Carattere, personalità, studi e cultura di Beethoven

Le citazioni dai Quaderni di Conversazione sono tratte dal volume: I Quaderni di Conversazione di Beethoven. A cura di G.Schünemann. Prima versione italiana a cura di Guglielmo Barblan. ILTE Torino 1868, nella quale il numero dei quaderni è in numeri romani (Quaderni I-XXXVII), e il numero delle voci dei singoli quaderni è in cifre arabe.

 

 
Beethoven fu, senza alcun dubbio, un genio con tutte le stimmate del genio: nevrotico, instabile, oscillante fra l’introspezione malinconica e la depressione da un lato e l’esplosione di episodi di entusiasmo e di esaltazione dall’altro, con la stima di sé stesso amplificata dalla solida convinzione del proprio valore, ma guastata da escursioni nella pietà di sé stesso. Era aggressivo, ipersensibile, inquieto, indisciplinato nel suo modo di vivere, rozzo e grossolano, con uno sboccato senso dell’umore, tortuoso, intollerante e talvolta ipocritico. Soffrì di molte malattie.
Il tentativo di capire o conoscere Beethoven attraverso dati scientifici, sue immagini o fatti della sua vita è certo fuorviante ed assurdo. Si è tentati di raccogliere tutto assieme, i ritratti romantici, i busti, le statue di bronzo, i cornetti acustici, gli occhiali e i pianoforti e di gettarli con impazienza nel Reno. Il monumento imperituro di Beethoven è la sua musica.  Là, nelle note, si sono rivelate le sue caratteristiche intellettuali. Beethoven è la musica.  Le sinfonie, i quartetti, le sonate, sono le strutture della sua conoscenza, la struttura del suo essere, racchiuse nei simboli che ci rivelano la verità nell’unico modo che conta. Perché cercare altro? Che cosa vi è da guadagnare facendo così, eccetto che soddisfare la nostra brama del tangibile e del visibile, il nostro amore sentimentale per un quadro? Se volete sentire la forza fisica e morale di Beethoven affondate la mano sull’accordo in Do minore che apre la Sonata Patetica! Se volete entrare in contatto col visionario poeta dei suoni, suonatevi l’Arietta dell’opera 111!
Barford [a]

 

Avevo circa 10 anni, racconta nelle sue Erinnerungen Carl Czerny, quando Krumpholz mi presentò a Beethoven. Ricordo la gioia e il timore di quel giorno. … Era un giorno di inverno quando, con mio padre e Krumpholz, partimmo da Leopolstadt, ove vivevamo, per andare in città, al Tiefer Graben ove  abitava Beethoven. [La visita ebbe luogo quindi fra il novembre 1800 e il marzo 1801 dato che Beethoven abitò a Greinersches Haus, Tiefer Graben nr.241, Terzo piano (oggi: Tiefer Graben nr.10), da gennaio 1800 alla primavera 1801]. Salimmo alcune ripide rampe di scale fino al quinto o al sesto piano. Un servitore piuttosto trasandato annunciò la nostra visita a Beethoven. La stanza era squallida e molto in disordine: carte, vestiti sparsi ovunque, alcune valigie, pareti spoglie senza sedie salvo quella del pianoforte Walter. … Nella stanza si trovavano alcune persone (fra le quali i fratelli Wranitzky, Süssmeyer, Shuppanzigh e altri). Beethoven indossava  giacca e calzoni del medesimo tessuto, di una ruvida e scura stoffa pelosa,  cosa che mi fece venire in mente l’immagine di Robinson Crusoe (che stavo leggendo in quei giorni). I capelli corvini, tagliati alla Titus, a ciocche incolte e folte. La barba, non rasata da alcuni giorni, rendeva scuro il suo volto. Notai immediatamente che aveva le orecchie tappate da batuffoli di cotone imbevuti di liquido giallo. Dovetti suonare qualcosa …. Beethoven mi venne vicino e cominciò a suonare con la mano sinistra i temi dell’orchestra … Le sue mani erano grandi e molto pelose.
Czerny
[Le citazioni di fatti o di opinioni riferiti da Carl Czerny (1791-1857), allievo e poi amico e collaboratore di Beethoven, riportate più o meno fedelmente da molti studiosi, provengono dalle sue Erinnerungen (pubblicate in varie lingue), e dal suo Metodo per Pianoforte Op.500. Molte interessanti osservazioni compaiono negli scritti rilasciati da Czerny a Otto Jahn e a Robert Cocks nel 1852: anche alcune delle informazioni contenute in questi due scritti sono state riferite, spesso senza citarne la fonte, in molti lavori, e furono pubblicate almeno in parte ad es. in Kerst. Io le ho potute leggere nella loro completezza negli scritti di Bottegal.]

[Negli schizzi di Lyser (Johann Peter Theodor Lyser, 1803-1870, lo scrittore, pittore e musicista danese che divenne sordo all’età di 16 anni), che ritraggono Beethoven in età avanzata, Beethoven ci appare con l’aspetto di un povero diavolo, dal corpo piuttosto robusto e tozzo e, in uno schizzo del capo, dalla barba non rasata. Si ha la sensazione scrive Barford, che la sciarpa avvolta attorno al suo collo non sia di una splendente pulizia … Certo viene fatto di chiedersi se dobbiamo credere a questi schizzi. Sembra infatti che Lyser non abbia mai incontrato Beethoven! Come dice Frimmel, probabilmente Lyser ebbe come modello qualche buon disegno su Beethoven. A detta di Gerhard von Breuning escluso il capo, giudicato mal disegnato, questi schizzi, corrispondevano molto alla realtà. Ed in effetti i disegni di Böhm e di altri rappresentano la figura di Beethoven allo stesso modo, e a questa figura corrispondono bene alcune delle descrizioni che di Beethoven ci sono state lasciate. In gioventù, ai tempi della sua frequentazione coi Breuning e nei primi anni di Vienna, Beethoven si era tenuto alla moda e si faceva elegante sotto lo stimolo dei suoi continui innamoramenti. Per un certo tempo egli cavalcava per le vie come un gentleman di città. Ma, come hanno sottolineato i suoi conoscenti e primi biografi questo stile di vita non ha sopravvissuto all’insorgere della sua sordità a trentun anni. Come hanno raccontato in molti, e come ci dicono anche certe sue lettere, con la malattia Beethoven divenne diffidente, scontroso, ebbe la tendenza ad isolarsi dalla vita sociale, crebbero l’introspezione e gli episodi di depressione, e come giustamente sottolinea Barford, e come risulta da parecchi resoconti lasciatici, vi fu una certa riduzione del controllo dei suoi istinti, cui conseguirono i noti episodi di aggressività anche nei confronti dei familiari e i comportamenti offensivi nei confronti dei suoi migliori amici.
Alla base di tutto vi era la sua irrequietezza di fondo che gli impedì sempre di trovare un equilibrio nella vita quotidiana, nei rapporti con gli altri, dalle donne da lui amate alle persone di servizio. von Seyfried ha definito una curiosa mania il suo continuo cambiar casa: ebbe più di trenta indirizzi a Vienna, per non contare i continui spostamenti estivi. Ma questo suo continuo cambiare alloggio era spesso dovuto a dissidi coi vicini, disturbati dai suoi comportamenti eccessivi, basta ricordare le descrizioni del suo modo di fare toeletta versando acqua a profusione sui pavimenti, e con i padroni di casa coi quali lamentava in continuazione, sebbene li scegliesse accuratamente, i difetti degli alloggi. La sua vita domestica fu caratterizzata, nonostante il racconto della sua regolarità nel lavorare, da una indisciplina e una intolleranza che allontanavano da lui, prima o poi, qualunque persona di servizio e che ci spiega il disordine in cui viveva, descrittoci da visitatori che, venuti a Vienna a conoscere il genio, restavano attoniti di fronte a tanto disordine. È certo impossibile immaginare Beethoven sposato e circondato da bambini.

Un capitolo a sé merita il  suo rapporto con gli editori verso alcuni dei quali dimostrò enorme diffidenza sia per quanto riguardava la qualità delle stampe sia per i rapporti monetari (tanto che con alcuni interruppe la collaborazione): riteneva di essere vittima di doppi giochi e di essere continuamente imbrogliato, anche se si deve riconoscere che a quell’epoca i diritti degli autori erano pochi e non riconosciuti e molti editori se ne approfittavano. Ma fu lui molte volte il maestro del doppio gioco con gli editori proponendo la stessa opera a più di uno contemporaneamente. Per non parlare della storia per la tutela del nipote che  egli, intollerante verso la moglie del fratello, che aveva soprannominato “la regina della notte“ condusse con violenza e senza esclusione di colpi. Al nipote Karl cercò di imporsi con una esasperato controllo, spingendolo alla ribellione, alla fuga e al tentativo di suicidio (che probabilmente fu solo un esercizio dimostrativo alla ricerca della libertà).
È più facile attribuire tutte queste caratteristiche al soggetto degli schizzi di Lyser, che  all’ispirata testa dipinta nel 1818-1819 da Ferdinand Schimon (cantante e pittore di corte, amico di Schubert, nato nel 1797 e morto nel 1852). Schimon ha colto qualcosa della essenzialmente solitaria natura di Beethoven screziata di severità e malinconia al tempo stesso; come scrive Barford “una sorta di indipendenza spirituale interiore, piuttosto che di isolamento sociale. Lyser ha dipinto il Beethoven delle passeggiate in campagna che nella pioggia, nel vento o nel sole si trova come a casa sua, o che tracanna vino in una taverna. Il solo fatto che noi abbiamo queste due immagini, così straordinariamente diverse che è difficile pensare che si tratti della stessa persona, significa che la domanda di fondo rimane senza risposta: a che cosa e a chi era in realtà simile Beethoven?”. È ben noto che ci è rimasta una lettera [K.342] attribuita al Maestro e indirizzata a Bettina Brentano von Arnim, dell’agosto 1812 (ma probabilmente scritta da Bettina stessa), in cui Beethoven scrive che del mondo “a me poco importa perché ho una mèta più alta”. Anche se la lettera è una invenzione di Bettina probabilmente ella aveva sentito il Maestro fare questa affermazione.]

Il poeta Johann Sporschil (1800-1863) pubblicò il 5 novembre 1823 un articolo su Beethoven da cui vengono riportati alcuni brani.
La vita di Beethoven è, come lui stesso ha detto, piuttosto una vita interiore. Gli avvenimenti del mondo esterno lo sfiorano appena; è tutto dedicato alla sua arte … che considera un dono divino, non un mezzo da cui ricavare gloria e danaro. … Non è capace di simulare … tanto da rompere le relazioni che contraddicono il suo concetto elevato di onore. Ciò che vuole lo vuole con forza, ma non vuole altro se non quello che è giusto. È un uomo che non tollera alcuna ingiustizia. Ha una affetto tenerissimo per le donne, e i sentimenti che egli prova per esse sono di una purezza virginale. [Evidentemente Sporschil lo conosceva meno bene dei suoi amici Wegeler e Ries o così era in età ormai avanzata!]. Tutti i suoi amici, prima o poi, hanno certo avuto l’occasione di provare la sua bontà. È ricco di umore e si esprime con mordente sarcasmo contro quelli che considera non degni della sua stima.
Dal suo aspetto fisico sprizzano forza e vigore. La sua testa ricorda i Bardi di Ossian dai grigi capelli. E in realtà i ritratti che si trovano in commercio ne rendono bene l’aspetto. … È straordinario che, sebbene sordo, quando si mette al fortepiano e si abbandona alla sua ispirazione, riesce ad esprimersi con dei piano dolcissimi.
Sporschil [da Prod’homme][b]

Un giorno, raccontò Karl van Beethoven, il nipote di Ludwig, eravamo a tavola. In quei giorni mio padre [Caspar Anton Carl] era molto ammalato [e infatti egli morrà nel 1815, poco tempo dopo questo episodio]. Entrò improvvisamente Beethoven strepitando “Ladro! Dove sono i miei spartiti!”, e iniziò a litigare con mio padre, separati a fatica da mia madre. Trovate le partiture Beethoven si tranquillizzò, e voleva chiedere perdono a mio padre che si mise di nuovo ad imprecare. Beethoven uscì di furia inseguito da mio padre che gli dava del “mostro”. Poco tempo dopo i due fratelli si rincontrarono per caso per strada. Ludwig si rese conto dello stato emaciato di mio padre, gli gettò le braccia al collo e si mise a baciarlo fra lo stupore dei passanti … A casa nostra certe scene da manicomio non erano rare.
Kerst [a]

Il musicista inglese Edward Schulz, che già aveva incontrato Beethoven nel 1816 lo rivide nel 1823 e così racconta la sua visita.
Il 28 settembre, al mattino presto, in compagnia di due viennesi, uno dei quali era l’editore Haslinger, mi recai a Baden. Con loro mi fu facile arrivare a lui. Mi guardò da prima fissamente, ma poi subito dopo mi strinse cordialmente la mano, come a una vecchia conoscenza poiché si ricordava perfettamente della mia prima visita. … Notai con gran dispiacere un profondo cambiamento nel suo aspetto. Temevo non comprendesse parola di quello che dicevamo, ma mi sbagliavo poiché capiva quello che gli dicevamo a voce molto alta e lentamente … Devo dire che quando suona il fortepiano pesta talmente forte che 20 0 30 (sic) corde ne sono il prezzo. Non vi è d’altra parte nulla di più spirituale, di più vivace, di più energico della sua conversazione. … Mi ha detto che si era sempre informato parlando con gli strumentisti delle caratteristiche e della estensione dei vari strumenti. Decidemmo di andare a far colazione nella Helenental … prendemmo il sentiero nella valletta. Mentre camminavamo si arrestava improvvisamente per mostrarmi i luoghi più belli o per sottolineare la bruttezza delle nuove costruzioni. Mentre facevamo colazione disse “l’uomo non si eleva molto al di sopra degli animali se il suo piacere maggiore è la tavola”. … Ho trovato poche persone che parlino a ruota libera come lui su qualunque argomento, politica compresa.
Le cose più interessanti furono quelle che, durante la colazione, disse a proposito di Händel. Non saprei descrivere con quale espressione, e oserei dire con quale esaltazione si è espresso a proposito del Messia. “ Händel è il più grande compositore che sia mai vissuto. Vorrei togliermi il cappello e inginocchiarmi sulla sua tomba”. Non riuscimmo a far cadere la conversazione su Mozart … ma Czerny mi ha detto che gli elogi di Beethoven per Mozart erano addirittura inesauribili. … Mi sono poi reso conto che lo si feriva quando si facevano tanti complimenti ai suoi Trii e al suo Settimino piuttosto che alle sue ultime opere, che per ora sono così poco comprese a Londra.  … È un grande ammiratore degli antichi, Omero, l’Odissea in particolare, e Plutarco sopra a tutti. … Ha una grande considerazione per il mondo anglosassone di cui ammira la semplicità dei costumi. … I suoi ritratti in vendita nei negozi di musica non gli assomigliano più ormai, devono essere stati fatti almeno da 8-10 anni.
Schulz [da Prod’homme][b]

La personalità di Beethoven era rozza, energica, impressionabile, eccessivamente reattiva, disinibita e grossolana. Tutti questi aspetti erano riuniti assieme in un fisico che era loro intonato. Egli era per istinto rustico, primitivo ed indomito. Una volta qualcuno ha osservato che la sua calligrafia era come una forza elementare. Ma espressa attraverso questa personalità vi era una mente potente, una straordinaria immaginazione e una sensibilità elevatissima e delicata.
Barford [a]

Oltre la musica, imparò soltanto a leggere, a scrivere, a contare e un pò di latino frequentando una scuola pubblica. Un ammiratore del suo genio fece di lui un dotto, in grado di comprendere il latino, l’italiano e il francese altrettanto bene come la sua lingua madre. Si sostenne addirittura che Beethoven avesse studiato la filosofia di Kant. La verità è che Beethoven non frequentò mai un ginnasio, che del latino comprendeva solo certe espressioni e che, con difficoltà, era in grado di parlare francese. Quando a Vienna furono tenute lezioni private su Kant egli non volle mai prendervi parte, neppure quando cercai di convincerlo.
Wegeler [a]
[In molti hanno sottolineato una  frase di Beethoven nei Quaderni di Conversazione, nr.22, primavera 1820, “La legge morale in noi; il cielo stellato sopra di noi. – Kant!!!”, adducendola a prova della sua conoscenza di certi principi della morale Kantiana. Ma pare che la frase sia stata trascritta, occasionalmente, da un articolo di un astronomo.]

Lei non può immaginare, caro Wegeler, quale indescrivibile, e vorrei dire orribile impronta ha lasciato su Beethoven il venire meno dell’udito. Lei conosce il suo carattere collerico, e dunque può ben figurarsi a cosa l’abbia condotto la sensazione di sentirsi colpito dalla sventura: chiusura, diffidenza, spesso anche verso i suoi migliori amici, irresolutezza in molte cose! Tranne alcune eccezioni, quando cioè si manifesta in maniera autentica la sua originale sensibilità, i rapporti con lui sono realmente faticosi. [Da una lettera, del 29 giugno 1800, da Vienna, di Stephan von Breuning a Wegeler.]
Wegeler [a]

Le eccentricità e la rudezza dei modi del nostro riverito Beethoven non hanno potuto nascondermi la grandezza e la nobiltà del suo carattere. (Da una lettera di Rochlitz a Schindler).
Schindler [a]

Himmel [Friedrich Heinrich Himmel, 1765-1814, pianista e direttore d’orchestra tedesco], una volta scrisse a Beethoven, avido di novità berlinesi, che la più straordinaria novità consisteva nell’invenzione di una lanterna per i ciechi. Beethoven diffuse rapidamente tale notizia e tutti volevano sapere come ciò fosse realmente possibile. Scrisse perciò subito a Himmel, affermando che, da parte sua, era stato negligente nel non avergli inviato altri chiarimenti. La risposta che Beethoven ricevette, qui non riportabile, pose fine per sempre alla loro corrispondenza, ma lo ricoprì di ridicolo, poiché egli fu talmente sconsiderato da mostrarla ovunque.
Ries [a]

[Beethoven ha scritto molte volte di voler cercare di aiutare, ogni volta possibile, l’umanità sofferente. Ma non si poteva certo definire un modello di contribuente, dato che cercava di sfuggire le imposizioni fiscali. Nel 1818 Beethoven scrisse una dichiarazione [E.1227] “Alle autorità fiscali dell’imperial regio governo della Bassa Austria” in cui diceva di “godere di un reddito annuo di 1500 (fiorini) all’anno  e non possedere nulla all’infuori di questo per cui debba pagare un’imposta”, mentre sappiamo che il vitalizio assegnatoli nel 1809 dai principi Kinsky, Lichnowsky e dall’Arciduca Rodolfo era di 4000 fiorini cui dovevano aggiungersi i guadagni della vendita delle sue composizioni! Schindler ha raccontato che doveva pagare 21 fiorini all’anno  di Klassensteuer (una via di mezzo fra imposta sul reddito e imposta sul censo) ma che “questi 21 fiorini provocavano durante tutto  l’anno  21.000 allusioni e battute di spirito”. ]

[Si è molto parlato della conoscenza che Beethoven avrebbe avuto della filosofia Kantiana. E qualcuno ha scritto che aveva letto Kant e ne era buon conoscitore. Questa idea è stata da alcuni avvalorata dal fatto che in un Quaderno di Conversazione del 1820 si trova la seguente citazione “La legge morale in noi e il cielo stellato sopra di noi. Kant !!”. Ma pare che Beethoven non l’avesse tratta dalle sue letture di Kant: l’aveva trovata citata in un articolo dell’astronomo Littrow, direttore dell’Osservatorio di Vienna, pubblicato su Kosmologische Betrachtungen, nel 1820.]

A proposito della sua calligrafia, in vero del tutto illeggibile, spesso si prendeva in giro, e aggiungeva come scusante: ”La vita è troppo breve per dipingere lettere e note: e note più belle difficilmente mi toglierebbero dal bisogno”.
[La frase è basata sul gioco di parole derivante da i termini Note=Nota musicale e Not=bisogno, necessità.]
von Seyfried [a]

Beethoven grande odiatore di borghesi, celibatario ostinato, che ha raccolto sì qualche rifiuto, ma che almeno una volta, si è rifiutato lui all’amore; memore dei suoi infortuni sentimentali assai più che non dei suoi successi; selvaggio e un pò assurdo; che in fondo non ha mai avuto un amico perchè amicizia vuol dire anche servitù.
Confalonieri [a]

Vi è in Beethoven una sorta di voluttà del dolore. La malinconia è propria di un animo così ricco, così sincero, così chiuso in sé. “La mia esistenza, confidava Beethoven al giovane poeta Johann Sporschil, è una meditazione costante”.
Herriot [a]

La musica di Beethoven con ciascuna sua nota, si illumina di un chiaro intento benefico. Al di là di quanto essa edifica come avventura della fantasia, la musica di quest’uomo solitario deriva la sua novità dalla fiamma di amore che la ha dettata.
Confalonieri [a]

Il Beethoven degli anni avanzati venne così descritto da Schindler.
Tarchiato di corporatura, con ossatura forte e sistema muscolare robusto. La testa era insolitamente grande, coperta da capelli lunghi, arruffati, quasi del tutto grigi, che gli ricadevano sulla fronte e gli davano un aspetto un poco selvaggio, aspetto ancora più marcato se aveva la barba lunga … La fronte era però ampia, gli occhi marroni erano piccoli … Tuttavia potevano apparire improvvisamente grandi e prominenti; mobilissimi, con pupille quasi sempre rivolte in alto, parevano lanciare dei bagliori; altre volte aveva gli occhi immobili fissi in avanti … La bocca era ben disegnata, le labbra regolari, il naso piuttosto grosso. Il suo incarnato aveva una sfumatura giallastra, meno evidente in estate per le lunghe passeggiate all’aperto; in questi periodi le guance apparivano di colorito roseo o brunastro, scurite dal sole.

