro orecchie”.
Oulibischeff 

L’opera di Beethoven fu vista per molto tempo come un miscuglio traboccante di umori e malumori vitali. Il vero eroismo di Beethoven fu nell’essere riuscito a sbarrare alla massa delle urgenze biografiche, e delle sollecitazioni psichiche personali, il recinto della creazione che rimase immune da ogni inframmettenza estranea. Spetta a Heinrich Schenker il merito di avere spazzato via le fantasticherie, le interpretazioni letterarie e soggettive, le interpretazioni extramusicali che erano state applicate, durante molti decenni, alle musiche di Beethoven, ponendo le basi per il riconoscimento del carattere “assoluto” della sua musica. Ed anche August Halm (“Beethoven”, Berlin 1927) ha rivendicato il carattere antiromantico e anti-sentimentale della musica di Beethoven. A questo proposito, nel suo libro “The Classical Style. Haydn, Mozart, Beethoven” (New York 1971), Charles Rosen apre il suo esame del tardo stile di Beethoven affermando che “la decisione di continuare con le più pure forme classiche fu, a suo modo, eroica”. E vi è chi ha osservato giustamente che di scivolare nel fuoco romantico a Beethoven non sarebbe certo mancato il tempo se si pensa che Weber, nato 16 anni dopo, è morto un anno prima di lui.
Buscaroli

Per Bach un tema rappresenta un’essenza immutabile che, anche sviluppandosi, non muta perchè vive una propria vita. In Beethoven un tema subisce uno sviluppo entro i limiti stessi di un’opera, al pari di una figura di Shakespeare. In Bach le possibilità di sviluppo di un’opera sono contenute nel tema stesso, anche se, come nella fuga, gli contrappone altri temi. Bach in sostanza è un monotematico, in lui tutto segue una via prestabilita dal tema. In Beethoven non vi è una via prestabilita. Egli lavora su più temi che vivono, si sviluppano e si contrappongono vicendevolmente: essi subiscono un destino da cui nasce l’opera. La peculiarità di Beethoven sta nel fatto che ad ogni tema egli conferisce un’atmosfera particolare; e per ogni tema trova temi corrispondenti ma di differente contenuto, che può svolgere in vita reciproca, anche se contrapposta. Nelle opere migliori egli sa trovare una serie di temi fatalmente collegati fra loro e che si completano vicendevolmente. Questo è il procedimento che definirei propriamente “drammatico”. I temi di Beethoven vivono di vita reciproca proprio come i personaggi di un dramma.
Furtwangler

La musica e le arti in generale, secondo il Ministero della Cultura Sovietico – 1939, sono sempre simboli e riflessi del loro tempo: era di progresso sociale, musica piena di vitalità; periodo di stagnazione musica decadente e dilettantistica. Nel considerare il passato erano lecite alcune eccezioni nei riguardi di singoli artisti che sembravano aver sfidato col loro comportamento le norme della società in cui vivevano.
Il personaggio chiave di questa curiosa pseudo-musicologia in voga nell’Unione Sovietica era Beethoven: secondo le autorità russe la sua musica rifletterebbe i grandi principi della Rivoluzione francese ed esprimerebbe quindi un palese disprezzo per l’aristocrazia della sua epoca. Di conseguenza Beethoven rimase in auge, perfino negli anni in cui l’ideologia musicale sovietica era più fanatica e censoria: tanto entusiasmo non impedì tuttavia che in alcune esecuzioni della Nona Sinfonia la schilleriana Ode alla Gioia venisse sostituita da un testo socialista.
Gould