Kerst [a]

Il “grande cuore di Beethoven” scrisse  Wittgenstein. Ed in effetti nel cuore di Beethoven c’è qualcosa di impressionante: ed è il sentimento della lotta, della lotta per credere in qualche cosa.
Siciliano [a]

(Nei primi anni viennesi) le molli seduzioni di Vienna l’avvolgono e lo conquistano: ma una crisi terribile lo fa ripiegare su se stesso, crisi fisica e morale che, dopo aver covato a lungo, esplode nel 1802. La sordità, che lo minacciava dal 1796 o 1797, si installa nelle sue orecchie: da prima lotta, simula, vuole ingannare gli altri e se stesso, finge di essere distratto, ma in vano; la verità impietosa è là: non sente più.  Allo stesso tempo s’innamora di Giulietta Guicciardi “magica fanciulla“: crede di esserne amato, malgrado la diversità delle loro condizioni sociali, e dimentica il suo male.  Ma ben presto la civetta gli sfugge, per sposare quell’avventuriero di Gallenberg. Malato, infermo, tradito, ferito nel corpo e nell’anima, Beethoven sogna di morire. Plutarco lo distoglie. Per obbedire a lui Beethoven, quando ogni cosa lo abbandona, cerca una nuova ragione di vita; la trova nella sua arte. “La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto,” scrive nel testamento di Heiligenstadt, “Ah mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo prima di avere creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre”. La musica ormai sarà per lui al posto di tutto, della salute, dell’amore, del piacere, delle distrazioni. Soltanto quest’arte non rassomiglierà più a quello che è stata fino ad ora, un modo di distrarre gli amatori. Separato dal mondo per la muraglia, ogni giorno più spessa, della sua sordità, respinto da Giulietta, egli confiderà alla sua arte le sue pene e le sue gioie. Così alla fine del 1802, si dichiara poco soddisfatto delle sue opere precedenti e annuncia una nuova maniera, le cui primizie sono la Sonata Op.31 nr.2 e la Sinfonia Eroica. A partire da questo momento, man mano che egli approfondisce e rinnova la sua arte, Beethoven vi scopre una sorta di filosofia che fu la sua religione e la sua morale. L’arte diviene il mondo ideale, il solo in cui trovare degli amici, e che si deve creare lui stesso: “Trasportarsi nel cielo dell’arte; … non vi è gioia più pura di quella che viene da là“. “La musica è una rivelazione più alta della saggezza e della filosofia“. “Non vi è nulla di più alto che avvicinarsi alla divinità più degli altri uomini, e di spargere da là i raggi di questa divinità sulla razza umana“. Ma l’artista è costretto ad uno sforzo senza fine che non lo eguaglierà mai all’infinito, ma che ve lo avvicinerà indefinitamente. Nel 1812 scriverà: “L’artista vede che l’arte non ha limiti; egli sente oscuramente quanto è lontano dalla meta, e mentre può essere che altri lo ammirino, egli deplora di non essere ancora arrivato laggiù ove un miglior genio non brilla per lui che come un sole lontano”. L’artista, se non riposerà mai nella terra promessa che la sua immaginazione intravede, può alleviare i tormenti che lo opprimono, e giungere alla gioia “attraverso il dolore“.
Chantavoine [a]

“Di Principi ce ne sono e ce ne saranno delle migliaia – di Beethoven non ce n’è che uno”, aveva gridato una volta al Principe Lichnowsky, suo protettore ed amico. Egli si rifiutava di riconoscere ciò che un uomo è per casualità di nascita e per l’importanza della condizione sociale cui appartiene.
Magnani

In una lettera a Wegeler, del 29 giugno 1801,[K.52] Beethoven accenna alla sua sordità: “Soltanto il Demone invidioso, la mia cattiva salute, mi ha gettato una mala pietra sul banco”.  Egli era stato colpito nel senso che avrebbe dovuto essere in lui più perfetto che in altri. La sordità lo getta in preda alla disperazione, gli fa maledire la sua propria esistenza ed il Creatore. Egli si sente abbandonato. Ma sarà dal fondo di quella stessa rovina, sarà dalla dura prova inflittagli, che scaturisce l’impulso a sfidare la sorte, ad affermare con disperato vigore la propria energia creatrice, a credere che la fortuna non lo abbandonerà. Beethoven non vive più che per il suo lavoro, cui non concede altra sosta che il sonno.  Scrive ancora a Wegeler, il 16 novembre 1801: “Voglio afferrare il destino alla gola; non riuscirà certo a piegarmi e ad abbattermi completamente”. Ed ancora: “Oh, è così bello vivere mille volte la vita”. “La forza è la morale degli uomini che eccellono sugli altri, ed è anche la mia”.
Magnani [a]

Essere libero significò per lui, come per Voltaire, come per Kant, “volere ciò che si deve”.
Magnani [a]

Decisamente non era un homme d’esprit, se con questo si indica uno che dice cose fini ed intelligenti.
Barone di Trémont [a]

Fra gli autori che più profondamente incisero sulla formazione [di Beethoven] va annoverato Kant, teorico della legge morale, del principio secondo cui la sacralità dei doveri non nasce né da imposizioni sociali né da principi religiosi, ma dalla stessa libertà dell’uomo che, proprio perché libero, non può fare a meno di scegliere la più razionale e la più necessaria delle leggi. A questo imperativo categorico Beethoven rimase legato per la vita.
Baroni [a]

Beethoven (cui fu negata una fanciullezza come quella di Mozart, piena di affetti casalinghi e segnata di gioie), nel primo uomo da lui conosciuto, vale a dire nel padre, incontrò una specie orribile, un manesco ubriacone. Nella sordida casa vide sparire la luce materna e fu precocemente istruito intorno alle avversità della vita. Egli entra in questo mondo con la coscienza precisa di doverlo combattere per edificarne uno nuovo. Se si presenta trasandato, ed anche sporco, nei palazzi aristocratici di Vienna, egli non vuole offendere nessuno. Desidera soltanto di non mentire e pretende che ciascuno mostri quello che effettivamente possiede. Dotato di un carattere così fiero e di un così splendido egocentrismo, preoccupato di essere “lui” fino quasi alla turbolenza e alla ferocia, Beethoven ha disseminato la sua vita di invettive e di urli di spasimo, di risate laceranti e tragiche, di suppliche e pentimenti.
Ha negato di essere mai stato allievo di Haydn (che tanto se ne avvilì). Era la sicurezza di sapere dove lui attingeva le ragioni della sua musica; la fede superba in una nuova genesi musicale; l’idea che la sua vita, la sua persona fisica, la sua costituzione morale e il suo spirito erano i soli fattori di quel prodotto irripetibile che è la sua creazione estetica. È come se, nel Testamento di Heiligenstadt, Beethoven cercasse di giustificare  “la ruvidezza, la scontrosità, la misantropia”, delle quali si sente colpevole, e dicesse: Tutto quanto io opero nella mia musica di caritatevole e di fraterno non è un accidente dell’arte o una trasfigurazione misteriosa di cui l’arte benefica i suoi seguaci, ma è il vero me stesso.
Confalonieri [a]

Nel silenzio in cui la sordità lo aveva relegato come in un deserto, nessun rumore, nessuna voce umana poteva giungere sino a lui.
Magnani [a]

In tal modo io non sono del tutto separato dal mondo e da coloro che mi amano. Ho qui il mio libro, qui c’è l’occorrente per scrivere, così lei può rispondere per iscritto ad ogni mia domanda.
Beethoven, dai Quaderni di Conversazione
 
Ha approfondito tutti i dati dell’arte sua con tale coscienza da potergli far dire una volta, a proposito di Napoleone: “Ecco, se fossi esperto di guerra come sono esperto di musica, a sconfiggere quest’uomo invincibile ci penserei io.”
Confalonieri [a]

L’abilità di improvvisatore di Beethoven era molto ammirata. Egli riusciva a creare i più straordinari effetti partendo dai motivi più insignificanti e poteva continuare a sviluppare un tema indefinitamente. Qualunque tema, anche un tema di una parte di violoncello rovesciata, poteva accendere la sua fantasia e gli permetteva di stupire gli ascoltatori, [come fece nella famosa serata a casa Fries. Quella sera Steibelt, aveva cercato di superare Beethoven nella gara di improvvisazione con un’esecuzione ‘preparata’ su un tema di Weigl, che era stato usato da Beethoven in suo Trio eseguito poco prima. Beethoven prese, a caso, una serie di note dalla parte di un quintetto per violoncello di Steibelt e lo ridicolizzò umiliandolo e surclassandolo nella gara di improvvisazione]. Beethoven non mostrava molta sensibilità nei confronti dei sentimenti degli altri; quando, come in questa occasione, la sua reputazione veniva messa in dubbio, egli non guardava in faccia nessuno, e qui avrebbe considerato ogni gentilezza verso Steibelt, ipocrita. Si capisce così come egli avesse tanti nemici.
B.Cooper [a]

Quando non era ancora afflitto dai suoi acciacchi  [e qui von Seyfried allude alla sua sordità] Beethoven assisteva sovente e volentieri a rappresentazioni di opere, specialmente al Theater an der Wien, anche perché poteva sfruttare il vantaggio che mettendo il piede fuori dalla sua stanza si ritrovava in platea.[Beethoven abitò al teatro nel periodo fine 1804-autunno 1805.] Lo incantavano particolarmente le opere di Cherubini e Mehul … Si metteva dietro la balaustra dell’orchestra e, silenzioso come un idolo, stava là fino all’ultima nota. Era questo l’unico segno che l’opera gli suscitava interesse. Se al contrario non gli piaceva faceva dietrofront e se ne andava già alla fine del primo atto. Era difficile, se non impossibile, leggergli in faccia segni di approvazione o di disapprovazione; rimaneva sempre uguale, apparentemente freddo e altrettanto riservato nel giudizio sui suoi compagni d’arte …
von Seyfried
    
Beethoven, come con esattezza lo descrisse Seyfried, era di “corporatura tarchiata, e statura media, massiccio d’ossatura e di grande vigore: un’immagine di forza”.
Wegeler

Nel 1802 il Conte von Browne chiese a Beethoven tre marce. Beethoven ne compose una mentre dava una lezione a Ries (che non si poté mai spiegare come facesse). Poi, racconta Ries io e Beethoven stavamo eseguendo una delle marce a quattro mani Op.45, a casa del Conte Browne, quando il giovane conte Palfy, nel passaggio che dava sulla stanza laterale, si mise a parlare con una bella signora così ad alta voce e così liberamente che Beethoven, rimasti senza esito parecchi tentativi di riportare il silenzio, improvvisamente, nel bel mezzo dell’esecuzione, mi spinse via la mano dal pianoforte, balzò in piedi ed esclamò con tono di voce assai alto: “Per tali maiali non suono”. Tutti i tentativi di riportarlo al pianoforte risultarono vani.
Ries

Beethoven non può dirsi un filosofo, le sue meditazioni mancano di una sintesi. Ma egli amò profondamente le idee e cercò di chiarire il rapporto fra sé  stesso e la creazione artistica. I sui libri preferiti comprendevano le “Critiche” di Kant, “La filosofia delle idee” e “L’idealismo trascendente” di Schelling, “L’imitazione di Cristo”, le opere dei poeti che, oltre il puro intento estetico, prospettano problemi di indole assoluta ed eterna, Klopstock, Shakespeare, Goethe, Novalis. Ma l’interesse maggiore di Beethoven era forse per il pensiero dell’antichità classica e in particolare per il movimento stoico. Ai suoi occhi lo stoicismo rientrava in quella concezione generica del mondo antico, inteso come sede di un’umanità superiore, come metro di dimensioni morali più vaste. L’insieme di queste dottrine ateniesi si armonizzava col suo modo categorico di assumere la verità morale, di identificare nello spirito nostro una scintilla di Iddio.
Confalonieri

[Come hanno ricordato molti studiosi Beethoven non fu un filosofo, e probabilmente non ebbe una vera cultura filosofica; ma pare che egli abbia sempre avuto un certo interesse per il pensiero dei grandi pensatori europei e orientali. Nella sua lettera a Breitkopf e Härtel del 2 novembre 1809 [K.209] scrisse: “Ancora una cosa. Non esiste forse alcun trattato che sia troppo dotto per me; anche senza la minima pretesa di farmi una vera erudizione sin dall’infanzia tuttavia mi sono sforzato  di comprendere il pensiero dei migliori e illuminati di ogni epoca. Vergogna per un artista non ritenere suo dovere arrivare almeno fino qui”. Conscio della limitatezza della cultura acquisita negli anni giovanili, perché la sua frequentazione delle scuole fu limitata alla classi inferiori, cercò di leggere molto; la sua attenzione e il suo interesse sono dimostrati dal fatto che egli spesso sottolineava o copiava i detti filosofici che lo colpivano maggiormente; molti di questi si trovano nel suo Tagebuch 1812-1818.
In una lettera a Goethe [8 febbraio 1823, K.1070] Beethoven aveva scritto: una [sua] critica, che si potrebbe considerare quasi la verità, mi sarebbe estremamente gradita, perché io amo quest’ultima [cioè la verità] sopra ogni altra cosa”. Come ricordava B.Cooper, sovente Beethoven si è proclamato un paladino della verità, anche se a questo suo amore per la verità non si è sempre accompagnato un comportamento altrettanto schietto, come ad esempio quando promise la Missa Solemnis contemporaneamente a quattro diversi editori.
Perseguire la virtù, fare del bene, agire nobilmente sono principi morali che affiorano sovente negli scritti di Beethoven. Più volte, fin dalla fanciullezza, egli ha espresso il desiderio di aiutare i bisognosi e di vivere per gli altri. Il modo più semplice e congeniale per questo era per lui dare dei concerti per beneficenza o lasciare la disponibilità di libere esecuzione delle suo opere a istituzioni benefiche, quali le Orsoline di Graz.
Come ha acutamente osservato B.Cooper egli metteva grande energia e attenzione oltre che in tutto ciò che faceva anche in queste sue attività benefiche. Questa sua attitudine, dice B.Cooper, si ritrova nella sua musica, che rispetto a quella di tutti i suoi contemporanei, è una musica colta, difficile, nobile, di stile elevato. Anche in musica la sua vita fu una ricerca continua di qualche cosa di sempre migliore, di più elevato che si avvicinasse alla perfezione; ogni composizione gli costò certo uno  sforzo enorme come è dimostrato dagli infiniti schizzi preparatori, elaborazioni e modifiche finali anche solo di poche note. Talora piccole modifiche venivano comunicate all’editore anche dopo che i manoscritti erano stati inviati per la stampa. La musica per lui era un’arte nobile e che elevava lo spirito: “… soltanto l’arte e la scienza innalzano l’uomo fino alla divinità.” [Lettera a Emilie M., 17 luglio 1812, K.338].
Da queste idee derivava il suo concetto di nobiltà. In una lettera del 1823 [K.1122] scrisse a Schindler: “Per ciò che riguarda l’essere nobile credo di averle dimostrato a sufficienza  che io lo sono per principio, ed ella dovrebbe avere osservato che io persino riguardo ai miei principi non ci sono mai passato sopra. Sapienti sat.”. In questo egli seguiva una corrente di pensiero che andava affermandosi in Francia e in Germania ad opera di Russeau e Kotzebue per cui  l’aristocrazia non poteva essere ereditaria, doveva essere basata sul merito e non sulla nascita. La nobiltà era per Beethoven un qualcosa che si conquistava con la propria opera e non poteva essere trasmessa per diritto ereditario. Filosofi, poeti, pensatori, artisti, politici illuminati costituivano una classe di esseri superiori, alla quale lui naturalmente apparteneva. Non avrebbe potuto legarsi di amicizia che con esseri appartenenti a questa classe [anche se poi si scopre che talora, per motivi di comodo, si legò con individui che poco potevano dargli sul piano spirituale.] Questo concetto, che lo accompagnò per tutta la vita, lo aveva espresso in una lettera a Ferdinand Ries del 24 luglio 1804, [A.94]: “A fondamento dell’amicizia è necessaria la più grande affinità delle anime e dei cuori”. “L’autentica amicizia può fondarsi soltanto sul rapporto di nature simili” ribadiva, nel suo Tagebuch, nel 1817.]
 
Per Beethoven la libertà è l’impulso umano più nobile e più istintivo. Un giorno vedendo passare per strada un soldato ha detto “Ecco uno schiavo che si è venduto per tre Kreutzer al giorno”. Ma invettiva e perdono, condanna e misericordia prendono sulla sua bocca un accento solenne: “anche nella sua caduta l’umanità mi è sacra”. La sua è una vera democrazia, assai più importante che la repulsione verso i formalismi di casta o i cento episodi d’insofferenza, basata sulla fede in una forza primigenia che ci chiama al bene. Egli dice: “Non riconosco che una superiorità nell’uomo: la capacità di essere onesto. La dove c’è un onesto io pongo il mio focolare”.
Confalonieri
 
Forte della sua coscienza di artista, quando gli dissero che un suo quartetto non era piaciuto al pubblico, rispose: “Io soltanto sono giudice di ciò che faccio e di ciò che mi par degno e giusto”. Il compositore che “scrive per denaro” gli sembra indegno di appartenere alla comunità dell’arte; ed egli stesso se, spinto dal bisogno, deve interrompere un lavoro per un altro di più facile smercio si ritiene colpevole di tradimento.
Confalonieri

Nell’agosto del 1825, durante una passeggiata pomeridiana in compagnia dei miei genitori, ebbi la ventura di conoscere Beethoven. Vedemmo venirci incontro con passo risoluto un uomo che avanzava solitario; era di aspetto robusto, di statura media, energico nel portamento come nei suoi movimenti; indossava abiti appena borghesi, privi di eleganza, e tuttavia dalla sua figura emanava un qualcosa di eccezionale. Parlò senza mai interrompersi, informandosi sulla nostra salute, su come vivevamo, chiedendo notizie.
von Breuning

Le qualità del carattere di Beethoven erano la più grande generosità d’animo e la delicatezza dei sentimenti, unite ad un temperamento facilmente irascibile, a diffidenza, al distacco dal mondo esterno, spesso accompagnati da un gusto sarcastico. La sua grandezza d’animo appare dalle sue lettere che attestano di quale nobile animo fosse. La sua diffidenza nasceva dalla sordità; agli scatti di collera, in cui esplodeva facilmente, poneva rimedio ogni volta nel modo più affettuoso con il pronto riconoscimento e persino l’esagerazione della mancanza che poteva aver commesso verso qualcuno.
von Breuning

Il suo distacco dal mondo esterno si manifestava talvolta con stranezze straordinarie. Ad esempio, quando in estate durante le passeggiate sentiva troppo la calura, non esitava a liberarsi quasi completamente dei vestiti per portarli appesi ad un bastone sulle spalle. Era molto sbadato. A Vienna mise l’incasso dell’esecuzione della Battaglia di Vittoria Op.91 in una busta, che infilò trascuratamente sotto il cappotto, perdendola. La busta gli fu riconsegnata da un passante ed egli la riprese con poche parole di ringraziamento senza dare alcuna importanza al fatto.
Il manoscritto della Missa Solemnis in Re maggiore fu smarrito, con costernazione di Beethoven, durante un trasferimento in campagna, ma ritrovato per caso in cucina. La cuoca lo aveva usato per impacchettare il burro ed altre cose.
Accadeva che, durante un colloquio, e discuteva vivacemente, camminando su e giù per la stanza, sputasse sullo specchio anzi che fuori della finestra.
Un giorno alle dodici entrò nel ristorante “Schwan” per mangiare. Per chiamare il cameriere che tardava batté sul tavolo un paio di volte, e nell’attesa, estrasse il suo quaderno di musica iniziando a comporre. Giunto il cameriere per l’ordinazione non se ne accorse. Il cameriere se ne andò. Beethoven continuò a scrivere e dopo un pò batté di nuovo sul tavolo e chiese il conto.
von Breuning
           
Le sue stranezze e le sue distrazioni divennero note nei locali che più frequentava, e così gli si lasciava correre qualsiasi cosa, persino se non pagava al momento di andarsene.
Ries

[I rapporti del compositore con i suoi protettori si modificarono  poco a poco nei primi anni del 1800 quando Beethoven raggiunse un certo grado di indipendenza economica che gli permetteva di sentirsi uomo ancora più libero di quanto si sentisse prima. Alcuni episodi nei suoi rapporti col principe Lichnowsky, dal quale,  non dimentichiamo, Beethoven continò a ricevere un vitalizio almeno fino al 1806, sono indicativi di questo. In vari scritti su Beethoven si ricorda il carattere protettivo della famiglia Lichnowsky nei confronti di  Beethoven cosa che il maestro  tollerava a malincuore.  Beethoven cercò di affermare più volte la sua indipendenza. Ne furono tipici segnali il rifiuto di Beethoven a servirsi dei camerieri del principe e quanto accadde negli 1805-1806. Röckel ha raccontato nelle sue memorie di avere assistito nel 1805 ad una scena in cui Beethoven lasciò il principe e la principessa fuori della sua porta e, caparbiamente, solo dopo molte insistenze acconsentì a trascorrere la giornata con loro accompagnandoli in una gita in campagna. Fra l’altro certi  strani comportamenti del maestro e la sua apparente insocievolezza fecero sì che si dicesse in più di una occasione che Beethoven fosse matto. Contribuì a questa diceria proprio quanto accadde in occasione di un altro episodio di ribellione ai desideri di Lichnowsky.
Il dr. in medicina Max Ring (1817-1901) parlò con l’uomo che custodiva il castello dei Lichnowsky a Grätz, vicino a Troppau, dove Beethoven soggiornò nel 1806, ospite del principe.  Ecco, in sintesi, cosa accadde e cosa ha lasciato scritto il dr. Ring nelle sue “Erinnerungen” (Memorie), pubblicate a Berlino nel 1898.
Il vecchio ci raccontò molte cose sul famoso compositore. Era sua ferma convinzione che Beethoven non fosse del tutto normale, dato che girava per ore nel grande parco del castello a capo scoperto,  incurante di lampi, tuoni o temporali. A volte invece se ne stava  chiuso in camera per giorni interi, senza incontrare nessuno e senza dire una parola. Ma i segni più evidenti della pazzia Beethoven li diede quando, dopo la vittoria di Austerlitz, i francesi occuparono Grätz. Il Principe Lichnowsky invitò ad una serata il generale francese, signore molto fine e grande appassionato di musica, che sperava di conoscere e sentir suonare Beethoven. Ma il Maestro non si presentò nonostante il principe avesse mandato a chiamarlo ripetutamente. Alla fine, un maggiordomo tornò con la notizia che il Maestro aveva lasciato il castello. Beethoven aveva lasciato una lettera in cui diceva di non poter suonare per i nemici della sua patria, ed era fuggito da Grätz, a piedi, in quella fredda notte d’inverno; e questo secondo il castellano era la più bella prova della sua follia.

La storia è raccontata in modo un poco diverso da Th. Von Frimmel, nel suo “Ludwig van Beethoven”, Berlino 1912, in cui cita un resoconto scritto del dr. Anton Weiser, direttore dell’ospedale di Troppau. Beethoven partecipò alla cena in onore degli ospiti francesi, alla quale partecipò anche il dr. Weiser che si allontanò però prima della fine per motivi professionali. Weiser ebbe poi il racconto dei fatti direttamente da Beethoven. Al momento di suonare, Beethoven, chiuso in una stanza, non si faceva trovare e si rifiutò di fare ciò che definì come un lavoro servile. Ne seguì una lite assai violenta in cui vi fu il rischio che si passasse a vie di fatto. Beethoven afferrata una sedia stava per darla sulla testa al principe Lichnowsky, che aveva fatto forzare la porta della stanza nella quale Beethoven si era rinchiuso; i due furono separati dal conte Oppersdorf che si interpose fra loro. Beethoven fece subito preparare i bagagli e corse a piedi, nonostante un violento temporale, fino a Troppau per chiedere alloggio per la notte al dr. Weiser. Fu a causa di quell’acqua che il manoscritto della Sonata Op.57, che Beethoven aveva con sé, fu danneggiato. Fu in questa occasione che, prima di partire per Vienna, Beethoven disse o scrisse al principe la famosa frase o lettera [E.258]: “Quello che lei è, Principe, lo è per caso e per nascita. Quello che sono io lo sono per me stesso. Di principi ce n’é e ce ne saranno ancora migliaia; di Beethoven ce n’è uno solo.”  Questa volta la rabbia di Beethoven non sbollì, come si dice accadesse al solito, in pochi minuti. Giunto a Vienna ridusse in frantumi un busto del principe che teneva in casa. Sebbene il rapporto col principe sia stato poi ricucito, fra di loro l’atmosfera non fu più quella di un tempo. Dopo di allora Lichnowsky si recava ancora a trovare Beethoven nella sua stanza, ma talvolta Beethoven si rifiutava di vederlo e il principe senza protestare, se ne andava. Una tradizione esagerata vuol far risalire al freddo patito in quella marcia dal castello a Troppau, l’aggravamento della sordità di Beethoven. (Da Kerst, Frimmel, Roeckel)].

Beethoven era cresciuto in estreme ristrettezze economiche e sempre sotto tutela, sia pure solo quella di amici. Non conosceva il valore del denaro, col quale si comportava con un atteggiamento per nulla oculato. Quanto al denaro che riceveva per le sue opere (“l’onorario avec ou sans honneur”, come scrisse in una lettera a Ries) era più frequente il caso che fosse suo fratello Caspar a negoziarne l’entità.
Del resto sottoscrivo senza indugi l’affermazione di Seyfried secondo cui “A Beethoven erano estranee sia l’ambizione(!), sia l’avarizia(!) che la dissipazione. Altrettanto poco noto gli era però il vero valore del denaro, che egli considerò solo quale mezzo per acquistare ciò che assolutamente gli era indispensabile. Solo negli ultimi anni si mostrarono in lui tracce di un’ansiosa parsimonia, che peraltro non intaccarono la sua innata propensione a far del bene.
Wegeler

 

Nel 1860 Grillparzer, il poeta amico di Beethoven, disse a von Breuning: “Beethoven scherzava spesso e volentieri, in un modo che contrastava con le abitudini della vita di società. I suoi umori talvolta degeneravano in sgradevoli atteggiamenti e tuttavia, anche in quelle circostanze, vi era in lui qualcosa di toccante e di solenne per cui era impossibile non continuare a stimarlo e a subire il suo fascino.  Nell’intimità Beethoven mostrava il suo vero carattere dando agli amici continue prove del suo affetto”.
von Breuning

[Descrizione rilasciata da Frau von Bernhard, una dama che da bambina era venuta a Vienna per studiare il pianoforte].
Quando Beethoven veniva da noi era solito affacciarsi sulla porta in modo da verificare che non vi fosse alcuna persona sgradita. Era di bassa statura, e poco appariscente, il volto bruttissimo, rossiccio e butterato. Aveva capelli scurissimi, quasi arruffati, che ricadevano sul viso. I suoi vestiti erano molto comuni … Parlava molto in dialetto e si esprimeva in modo abbastanza grossolano; non pareva una persona molto educata, anzi appariva sgarbato nei modi e nel comportamento. Era molto orgoglioso; ho visto la madre della principessa Lichnowsky, la contessa Thun, inginocchiarsi davanti a lui, che se ne stava sprofondato in un divano e pregarlo perché suonasse qualcosa. Ma Beethoven si rifiutò …
Spesso venivo invitata dai Lichnowsky per suonare con loro … Beethoven era quasi sempre presente quando si faceva musica. Mi ricordo ancora che Haydn e Salieri erano sempre inappuntabili nel loro modo di vestire, un pò fuori moda, con parrucca, scarpe e calze di seta. Beethoven era di solito vestito in modo quasi trasandato, secondo la moda meno formale di oltre il Reno.
Kerst

[Il barone Carl Friedrich Kübeck von Kübau, ufficiale del governo austriaco, ha scritto nel suo diario:]
Mia zia, che abita al Bürgerspital, faceva spesso visita alla famiglia Müller, che abita al piano sopra al suo. Il padre [attore] ha fama di grande artista, ma mi dà l’impressione che stia sempre recitando una commedia. Dei due figli, uno è anche lui attore, ma molto mediocre, l’altro è del tutto privo di qualità. Ci sono anche due figlie, una  bella e sposata, l’altra ha un naso un pò troppo grande ma è molto spassosa. Da loro si fa sovente musica. Hanno un nuovo strumento, un fortepiano, costruito dal sig. Walther … Una volta vi trovai l’eroe della musica, Ludwig van Beethoven. Un uomo piccolo, dai capelli incolti, scompigliati e senza cipria; ha il viso rovinato dal vaiolo, occhi piccoli e vivaci e gli arti in continuo movimento. Si sedette al fortepiano e per una mezz’ora suonò lo strumento padroneggiandolo in maniera straordinaria. Nina, la figlia simpatica, mi presentò al grande Maestro come un giovane artista appena arrivato dalla provincia. Beethoven mi guardò con compatimento e mi disse: “Vedremo se questo ragazzo ha talento musicale. Venga da me domani”. Il 5 aprile [1796] vi andai. Mi fece suonare per oltre un’ora diversi pezzi. Alla fine mi disse: “Mio caro, voi non possedete una particolare disposizione per la musica. Non perdeteci dietro troppo tempo, anche se non vi mancano una certa abilità e una certa maestria”. E a questo punto Beethoven mi incaricò di far da ripetitore ad una sua allieva, cui dava lezioni ma non in numero sufficiente per farla progredire, onde la facessi esercitare ogni giorno e imparasse l’esecuzione dei pezzi che Lui poi le avrebbe insegnato ad interpretare! …
Chi vede Beethoven per la prima volta e ignora tutto di lui, lo potrebbe giudicare uno stravagante litigioso, un ubriacone maligno, che gioisce dei guai altrui e che non è sensibile alla musica. Chi invece lo vede circondato dalla sua fama e dalla sua gloria scopre senz’altro il talento per la musica in ogni tratto di un bruttissimo viso. …
Che sorpresa fu per me incontrare di nuovo Beethoven il 10 febbraio [1801] che venendomi incontro col suo passo di corsa espresse la sua gioia di rivedermi. Parlammo di un po’ di tutto … e del suo argomento preferito, la politica …
Kübeck von Kübau

J.F.Rochlitz, che a Vienna nel 1822 visitò Beethoven, ci ha lasciato questa vivida descrizione del Maestro, circondato da un gruppo di ammiratori ed amici, al tavolo di un ristorante:
Incontrai per strada il giovane Franz Schubert che parlandomi di Beethoven mi disse che se volevo vederlo sereno e gaio dovevo andare con lui al ristorante al quale il maestro mangiava. Mi ci condusse. Quasi tutti i posti erano occupati, Beethoven era seduto circondato dai suoi amici che non conoscevo. Mi sembrava veramente felice: rispose al mio saluto ma io intenzionalmente non andai da lui. Trovai un posto dove sedermi dal quale potevo vederlo, e siccome parlava a voce piuttosto alta potei anche sentire quasi tutto quello che diceva. Non era propriamente una conversazione quella che stava facendo, ma un monologo quasi continuo. Parlava quasi sempre lui solo, ininterrottamente e saltando di palo in frasca. I suoi vicini parlavano poco e si limitavano a ridere o ad approvare con cenni del capo. Egli parlava, a suo modo, di filosofia e di politica. Parlava dell’Inghilterra e degli inglesi, così come lui se li immaginava, cioè di una grandezza incomparabile. Poi raccontò alcune storie sui francesi all’epoca dei due assedi di Vienna; ce l’aveva con loro. Diceva tutto questo con la più grande tranquillità e senza alcuna reticenza, il tutto condito da battute spiritose o da giudizi originalissimi o ingenui. Mi fece l’impressione di un uomo dallo spirito ricco, vivace, con una fantasia fervida, mai in riposo. La conversazione ed il comportamento di Beethoven formavano nel loro insieme una girandola di eccentricità, a volte veramente straordinarie. Nonostante tutto questo la sua persona lasciava trasparire amabilità, spensieratezza e fiducia davvero infantile.

Rochlitz Lettera a G.C.Härtel, 9 luglio 1822. [Da Prod’homme]

[Negli anni di Bonn, la Sig.ra von Breuning aveva combinato che il giovanissimo Beethoven andasse a dare delle lezioni a casa del Duca di Westfalia che abitava proprio di rimpetto ai von Breuning. Talvolta] Beethoven, invece di andare a far lezione tornava improvvisamente indietro sotto gli occhi della signora, e allora la buona madre di famiglia era solita dire, con un’alzata di spalle, “Oggi ha di nuovo il suo raptus”.
Wegeler

Negli appunti biografici del musicista Ignaz Ritter von Seyfried si incontra il seguente passaggio: “Beethoven non si sposò né, cosa piuttosto singolare, ebbe mai alcun rapporto sentimentale”. La verità, quale conoscemmo mio cognato Stephan von Breuning, Ferdinand Ries, Bernhard Romberg, ed io, è invece la seguente: mai accadde che Beethoven non fosse innamorato, di solito, anzi, il suo coinvolgimento era assai elevato. A Vienna Beethoven, per lo meno nel periodo in cui anch’io vi abitai, ebbe sempre qualche relazione amorosa, e talora fece conquiste da apparire ardue, se non impossibili a più di un Adone.
Wegeler

Beethoven era d’animo straordinariamente buono, ma al tempo stesso era facile all’ira e poco bastava a renderlo sospettoso. Qualsiasi sconosciuto gli poteva mettere facilmente in cattiva luce i suoi amici più fidati, dal momento che egli prestava fede con eccessiva rapidità. In tali casi non muoveva alcun rimprovero al malcapitato, però manifestava su due piedi la più grande avversione e il più reciso disprezzo, finché casualmente non si giungeva ad un chiarimento. In tal caso Beethoven si sforzava di ripianare l’ingiustizia commessa con la stessa rapidità ed efficacia. Tipico di questo è il seguente episodio.
Beethoven doveva andare quale Kapellmeister alla corte del Re di Westfalia. Ciò spinse l’Arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky a promettergli uno stipendio vitalizio a condizione che egli restasse nei confini dell’Impero. Non ero a conoscenza della seconda offerta, quando, il Kapellmeister Reichardt venne da me dicendomi che Beethoven non avrebbe sicuramente accettato il posto a Kassel, offrendolo a me, quale unico allievo di Beethoven. Mi recai subito da Beethoven per verificare la veridicità di tale informazione e chiedergli consiglio. Per tre settimane non fui accolto e persino le mie lettere rimasero senza risposta. Lo incontrai poi ad un ballo, mi avvicinai facendogli presente le mie richieste. Mi rispose in modo tagliente: “E così lei crede di poter occupare un posto che è stato offerto a me?”. Una volta chiariti [i fatti], Beethoven mi disse: “Non sapevo le cose stessero in questo modo: mi era stato riferito che lei tentava di occupare quel posto a mia insaputa”.
Ries

[Descrizione dell’aspetto di Beethoven da parte di Carl Friedrich Hirsch, che da piccolo prese da lui lezioni di pianoforte].
Di corporatura robusta, dal viso di colorito rossastro, segno di salute. Le sopracciglia erano folte e la fronte piuttosto bassa (come sembrano confermare i ritratti disponibili, mentre altri  affermano avesse una fronte alta). Il naso era grosso e largo, specialmente le narici che erano però ben modellate. I capelli scuri, molto fitti e incolti, tendevano già al grigio e gli scendevano in avanti sul viso. Ogni tanto per leggere utilizzava gli occhiali, ma non sempre. Secondo Hirsch, dei ritratti di Beethoven, era molto somigliante un piccolo medaglione, con la testa rivolta verso destra, eseguito da un maestro viennese, attorno al 1820, Joseph Daniel Böhm (1794-1865), e somigliante era anche il ritratto di Schimon [eseguito attorno al 1818-1819]. Nella maggior parte degli altri la fronte era troppo alta. A Hirsch piacevano anche altri ritratti, ad esempio la testa sulla medaglia di Brehmer. Le rughe accennate sulla fronte, che scendono dai due lati verso la radice del naso, erano secondo Hirsch, molto realistiche.
Beethoven fuori casa si poteva vederlo con una marsina verde scuro o marrone e pantaloni grigi o neri. In casa portava una vestaglia a fiori.  Nella sua stanza regnava la più grande confusione, partiture, scritti, libri, in parte sullo scrittoio in parte per terra.
Neue Zeitschrift für Musik

[Ecco la descrizione che Weber fece a Rellstab della sua ultima visita a Beethoven]:
Eravamo stati più volte da lui, ma non sempre avevamo potuto parlargli. Era mal disposto, poco socievole, di cattivo umore. Ma finalmente ci riuscì di trovare il momento propizio. Entrammo; egli sedeva al tavolo di lavoro; si alzò con fare non proprio amichevole. Mi aveva ben conosciuto già da alcuni anni, così che ci mettemmo tosto a conversare familiarmente. Improvvisamente mi venne vicino, mi mise le mani sulle spalle, mi scosse con forza e calorosamente ed esclamò: “sei diventato un tipo molto in gamba!”, e mi baciò con amicizia ed affetto.
[E a     questo proposito Rellstab commenta]: Questa storia sentita per bocca di Weber, molto tempo prima della pubblicazione del libro di Schindler, mi induce a dubitare di come viene descritto in quella sede il rapporto di Weber con Beethoven. Non si può però escludere che anche la informazione di Schindler sia giusta, poiché questo andrebbe d’accordo con l’umore variabile di Beethoven.
Rellstab

A Beethoven furono sempre estranee, anche perché mai se ne volle interessare, le regole dell’etichetta. In tal modo quando Beethoven cominciò a frequentare la cerchia di persone gravitante attorno all’Arciduca Rodolfo, il suo comportamento creò spesso situazioni di imbarazzo. Si cercò di forzarlo a imparare [certe] norme, ma non fece progressi. Un bel giorno, dopo essere stato, come lui diceva, “nuovamente catechizzato da maggiordomo”, si recò in preda alla collera dall’Arciduca, e gli dichiarò che sebbene nutrisse il più alto rispetto per la sua persona, la stretta osservanza di quelle norme non era cosa per lui. L’Arciduca rise e ordinò che si lasciasse andare Beethoven per la sua strada.
Ries

Beethoven provava un grande piacere nel guardare le donne, soprattutto se di aspetto bello e giovane, e accadeva di frequente, quando si passava accanto ad una ragazza particolarmente graziosa, che egli si girasse, la fissasse intensamente e sorridesse, o se si scopriva osservato da me, sogghignasse. Beethoven non mi fece mai visita con maggior frequenza di quando abitavo nella casa di un sarto che aveva tre figlie bellissime.
Ries

Beethoven era alquanto impacciato e maldestro; i suoi goffi movimenti erano privi di qualsiasi eleganza. Era raro che prendesse qualcosa in mano senza farlo cadere o senza romperlo. Accadeva così che rovesciasse sovente il suo calamaio. Vicino a lui nulla era sicuro, specie se di valore: ogni cosa veniva da lui sporcata o distrutta. Non si capisce come riuscisse a rasarsi, pur non considerando i frequenti tagli che apparivano sulle sue guance.
Ries

Beethoven non fu mai in grado di imparare a ballare a tempo.
Ries

Durante il bombardamento di Vienna operato dai Francesi nel 1809, Beethoven ebbe molta paura. Trascorse la maggior parte del tempo in una cantina della casa di suo fratello, tenendosi la testa coperta con dei cuscini per non sentire il frastuono dei cannoni.
Ries

Beethoven si comportava talora in un modo estremamente impulsivo. Una volta, mentre eravamo al ristorante Schwan per il pranzo di mezzogiorno, il cameriere giunse a lui con una portata sbagliata. A malapena aveva espresso due parole di commento, cui il cameriere aveva replicato non proprio con misura, che afferrò la pietanza (un arrosto con abbondante salsa), e gliela gettò sulla testa.
Ries

Grillparzer ha raccontato delle tristi condizioni del maestro durante gli ultimi anni di vita, soprattutto del suo stato psicologico con i suoi sbalzi di umore, la sua sospettosità che gli impediva di distinguere con chiarezza tra ciò che era realmente accaduto e ciò che era stato semplicemente immaginato. Eppure, scrisse, nonostante tutte le sue eccentricità, il suo comportamento strano che spesso diventava quasi offensivo, vi era in lui un qualcosa di così commovente e nobile, difficile ad esprimersi, che chiunque non poteva far altro che stimarlo e sentirsi attirato da lui.
Grillparzer

Beethoven quasi non conosceva il valore dei soldi. Sospettoso di natura si credeva infatti spesso imbrogliato anche quando non ve n’era motivo. Subito preso dall’ira, senza peli sulla lingua, chiamava chi gli stava innanzi “imbroglione”.
Ries

Katharina Fröhlich, una delle sorelle che furono amiche di infanzia di Schubert, ricordava che Beethoven aveva abitato in estate nella loro casa di Döbling e che,  quando era di umore intrattabile, nessuno osava avvicinarlo. Spesso, disse, ero allora una bambina, venivo mandata da lui con l’”Augsburger Allgemeine Zeitung”, la sua lettura preferita. Di solito mi accoglieva bene e talora si metteva al piano e improvvisava per me. Una volta prese un’espressione talmente selvaggia che, colta dalla paura, volevo scappare. Mi fece cenno di rimanere, ordinandomi imperiosamente col dito di rimettermi a sedere, e poi suonò con maggiore moderazione.
von Breuning
 