Beethoven è il musicista moderno che più di ogni altro lavora in progressiva trasformazione del pensiero e del linguaggio nel definire la propria arte. Anzi, con l’idea di metamorfosi in musica si identifica: una metamorfosi che non cancella il lascito della tradizione, ma lo arricchisce. Wilhelm Furtwangler, nei suoi “Gespräche über Musik” (Discorsi sulla musica), ha teorizzato una lapidaria formula, “Bach das Sein, Mozart das Geschehen, Beethoven das Werden“, ossia: “[Nella musica] Bach è l’essere, Mozart l’accadere, Beethoven il divenire“. Beethoven sottopone il divenire del suo linguaggio musicale alla propria volontà. Tutto in lui ha in sé il sigillo volitivo dello sforzo, della lotta contro la materia “a risponder sorda“. All’origine del volontarismo beethoveniano c’è una condizione, [e cioè] che il Beethoven degli esordi non dà prova di quella sorprendente e precoce genialità che conosciamo in Mozart, in Schubert o in Mendelssohn. Avviene in lui ciò che accade nel giovanissimo Schumann e, vistosamente in Bruckner. La maturazione e l‘autentica originalità si realizzano relativamente tardi. Proprio perché Beethoven, diversamente da Mozart e Mendelssohn, non nasce già maturo, il processo di trasformazione cui egli sottopone nell’arco operoso della sua vita la materia musicale, piegandola alla volontà di forma, di genere, di linguaggio, di stile, di concezione è straordinario. Tra la scomparsa di Bach e gli anni dell’egemonia wagneriana, nessun musicista dell’occidente, come Beethoven, ha ridisegnato e innovato la propria musica dagli esordi al tardo stile degli ultimi lavori. Di nessun altro musicista, come di Beethoven, si potrebbe dire, ascoltando per la prima volta le ultime composizioni e paragonandole a quelle degli esordi: “Ma questo è un altro compositore!“.
Principe

Il ciclo di Lieder “An di ferne Geliebte” (Alla amata lontana), è forse la sola composizione  “romantica” di Beethoven.
Buscaroli

[Come scriveva Riezler vi sono nella storia, lungo i millenni, esempi di pura musica strumentale, di solito legata a rappresentazioni extra-musicali ben determinate, come nelle culture asiatiche e nell’antichità classica. Quello che intendiamo per “musica assoluta” è qualcosa di diverso, che esiste solo in Occidente a partire dal secolo diciassettesimo, una musica che, liberata dalla parola e anche dal ricordo della danza, vive da se medesima senza avere più bisogno di sostegni dal di fuori. Mentre si ha la trasformazione della coscienza armonica, con il distacco dagli antichi modi ecclesiastici e la formazione della nuova coscienza armonica, questa nuova musica è capace di “costruire” dall’interno senza bisogno di sostegni dall’esterno, giungendo fino alle grandi opere di J.S.Bach e G.F.Händel. Oggi ogni opera di Beethoven viene percepita come musica non dissimile da altra; magari più potente ed universale, ma in nessun modo diversa, musica “assoluta”, come quella di Bach, Haydn, Mozart e degli altri maestri della musica strumentale. Così la sentono i musicisti, i dilettanti che la suonano e gli ascoltatori che si accostano, ciascuno secondo le proprie possibilità, al mistero che si cela nell’opera di Beethoven. Tuttavia come ricorda Riezler per alcuni la musica di Beethoven non sarebbe una musica “assoluta” nel senso di una fuga di Bach o di una sinfonia di Mozart, ma qualche cosa di diverso per sua stessa natura. Dopo che Marx, nel 1859, nel suo libro su Beethoven aveva coniato il termine di “musica ideale”, come a voler sottolineare la distanza che separa questa musica da tutte le altre manifestazioni artistiche e culturali, molti che nel passato hanno scritto su Beethoven sono stati di diverso avviso. Paul Bekker ha scritto che “Beethoven è in primo luogo pensatore e poeta e solo in secondo musicista”. Arnold Schering ha sostenuto che Beethoven nelle sue opere ha pensato a poemi di Shakespeare, Goethe e Schiller: ad esempio la Terza Sinfonia sarebbe la “Sinfonia di Omero”, la Quarta “La Sinfonia di Schiller”e così via, sostenendo che il concetto di “musica assoluta” è un errore che impedisce la comprensione della musica strumentale. Così nonostante la impossibilità di tradurre un’opera musicale dal linguaggio delle note a quello delle parole, si è ripetuto sovente erroneamente il tentativo di spiegare con parole il contenuto di una melodia, di un tema, di un’intera opera strumentale. Ma si chiede Riezler, c’è ancora qualcuno dotato di sano senso musicale che abbia il bisogno, per comprendere la musica di Beethoven, di pensare a qualche cosa di diverso da quello che sente? La sua opera non è forse musica come quella di Haydn e di Mozart, magari con una maggiore profondità di espressione, tuttavia sempre musica che ha in se stessa il suo significato? Come ricorda Riezler qualunque tentativo di scoprire “idee extra-musicali” nelle opere di Beethoven finisce per condurci soltanto lontano dal vero significato musicale dell’opera. Purtroppo Beethoven ha detto e scritto troppo poco su questo problema. Sembra che negli ultimi mesi di vita egli abbia parlato con Schindler dell’idea di dare alle sue opere dei titoli, idea che Schindler stesso dubita che il Maestro sarebbe stato disposto ad adottare. L’unica risposta sicura di Beethoven a questo problema fu quella che egli una volta diede a chi gli chiedeva qualche cosa sul significato di una qualche sua opera: “Si può rispondere solo al pianoforte”, anche se una volta ha detto che tutti avrebbero potuto sentire nel Largo della sonata Op.10 nr.3 lo “stato d’animo di un malinconico”.]