Beethoven era di una straordinaria trascuratezza nel vestire. Quando passeggiava in strada da solo, sprofondato nei suoi pensieri, borbottava parlando fra sé e gesticolava agitando le braccia; le persone che lo incontravano si voltavano a guardarlo e i ragazzi di strada facevano dei commenti su di lui e gli urlavano dietro. Il suo abituale portamento era col corpo e con la testa protesi in avanti.  Portava sempre un cappello di feltro, allora di moda, sciupato e deformato. Lo portava alto per lasciar libera la fronte, e da ambo i lati apparivano le chiome grigie e arruffate, crespe e irte; il cappello così arretrato urtava con la falda posteriore contro il bavero del cappotto che era logorato dal continuo sfregamento con la tesa del cappello ripiegata verso l’alto. Le tasche del cappotto erano sempre gonfie. Oltre al fazzoletto, che spesso pendeva da una parte, vi teneva uno spesso quaderno in quarto per appunti musicali e un quaderno di conversazione in ottavo per comunicare con le persone che incontrava.
von Breuning

Vidi Beethoven per la prima volta nella mia infanzia, forse nel 1804 o 1805, durante una serata musicale a casa di mio zio, J. Sonnenleithner (che aveva un negozio di musica a Vienna). Beethoven era magro, aveva i capelli neri e vestiva con grande eleganza. Uno o due anni dopo, in estate, stavo con i miei genitori nel sobborgo di Heiligenstadt. Beethoven abitava in un appartamento collegato al nostro da un pianerottolo; era divenuto più robusto ed andava in giro vestendo in modo molto trascurato, indossando abiti sudici e sovente ci sfrecciava davanti borbottando.
Grillparzer

Avevo circa 10 anni [siamo quindi attorno al 1801], quando Krumpholz mi condusse da Beethoven. Con mio padre ci recammo, da Leopoldstadt ove abitiamo ancora [al momento in cui scrivo, nel 1842], al centro città, al Tiefen Graben. Salimmo al quinto o al sesto piano. Un domestico, dall’aspetto assai sporco, ci fece entrare e ci annunciò a Beethoven. Una camera molto disordinata, in cui erano ovunque sparsi al suolo fogli e abiti, qualche baule, muri nudi, soltanto una sedia  eccetto quella traballante che era davanti al forte-piano Walter; in questa stanza sei o otto persone fra cui i fratelli Wranitzky, Süssmeyer, Schuppanzigh e un fratello di Beethoven.
Beethoven portava una giacca di una stoffa dal lungo pelo di color grigio e pantaloni dello stesso tipo, il che mi fece pensare immediatamente all’immagine di Robinson Crusoé che stavo leggendo in quei giorni. I suoi capelli neri come la pece, tagliati alla Tito, si sparpagliavano attorno alla testa. La barba, di alcuni giorni, rendeva ancora più scura la parte inferiore del viso già di colorito bruno. Aveva  nelle orecchie del cotone stillante un liquido giallastro.
Czerny [da Prod’homme]

Gli chiesi perché non scrivesse un’altra opera, anche se avevo saputo da mio padre che il motivo era nelle contrarietà avute col Fidelio e negli scarsi riconoscimenti e i miseri guadagni che quest’opera gli aveva procurato.  Mi rispose: “Avrei voluto scrivere una altra opera, ma non ho trovato nessun libretto adatto. Ho bisogno di una storia che mi stimoli, un testo morale, edificante. Non avrei mai potuto metter in musica libretti come quelli di Mozart. Non sono mai riuscito a mettermi nello stato d’animo adatto per testi libertini.
von Breuning

Una volta, dopo un’esecuzione al pianoforte, nel malumore per la muta commozione di Goethe, disse a Bettina Brentano: “La musica deve accendere fuoco nell’animo umano”. E Goethe, che lo aveva sentito il 21 luglio 1812, aveva annotato nel suo diario “ha suonato squisitamente”.
Riezler

La natura di Beethoven ha avuto un indirizzo etico di rarissima intensità.  Lo dimostrano certe frasi da lui sottolineate nei libri che egli lesse e rilesse molte volte, come ad esempio queste, dalle “Osservazioni sulle opere di Dio” di Sturm 1507-1589): “Solo per questo ti prego mio Dio: non smettere di lavorare per migliorarmi”.
“Nel campo che mi è stato designato voglio distribuire fra i miei fratelli i benefici che ho ricevuto da Dio, voglio dare aiuto a tutti quelli che ne hanno bisogno”.
Riezler

A Teplitz ho fatto la conoscenza con Beethoven. Il suo talento mi ha riempito di stupore. Purtroppo egli ha una personalità del tutto squinternata. Non ha davvero torto di trovare detestabile il mondo.  Ma è molto da compatire e da scusare dato che sta perdendo l’udito, cosa che forse danneggia meno la parte musicale della sua natura che quella sociale. Questo difetto lo rende doppiamente laconico, lui che lo è già tanto per natura.
Goethe. Lettera a Zelter, 2 Settembre 1812

Goethe fu uno dei quattro pilastri della formazione spirituale di Beethoven. Gli altri furono Shakespeare, Omero e Platone.
Riezler

[Ecco come Rochlitz, nei suoi ricordi in “Für Freunde der Tonkust” (Per amici della musica), pubblicato nel 1832, descrive Beethoven, incontrato a Vienna nel 1822:]
Immaginati un uomo di circa cinquant’anni, di statura più piccola che media, ma robusto e ben piantato, tarchiato e di ossatura forte, all’incirca com’era Fichte, ma più in carne e più pieno e rotondo in viso; il colorito è sano e rossastro, occhi inquieti, luccicanti e quasi pungenti quando ti guardano  fisso; movimenti nessuno, oppure rapidi; nell’espressione del viso e specialmente negli occhi pieni di vita e di spirito un miscuglio o meglio un’alternanza continua di cordiale buonumore e di timidezza; in tutto il suo comportamento quella tensione, quel modo di ascoltare inquieto e preoccupato dei sordi che hanno una vivissima sensibilità; ora una parola allegra e senza soggezione, per ricadere subito dopo in un silenzio cupo. Ecco l’uomo che dà la gioia a milioni di uomini, null’altro ce la gioia, spirituale, pura! Mi disse qualcosa di gentile ed amabile con frasi spezzate, e io alzai la voce più che potevo, parlai adagio, in modo chiaro e gli espressi con tutto il mio cuore il mio grazie e la mia riconoscenza per le sue opere, per quello che sono e saranno per tutta la vita; gliene ricordai alcune fra le mie preferite e gli raccontai delle magistrali esecuzioni delle sue sinfonie che si fanno a Lipsia, e che si eseguono con grande delizia del pubblico tutte le settimane. Mi stava molto vicino, ogni tanto mi guardava in pieno volto, ogni tanto abbassava la testa, poi sorridendo mi fece un segno col capo, ma non disse una parola. Mi aveva capito o no?  Smisi di parlare. Mi strinse la mano con forza e disse laconicamente a Haslinger: “Ho ancora qualcosa da fare”. E mentre se ne andava, a me: “Ci vedremo certo ancora”. Haslinger lo accompagnò fuori. Ero profondamente colpito e agitato. “Mi avrà capito?” chiesi. “Non una parola” mi rispose Haslinger alzando le spalle. Restammo a lungo in silenzio, e non saprei dire quanto fossi agitato.
Rochlitz [da Prod’homme]

“Se lo trova in un momento sfavorevole” mi disse uno dei suoi amici, “potreste essere il Kaiser, non si farà vedere.  I preparativi non servono. Essere del tutto sincero e franco sono le migliori raccomandazioni per lui. E non si lasci scoraggiare da una brusca accoglienza. Ci vada una seconda volta ed egli la ricompenserà doppiamente anche per la prima”.
Così una mattina presi col batticuore la decisione di presentarmi al quarto piano del numero 767 della Grugerstrasse al nr.767, dove abitava a quel tempo Beethoven.
[Rellstab scrive Grugerstrasse probabilmente per Krugerstrasse, al nr. 767; ma il nr. 767 Krugerstrasse era inesistente. Secondo le più recenti ricerche pare che Beethoven nell’inverno 1824-1825, e fino al 25 aprile 1825, abbia abitato nella Johannesgasse al nr. 969. Poi nell’aprile-maggio 1825 abitò nella Krugerstrasse 1009 (che oggi corrisponde al nr. 13 della stessa via), dove, secondo quanto riferisce di avergli sentito dire von Breuning nell’agosto del 1825, “risiedeva da poco tempo”. E quindi questo non va molto d’accordo con una altra asserzione di von Breuning che “Beethoven nell’inverno 1824-1825 si stabilì nella Krugerstrasse al nr.1009”. Se vogliamo credere a Rellstab, pur accettando le date con una certa elasticità, pare strano che Beethoven avesse traslocato nella Krugerstrasse alla fine di marzo 1825, appena reduce da una gravissima malattia, e soprattutto che il nome sul campanello, che doveva essere stato scritto di fresco, fosse – come puntigliosamente descrive Rellstab – mezzo cancellato. Non mi stupirei se invece Rellstab a distanza di oltre 15 anni avesse letto nei suoi appunti 767 per 969 e abbia sbagliato il nome della strada. Come rileva Zattoni, è probabile che Rellstab sia andato da Beethoven in Johannesgasse 969 e che abbia fatto l’errore di scrivere Krugerstrasse, strada nella quale era andato all’inizio del suo soggiorno viennese per visitare Czerny che vi abitava al nr.1006.]
Come ebbi salito un numero considerevole di gradini di pietra trovai alla sinistra un campanello col nome mezzo cancellato [cosa strana se Beethoven doveva abitare in quella casa da pochi giorni!], ove credetti di poter leggere Beethoven. Suonai. Si udirono dei passi. Mi fu aperto. Il mio polso volava. … Fui annunciato; diedi la mia lettera di presentazione di Zelter e attesi in anticamera. Potrei ancora dipingerla, mezza vuota e in disordine. Sul pavimento una quantità di bottiglie vuote. Su un modesto tavolo alcuni piatti e due bicchieri, uno mezzo pieno. … La porta della stanza vicina si aprì  e fui invitato ad entrare.
Entrando il mio sguardo incontrò subito lui. Sedeva indolentemente su un letto disordinato appoggiato alla parete posteriore della stanza, sul quale pareva che egli fosse stato a riposare fino a quel momento. Teneva la lettera di Zelter in una mano mentre stendeva l’altra amichevolmente verso di me con uno sguardo di grande bontà e nello stesso tempo di grande dolore … Disse “non sto molto bene, sono stato assai malato. Si troverà in difficoltà a chiacchierare con me perché faccio fatica a sentire”. Beethoven mi invitò a sedere e prese posto su una sedia davanti al letto e la avvicinò ad un tavolo ricoperto di musiche manoscritte … Gettai rapidamente un altro sguardo sulla stanza. Era grande come l’anticamera con due finestre sotto le quali stava un pianoforte. Nulla vi era che in qualche modo dimostrasse comodità, agiatezza, o lusso. Uno scrittoio, qualche sedia e tavoli, e bianche pareti dalla vecchia tappezzeria impolverata. … Sedetti accanto a questo martire malato e malinconico. La capigliatura, quasi interamente grigia, si ergeva folta e disordinata sulla testa, non liscia, non crespa, non ferma, un miscuglio di tutte queste cose … Il viso era assai più piccolo di come me lo ero immaginato dai ritratti che sottolineavano una impetuosa, geniale selvatichezza. Nulla esprimeva quella rudezza, quella sfrenatezza tempestosa che gli si addiceva per mettere la sua fisionomia in accordo con le sue opere. Il colore della sua pelle era brunastro, ma non quel colore sano e forte che ha la pelle di un cacciatore ma di una tonalità giallastra e malaticcia. Il naso acuto, affilato, la bocca benevola, l’occhio piccolo grigio pallido e tuttavia espressivo. Sul suo volto lessi malinconia,  dolore, bontà …
Rellstab

Beethoven non aveva frequentato scuole superiori e non scriveva volentieri. La sua calligrafia era disordinata e come ha detto qualcuno, sembrava quella di un cuoco. Nelle sue lettere di solito il frasario è abbastanza povero, conciso e diretto rapidamente al nocciolo della questione. Lo stile è di solito maldestro. Molto frequenti sono gli errori nella costruzione della frase e nella grammatica. In altre invece sembra padroneggiare perfettamente la lingua. Le lettere sono comunque uno spaccato sul carattere di Beethoven. Scritte molte volte d’impulso dopo un avvenimento sgradevole, ci mostrano il lato iroso del Maestro, ma altre sono lo specchio della sua bontà d’animo, dell’equilibrio del suo giudizio e della sua spiritualità. Ne è tipico esempio la famosa lettera [K.338] ad una ragazzina, una piccola pianista di 10 anni, Emilia M., per ringraziarla di avergli mandato un portafoglio da lei ricamato e che conclude: “Se io dovessi venire una volta ad A[mburgo], verrò da te e dai tuoi; io non conosco  altra prerogativa dell’uomo che quella di essere annoverato fra le creature migliori. Dove trovo questo, lì è la mia casa”.]
 
Beethoven ebbe sempre una larga cerchia di amici e negli ultimi anni le visite dal di fuori divennero sempre più frequenti; si andava a Vienna in pellegrinaggio per vedere Beethoven e solo raramente si sa di un visitatore accolto malamente. Molti hanno sperimentato la sua gentilezza che non era un semplice formalismo, veniva da un cuore colmo di amore per il prossimo. Il costruttore di arpe Stumpf, un tedesco che viveva a Londra, ha scritto: “Quando aprirono la porta fui percorso da un brivido, come se dovessi avvicinare un essere soprannaturale. Il viso di Beethoven, che si rischiarava solo a tratti, era come il sole quando sbuca da una montagna di nuvole scure e le trapassa. Lo rallegrava tutto quello che apprendeva da noi.
Riezler

[Nell’autunno 1826, siamo a circa quattro mesi dalla sua morte, nel periodo in cui soggiornò presso il fratello Johann a Gneixendorf, Beethoven era in condizioni deplorevoli. Malato, molto depresso, distaccato dalle cose del mondo, chiuso in se stesso, molto taciturno, trasandato, restava sovente appartato, seduto in silenzio, tanto che alcuni che non lo conoscevano, giunti in visita dal fratello, lo prendevano per un servitore o per un idiota. Nonostante questo stato compassionevole vagava come una volta per i campi ove trovò ancora l’ispirazione per alcune opere straordinarie. In quei mesi terminò infatti l’ultimo dei Quartetti per archi Op.135 e scrisse il nuovo finale per il Quartetto Op.130, un pagina improntata al più sereno ottimismo, un sublime distacco dalla dolorosa realtà del mondo.]

La Contessa Anna Louisa Barbara (detta Babette) figlia del Conte Carlo von Keglevics di Busin, di origini croato-ungheresi sposò il Principe Innocenzo d’Erba-Odescalchi, e purtroppo morì giovanissima. Un nipote della contessa ha scritto che Beethoven compose per lei, ancora ragazza, la Sonata Op.7 in Mi bemolle maggiore, e che il Maestro, che abitava nella casa di fronte, si recava a darle lezione in veste da camera, pantofole e berretto da notte. Si è detto anche  che il Maestro ne fosse innamorato. [Non esiste alcuna prova di questo legame affettivo. Certo è che] a lei furono dedicate, oltre alla Sonata Op.7, le Variazioni per pianoforte su “La stessa, la stessissima” di Salieri WoO 73, il Concerto per pianoforte e orchestra Op.15 e le Variazioni per pianoforte Op.34.
Thayer

La grande spina della vita di Beethoven è la sordità, i cui primi sintomi si manifestano nel 1795.  Beethoven‚ costretto a lasciare la carriera di pianista, nel 1802 accetta l’infermità come definitiva alla soglia della disperazione, di cui resta eco nel Testamento di Heiligenstadt (6 ottobre 1802). La sordità diviene definitiva nel 1818.
Pestelli

A prima vista il carattere di Beethoven ha molti tratti di Sturm und Drang, con abissi di depressione, intemperanza emotiva, stravaganza, sbalzi di umore. Si ritrovano in lui molte costanti della sua generazione: l’attrazione-repulsione per Napoleone Buonaparte (come Kleist, Grillparzer, Hegel); la smania dell’eguaglianza giuridica con l’aristocrazia; l’amore intellettuale per l’Inghilterra patria della democrazia; la passione per il mondo classico; la fiducia nel miglioramento dell’umanità.
Pestelli [a]

Pochi altri musicisti parlano tanto di libri di lettura [come Beethoven]: Kant, Russeau, Plutarco, il Don Carlos di Schiller, il Faust di Goethe, Tacito, le tragedie di Euripide, Wieland, Ossian e Omero, Shakespeare. Da quella cultura Beethoven trae i fondamenti del posto da assegnare alla musica, al vertice delle attività umane. Per Beethoven il bello ed il buono irraggiano i loro riflessi sull’uomo attraverso l’arte. Beethoven apre un credito incondizionato all’esigenza della musica di partecipare da protagonista all’educazione dell’uomo.
Pestelli [a]
 
A Breitkopf richiede (1809) tutti gli spartiti che sono in magazzino, di Haydn, Mozart, Johann Sebastian Bach, C. P. Emanuel Bach, dato che, gli ricorda, “il mio piacere più grande consiste nel suonare, a casa di qualche vero amico della musica, opere che non ho visto mai o solo raramente”.
Pestelli [a]
 
È ostile al Don Giovanni per il suo contenuto immorale, indegno, a suo parere, del genio di Mozart.
Pestelli [a]
 
Beethoven era persona particolarmente irritabile e di conseguenza ci voleva poco a innervosirlo. Tuttavia se  non si reagiva e si lasciava sbollire la sua prima sfuriata, egli, allora bendisposto e con animo conciliante, prestava orecchio alle rimostranze. Ne conseguiva che le sue scuse eccedessero assai le sue mancanze. Ad esempio conservo un suo breve messaggio in cui scrive: “Che detestabile immagine di me ti ho presentato! Ahimé lo riconosco, io non merito la tua amicizia. Non è stata una malvagità intenzionale, premeditata quella che mi ha fatto agire in quel modo contro di te, si è trattato della mia imperdonabile sventatezza. Non accadrà mai più. Sono io che vengo a te gettandomi tra le tue braccia. Il tuo amico che è amaramente pentito.
Beethoven”.
Wegeler [a]

“Aveva un bel sorriso” dice Moscheles, “e nella conversazione, un’aria spesso amabile ed incoraggiante. In compenso il riso era sgradevole, violento, una smorfia, però di breve durata”. La sua espressione abituale era malinconica, “di una tristezza incurabile”, e Rellstab (1825) disse d’aver avuto bisogno di tutte le sue forze per impedirsi di piangere dinanzi allo spettacolo dei suoi “occhi dolci e del loro profondo dolore”.
Rolland [a]
 
Nel 1788 Beethoven si iscrisse all’Università di Bonn per seguire un corso di letteratura tedesca tenuto dal famoso Euloge Schneider, uomo pieno di idee avveniristiche che, quando giunse la notizia della presa della Bastiglia, lesse dalla cattedra una poesia inneggiante alla libertà che sollevò l’entusiasmo degli allievi. L’anno successivo pubblicò una raccolta di poesie rivoluzionarie: fra i sottoscrittori del libro si trova anche “Beethoven, Hofmusikus”.
Rolland

Wegeler disse di non aver mai conosciuto Beethoven altro che innamorato fino al parossismo. Ma pare che i suoi amori siano sempre stati di un’estrema purezza. Beethoven aveva qualcosa di puritano nell’anima: per i pensieri licenziosi provava un vero disgusto; sulla santità dell’amore aveva idee del tutto intransigenti. Schindler assicura che Beethoven attraversò la vita con virginale pudore, senza mai aver dovuto rimproverarsi una debolezza. Un uomo simile era fatto apposta per essere vittima dell’amore. Nel 1801, oggetto della sua passione fu Giulietta Guicciardi, alla quale dedicò la Sonata Op.27, nr.2, in Do diesis minore. In tale epoca scrisse a Wegeler: “Vivo in un modo un pò più dolce. Questo cambiamento lo ha compiuto lo charme di una cara ragazza; ella mi ama; io l’amo”. Ma Giulietta sposò nel 1803 il Conte Gallenberg e anni dopo tentò di sfruttare l’antico amore di Beethoven che ne soccorse il marito! Beethoven nel 1821 disse a Schindler: “Era mio nemico: era quindi necessario che gli facessi tutto il bene possibile”. Ma respinse Giulietta che arrivata a Vienna lo aveva cercato.
Rolland

 
“Amava i principi repubblicani”, dice Schindler. “Era partigiano della libertà illimitata e dell’indipendenza nazionale. Voleva che tutti concorressero al governo dello stato. Sperava che Buonaparte avrebbe concesso il suffragio universale, gettando così le basi della felicità del genere umano”. La Sinfonia Eroica fu scritta per e su Bonaparte. Il primo manoscritto porta ancora il titolo “Buonaparte”. Ma saputo dell’incoronazione di Napoleone, Beethoven preso da furore, gridò “Dunque non è che un uomo ordinario”, strappò la dedica e scrisse questo titolo: “Sinfonia eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand Uomo” (sic, in Italiano). Schindler racconta che poi Beethoven cessò nel suo disprezzo per Napoleone e non vide in lui altri che un disgraziato degno di compassione, un Icaro caduto dal cielo. Quando apprese la catastrofe di Sant’Elena, nel 1821, disse “Sono 17 anni che ho scritto la musica che si conviene per questo triste avvenimento”. È probabile che la Sinfonia Eroica fosse, nel pensiero di Beethoven, una specie di ritratto di Buonaparte, quale l’immaginava e l’avrebbe voluto: il genio della Rivoluzione. È interessante segnalare che nel finale dell’Eroica è ripresa una delle frasi principali della partitura che egli aveva composto in onore dell’eroe rivoluzionario per eccellenza, il Dio della Libertà, Prometeo (1801).
Rolland

Carissima buona amica! Re e principi possono ben nominare professori, appiccicare sulle spalle titoli e creare consiglieri privati, ma non  possono creare grandi uomini, spiriti che si levino al di sopra della canaglia del mondo. ………
Così quando due come Goethe ed io s’incontrano, allora i gran signori dovrebbero rendersi conto di ciò che grande vale in noi. Ieri, tornando a casa, abbiamo incontrato l’intera famiglia imperiale, li abbiamo visti venire da lontano e Goethe si distaccò dal mio braccio per farsi da una parte, ho potuto dire quel che volevo ma non ho potuto portarlo un passo avanti, mi sono calato il cappello sul capo, mi sono abbottonato il soprabito, e a braccia conserte mi sono infilato dove la folla era più fitta. Principi e cortigiani hanno fatto ala, l’Arciduca Rodolfo si è levato il cappello e l’Imperatrice mi ha salutato per prima. – I regnanti mi conoscono – Con mio grande divertimento ho visto la processione sfilare davanti a Goethe – egli se ne stava di lato, via il cappello, profondamente inchinato – Dopo gli ho fatto una lavata di capo,  non gli ho dato quartiere e gli ho rimproverato tutti i suoi peccati.
Beethoven
[Di questa lettera di Beethoven a Bettina Brentano, datata Teplitz, agosto 1812, dalla Brentano pubblicata nel suo libro Ilius Pamphilius und die Ambrosia (Berlino 1857), e pubblicata da Kastner al nr. 342, non si conosce l’autografo. Probabilmente è un’invenzione di Bettina, basata forse su ricordi di conversazioni da lei avute con Beethoven. Ma potrebbe anche essere stata inventata di sana pianta. Infatti si è potuto accertare che a Teplitz, nell’agosto 1812, non vi erano la “famiglia imperiale al completo”, né l’Arciduca Rodolfo e tanto meno Beethoven!]
 
Beethoven fu una grande voce libera, la sola forse in quel tempo, del pensiero tedesco. Il dr. Müller, nel 1827, disse che “Beethoven si esprimeva sempre liberamente, sul governo, sulla polizia, sulla nobiltà, anche in pubblico”. Nei suoi Quaderni di Conversazione (1819) si leggono queste frasi: “La politica europea ha preso ormai una tale strada che non è possibile far nulla senza il denaro e le banche”. “La nobiltà che ci governa non ha imparato nulla, e nulla ha dimenticato”. “Fra cinquanta anni si formeranno repubbliche dappertutto”. Beethoven attaccava i vizi del governo, rimproverando fra l’altro, l’organizzazione della giustizia, arbitraria e servile; le vessazioni poliziesche; la burocrazia barocca e inerte che uccideva ogni iniziativa individuale; i privilegi di una aristocrazia degenerata, tenace nel detenere le cariche più alte dello stato. Gratificava il governo austriaco di tutte le ingiurie possibili. Le sue simpatie politiche, dopo il 1815, erano per l’Inghilterra. La polizia lo sapeva, ma tollerava le sue critiche e le sue satire come inoffensivi sogni di un visionario.
Rolland
 
Beethoven riafferma, con la forza del canto, la dignità dell’uomo secondo lo spirito, musicando il motto di Goethe: “Der edle Mensch sei hilfreich und gut” (L’uomo nobile sia soccorrevole e buono) [È un foglio d’album, di 11 battute su testo di Goethe, WoO 151, pubblicato da A.Schmidt il 23 novembre 1843]; con questo ci si potrà elevare a ciò che costituisce la vera dignità dell’uomo, la sua nobiltà, la sua vera libertà. Per Beethoven non è soltanto l’incessante operare che salva l’uomo, ma piuttosto l’obbedienza alla legge morale, all’imperativo categorico, al suo “es muss sein” (deve essere). Beethoven reprime e soffoca i suoi impulsi dei sensi, per agire secondo le esigenze superiori della sua natura razionale, per riaffermare la sua libertà interiore. Quando Giulietta Guicciardi infine gli si offre piangendo, egli la respinge con disprezzo, e confida a Schindler: “Se io avessi voluto disperdere così la mia energia vitale, cosa sarebbe rimasto per ciò che è nobile, che è migliore?” Ed è mirabile come queste opposte forze dell’inclinazione e del dovere, della sensibilità e della ragione, abbiano trovato la loro suprema conciliazione nella Forma-Sonata di Beethoven che è lo schema compositivo che rispondeva compiutamente al contenuto spirituale che egli intendeva esprimere, nella quale viene superata la tensione fra istinto e ragione, fra “testa e cuore”.
Magnani [a]

Beethoven ha ricevuto una esuberanza fisica e spirituale che gli fa bramare di vivere mille volte la vita (“O es ist so schön, das Leben tausendmal leben!” (oh! è così bello, vivere mille volte la vita), scrive a Wegeler il 16 novembre 1801 [A.54]. Giunto quasi al termine del suo cammino e già avvertendo la presenza della morte in agguato, Beethoven si compiace di definirsi “un vecchio giovane”, tanto è il fervore creativo che lo anima. Ha già composto la Nona e gli pare “di aver scritto soltanto poche note”. Assillante imperativo che lo costrinse fino all’ultimo ad uno sforzo creativo quasi sovrumano (che, sia detto per inciso, ci diede le ultime sonate per pianoforte e gli ultimi quartetti).
Magnani [a]

Fra i suoi piatti preferiti vi era una zuppa di pane, una sorta di pappa, di cui si rallegrava tanto ogni giovedì. Oltre a questa dovevano essergli portate su un piatto anche dieci uova fresche che, prima che fossero versate nella zuppa, esaminava attentamente controluce, per poi aprirle con le proprie mani e annusarle per sentire se erano fresche. Se capitava che ve ne fosse qualcuna che aveva un certo odore di paglia, allora iniziava lo spettacolo. Una voce tonante chiamava a giudizio la governante che, ben sapendo che era suonata la campana, si metteva al riparo dietro la porta, prestando orecchio solo per metà ai furiosi rimproveri, pronta a una prudente ritirata, quando come da tradizione cominciavano le cannonate e le uova incriminate, come bombe lanciate da un ben caricata batteria, fischiavano dietro le sue spalle ……….
von Seyfried

[Solomon ha sottolineato che sul piano psicologico non si può fare a meno di notare il lato conflittuale del carattere di Beethoven già negli anni della adolescenza. Negli anni di Bonn Frau von Breuning aveva avuto modo di conoscerne il carattere ostinato e passionale, la sua occasionale caparbietà e irrazionalità, la tendenza alla misantropia ed all’isolamento. Talora Beethoven rifuggiva da rapporti sociali anche quando, ad esempio in caso di lezioni di piano che si rifiutava di impartire, avrebbe potuto trarne vantaggio. La frase di Helene von Breuning, “Ha di nuovo i suoi raptus”, ne riassumeva in modo implacabile la instabilità emotiva.]  

Un tratto del tutto illiberale del carattere di Beethoven è il sua far ricorso alla polizia non solo in caso di reclami contro la servitù, ma anche per ottenere soddisfazione dai membri della famiglia. Per far rispettare i suoi desideri, Beethoven non esitava a servirsi della sua posizione di protetto dell’Arciduca Rodolfo e di personaggi pubblici.
L’istintivo ricorso alla forza in ogni situazione critica era tipico della natura estremamente emotiva di Beethoven che egli non imparò mai a controllare. Queste immediate reazioni emotive spiegano anche la generosa partecipazione di Beethoven a tutto ciò che di nobile si presentasse alla sua immaginazione. Ne è esempio l’iniziale entusiasmo per Napoleone, che sembrava a Beethoven un eroe tratto dalle storie di Plutarco.
M.Cooper

Beethoven aveva chiara coscienza del proprio genio, che considerava un dono del cielo, e della sommità dell’arte raggiunta dalle sue composizioni. Ma la gloria che si è conquistata non è, a suo dire, “che un luccichio esteriore”; talora gli sembra di lavorare “mehr für den Tod als für di Unsterblichkeith” (più per la morte che per l’immortalità). E tuttavia non perde la fede nella superiore natura dell’arte. “Hai già sentito là [in Curlandia] delle mie grandi opere?” scrive ad Amenda il 12 Aprile 1815 [K.494], e si affretta a soggiungere: “Io dico grandi – ma in confronto alle opere dell’Altissimo tutto è piccolo”. E ancora: “Se mi considero in rapporto all’universo che cosa sono io e cosa è colui che è ritenuto il più grande degli uomini?”
Magnani
 
[Negli anni 1816-1820 Beethoven, già malato, è assorbito, tormentato ed emotivamente disturbato dall’azione legale intentata contro Johanna, vedova del fratello Carl Caspar, per la tutela del nipote Karl. Alla fine Beethoven ottenne la tutela esclusiva del ragazzo. Dopo quattro anni e mezzo di guerre legali, il 29 marzo 1820, la vicenda si concluse con una sentenza definitiva che escludeva totalmente la madre Johanna. Il processo impegnò tutte le residue energie di Beethoven e gran parte del suo tempo. La faticosa scrittura di lettere e memoriali, il tempo perduto in riunioni e conciliaboli con avvocati ed amici lasciò certamente poco spazio al maestro per dedicarsi alla composizione. Si spiegherebbe così il limitato numero di opere prodotte in questi anni. Ma a dimostrazione che in Beethoven poteva esserci una relativa indipendenza fra lo stato fisico e morale e la sua produzione ecco sbocciare quasi improvvisamente la Sonata Op.106 ”Hammerklavier”, una delle composizioni più straordinarie di tutta la produzione Beethoveniana. Iniziata verso la fine del 1817 i primi due movimenti furono terminati nell’aprile 1818, quando Beethoven ottenne in prima istanza l’affidamento del nipote, che nel mese successivo condurrà con sé a Mödling.  Ma gli altri due movimenti furono scritti in quel periodo terribile per il maestro in cui Johanna presentò appello contro la sentenza del tribunale, periodo in cui i rapporti col nipote si fecero sempre più difficili e tesi fino a culminare nella fuga di Karl che tornò  dalla madre. Dello stato di tensione emotiva di Beethoven in questo periodo abbiamo delle testimonianze  inequivocabili. Beethoven era molto agitato e, come ha scritto M.Cooper, “assaporava la gioia e il rimorso” per il successo, preoccupato per il giudizio della gente per il suo comportamento verso la cognata, da lui accusata di essere una prostituta, cosa peraltro non vera. Come ha sottolineato M.Cooper in questo periodo  affiorarono i lati peggiori del carattere di Beethoven: arroganza, spirito di vendetta, mancanza di scrupoli, perdita di autocontrollo, totale disprezzo per tutte le opinioni diverse dalla sue. Questi tratti caratteriali in lui si manifestarono in maniera così cruda e violenta da far a volte dubitare della sua salute mentale.
Quanto Beethoven fosse turbato dal suo comportamento nella causa risulta chiaro da alcune annotazioni nel suo Tagebuch. Al nr. 159 scrive: “Sarebbe stato impossibile senza offendere i sentimenti della vedova, ma non doveva succedere. Tu Dio onnipotente che vedi nel mio cuore, sai che non ho badato al mio benessere in favore del mio caro Karl, benedici il mio lavoro, benedici la vedova ………”. E al nr. 160 “Dio, Dio mio rifugio, mia roccia, mio tutto. Tu vedi nel più intimo del mio cuore e sai quanto mi addolori far soffrire qualcuno a causa delle buone cose che faccio per il mio Karl!!! O unico, eterno, ineffabile, ascolta me, il più infelice di tutti i mortali.” E dello stesso tenore è la frase riportata da Fanny Giannattasio del Rio  nel suo diario, “Cosa mai dirà la gente, mi prenderà per un tiranno” (nell’istituto di suo padre Cajetan il nipote Karl fu accolto come allievo in questo periodo). Parole che ci restituiscono l’immagine di un Beethoven del tutto incapace di mentire anche con se stesso mascherando in un modo o nell’altro il suo comportamento.]
 
[Girod de Vienney barone di Tremont (1779-1854), consigliere di stato di Napoleone, così ricorda Beethoven.]
Nel 1809 Beethoven abitava sui bastioni, e siccome Napoleone aveva ordinato di abbatterli, sotto casa sua facevano brillare delle mine. Giunsi a casa sua, indicatami dai suoi vicini. Suonai tre volte e stavo per andarmene quando un uomo assai sporco e di pessimo umore mi aprì e mi chiese cosa volevo. “Ho l’onore di parlare col sig. Beethoven?” – “Sì signore, ma vi avverto” mi disse in tedesco “capisco assai male il francese”. “Non capisco meglio il tedesco” dissi, “vi porto una lettera da Parigi del sig. Reicha”. Mi guardò, prese la lettera e mi fece entrare. Il suo appartamento era formato io credo solo da due stanze, la prima con un’alcova chiusa ove si trovava il letto, piccola e scura, così che faceva la sua toelette nella seconda. Immaginatevi il massimo del disordine e del sudiciume. Chiazze d’acqua sul pavimento; un vecchio piano a coda sul quale la polvere faceva a gara con dei fogli da musica manoscritti e strappati. Al di sotto, non esagero, un vaso da notte non vuotato. A lato una piccola tavola abituata al fatto che l’inchiostro vi fosse spesso versato sopra; tante penne incrostate di inchiostro. Le sedie erano coperte da piatti con i resti del pranzo della sera precedente e da vestiti. [Ci intendevamo poco] e io pensai che mi avrebbe congedato. Invece mi fece molte domande sulla mia funzione, sul mio alloggio e dopo circa tre quarti d’ora mi invitò a tornare a trovarlo. Le improvvisazioni di Beethoven mi hanno provocato le mie più forti emozioni musicali. Vi posso assicurare che se non l’avete udito improvvisare voi non avete la minima idea del suo talento. [Se non aveva voglia di suonare] parlavamo di filosofia, di religione, di politica e soprattutto di Shakespeare, il suo idolo, e sempre con un linguaggio che avrebbe fatto crepare dal ridere gli ascoltatori se ve ne fossero stati.
Beethoven non era un uomo di spirito. Era troppo taciturno affinché la sua conversazione fosse animata. Esponeva i suoi pensieri in bevi battute, ma erano elevate e generose. La sua conversazione era, se non attraente,  almeno originale e curiosa.
Lo interessava molto la grandezza di Napoleone e me ne parlava spesso. Pur nella sua antipatia vedevo che egli ammirava il fatto che, da così umili origini, fosse salito così in alto. Questo ben si accordava con le su idee democratiche. Un giorno mi disse: “Se venissi a Parigi sarei obbligato a render omaggio al vostro imperatore?” Lo assicurai di no, a meno che non gli fosse chiesto. “E pensate che me lo domanderanno?” “Certamente se Napoleone sapesse chi siete; ma voi saprete certo da Cherubini che egli non capisce molto di musica”. Questa domanda mi fece pensare che, nonostante le sue opinioni, sarebbe stato lusingato di essere onorato da Napoleone.

Baron de Tremont [da Prod’homme]
 
Nel 1817, al suo ritorno a Vienna, dopo l’estate a Baden, Hirsch descrive un “Beethoven dal volto di colorito sano, rubizzo, le sopracciglia folte e la fronte bassa; il naso molto grosso e largo, sopratutto in corrispondenza delle narici ben modellate; i capelli spessi, folti, ritti e già un pò grigi; le mani rozze e pesanti, le dita corte, le vene gonfie sul dorso delle mani e le unghie tagliate corte”. Il suo abbigliamento era di solito trascurato e Fanny Giannattasio ricorda una giacca strappata; altri ricordano fazzoletti ciondoloni e cappelli sformati. Ma pare che in pubblico portasse sempre biancheria impeccabile (anche se a casa non era così scrupoloso). E aveva la mania di lavarsi. Pare si alzasse dal tavolo di lavoro per immergere la testa in catini di acqua fredda, sovente cantando a squarciagola e allagando per terra, e rimanesse con la testa bagnata e il pavimento come era.
Di maniere molto rozze (pare sputasse in un fazzoletto che poi esaminava, oppure sul pavimento), con il suo modo di stare a tavola lasciava allibiti. Ma nonostante tutti i suoi modi bruschi e grossolani quanti lo videro negli ultimi anni della sua vita concordano nel dire che da lui emanava un senso di bontà.
M.Cooper
 
Lo scrittore Anton Wilhelm von Zuccamaglio (1803-1869), che visitò Beethoven a Baden nel 1824, sosteneva che i vari ritratti di Beethoven che aveva visto non rendevano esattamente l’idea di come egli fosse, in particolare per quanto riguardava  l’ampiezza della fronte e lo sfavillio degli occhi, acuti e penetranti, che non era stato assolutamente colto. I capelli del maestro erano già notevolmente imbiancati e incorniciavano il viso in una confusione non sgradevole ………. Su tutto il volto aleggiava una espressione di bonomia e in tutti i suoi gesti si manifestava la cortesia.
Kerst

A proposito della estate del 1819, in cui Beethoven, mentre soggiornava a Mödling, lavorava al Credo della Messa in re maggiore Op.123, Schindler ha scritto di non aver mai visto il maestro in uno stato tale di eccitazione mentale e di distacco dalle cose del mondo.
Alla fine di agosto del 1819, Schindler lo va a trovare; arriva a Mödling,  alle quattro del pomeriggio, insieme ad un amico, il musicista Johann Horzalka. Appena entrati, scrive, ci dissero che la mattina le due donne di servizio se ne erano andate, e che dopo mezzanotte era successo un putiferio che aveva disturbato tutti gli altri inquilini della casa e questo perchè le due donne, dopo averlo aspettato a lungo, erano andate a dormire e Beethoven aveva trovato il cibo immangiabile. Dietro la porta chiusa di uno dei due salotti sentivamo il Maestro che lavorava alla fuga del Credo – cantava, gridava, batteva i piedi. Dopo aver ascoltato a lungo questa quasi terrificante esecuzione stavamo per andarcene quando  la porta si aprì, e Beethoven ci apparve davanti con una fisionomia così stravolta da far paura. Sembrava che fosse reduce da una lotta per la vita ……….
Le sue prime parole furono confuse, come se l’esserci trovati noi ad ascoltarlo gli avesse provocato una sgradevole sorpresa.  Poi cominciò a parlare degli avvenimenti del giorno e disse, con un notevole autocontrollo: “Bell’affare questo, sono scappati tutti e io non ho mangiato niente da ieri a mezzogiorno”. Cercai si calmarlo e lo aiutai a fare la sua toeletta mentre l’amico correva a prendere qualcosa da mangiare. Mentre mangiava si lamentò con noi dello stato miserevole della sua abitazione ……….
Schindler

H.Anschütz, (1785-1865)l’attore e tragediografo che lesse l’orazione funebre di Grillparzer al funerale di Beethoven, nei sui ricordi descrive così un incontro con Beethoven.
Nell’estate del 1822 mi ero recato a Döbling.  Il bel tempo mi incitava a fare delle belle passeggiate. Un giorno presso Heiligenstadt ……… gironzolavo fra boschetti e gruppi di alberi quando la mia attenzione fu attratta da uno spettacolo inatteso. Su un prato in pendio, fra gli alberi e un ruscello, vidi un uomo seduto, gli abiti in gran disordine, la testa di una bellezza selvaggia, pensosa, intelligente, appoggiata sulla sua mano sinistra, lo sguardo fisso su un libretto da musica, mentre la mano destra che tracciava in aria dei segni misteriosi e quando si fermava tambureggiava con le dita. Stavo per invertire la marcia quando i nostri sguardi si incontrarono, lo salutai e mi rispose di un cenno. Mi avvicinai scusandomi per averlo disturbato. “La strada è di tutti”, mi rispose. E io allora: “Potrei sapere cosa state scrivendo?”. “Oh, una cosa stupida, un pezzo orchestrale per cacciare mosche e formiche”.  La conversazione si arrestò. Riprese a guardare la sua musica, tambureggiando e scrivendo, del tutto dimentico di me. Mi allontanai in silenzio; era talmente assorto che non se ne accorse.
Anschütz [da Prod’homme][a]
 