Quanto più profondamente ci addentriamo nell’esame della musica di Beethoven tanto più evidente appare la sua appartenenza al mondo classico e più chiara la sua estraneità a quello romantico.
Riezler

Un tratto saliente di Beethoven è l’esaltazione del contrasto, del conflitto come condizione di miglioramento. Le parole di Schiller, “ciò che l’arte non possiede deve conquistarlo”, avrebbero potuto essere sue. Per Beethoven andare avanti è un dovere. La felicità di Mozart è quella dell’età dell’oro, sta alle spalle dell’artista; la felicità per Beethoven sta davanti, è una regione da scoprire, e perciò la sua arte ha un ottimismo di tono avvertibile anche nei gironi profondi di un largo e mesto o di un arioso dolente.
Pestelli

Rispetto a Haydn e Mozart il catalogo di Beethoven presenta una drastica riduzione del numero di lavori per ciascuna voce, i tempi di creazione si allungano. Beethoven non scrive più per commissione, non ha scadenze da rispettare, se le ha non le rispetta; alla dichiarata gioia della composizione si mescola il tormento della critica, documentato in una quantità di lavori preparatori, abbozzi, pentimenti, correzioni che contraddicono il feticcio romantico dell’immediatezza.
Pestelli

Dopo la Restaurazione le idee di Beethoven sulla musica si aprono a profondi mutamenti; l’accostamento ai temi romantici, fallito nel campo teatrale, riemerge: non solo in lavori come la Sonata per pianoforte Op.101 e il ciclo di Lieder “All’amata lontana”, ma anche nella consapevolezza sul piano teorico. È di questo momento il rifiuto delle indicazioni italiane di tempo. In una lettera del 1817, al direttore d’orchestra von Mosel, scrive: “allegro, andante, adagio, presto, possono servire tutt’al più a indicare il tempo; ma diverso è il caso  delle parole che indicano il carattere della composizione: a queste non possiamo rinunciare perchè esse si riferiscono allo spirito della composizione”. Ne sono esempi le indicazioni in tedesco all’Opera 90 (ad es.: Mit Lebhaftigkeit und durchaus mit Empfindung und Ausdruck, cioè Con vivacità e del tutto con sentimento ed espressione), ed all’Opera 101 (ad es.: Langsam und sehnsuchtvoll, Lentamente e pieno di nostalgia); e alcune metafore quali “perdendo le forze”, “dolente”, “poco alla volta di nuovo vivente” (Op.110), “oppresso” (Op.130). [Anche per questo] la musica beethoveniana fu oggetto dal suo tempo ad oggi di innumerevoli interpretazioni, di continui rinvii a qualche cosa che stia dietro le note; questa diffusa letteratura sta a testimoniare un’ansia di saltare il fosso della musica pura che Beethoven ha provocato in misura superiore a qualunque musicista del passato. No, dietro la musica di Beethoven non c’è niente altro che le note, il cammino di Beethoven muove in una direzione poco interessata alla scuola Romantica.
Pestelli

Quando siamo rattristati dalle miserie del mondo, Beethoven viene al nostro fianco. Quando ci prende la stanchezza dell’eterna battaglia, inutilmente combattuta contro la mediocrità dei vizi e delle virtù, è un indicibile bene rituffarsi in quell’oceano di fede e di volontà. Da lui si irradia  una coscienza che sente in sé la presenza di Dio.
Rolland