[Un esempio abbastanza clamoroso di come Beethoven, almeno in un certo periodo della sua vita, trattasse i suoi affari, dei suoi tentativi di ricavare il massimo dalle suo opere, facendo non solo il doppio, ma addirittura il triplo gioco con gli editori, ci viene offerto, nel 1822, dai suoi tentativi di vendere la grande Messa in Re maggiore.
Alla fine del 1822 Beethoven aveva offerto la Messa Solemnis a quattro editori contemporaneamente quasi facendosi gioco di loro. Il 19 maggio 1822 Beethoven aveva assicurato al suo agente che Simrock, (al quale la aveva già promessa nel 1820), avrebbe ricevuto lo partitura alla fine di Giugno. Ma intanto in una lettera a Schlesinger, del 9 aprile [A.1074], dopo aver parlato di altre opere scriveva: “Quanto alla Messa ho già accettato di cederLe l’opera stessa, insieme alla riduzione per pianoforte, per un onorario di 650 Reichsthaler in valuta prussiana”. Offriva poi insieme ad essa altri due canti per 45 Gulden che “aggiunti ai 650 Rechsthaler farebbero una somma tonda che mi sarebbe anche più gradita. Non appena l’ordine di pagamento sarà giunto qui, Le invierò immediatamente la messa ………”. E il 1 maggio 1822 [K.1017] gli scriveva: “Quanto alla Messa la prego di mettere subito tutto in ordine perché anche editori la desiderano….”.
Ma poi all’inizio di giugno Beethoven risponde a una lettera di Peters offrendogli la messa [K.1019]. Gli racconta che ha incontrato da poco Steiner, che lo aveva sollecitato a fare un contratto con lui col quale gli avrebbe dovuto cedere tutte le opere attuali e future, ma di essersi rifiutato. Proseguiva poi: “L’opera più grande che io abbia scritto fin ora, è una grande Messa con cori, quattro voci obbligate e grande orchestra.  Parecchi si sono candidati per questa. mi hanno offerto 100 luigi d’oro pesanti” e si lamentava poi della malafede del suo editore viennese Steiner che, come si legge una prima stesura della lettera, veniva definito “un volgare affarista”. Offre poi a Peters altre opere per una somma totale di 1000 Gulden. Inoltre in una lettera successiva del 26 giugno [K.1025] Beethoven offre a Peters la Messa con la riduzione per pianoforte per 1000 fiorini moneta convenzionale, e si lamenta di Schlesinger e assicura Peters che “Schlesinger in nessun caso avrà mai più qualche cosa da me, perchè mi ha giocato pure lui un tiro da ebreo;   egli non è fra quelli che avrebbero ottenuto la Messa”. E offre di nuovo la Messa dicendo a Peters che appena finita lo informerà in modo che lui possa inviare l’onorario in una banca di Vienna, al che la partitura della Messa gli sarebbe stata spedita subito.
Ma poco dopo, il 22agosto dello stesso 1822, scrive agli editori viennesi Artaria, [K.1031] offrendo anche a loro la Messa dicendo che non può cederla per meno dei 1000 Gulden offertigli da altri. “Le mie condizioni non mi permettono di accettare da Voi un onorario inferiore. Tutto quello che posso fare è di dare a voi la preferenza”.
Tutto questo porterà a degli screzi con gli editori, ora passeggeri, come con Schlesinger, o definitivi. È interessante notare con che disinvoltura Beethoven accusasse gli altri di tiri “da ebreo”  mentre per il suo modo di trattare con gli editori anch’egli, dal canto suo, poteva ben venire accusato di essere un formidabile doppiogiochista. Beethoven in questo periodo della vita ci appare letteralmente ossessionato dal denaro, dallo spauracchio della miseria, qualsiasi ne fosse la ragione, che poteva essere certamente oggettiva, ad esempio le spese per il nipote, ma che a conti fatti ci appare del tutto soggettiva e psicologica. A questo proposito Schindler ricordava che in effetti negli anni 1815-1822 le opere prodotte furono relativamente poche e gli incassi abbastanza lontani dal coprire tutte le sue spese. Schindler a questo proposito rimprovera a Beethoven il fatto di non avere venduto alcune delle sue azioni bancarie (quelle che lascerà poi in eredità al nipote, e che in quel periodo avevano, diremmo oggi, una alta quotazione) e di aver fatto dei debiti coi suoi editori, Steiner e Peters. Peters alla fine, pur avendo dato, nell’estate 1822, un anticipo di 300 o 360 fiorini per opere da ricevere, non pubblicò mai nulla di Beethoven. Schindler ha poi commentato questi episodi segnalando che la preoccupazione per questi problemi monetari assunse proporzioni sempre più vaste fino a diventare una vera e propria ossessione per un artista che fino ad allora aveva sempre creato liberamente; l’aritmetica si impadronì a tal punto del Maestro, scrisse, che la speculazione commerciale rubò lo spazio alla riflessione artistica.]
 
Un terzo incontro tra Rochlitz e Beethoven avvenne a Baden nel 1822. Eccone il racconto.
“Questa volta aveva un aspetto accurato,  elegante perfino. Il che non gli impedì – e quel giorno faceva molto caldo – di andare a fare una passeggiata nella Helenental prendendo uno stretto sentiero, in cui passano tutti, anche l’imperatore e la corte, dandosi di gomito. Beethoven si tolse il bell’abito nero, l’appese a un bastone e andò in giro col bastone in spalla in maniche di camicia. E là rimase all’incirca dalle dieci del mattino alle sei di sera.  Per tutto quel tempo fu allegro e molto divertente, diceva tutto quello che gli passava per il capo. “Oggi sono del tutto sbottonato”, così si descrisse. I suoi discorsi e i suoi gesti erano una stravaganza dietro l’altra, e qualcuno veramente da burlone. Da tutto questo irradiava su tutti quelli che l’avvicinavano, la simpatia, la spensieratezza e la fiducia tipiche di un fanciullo. Anche le sue rabbiose filippiche, come quelle ad esempio contro i viennesi dei nostri giorni, che ho riferito prima, non erano che esplosioni di fantasia  e di eccitazione momentanea. Si manifestavano con un gran chiasso ma senza traccia di arroganza, amarezza o rancore, ma con leggerezza e buon umore. Gli è accaduto spesso, e anche troppo sovente, di essere pronto a dare il suo ultimo tallero proprio alla persona che lo ha gravemente offeso o contro la quale ha appena finito di inveire, se questa ne ha bisogno.
Rochlitz [da Prod’homme].

Durante la sua visita a Vienna del settembre 1824, Johann Andreas Stumpff (1769-1846), costruttore di arpe, nato in Turingia ma stabilitosi a Londra ebbe occasione di incontrare più volte Beethoven che in quel periodo era a Baden. Evidentemente presi da simpatia si scambiarono inviti a colazione. Il suo racconto, molto lungo è ricco di particolari interessanti. Dalla comparsa di un Beethoven sereno alla descrizione del linguaggio muto basato sui movimenti della testa, degli occhi, delle dita e naturalmente delle labbra con cui Haslinger si faceva comprendere da lui. Dal suo vestito “di tutti i giorni, non una bella vestaglia da camera fiorita”, al modo in cui il  viso di Beethoven si illuminava. Era di statura media, con ossatura potente scrive Stumpff, con spalle larghe sormontate da una testa rotonda con una capigliatura irsuta e arruffata. Beethoven impreca contro tutto e contro tutti a Vienna, mentre ha il massimo rispetto per Londra e per gli inglesi che riteneva di elevata cultura: “L’Inghilterra – disse Beethoven – ha un alto livello culturale. A Londra chiunque sa qualcosa e lo sa bene; mentre il viennese tipico non parla che di magiare e bere, e non fa che cantare e strimpellare una musica assolutamente banale o fatta in casa”. Durante una colazione in cui si mangiò del pesce Beethoven magnificò il pesce che si porta in tavola a Londra [dove non era mai stato!] e imprecò contro la cucina e i vini viennesi che erano a suo dire “avvelenati”. Quanto ai gusti musicali Viennesi Beethoven li trovava deteriorati: “Non si ha più il senso del buono e del bello, in breve della vera musica. Si! Si! È così o Viennesi. Rossini e compagni ecco i vostri eroi. Non vogliono più nulla da me, non hanno più tempo per le sinfonie e non vogliono più il Fidelio. Rossini, Rossini vi va a pennello”. E, commenta Stumpff, continuò così con un tono che non tradiva né rancore né gelosia. A un certo punto, dopo molti brindisi che terminarono con gran lodi per Händel e Mozart (e un’altra battuta contro Rossini: “La vera musica avrà poco posto in quest’epoca rossiniana”), Beethoven completamente disteso disse: “Oggi sono veramente me stesso, ed è così che dovrei essere, del tutto a mio agio”.
Stumpff [da Prod’homme]

[Beethoven, come risulta dai suoi scritti, fu sempre angosciato, ed in particolar modo negli ultimi anni di vita, da preoccupazioni economiche, dalle quali avrebbe potuto benissimo essere libero se  fra i suoi tratti caratteriali non vi fossero stati l’indecisione, l’impazienza e la diffidenza. Era certo incapace di trattare coerentemente i suoi  affari, anche forse per l’eccessivo desidero di trarre sempre il massimo profitto da ogni occasione (ricordiamo solo di come cercò di far lievitare i prezzi offrendo a più editori contemporaneamente la Missa Solemnis vantando le offerte degli altri) ma soprattutto per la sfiducia ad affidarsi ad altra persona. Come sappiamo dalle sue lettere certe volte in cui parve deciso a seguire i consigli degli altri, la sua impazienza e la sua diffidenza frustrarono i piani predisposti. Le lettere sono piene di invettive contro cattivi consiglieri, furfanti disonesti, stupidi incapaci, “tiri da ebrei”. M.Cooper cita a questo proposito una lettera del marzo 1825 in cui due editori, J.A. Streicher di Vienna e C.F. Peters di Lipsia, si scrissero: “Cosa posso dire sulla condotta di Beethoven nei Suoi riguardi e come posso tentare di scusarlo? Posso farlo unicamente comunicandoLe l’opinione che egli ha di se stesso e che ha espresso in casa mia: Tutto quello che faccio all’infuori della musica è fatto male ed è sciocco.”
Secondo M.Cooper, in un certo periodo il doppio gioco con gli editori poteva essere spiegato in parte con l’ossessione del risparmio a favore del nipote, ma certo un ruolo la aveva anche la dissennata gestione della sua vita domestica che talora lo portò a pagare anche tre alloggi contemporaneamente.]

Il compositore svizzero Schneyder von Wartensee (1786-1868) incontrò Beethoven a Vienna nel 1811 e il 17 dicembre scrisse all’editore di Zurigo Nägeli:
Beethoven mi ha ricevuto molto cortesemente e sono stato varie volte da lui. È un uomo ben singolare. Dei grandiosi pensieri, che non possono essere espressi altro che con delle note, lo agitano; esprimerli a parole non gli è facile. La sua educazione è stata certo trascurata e eccetto che per la sua arte non è brillante; ma è un uomo leale, senza falsità e che dice francamente quello che pensa. Nella sua giovinezza e anche più tardi ha dovuto superare molti ostacoli il che lo ha reso diffidente e melanconico. Si lamenta di Vienna e sogna di lasciarla. “Dall’imperatore all’ultimo lustrascarpe i viennesi non valgono nulla”.
Schneyder von Wartensee [da Prod’homme]

 
La sordità lo costrinse a dedicarsi quasi interamente al comporre e a rinunciare a qualsiasi progetto di far fortuna come concertista, il che lo sprofondò in una grave depressione e lo fece rifuggire per un certo tempo da qualsiasi compagnia. Costretto a riconoscersi escluso da una parte della esperienza umana dovette venire a patti con un sistema di vita insolito e particolarmente solitario. Questo rafforzò in lui la convinzione che alcune delle regole del normale comportamento sociale non valessero per lui. Si considerava un artista e, come tale, almeno pari a chiunque si trovasse in posizione di privilegio per nascita o per ricchezza. Egli rifiutò energicamente di recitare la parte del cortigiano e di mostrare la deferenza e l’obbedienza che ci si aspettava dai musicisti negli ambienti della nobiltà. Ad esempio fu spesso riluttante ad esibirsi al pianoforte se i suoi ospiti inaspettatamente glielo chiedessero; a volte rifiutava apertamente, a volte lasciava, incollerito, la riunione. Perfino l’Arciduca Rodolfo che, come fratello dell’imperatore, era circondato da un protocollo di corte si arrese, ordinando che le regole dell’etichetta non venissero applicate a Beethoven.
Kerman e Tyson
     
[Come ha ricordato Solomon, vi è un fatto molto significativo che ci permette di penetrare in una piega della personalità beethoveniana. Il fatto che egli permise che a Vienna circolasse la diceria che egli fosse di nobili origini. Per più di un quarto di secolo egli non fece assolutamente nulla per cercare di smentirla, fino a quando nel dicembre 1818, davanti ad un tribunale riservato ai nobili, durante il processo per la tutela del nipote Karl, dopo una sua frase malcapitata, fu costretto a riconoscere che non aveva alcun modo di dimostrare che la famiglia van Beethoven fosse nobile. E il processo fu trasferito ad una corte ordinaria. Credo si possa affermare che non fu certo Beethoven a spargere la diceria. Niente di più facile che la storia sia nata dalla erronea interpretazione data al “van” del suo cognome, che nei Paesi Bassi non era un contrassegno di nobiltà, o più semplicemente dal fatto che il “van” sia stato letto male o trasformato dai copisti in “von” durante la preparazione della locandina di qualche concerto e passato da lì alle recensioni. Certo Beethoven non fece assolutamente nulla per smentire la voce,  probabilmente perché aveva compreso che ne avrebbe tratto solo vantaggi. Ma deve essere ben lontana da noi l’idea che Beethoven idealizzasse in qualche modo il mondo degli aristocratici che frequentava, che volesse esserne parte; è vero anzi il contrario. Come scrive Solomon Beethoven chiaramente idealizzava, non tanto i nobili in carne ed ossa, quanto il concetto di nobiltà. Sono una prova di questo il suo comportamento spesso scortese e sprezzante nei confronti dei suoi nobili protettori, che culminava nel suo rifiuto di sottomettersi alla etichetta e ad essere ossequiente con loro; il suo modo di criticare, anche in pubblico e ad alta voce, il governo, la corte e l’imperatore. Questo particolare risvolto della personalità di Beethoven risalta ancora di più se si considera il fatto che egli non si sentiva parte neanche del mondo comune, non si sentiva un borghese; anzi nei confronti dei borghesi ostentava addirittura il disdegno dell’aristocratico verso i poveracci di umili natali. Il trasferimento del processo per la tutela del nipote Karl dal tribunale dei nobili ad un tribunale ordinario lo ferì grandemente. Viene però il sospetto che questo potesse anche derivare dal fatto che al tribunale dei nobili egli sapeva benissimo di poter godere delle raccomandazioni dei suoi protettori! Non vi è dubbio che, nel mondo ideale di Beethoven, aristocratici si era per nobiltà di pensiero e di azione non certo per eredità. Questo non può certo essere messo in dubbio; basta leggere alcuni suoi scritti. Nel  1820, dopo il citato infortunio al tribunale dei nobili, Beethoven annotò in un Quaderno di Conversazione: “Il borghese dovrebbe essere escluso dalla società degli individui a lui superiori, ed invece eccomi qua, caduto in mezzo a loro“. In una lettera del 1823 [E.1680], a proposito del fatto che il pianista Franz Schoberlechner aveva intestato una missiva “Al nobiluomo sig. Ludwig van Beethofen”, scrisse a Schindler [K.1122] “Per ciò che riguarda l’essere nobile credo di averle dimostrato a sufficienza  che io lo sono per principio, ed ella dovrebbe avere osservato che io persino riguardo ai miei principi non ci sono mai passato sopra. Sapienti sat.”
Il corso della sua giornata era molto regolare. Si alzava presto, faceva il caffè macinando un esatto numero di chicchi, poi lavorava componendo fino alle due o le tre del pomeriggio, quando pranzava.  Durante il lavoro mattutino faceva due o tre passeggiate all’aperto durante le quali continuava a fare abbozzi su fogli di carta da musica.
Kerman e Tyson [a]

[Nel maggio 1826 Friedrick Wieck (1785-1873) pianista, didatta, fabbricante di pianoforti visitò Beethoven a Hietzing. Wieck era un pò esperto di sordità e di apparecchi acustici.] Wieck ricorda che restarono insieme alcune ore e bevvero dell’ottimo vino in quantità non abituale. La conversazione toccò i più svariati argomenti: la musica a Lipsia – Rochlitz – la Gewandhaus; la governante e i continui traslochi; le passeggiate, Hietzing e Schöbrunn; i fratelli e diversi imbecilli viennesi; l’aristocrazia, la democrazia; la rivoluzione francese; Napoleone; la Mara, la Catalani, la Malibran, la Fodor e quei cantanti di genio, Lablache e Rubini; la perfezione dell’opera italiana, sempre superiore alla tedesca e per la lingua e perché i tedeschi non imparano il canto come gli italiani; le idee di Wieck sul modo di insegnare e suonare il pianoforte; l’Arciduca Rodolfo. Il tutto, dice Wieck, attraverso uno scrivere incessante e rapido da parte mia mentre Beethoven faceva molte domande e capiva subito, prima che avessi finito di scrivere la risposta; ma sempre con una certa cordialità, anche quando si esprimevano dei dubbi. Aveva occhi profondamente espressivi e mobilissimi mentre si prendeva la testa o i capelli fra le mani. Aveva una maniera di esprimersi piuttosto cruda e asciutta, eppure dava l’impressione di essere un tipo nobile, sensibile, cordiale ed entusiasta ma che prevedeva disastri in politica. Poi Beethoven, con l’apparecchio acustico collocato sulla tavola armonica, improvvisò per oltre un’ora in modo geniale e con facilità, con effetto soprattutto orchestrale, ancora con una grande agilità delle due mani … il volto rivolto verso l’alto e le dita vicine.
Wieck (da Prod’homme)[a]

[Il tipo e il livello culturale generale di Beethoven è stato descritto e valutato in modo del tutto diverso da coloro che lo hanno conosciuto o studiato. C’è chi, viste le lettere mal scritte e con tanti errori di ortografia (si è detto di lui che scriveva un cuoco) le rozze maniere, i comportamenti talora ineducati descritti da molti, l’origine della sua famiglia e l’alcolismo del padre, lo ha considerato quasi come un essere primitivo e ignorante. Altri, in base alle riferite notizie su la sua ammirazione precoce per Schiller, l’entusiasmo da lui sempre professato per Goethe, i riferimenti a Platone, Omero, Plutarco, l’ipotesi che conoscesse davvero la filosofia kantiana e la asserita frequenza a corsi di filosofia (dove si iscrisse ma forse ascoltò soltanto qualche sporadica lezione), ha sostenuto che il suo fosse un livello culturale non comune fra i musicisti d’ogni tempo, e allora quasi sconosciuto.

Sul finire del XVIII secolo il figlio di un cantore della cappella del Principe Elettore di Bonn, uomo fra l’altro dotato di scarse qualità umane e dedito al bere, difficilmente poteva aspettarsi qualche cosa di meglio di un’istruzione rudimentale. Come osserva acutamente M.Cooper nel caso di Beethoven un’altra circostanza contribuì a renderla ancor più sommaria: per l’eccezionale talento musicale, intuito dal padre che sperò di sfruttarlo a scopo commerciale e che fu naturalmente coltivato a spese di quella, il piccolo Ludwig fu, come ci racconta chi gli fu vicino nei primi anni, costretto ad uno studio ossessivo e quasi brutale dell’arte del cembalo.
Sappiamo per certo che fu grazie alla frequentazione della famiglia von Breuning, che Beethoven vide aprirsi un mondo di educazione superiore e, nonostante “i suoi raptus”, come chiamava certi suoi atteggiamenti di ripulsa e di isolamento la sig.ra von Breuning, intuitivo come era, cercò di adeguarvisi. A Bonn ancora ragazzo  aveva cominciato a leggere Schiller e il primo progetto di musicare l’ode Alla Gioia risale a quegli anni.
Certamente dopo essersi trasferito a Vienna la frequenza di un ambiente culturale abbastanza elevato suscitò in lui il desiderio di ampliare la sua cultura e fu allora che si dette anche alla lettura.
Ci dimostra bene questo suo desiderio di elevazione culturale, sostenuto certo dalla coscienza delle sue qualità,  quello che, in previsione di tranquille letture estive, in data 8 agosto 1809 scrisse ai suoi editori Breitkopf e Härtel [K.206]: ”Forse potrebbe mandarmi un’edizione delle opere complete di Goethe e Schiller … Questi due poeti sono i miei preferiti, come Ossian e Omero, anche se quest’ultimo purtroppo posso leggerlo soltanto in traduzione. … N.B. Me li faccia avere presto perché spero di poter trascorrere il resto dell’estate in qualche piacevole posticino di campagna”. E si noti che quando scrive questo Beethoven aveva già toccato alcuni dei vertici della sua arte. In un’altra occasione scriveva “non c’è trattato che possa risultare troppo dotto per me; anche senza la pretesa di una vera e propria erudizione. Fin dall’infanzia mi sono sforzato di cogliere il senso di ciò a cui miravano con le loro opere i migliori e i più saggi di ogni tempo. Sarebbe vergognoso che ogni artista non considerasse suo dovere arrivare almeno fino a questo punto”.
Come ha scritto M.Cooper “La retorica ed il pathos di Schiller, la contrapposizione spesso ingenua, nei suoi drammi, tra vizio e virtù, e una certa rudezza, un certo vigore plebeo nel suo modo di scrivere hanno tutti puntuale, chiaro riscontro, nella musica di Beethoven del primo e secondo periodo”.]

Quella di Beethoven era una concezione di Kant a livello divulgativo. Beethoven non aveva alcuna preparazione o attitudine per discutere le idee Kantiane. Al pari della maggior parte dei suoi contemporanei, Beethoven comprese Kant in una forma semplificata, ridotta a pure formule: il suo era il Kant dell’“imperativo categorico“ che scriveva: “Agisci  in modo tale che la norma cui si informano le tue azioni si adegui a un principio di legislazione universale“; il Kant che affermava: “Due cose colmano l’animo di timore e riverenza: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me“, osservazione che ritroviamo nel Quaderno di Conversazione del febbraio 1820 sotto questa forma: “La legge morale in noi, e il cielo stellato sopra di noi – Kant !!!“
Solomon

 

[Sappiamo che Goethe e Beethoven si incontrarono a Teplitz  nel luglio 1812. Da questo incontro non nacque alcuna intesa, anzi, dopo Teplitz il solco che li separava si fece ancora più profondo. Oggi sappiamo che il racconto del loro diverso comportamento, a Teplitz, di fronte alla corte è stato quasi certamente inventato da quella fantasiosa mistificatrice che fu Bettina Brentano. Ma certo un mondo intero li separava. Goethe era un gran signore di famiglia colta e di educazione squisita, di solida posizione economica e di gusti raffinati, frequentatore della società elegante e che per di più dominava il mondo culturale del suo tempo. Beethoven era invece di umili origini, con una istruzione che al di fuori della musica possiamo senza esitazione definire sommaria, poco educato se non addirittura maleducato, istintivo nelle sue reazioni emotive e maldestro nei modi, sempre alla ricerca di denaro per la sopravvivenza. Goethe non ha mai mostrato palesemente di godere la musica Beethoven, e pur riconoscendone la grandezza come artista, deplorava la rozzezza dell’uomo. In una famosa lettera aveva scritto: “Il suo talento mi ha riempito di stupore. Purtroppo egli ha una personalità del tutto squinternata. Non ha davvero torto di trovare detestabile il mondo.  Ma è molto da compatire e da scusare dato che sta perdendo l’udito, cosa che forse danneggia meno la parte musicale della sua natura che quella sociale.”
Sebbene Goethe in occasione di dediche di lavori e di lettere di Beethoven si sia comportato con lui in modo che probabilmente è poco definire altezzoso, la ammirazione di Ludwig per Goethe fu sempre grande.
Quando nel 1822 Rochlitz disse a Beethoven che viveva a Weimar, la città di Goethe, il Maestro, mentre la sua espressione si faceva raggiante, esclamò: “Allora conosce il grande Goethe?”, e battendosi il petto, “Lo conosco anch’io. Lo ho conosciuto a Karlsbad (sic) molto tempo fa. Non ero ancora così sordo ma ero già di orecchio duro. Che pazienza e quale influenza ha avuto il grand’uomo su di me“. “Come mi ha reso felice allora! Mi sarei fatto ammazzare per lui … Allora io ero fuoco e fiamme e ho composto la musica per l’Egmont.”  “Dopo l’estate di Karlsbad (sic) leggo Goethe tutti i giorni – quando leggo. Ha ucciso per me Klopstock. Vi stupisce? … Perché leggevo Klopstock?  Lo ho portato con me per anni , ovunque … Non sempre lo ho compreso … Sale sempre così in alto … sempre maestoso! Mi bemolle maggiore, nevvero? Eleva lo spirito … Quando non riuscivo a capirlo cercavo di indovinare cosa volesse dire … Se solo non avesse voluto morire continuamente! … Ma Goethe è vivo e ci fa vivere tutti con lui. È per questo che lo si può musicare …” Non dimentichiamo che, verso la fine della vita, Beethoven sperava di musicare il Faust, “ciò che vi è di più alto per me e per l’arte”.]

[Grillparzer criticava la libertà di linguaggio che correva tra gli amici di Beethoven, “i quali non temevano volgarità, cinismo ed insulti”. Ed effettivamente ci sono degli indizi, anche se occasionali, che sembrano suggerire che al di fuori delle occasioni ufficiali e degli scritti formali il linguaggio di Beethoven e di certi suoi amici fosse almeno in qualche occasione, come scrive M.Cooper, da un punto di vista etico, certo più consono alla moralità della cognata  Johanna, la moglie del fratello Carl van Beethoven, con i suoi due figli illegittimi, che agli standard puritani cui si atteneva Ludwig. Nei quaderni di conversazione del 1820 troviamo delle battute a proposito di Frau Janitschek. in una occasione è il marito, un certo signor Janitschek, che si lamenta scrivendo: “Il sig. v. Peters (un abituale frequentatore di casa Beethoven, istitutore a casa Lobkowitz) pare volersi interessare a mia moglie e il suo contegno potrebbe diventare pericoloso per me”. E in un altro quaderno: “Essa dice che non posso dormire con lei – il letto è troppo piccolo.” E più avanti: “Scimunito.  Peters dice che il mantello gli fu strappato dalla moglie di Janitsik (Janitscheck), come fu strappato a Giuseppe dalla moglie di Putifarre. E pare che anche Lei (Beethoven) abbia dormito con la moglie di Janitscheck.” Bisogna però riconoscere che, nonostante quanto ha scritto Grillparzer e l’opinione di M.Cooper, battute di questo genere sono rare:  i Quaderni che ci sono pervenuti sono stati purgati da Schindler? E cosa poteva esserci in tutti quelli che Schindler distrusse?]

[Beethoven non era certo quello che si definisce un uomo spiritoso o perlomeno pare che soltanto con gli amici intimi fosse spiritoso, vivace e persino ciarliero. Rochlitz ha addirittura scritto che quando era in vena era una cascata di motti di spirito. Czerny diceva che in gioventù, a parte i momenti di malinconia, Beethoven era un tipo abbastanza pronto alla battuta, allegro e malizioso. Spesso scoppiava improvvisamente in una sonora risata. Questo accadeva talvolta alla fine di una esibizione pianistica con cui aveva commosso l’uditorio, e allora probabilmente la risata aveva uno scopo liberatorio, tanto che la accompagnava con parole di dileggio dirette verso gli ascoltatori. Ma altre volte, come  scrive Seyfried, “era difficile comprendere il motivo di certe esplosioni di ilarità, perché in genere rideva seguendo proprie fantasie e pensieri segreti”. Ma Beethoven aveva certo un suo senso dell’umorismo, del tutto particolare, che molte volte però sfociava nel sarcasmo. Ne sono tipici esempi i giochi di parole e le battute sui nomi degli amici di cui è pieno l’epistolario. Giochi di parole e battute che se spesso tradiscono bonomia e affetto, altre volte sottendono irritazione ed acre ironia. Vediamone alcuni. Karl Holz (1798-1858) negli ultimi anni di vita di Beethoven, dal maggio 1824, sostituì il famuls Schindler divenendone per oltre un anno il devoto aiutante. L’affetto di Beethoven per Holz traspare dai tanti giochi di parole di cui sono pieni i biglietti e le lettere per lui, e che, sempre molto affettuose, tradiscono un certo buonumore nel vecchi maestro. In tedesco ”Holz” significa legno: e nei biglietti per Holz questo “legno” viene trasformato ora in un “pezzo di mogano”, ora in una “scheggia”,  nel “legno di Cristo”,  “Lignum Crucis” o in un “legno personificato … mentre legno è un nome neutro”, o in un “legno eccellentissimo”. L’affezionatissimo Nicolaus Zmeskall veniva chiamato “Contino di musica”, ma anche “Conte pranzo”, “Conte cena” e “Conte d’ingordigia”. E una lettera per Joseph Linke, il famoso violoncellista, iniziava “Cara sinistra e destra”, giochetto basato sul fatto che in tedesco “Linke” significa sinistra. Il famoso cantante Friedrich Baumann venne una volta apostrofato “amico, grande filosofo e commediante”. Nella fitta corrispondenza con Nanette Streicher nata Stein, che fu amica affettuosa e consigliera di Beethoven per molti anni i soliti giochi di parole si sprecano: “l’intero andamento domestico (Haushaltung) non ha ancora un andamento (Haltung), e rassomiglia proprio ad un Allegro di Confusione”; “che tiro (Streich) dalla signora von Streicher!”; “Quanto alla signora von Stein (di pietra), La prego di non lasciare che il sig. von Steiner diventi di pietra”.
In una lettera  a Hoffmeister [[15 dicembre 1800, K.42] scriveva scherzosamente: “… il sig. fratello potrebbe avere da me : 1) un Septet per il violino, viola, violoncello, contra-Basso, clarinett, corno, fagotto; tutti obligati. (Io infatti non posso scrivere nulla di non obbligato perché sono già venuto al mondo con un accompagnamento obbligato).” E qui secondo alcuni Beethoven probabilmente alludeva al fatto di essere nato ancora col sacco amniotico addosso, ma forse potrebbe alludere ai doveri verso i fratelli.
Un altro forma in cui si espresse lo spirito di Beethoven fu quella dei canoni umoristici. Ne compose alcuni nella seconda metà della vita. Anche questi erano sovente basati su giochetti di parole. Ne è un bell’esempio quello inviato da Baden il 3 settembre 1825 Friedrich Kuhlau (1786-1832), musicista] dopo una eccessiva libagione avvenuta il giorno prima: “Kuhl nicht lau” (fresco non tiepido) = Kuhlau. E un altro che ricevette omaggi musicali fu Tobias Haslinger, l’amico editore, il cui nome venne impiegato per comporre il testo di frasi affettuosamente scherzose messe in musica anche nei cupi giorni di Gneixendorf dell’autunno 1826.]

[Un viaggiatore inglese, sir John Russell, incontrò Beethoven  verso il 1820.] Sebbene non sia ancora vecchio, ha scritto, è perduto per la vita sociale a causa della sua sordità che lo ha reso del tutto insocievole. Il suo stato trasandato gli dà un aspetto selvaggio. I tratti del viso sono potenti e marcati; gli occhi pieni di energia …; i suoi capelli che non hanno visto da anni pettine o forbice ombreggiano con la loro selva disordinata la larga fronte, simili ai serpenti sul capo della Gorgona. … Amabilità e affabilità non sono proprio sue caratteristiche salvo che non si ritrovi in una cerchia di amici. … A quei tempi frequentava una osteria ove passava le sue serate, seduto in un angolo, del tutto avulso dall’ambiente circostante. Beveva vino e birra, mangiava formaggio e aringhe affumicate. Una sera qualcuno gli si sedette accanto, qualcuno che non gli piaceva. Lo guardò con aria furiosa, sputò per terra, come se avesse visto un rettile, poi roteando gli occhi fra il suo giornale e l’intruso, sputò di nuovo, coi capelli ritti, più irsuto e selvaggio che mai; infine dopo aver sputato ancora una volta guardando l’uomo esclamò “ma chi è questo furfante” e uscì. … Porta sempre con se un quadernetto col quale si conversa con lui per iscritto; ma egli vi annota anche le idee musicali che gli vengono in mente; note assolutamente incomprensibili per gli altri e  da cui solo lui può trarre le sue meravigliose armonie.
Russell [da Prod’homme]

Le letture di Beethoven non si limitavano al campo letterario o fantastico; gli argomenti comprendono arte culinaria, botanica, ornitologia, storia, viaggi, medicina.  Diceva di avere letto Kant e Schelling. Ma sarebbe forse più esatto dire che aveva letto “in” questi libri, assimilando quello che poteva assorbire. Come avrebbe potuto un uomo che non padroneggiava il principio di una moltiplicazione, capire l’ordinamento degli argomenti filosofici o attribuire ai termini astratti, con cui venivano svolti i suddetti argomenti, qualcosa di più che un senso di grandezza e di elevazione a livello emotivo?  C’è da credere che la sua celebre citazione (tra l’altro erronea) – “La legge morale in noi e il cielo stellato sopra di noi/Kant!!!” – riassuma tutto quello che la filosofia gli aveva ispirato; una citazione che nei quaderni di conversazione (scritti fra il 24 gennaio e il 23 febbraio 1820, a pagina 17 recto), precede le parole “Littrow Direttore dell’Osservatorio” (Littrow era il professore di astronomia dell’Università ed era andato da lui in  visita) e non una discussione filosofica. Con Schiller, anche Kant era parte del background di Beethoven a Bonn, e simbolo di aspirazioni morali più che maestro della mente. Il carattere degli appunti, scritti nei suoi taccuini ai quali affidava le speranze e i pensieri più riposti, è tutt’altro che filosofico. Quasi sempre morale o religioso, personalissimo e dal tono emozionale.
M.Cooper

Beethoven come racconta Ferdinand Ries fu uno scolaro difficile. “Era stato desiderio di Haydn che sui frontespizi delle sue prime opere Beethoven scrivesse ”Allievo di Haydn”. Ma Beethoven non volle farlo poiché, se era vero come diceva, che aveva preso qualche lezione da Haydn, era anche vero che  non aveva mai imparato nulla da lui. Prese lesioni di contrappunto do Albrechtsberger e in musica drammatica con Salieri. Ho conosciuto bene questi tre compositori. Tutti e tre avevano una grande considerazione di Beethoven, ma avevano anche la stessa opinione riguardo al suo modo di studiare. Ognuno affermava che Beethoven era sempre stato così caparbio e indipendente che aveva dovuto apprendere attraverso una dura esperienza personale tante cose che in precedenza aveva sempre rifiutato quale argomento di studio. … Che gli studi pubblicati da Seyfried forniscano l’irrefutabile prova che Beethoven si sia dedicato con infaticabile perseveranza agli studi teorici, lascia in realtà adito a molti dubbi.”
Ries

Non era di bell’aspetto e la sua cultura era ad un livello molto elementare; ma la forza della sua personalità riusciva a produrre un effetto intenso su tutti quelli che gli stavano intorno. Da giovane era già noto per il suo carattere difficile, impaziente e sospettoso, così i malintesi erano frequenti, e il suo carattere iroso li ingrandiva spesso in veri e propri litigi. A tutto questo seguivano rapidamente  riconciliazioni e scene di pentimento e rimorso. Questo suo comportamento non riusciva ad offuscare l’enorme fascino della sua personalità. Egli incantava e non gli mancarono mai amici devoti.
Le amicizie maschili si dividevano in due categorie. C’erano quelle calde e intime, con compagni come Wegeler, Amenda e Stephan von Breuning. Uomini con cui sentiva di poter condividere sentimenti e aspirazioni. A considerevole distanza venivano i molti altri che Beethoven teneva in conto per il loro disinteressato desiderio di rendersi utili più che per la possibilità di dividere con loro profonde emozioni: Zmeskall, i fratelli Lichnowsky, il suo factotum Schindler e il giovane Karl Holz per cui però Beethoven ebbe anche sentimenti di vera amicizia.

Kerman e Tyson

Ho infine cercato Beethoven e sono stato a visitarlo. La gente si occupa così poco di lui che nessuno mi  sapeva dire dove abitasse. Alla fine lo ho trovato. Abita in una grande casa, disadorna e solitaria. [All’epoca in cui Fiedrich Reichardt scrisse questa lettera, 30 novembre 1808, Beethoven abitava nella Krügerstrasse presso la Contessa Erdödy.] Sulle prime aveva un aspetto cupo, come la sua casa, ma si rasserenò rapidamente e nel rivedermi mostrò tanta gioia quanta ne avevo io; mi raccontò con cordialità e franchezza alcune cose che dovevo sapere. È di carattere energico, di una forza ciclopica, ma ha indole affettuosa e buona.
Reichardt

Difficile dire quale fosse la concezione dell’amicizia per Beethoven. Le sue lettere lo mostrano in rapporto con membri di alcune famiglie di Bonn, dalla giovinezza fino alla morte. Vi si trovano anche personaggi viennesi titolati coi quali le sue relazioni non furono solo quelle di un rapporto tra mecenate ed artista, ma ebbero una cordialità sicura, e perfino poco protocollare, per quanto permetteva lo spirito dell’epoca, quali il Conte Maurizio Lichnowsky, il Barone von Gleichenstein, il fedele e devoto Zmeskall, e addirittura l’Arciduca Rodolfo. Fra gli amici viennesi di Beethoven vi sono anche borghesi e commercianti, fabbricanti di pianoforti, musicisti ed allievi. Molti di loro hanno lasciato delle note biografiche che permettono di farci un’idea precisa del carattere di Beethoven e dei suoi rapporti con gli amici.
Ve lo si trova fedele e affettuoso, spesso di buon umore e faceto, talvolta ombroso e di una suscettibilità le cui esplosioni dovevano più di una volta costernare i suoi più devoti, ma capace di compensare queste crisi con buone parole la cui sincerità e slancio ristabilivano subito senza difficoltà l’armonia compromessa.
Egli ha scritto molti canoni, per la maggior parte umoristici, dedicati a degli amici, quali Mälzel, la contessa Erdödy, l’Arciduca Rodolfo e tanti altri.
Una sola opera strumentale è stata da Beethoven stesso designata come ispirata dall’amicizia: la Sonata Op.81a, dedicata, nel 1809, all’Arciduca Rodolfo, detta “Les adieux”. Ognuno dei tre movimenti porta un’epigrafe: il primo Das Lebewohl (L’addio); il secondo Die Abwesenheit (L’assenza); il terzo Die Wiedersehen (Il rivedersi).
Boyer [a]
             
Gli ideali umani di Beethoven sono alti e incorrotti: sono gli ideali dei Giusti di tutti i tempi e di tutti i paesi; l’aspirazione alla libertà, la redenzione per mezzo dell’amore, l’affratellamento di tutti gli uomini. Liberté, égalité, fraternité: Beethoven è un portato del 1793; il primo grande democratico della musica. Egli vuole che l’arte sia seria, la vita serena. Ma la vita non è serena: per questo, aspirando alla realizzazione di questo sogno, è sempre iroso e ribelle.
Busoni[a]

Vi era un’incapacità, nel giovane Beethoven, nello stabilire una relazione affettiva con una donna, in parte forse perchè era invariabilmente attratto da donne legate od impegnate con altri. Vi è in seguito, nel corso della sua vita, questo elemento ricorrente, l’intensa passione per l’irraggiungibile.
Solomon [a]

Sebbene figlio del suo tempo, il suo sentirsi diverso e superiore agli altri, il suo disdegnare gli individui delle classi inferiori, e probabilmente la sua riservatezza sessuale resero Beethoven, almeno in qualche occasione, il bersaglio degli scherzi dei più giovani. Come ha riferito Thayer, Simrock ha raccontato che una sera mentre stavano cenando in un ristorante, nel 1791, alcuni musicisti persuasero una cameriera a far mostra delle proprie grazie con Beethoven, e che egli la respinse con freddezza; siccome quella, incitata dagli altri, continuava ad insistere, egli perse la pazienza e mise fine alle scena con un ceffone.
Thayer

[Solomon ha attirato acutamente la attenzione su un aspetto conflittuale della personalità di Beethoven: da un lato il desiderio che il maestro aveva, specialmente nei primi anni viennesi, di godere i vantaggi della amicizia dei nobili e dall’altro la aspirazione, da uomo libero, ad emanciparsi dal loro controllo. Poco dopo il suo arrivo a Vienna Beethoven fu accolto dai Lichnowsky a casa loro, nella Alsergasse 45, e presso di loro  rimase per molto tempo: Wegeler scrive dalla fine del 1794 a metà del 1796. Come ha raccontato  Czerny i Lichnowsky trattavano Beethoven come un membro della famiglia, come un fratello ed un amico, e indussero tutta l’aristocrazia a proteggerlo.  In una lettera a Wegeler [K.52], del 29 giugno (1801?), Beethoven scriveva: “Dall’anno scorso Lichnowsky che, per quanto ti sembri incredibile, era ed è rimasto il mio amico più affettuoso (piccoli dissapori vi furono anche fra noi) ……… mi ha assegnato una somma di 600 fiorini dalla quale posso sempre attingere finché non avrò  trovato un posto conveniente”. In riconoscenza di questo Beethoven offrì in dedica a Lichnowsky alcune delle sue prime opere. La coppia Lichnowsky considerava Beethoven alla stregua di un figlio, ma è qui, dice Solomon, che affiora il conflitto emotivo nei loro confronti come dimostrano alcuni episodi. “Il principe”, come riferisce Wegeler, “che possedeva una voce metallica molto acuta, una volta diede istruzione al suo cameriere di servire per primo Beethoven, nel caso che lui e il Maestro avessero chiamato contemporaneamente. Beethoven lo stesso giorno in cui si rese conto di questa disposizione assunse un proprio cameriere“. In un’altra occasione, quando Beethoven stava imparando a cavalcare il principe gli offrì i suoi cavalli: Beethoven  acquistò subito un cavallo per se.
Wegeler scrive poi: “Ricorderò che l’ora di pranzo era fissata dal principe alle quattro del pomeriggio. Orbene – disse Beethoven – dovrei dunque ogni giorno rincasare alle tre e mezzo, indossare qualche cosa di più adatto, farmi la barba etc.. No, non mi va proprio. E così se ne andava a mangiare spesso in trattoria“. Eppure ricevere certi doni, cose che con le sue finanze non avrebbe potuto permettersi, lo gratificava immensamente. Basta ricordare con quale cura, nel suo disordine!, egli conservò  un quartetto di rari strumenti ad arco italiani (oggi alla Beethovenhaus di Bonn) che gli erano stati regalati da Lichnowsky]

[Un altro tratto particolare della personalità di Beethoven era che egli rifiutava l’idea di essere accettato dagli altri soltanto per il suo talento musicale e non per le sue qualità personali. È questo forse il motivo della sua marcata avversione ad esibirsi al  pianoforte in occasione mondane. Wegeler scrive che ogni volta che gli veniva chiesto di suonare tutto il suo buonumore svaniva completamente. Cupo e irritato venne più di una volta da me, prosegue Wegeler (siamo nel 1794-1796 epoca in cui Wegeler studiava medicina a Vienna), lamentandosi che lo si era costretto a suonare anche se il sangue gli ribolliva dentro. Pretese fra l’altro di suonare in stanze  dalle quali poteva essere ascoltato senza essere visto. Nel manoscritto Fischoff si racconta che una volta in cui un ascoltatore cercò di entrare nella stanza, Beethoven smise immediatamente di suonare, prese il suo cappello e scappò via resistendo a tutte le preghiere. Uno degli incidenti più incresciosi avvenne dai Lichnowsky. Frau von Bernard ha raccontato la scena incredibile dell’anziana contessa Thun [Maria Cristiane von Thun-Hohenstein, moglie di Lichnowsky] che in ginocchio davanti a lui seduto in una poltrona lo supplicava di suonare qualcosa, e di Beethoven che ostinatamente si rifiutava di farlo.]