A proposito dei significati romantici e fantasiosi attribuiti da critici e studiosi di maggiore o minor valore alle musiche di Beethoven ecco un piccolo florilegio. La sonata Op.27 nr. 2 porta il titolo “die Mondscheinsonate”, “sonata del Chiaro di Luna”, che non fu dato da Beethoven, ma da Ludovico Rellstab, che paragonò l’effetto del primo tempo della sonata al chiaro di luna che si diffonde sul Lago dei Quattro cantoni!  Era stata chiamata anche “Lauben Sonata” (Sonata del pergolato), dato che si diceva che fosse stata composta da Beethoven, innamorato di Giuletta Guicciardi, sotto il pergolato di un giardino. Altre interpretazioni più o meno stravaganti sono state applicate a vari tempi delle sonate di Beethoven, ma non vi è chi non si renda oggi conto della loro inutilità e mancanza di significato. Ad esempio Marx sentiva, nell’Adagio della Sonata Op.2 nr.2, “il pensiero di un adolescente che erra nei sentieri notturni sotto un cielo stellato”.(!!!) A proposito del Largo con grande espressione della sonata Op.7, il De Lenz scriveva: “bisogna riconoscervi l’avvento di un nuovo ordine di cose nella musica da camera. Si direbbe una lagrima caduta dagli occhi della Maddalena nella valle di lagrime abitata dagli uomini”.(!!!)   La continua melodia dell’Adagio dell’Op.22 faceva pensare al Griepenkerl ai cigni  “che immagine di tutti i nostri desideri, cercano sotto di loro, col loro lungo collo alterato, i segni celesti, ingannati dalla dolce illusione delle acque che li riflettono”.(!!!) A provocare queste fantasiose interpretazioni contribuirono certo anche alcune informazioni riportate da amici e biografi di Beethoven. Ad esempio Schindler riferiva che Beethoven, interpellato sul significato del Largo della Sonata Op.10 nr.3, aveva detto “Ognuno sentirà che esprime lo stato di un’anima in preda alla malinconia”, così che il De Lenz ne scrisse: “leggere questo largo è come sollevare una lapide sepolcrale”.
Scuderi

A proposito del quartetto Op.18 nr.2 in Sol           maggiore, un critico aveva la pretesa di intravvedervi lieti gentiluomini in parrucca, coi codini graziosamente intrecciati, nel bel mezzo di feste liete e fantasiose! Fu infatti chiamato “quartetto delle riverenze”.
Herriot

A proposito dei motivi ispiratori dei vari pezzi Herriot, nel suo “La vie de Beethoven”, osserva giustamente che “ci è impossibile definire a quale sentimento abbia obbedito questa o quella ispirazione; la confessione musicale conserva il suo segreto: ed in questo sta la sua superiorità rispetto alla confessione letteraria che esige nomi e parole.”
Herriot

L’unica Sonata che ebbe un titolo speciale da Beethoven stesso è l’Op.81a. Sulla copia originale è scritto in tedesco “Das Lebewohl (L’addio), Vienna 4 maggio 1809, per la partenza di Sua altezza Imperiale il venerato Arciduca Rodolfo”. E sull’ultimo tempo è scritto “Die Ankunft (Il ritorno) di S.A. Imp. il venerato Arciduca Rodolfo, 30 gennaio 1810”. Beethoven protestò con Breitkopf e Härtel (lettera del 9 ottobre 1811) dopo che, nel luglio 1811, la sonata era stata pubblicata col titolo in francese, come usa ancora oggi: “Les Adieux, l’Absence e le Retour”.
Scuderi

L’Allegretto che, nella Sonata Op.27 n.2, segue senza interruzione l’Adagio sostenuto, venne definito da Liszt “un fiore fra due abissi”.  Il De Lenz scriveva che “gli Allegretti di Beethoven sono spesso episodi pieni di dolce tristezza e di segreta ironia”.
Scuderi

In Beethoven rivive il tragico conflitto, sempre risorgente nella coscienza umana, tra la concezione religiosa della vita, che considera ogni evento subordinato alle leggi del cielo, e l’idea etica che restituisce piena responsabilità al libero agire dell’uomo. Libertà e necessità che Beethoven esprime in sintesi col suo motto “Es muss sein”, “Deve essere”, ad affermare, in armonia col pensiero di Kant umanizzato da Schiller, la libera, spontanea accettazione di un dovere necessario, di un imperativo che è di guida e sostegno nella vita e nell’arte.
Magnani

Culto della tradizione e ricerca del nuovo, incontentabile precisione ed inquieta espressività, aderenza diretta al reale e anelito d’infinito sembrano confluire a formare l’arte tedesca, che nelle sue opere più alte, come appunto quelle di Dürer, di Goethe, di Beethoven, superando i confini nazionali ed insieme i limiti dei modi stilistici acquisiti da altre culture, si eleva a validità universale.
Magnani

Nelle variazioni dell’ultima sonata di Beethoven (Op.111) ogni esuberanza sonora, ogni ridondanza espressiva, ogni abbandono al sentimento ha un tono pacato, sereno e pur commosso, in uno stile composto con chiarezza e semplicità di modi. Era quanto Beethoven da tempo si era proposto di conseguire quando annota, in un taccuino del 1804, “Finale immer simpler” (Finale sempre più semplice): il motto che lo guiderà lungo il cammino verso la rarefazione della materia sonora, cui perverrà appunto nel Finale dell’Op.111, nel riserbo emotivo della Cavatina del quartetto Op.130, nella commossa initimità religiosa della Canzona [di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidico] del quartetto Op.132.
Magnani

Beethoven è un artista che, prima ancora di essere tale, è un uomo fra gli uomini, superiore agli altri per il dono tremendo della sofferenza e per quello del genio, cioè per la capacità di trasformare il dolore in canto ed in gioia per i suoi simili.
Roncaglia

Il Fidelio penetrerà solo lentamente nel pubblico, che era assuefatto al gusto tradizionale [dell’opera], perché inevitabilmente a questa legge soggiacciono tutti i veri capolavori, tutte le opere che contravvengono alla pigrizia dell’uomo.
Herriot

Chantavoine aveva scritto che “Beethoven sa piegare al suo gusto ed alle sue emozioni lo strumento fino allora un pò rigido della sonata. Ne conserva, anzi ne rende più salda l’unità: ma non l’unità di forme, tempi e tonalità, si tratta di un’unità di accenti; non viene dall’esterno, ma è tutta intima”. E Wagner, che considerava Beethoven sopratutto un compositore di sonate, dice che “la forma-sonata è il velo attraverso cui egli guarda nel regno dei suoni”. Siamo ben lontani dal puro virtuosismo, dagli arabeschi musicali. Le sue opere valgono per la loro ispirazione, o per riassumere un’immagine ancora di Wagner, “Sono illuminate dall’interno. La melodia non è più chiusa in un quadro; ogni parte dell’accompagnamento, ogni nota ritmica, persino le pause, tutto è melodia”. Chi ascolta non si ferma più ad un semplice apprezzamento formale; ma si lascia commuovere ed affascinare. La critica viennese rileva quanto vi è d’insolito nelle sue prime sonate, si meraviglia della copiosità delle idee che le ispirano, ma si accorge anche del loro carattere strano, a suo avviso un poco selvaggio. L’originalità e la novità di questo gruppo di sonate [ci si riferisce alle prime sonate fino all’Op.14] stanno nella profondità, nell’intimità, nella sincerità dell’accento.
Herriot

La critica si è divisa su due fronti, secondo due periodi cronologici, pre-wagneriano e post-wagneriano; gli uni lodavano Beethoven come culmine del punto di vista classico nei confronti della pura musica strumentale, gli altri lo salutavano quale precursore del romanticismo e apostolo della espressione soggettiva.  Entrambe le correnti hanno trovato soddisfazione ai rispettivi ideali nelle Nove Sinfonie.
Colles

Nel caso di Beethoven, credo che vi sia un preciso parallelo fra il carattere “difficile” dell’uomo e quello, sotto tanti aspetti difficile, delle ultime opere. Esse contengono molte pagine, come ad esempio il finale fugato della Sonata per violoncello e pianoforte Op.102 nr.2, o la Fuga che corona l’Op.106, senza contare la Grosse Fuge dell’Op.133, lontanissime dall’essere “belle” nel senso più ovvio e convenzionale del termine; tanto che per scoprirne bellezza e significato l’ascoltatore deve avere esattamente la stessa pazienza, perspicacia ed umiltà che sono necessarie  per scorgere, al di là  della discontinuità e rudezza apparenti del carattere di Beethoven, le sue qualità diamantine.
M.Cooper

A favore della distinzione, nella vita creativa di Beethoven, di un “terzo periodo”, che abbraccia approssimativamente l’ultimo decennio della sua vita, sta il fatto che nessuna delle composizioni che godono maggior favore fra (gli ascoltatori) profani di musica, fu scritta durante tale periodo.  Non vi sono concerti, e le sole opere di vaste proporzioni che utilizzino l’orchestra sono la Nona Sinfonia, la Missa Solemnis e l’Ouverture “Die Wehie des Hauses” Op.124. Le sonate per pianoforte Opp.101, 106, 109, 110 e 111, le Variazioni Diabelli Op.120, i Quartetti per archi Opp.127, 130, 131, 132 e 135, tutti rivelano i tratti caratteristici di uno stile in cui nulla è concesso all’ascoltatore, nulla è tentato per attirarne l’attenzione o mantenerne vivo l’interesse. Il compositore dialoga intimamente con se stesso tutto preso dalla pura essenza del suo pensiero e dal processo musicale; con la Nona Sinfonia e la Missa Solemnis Beethoven diede di fatto l’addio al grande pubblico, confinandosi all’introspettiva austera forma del quartetto per archi. Ben altri erano i suoi propositi: aveva in programma una Decima Sinfonia, di cui rimangono alcuni schizzi; un’altra Messa, un Requiem, un Oratorio; senza contare il progetto cui accenna in una conversazione del 1823: “Io non scrivo soltanto quel che preferirei scrivere, ma [anche] in considerazione del denaro che mi occorre. Non è però il caso di asserire che io scriva solo per il denaro. Superato questo periodo spero di poter finalmente scrivere ciò che vi è di più alto per me e per l’arte – Faust”.
M.Cooper

Le opere dell’ultimo decennio riflettono … il graduale nuovo orientamento di una personalità completa e matura … non spiegabile solo come il forzato rifugio di un sordo in un mondo tutto suo. Tale spiegazione … [non è accettabile per] quei movimenti virtuosistici come il Finale dell’Op. 106 e l’Allegro iniziale del’Op.111 … né per quell’opera dal carattere parlante, intimo e profondamente comunicativo [che è il Quartetto] Op.135. … Queste composizioni “comunicano” la prova di una vita interiore molto fervida, che trascende non solo i travagli fisici e mentali … ma anche i momenti di scoraggiamento interiore e il senso di solitudine che trovano espressione dell’Adagio dell’Op.106, o nella Cavatina dell’Op.130. Vi è forse qualcuno che dopo avere ascoltato queste pagine si senta malinconico, triste, afflitto da sconforto o da vaga nostalgia  come dopo l’ascolto di tante opere di Schubert, Schumann o Chopin? … Non ci colpiscono forse, più di ogni altra impressione, la lucidità estrema, l’energia vitale … con la certezza, a rigor di termini inesprimibile, che dietro quella reale tragedia v’è una gioia ancora più reale, duratura e infinitamente più importante? … Esse appaiono come la testimonianza della reale esistenza di un mondo che sta dietro i fenomeni quotidiani.
M.Cooper

Moritz Bauer ha messo in evidenza, negli ultimi quartetti e nelle ultime sonate per pianoforte, da un lato un’inclinazione all’astrazione, che si manifesterebbe nel ricorso a tecniche come il canone e la fuga; dall’altro lato un’aspirazione all’espressione vocale che si manifesterebbe nel recitativo strumentale e nella tendenza a dare, nei movimenti di sonata, un carattere cantabile e liederistico ai temi con una tendenza al rallentamento ed alla cantabilità. Nelle sonate più tarde infatti prevalgono tempi e caratteri come Allegro non troppo (Op.78); Mit Lebhaftigkeit und durchaus mit Empfindung und Ausdruck (Con vivacità ma sempre con sentimento ed espressione) (Op.90); Etwas lebhaft und mit der innigsten Emfindung (Un poco vivace – [tradotto anche Allegretto ma non troppo!] – e con il più profondo sentimento) (Op.101); Vivace ma non troppo (Op.109). Nella penultima sonata, Op.110, la cantabilità impronta di sé tutto il tema in modo tale che Beethoven completa la indicazione di tempo e di carattere “Moderato cantabile”, quasi non fosse abbastanza eloquente, con la aggiunta “molto espressivo”; non solo, nella sua grande preoccupazione per un’esecuzione adeguata precisa inoltre “con amabilità”. La cantabilità è accentuata ed evidenziata al punto che il concetto di tema si dissolve in quello di melodia.
Dahlhaus

Nel Quartetto in Mi bemolle maggiore (delle Arpe) Op.74, nel Trio L’Arciduca Op.97 e nelle Sonate per Pianoforte Op.78 e 90, Beethoven aveva assunto un “tono nuovo” che poi, per il fatto che fu ripreso da Schubert, diventò il “tono romantico”, senza che per questo Beethoven possa essere classificato fra i romantici.
Boyer

Modelli beethoveniani sono evidenti nelle tre ultime sonate per pianoforte e perfino in certi Lieder (Mignon, Die Wachtelschlag) di Schubert. L’andamento misurato del tempo lento della Settima Sinfonia echeggia nella sinfonia in Do maggiore di Schubert, nell’Italiana di Mendelssohn e nell’Aroldo in Italia di Berlioz. Le battute iniziali della Nona Sinfonia risuonano senza fine in tutta una serie di composizioni di Berlioz, Bruckner, Mahler, Richard Strauss. La Sonata al Chiaro di Luna fa un’apparizione nel coro dei Druidi della Norma di Bellini. Schumann trovò in “An die ferne Geliebte” molto su cui meditare. Dvoràk è impensabile senza la Sinfonia Pastorale.
Kerman e Tyson

In tutte le opere giovanili e nelle opere della più tarda maturità gli adagi sono il coronamento. Negli Adagi vi è tutto Beethoven, sfrondato da ogni elemento effimero e mortale. Codesti brani hanno in sé un elemento che cancella ogni impurità: è un superare le scorie terrestri, un inesauribile rinnovarsi nella sublimità del canto.
Specht

Certamente Mozart è “più bello”, ma Beethoven è più forte. Mozart, il massimo fra i dispensatori di gioia, parla ai felici; Beethoven ai bisognosi di felicità. Della propria musica ha detto lui stesso, con orgogliose parole, che nessuno dopo averla veramente conosciuta, potrebbe mai più sentirsi del tutto infelice. E a ragione. Poiché essa è annunzio per tutti i pellegrini di quaggiù, i quali lottano e soffrono; è palliativo per tutti i dolori, è possibilità di strapparsi da tutte le piccolezze e miserie della terra.
Specht

Il Prof. Dent nel suo “Terpander, or Music and Future“, si chiede se la musica di Beethoven “è ancora convincente per le orecchie moderne“. Se con questo l’autore intende il Beethoven del periodo di mezzo, il compositore del Concerto l’”Imperatore”, le Sonate “Waldstein” e “Appassionata”, i Quartetti Rasumovsky   e la Quinta o Sesta Sinfonia, egli ha certamente ragione. È musica che, pur con tutte le sue grandi qualità, è senza dubbio datata. Essa appartiene ad un periodo, parla lo stesso linguaggio, ed esprime dogmaticamente in musica le stesso ordine di idee e le stesse emozioni che Rousseau, Shelley e altri letterati del suo tempo hanno espresso con le parole – la fratellanza e la eguaglianza degli uomini, la perfettibilità della natura umana, e tutto il resto dei consunti slogan di quell’epoca che non hanno più alcun significato per noi, o quando lo hanno ci respingono per la loro inadeguatezza e evidente falsità. Ma se il Prof. Dent intende includervi anche la musica dell’ultimo periodo, noi dobbiamo dissentire energicamente. Infatti probabilmente la verità è che, contrariamente alle sue supposizioni, le ultime opere di Beethoven sono la sola musica che è ancora convincente per le orecchie moderne. Tutto lo Sturm und Drang della musica dell’ultimo secolo (il diciannovesimo), tutta l’inquietudine e i conflitti della musica del nostro tempo, sembra svanire nel nulla e nel silenzio davanti alla bellezza ultraterrena e alla serenità di certe musiche quale il movimento del quartetto in La Minore Op.132, ”Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito“. Vi è secondo noi un significato simbolico nel titolo di questo movimento. Noi tutti siamo convalescenti; il mondo sta soltanto ora emergendo da un parossismo di follia, animosità, guerra e disillusione, ed è questa musica, più di ogni altra che corrisponde alle nostre esperienze interiori, esprime i nostri pensieri più intimi, e soddisfa i nostri desideri più profondi e più sentiti.
Gray