[Il rapporto tra Haydn e Beethoven, come d’altra parte quello con suoi altri maestri, fu venato di incomprensioni. Come è noto Beethoven prese lezioni da Haydn per molti mesi durante il 1793, ma pensava che Haydn non si curasse dei suoi progressi. Ad un certo punto del 1793 iniziò  segretamente a prendere lezioni da un altro maestro, Johann Schenk. Come ha raccontato Ries, Haydn chiese a Beethoven di scriver sul frontespizio della sua prima opera “allievo di Haydn”, riconoscendolo davanti al mondo come il suo maestro, ma il giovane rifiutò sdegnosamente di farlo, e dichiarò anni dopo, di non aver mai imparato nulla da Haydn. Un altro episodio che non contribuì certo a rendere idilliaci il rapporto fra i due, e di cui è rimasta traccia in alcune lettere è il seguente. Beethoven chiese del denaro in prestito al maestro, lamentando l’insufficienza dell’indennità che riceveva da Bonn dicendo che consisteva in 100 ducati annui. Inoltre, poco delicatamente si fece gioco di Haydn, dandogli alcune composizioni e facendole passare come frutto del suo  lavoro a Vienna. Non dimentichiamo che l’elettore continuava a  pagare Beethoven  come organista di corte proprio perché potesse mantenersi a Vienna a studiare con Haydn.
Nel novembre 1793 Beethoven, per non perderne i favori, scrisse all’Elettore Maximilian Franz una lettera [E.12] in cui diceva di essersi dedicato con tutte le energie alla composizione “per poter  inviare nel futuro a Vostra Altezza Serenissima” qualche opera migliore di quelle inviategli da Haydn. Il fatto è che nello stesso tempo Haydn, commosso per le lamentate ristrettezze economiche dell’allievo, aveva scritto all’Elettore [lettera E.13], inviandogli le citate composizioni che Beethoven gli aveva venduto per nuove, turlupinandolo, dicendo: “… mi permetto di inviare a Vostra Altezza Serenissima  alcuni pezzi musicali … del mio caro allievo Beethoven … segno eloquente della sua diligenza e della sua applicazione agli studi. … Mi permetto inoltre di spendere qualche parola a proposito della sua situazione economica. Per lo scorso anno gli furono assegnati 100 ducati ………”, dicendo poi che Ludwig gli doveva 500 fiorii e chiedendo che gli fossero assegnati 1000 fiorini. La risposta dell’elettore arrivò come un boomerang sul capo dei due [E.14]. “Ho ricevuto la musica del giovane Beethoven. Siccome però tutta questa musica, con la sola eccezione della fuga, è già stata composta ed eseguite qui a Bonn prima del suo viaggio a Vienna, non può costituire la prova di progressi compiuti in questa città. Quanto all’erogazione … per il suo sostentamento a Vienna ammonta … a 500 fiorini oltre allo stipendio di 400 fiorini. Così incassa all’anno sempre 900 fiorini. Non riesco quindi a capire come la sua situazione economica abbia potuto tanto deteriorarsi …“. Visto come sono andate le cose mi vien fatto di pensare che Haydn fosse una brava persona ma una testa molto meno fina, in campo musicale, di quello che si racconta, e che evidentemente non si era molto curato di insegnare e verificare i progressi di Ludwig. Non si era reso infatti conto che quelle composizioni erano state scritte prima della partenza da Bonn. Così come non si era accorto che i compiti di Ludwig venivano corretti prima da un  altro. Il che non toglie che da questo episodio la schiettezza beethoveniana esca un pò sgualcita.]
 

[Beethoven si comportò sempre coi propri insegnanti come solo un genio poteva comportarsi. I suoi studi non furono mai del tutto sistematici, furono spesso interrotti e alla lunga, si ha quasi l’impressione che Beethoven avesse nei loro confronti, per quanto ammirasse la loro scienza musicale, un certo risentimento, risentimento che come scrive Ries talora “è probabile fosse rimasto in Beethoven sin da tempi remoti”. Come se Beethoven avesse provato una sottile ostilità contro musicisti che certamente stimava, ma che in fondo al cuore considerava a lui inferiori e non in grado di giudicarlo. Come racconta Ries, Beethoven se la prese a male, stupefatto dal giudizio di Haydn sui suoi Trii Op.1, perché Haydn consigliò al giovane di non pubblicare il terzo, quello che Beethoven reputava il migliore di tutti. Ries, che non dimentichiamolo visse a lungo vicino a Beethoven, e quindi ebbe certo l’occasione di avere le sue confidenze, ha scritto che questa affermazione di Haydn suscitò in Beethoven una spiacevole impressione e gli fece credere che Haydn fosse invidioso, geloso e maldisposto nei suoi confronti. Un altro esempio è il rapporto con Antonio Salieri (1750-1825), operista di fama, che dominava la scena teatrale di Vienna, al quale Beethoven si rivolse per affinare le sue capacità nella composizione vocale. Nel 1799 Beethoven dedicò a Salieri le tre Sonate per violino e pianoforte Op.12; ma quanto alle critiche di Salieri al Fidelio, Beethoven rifiutò di apportarvi i cambiamenti suggeriti, e giudicò i consigli non frutto di amicizia ma addirittura di astio, definendo, nel gennaio 1809, Salieri come un suo detrattore. Anche il rapporto con Albrechtsberger sembra essere stato dominato da un sottile  contrasto. Tra il 1796 e il 1797  Albrechtsberger scrisse a Beethoven lettere estremamente amichevoli, [E.24, 29, 31], che denotavano affetto e stima per il giovane. Ma l’ultima ci racconta della solita insofferenza di Ludwig che volle indietro lo spartito dei suoi Trii che Albrechtsberger gli aveva chiesto per suonarli pubblicamente. Ma vi è anche chi ha raccontato che in seguito Albrechtsberger definì uno dei quartetti dell’Op.18 “una porcheria“ e disse a un giovane musicista che Beethoven secondo lui non aveva imparato nulla e non avrebbe mai scritto nulla di decente. D’altra parte Beethoven definì Albrechtsberger un pedante, un rigido creatore di scheletri musicali. Ries ha scritto che tutti e tre, ma in particolare Albrechstsberger e Salieri, erano unanimi nel giudicare Beethoven. Ne avevano grande considerazione ma affermavano che era sempre stato così caparbio ed indipendente che aveva dovuto apprendere attraverso una dura esperienza personale molte cose che aveva sempre rifiutato come argomento di studio.]

Quando Clementi giunse a Vienna, Beethoven fu preso dal desiderio di recarsi immediatamente da lui, ma suo fratello gli mise in testa che stava a Clementi compiere la prima visita. Clementi, sebben più anziano, avrebbe probabilmente fatto questo passo, se a tale riguardo non si fossero diffuse delle dicerie. Accadde così che Clementi soggiornò  a lungo a Vienna, ma non conobbe Beethoven se non di vista. Allo Schwan pranzammo piuttosto spesso allo stesso tavolo, Clementi insieme al suo allievo Klengel, e Beethoven con me. Ognuno sapeva chi fossero gli altri, ma nessuno scambiò una parola o accennò ad un saluto. I due allievi dovevano imitare i loro maestri, pena la probabile perdita delle lezioni. Io perlomeno avrei subito tale conseguenza, dato che Beethoven non conosceva mezze misure.
Ries

[Tutti coloro che lo hanno incontrato ricordano che Beethoven mancava totalmente di grazia. Impacciato e goffo era decisamente un tipo maldestro; riusciva talora a far cadere i soprammobili rompendoli regolarmente. Come hanno ricordato i suoi amici di gioventù non imparò mai a ballare. La signorina von Kissow, che divenne poi Frau Bernhard, raccontò nel 1864 a Ludwig Nohl di avere avuto occasione, attorno al 1800, di vedere sovente Beethoven alla ambasciata russa di Vienna: “Il suo comportamento mancava completamente di finezza; era un giovanotto grossolano ed incapace di buone maniere“. Frau Bernhard ricordava che una sera, a casa Lichnowsky, Haydn e Salieri sedevano su un canapé accuratamente vestiti all’antica, con parrucca, scarpini e calze di seta, mentre l’abbigliamento di Beethoven, che si lasciava crescere i capelli come venivano, era quasi trasandato.
Molti hanno riferito del suo comportamento distaccato e riservato e, all’apparenza, altezzoso, che si trasformava perfino in villania quando non voleva sottomettersi a certe regole dell’etichetta o alla richiesta di suonare. Una volta abbandonò, furibondo, una cena aristocratica, perché il posto che gli era stato assegnato non gli parve degno di lui. Con questi comportamenti si meritò il titolo di “orso” che pare gli sia stato appioppato da Cherubini.]

Seyfried riassume così il profilo morale di Beethoven: “Si distingueva per rettitudine di principi, grande moralità, correttezza di sentimenti e pura religiosità naturale. Queste virtù reggevano la sua vita ed egli le esigeva dagli altri“.
Solomon

[I rapporti di Beethoven, a volte anche con gli amici, erano minati dal sospetto, e questo lato del suo carattere assunse col passare degli anni aspetti minacciosi e imprevisti. Nella sua indole la fiducia negli altri era, come principio, una caratteristica predominante dato che, come osservava Wilhelm Rust, Beethoven era abbaztanza infantile e sopratutto molto sincero. Un buon esempio di questa sua fiducia negli altri è quanto ci racconta Ries. Quando una volta Himmel malignamente gli scrisse da Berlino che era stata inventata una lampada per i ciechi, Beethoven senza esitare ne diffuse la notizia fra gli amici. Molti esempi di sfiducia negli altri si trovano nella sua biografia. Il racconto di Röckel, riportato da Thayer,  è un bell’esempio della sospettosità di Beethoven. Nell’aprile 1806, dopo la terza rappresentazione del Fidelio al Theater an der Wien, il cantante Röckel si era recato dal barone von Braun per riscuotere il suo guadagno. Mentre attendeva nell’anticamera del barone udì una violenta disputa nella stanza accanto: Beethoven, fuori di sé strepitava perché riteneva di essere stato defraudato, da parte dei cassieri, di parte degli introiti degli spettacoli. Il barone gli faceva notare che era il primo compositore cui fosse stato concesso dal teatro di partecipare alla divisione degli utili e che il teatro non era esaurito (cosa di cui si erano resi conto anche i cantanti in scena), soprattutto nei settori popolari, che invece erano sempre gremiti alle opere di Mozart. Pertanto gli introiti erano stati modesti. A questo punto Röckel udì Beethoven urlare mentre camminava nella stanza: “Io non scrivo per il popolo, io scrivo per la gente colta”. “Ma questo da solo non basta a riempire il teatro” rispose con calma il barone “anche Mozart non disdegnava di scrivere per il loggione”. Al che Beethoven esclamò:  “Non voglio più che l’opera sia rappresentata! Ridatemi la mia partitura, immediatamente!”, e strappò dalle mani di un inserviente che era stato inviato a prenderla il grosso volume, attraversò l’anticamera e si precipitò per le scale ….]

[Anche se Beethoven ha affermato talvolta il contrario, dichiarandosi semplicemente un servitore dell’arte, egli è stato sempre, col suo lavoro caratterizzato da una continua aspirazione alla perfezione, alla ricerca della affermazione personale. Come nota Thayer, Beethoven non era affatto indifferente agli onori, come talvolta dichiarava e come traspare da certi suoi scritti. Egli si sentiva immensamente gratificato dalle manifestazioni del successo: medaglie, onori, fama, applausi e, in un certo periodo della sua vita, verrebbe voglia di dire, soprattutto dal denaro. Né era indifferente alle critiche. In una lettera del 22 aprile 1801 [K.47], scrisse a Breitkopf e Härtel dichiarando apertamente che si aspettava che le sue opere fossero recensite in modo più benevolo nella loro rivista musicale, l’Allgmeine Musikalische Zeitung. Sebbene espressa con garbo la richiesta non nasconde un marcato risentimento e la coscienza della sua superiorità :  “Raccomandino ai recensori più cautela e prudenza specialmente nei confronti dei prodotti degli autori più giovani. … Per ciò che mi riguarda, sono ben lontano dall’avvicinarmi ad una tale perfezione immune da biasimi e tuttavia, all’inizio,  le grida dei loro critici contro di me furono così umilianti che, cominciando a paragonarmi agli altri … restai ben tranquillo e pensai che non capivano nulla; tanto più tranquillo potei restare se consideravo a come vengono innalzati qui uomini che significano poco fra i migliori e quasi spariscono”. Ma in altra occasione la protesta fu ben più violenta.]

Beethoven era dominato da un costante senso di “missione”, di “vocazione” e profondamente convinto del significato della propria opera e della propria arte. Tutto il resto era subordinato all’adempimento di tale missione. Ma mentre all’inizio del 1793 scriveva che i suoi precetti erano “fare il bene dovunque sia possibile, amare la libertà sovra ogni altra cosa, non negare mai il vero, neppure dinanzi al trono“, nel 1798 un elemento elitario si fece strada nel suo pensiero; in quell’anno scriveva a Zmeskall: “Il diavolo Vi porti. Mi rifiuto di ascoltare alcunché sui Vostri principi morali. Il potere è il principio morale di chi eccelle sugli altri, ed è anche il mio“. 
Solomon

[Dopo una probabile infatuazione iniziale per le idee apparentemente libertarie che portava, Beethoven non manifestò simpatie verso la Rivoluzione francese. Nonostante che qualcuno a quanto pare lo abbia chiamato un “rivoluzionario”, anche la presunta amicizia con l‘ambasciatore francese, generale Bernadotte, che fu a Vienna per un periodo di due mesi nel 1798, non è mai stata dimostrataNel 1794 [2 agosto K.11] scrisse a Simrock, che era membro dell’Ordine degli Illuminati di Bonn: “Qui fa un gran caldo, e i viennesi temono che presto non potranno più avere i gelati: perché l’inverno è stato tanto mite il ghiaccio scarseggia. Qui hanno messo dentro molte persone di rilevo; si dice che stesse per scoppiare una rivoluzione. Ma io credo che un austriaco, finché potrà avere la sua birra scura e i suoi wurstel, non si rivolta.”]

Tutta la vita di Beethoven fu caratterizzata da una tensione fra obbedienza e ribellione. Durante [i primi anni di Vienna] non troviamo alcuna espressione di malcontento verso la corte imperiale o il regime repressivo dell’imperatore asburgico Francesco I. I suoi momenti d’ira contro la città d’adozione, cominceranno ad apparire nel decennio seguente. In questi primi anni era predominante il desiderio di “appartenenza”. Nel 1796 mise in musica un testo patriottico antinapoleonico di Friedelburg; l’anno successivo musicò un altro canto di guerra, “Ein grosses, duetsches Volk wir sind” (Siamo un grande popolo tedesco). Nel 1800 dedicò all’Imperatrice Maria Theresia il Settimino Op.20 e il 5 aprile 1803 concluse un suo trionfale concerto con una serie di improvvisazioni su “Gott erhalte Franz den Kaiser”.
Solomon

Il dr. Wilhelm Christian Müller, pedagogo, amante della musica e che aveva fondato a Brema i Familienkonzert incontrò Beethoven a Vienna il 26 ottobre 1820. Ha lasciato scritto:
I viennesi danno un giudizio sfavorevole alla sua originalità e alla sua eccentricità e lo considerano matto. Tutti concordano sul fatto che sia un genio ma in realtà ben pochi lo conoscono veramente. Quelli che conoscono il suo buon senso e il suo cuore senza macchia hanno per lui la più schietta amicizia. È certo che non conosce né il mondo, né la corte, né la politica né la dissimulazione. Egli vive nel mondo della sua arte, nell’empireo dei suoni come un monarca. Nessuno sapeva dove abitava. In estate era stato a Mödling: quando lo cercammo là la governante ci disse che era uscito al mattino presto per passeggiare, ma che potevo tornare alla sera o fra tre giorni. Qualche giorno dopo appreso che era tornato a Vienna corremmo da lui. Si scusò della sua fuga, parlò della assurdità del mondo, del cattivo gusto in musica, e in modo corrosivo della politica. … Ha perso l’udito … e non può più sentire l’effetto delle sue composizioni, ne i suoni della natura che lo hanno tante volte ispirato. … Ci mostrò il piano donatogli dalla Società Filarmonica di Londra, che gli ha fatto molto piacere. Il popolo inglese disse è un popolo onorevole che sa non solo apprezzare l’arte ma anche ricompensarla, che concede la libertà di parlare e di scrivere, anche contro il Re e i ministri più potenti; non lo impediscono né censori né poliziotti. … Il caos regnava nel suo appartamento. … Disse che non accettava né inviti né aiuti dai suoi amici per potere essere sempre indipendente. La libertà è il più grande di tutti i beni.
Le sue espressioni sono originali, sempre infarcite di umore satirico, esse ci appaiono singolari perché escono dalla routine quotidiana del mondo. … Nel suo aspetto tutto è potente, rude, come la struttura ossea del suo viso dalla fronte alta e larga, dal naso corto quadrato, coi suoi capelli arruffati raccolti in grosse ciocche. Ma la sua bocca è graziosa, i suoi occhi sono belli e parlanti e la loro espressione cambia velocemente, di volta in volta graziosi, selvaggiamente amabili, minacciosi, terribili.  Come sono appropriate le sue parole sul mondo, la politica, la morale e l’estetica!
Beethoven è uno cui basta la sua arte. Il resto della vita gli pare un deserto privo di gioie …
Müller [da Prod’homme]

[Negli anni 1800-1802, Beethoven diede  alla luce delle opere che, come hanno scritto praticamente tutti gli studiosi della sua opera, testimoniano la massima padronanza dello stile classico maturo e al tempo stesso mostrano come egli stesse passando ad uno stile radicalmente nuovo. Basta pensare alla Prima Sinfonia Op.21 e alla Seconda Op.36, al Settimino Op.20, al Terzo concerto per pianoforte Op.37 e alla Sonate per pianoforte Op.22, Op.26, Op.27 nr.1 e nr.2, Op.28 e Op.31. Per non parlare de Le creature di Prometeo Op.29, delle Sonate per violino Op.23, Op.24 e Op.30, delle Variazioni Op.34 e Op.35. Eppure, nonostante i successi, Beethoven trascorse negli anni 1800-1802 dei periodi di grande angoscia a causa della incipiente sordità. E verso la primavera 1802 nuove nubi si addensano attorno a lui. È sempre la sordità la causa principale del malessere e del disagio psicologico di Beethoven. Il racconto di Ferdinand Ries, che nel 1802 andava a lezione da lui ad Heiligenstadt, fotografa in maniera inequivocabile l’effetto della ormai evidente sordità sul suo stato d’animo: “Durante una passeggiata Beethoven mi diede il primo allarmante segno del calo del suo udito, quale mi era già stato comunicato da Stephen von Breuning. Richiamai infatti la sua attenzione su un pastore che, su un flauto di sambuco, suonava nel bosco in modo assai piacevole. Per una buona mezz’ora Beethoven non fu in grado di udire nulla, e sebbene gli assicurassi che pure io non udivo più nulla (cosa peraltro non vera) egli si fece estremamente silenzioso e cupo. Quando accadeva che si mostrasse di buon umore lo era il più delle volte fino alla sfrenatezza. Ciò tuttavia avveniva solo di rado”. Questo frequente precipitare dal maniacale al malinconico rifletteva certo, come suppone Solomon, la profondità del dolore che stava sopportando. Inoltre da alcuni  anni andava soggetto a gravi crisi di ansia che sfociavano quasi nel panico. Nel Testamento di Heiligenstadt cercò di spiegare le proprie sofferenze e la propria angoscia che, nella solitudine in cui lo avevano precipitato, avevano fatto nascere in lui pensieri suicidi. Credette di avere individuato l’unica “causa segreta” dei propri tormenti nella sordità – e offrì il testamento, pensa Solomon, quale saggio di autogiustificazione affinché, reso pubblico solo dopo la sua morte, “il mondo potesse riconciliarsi con lui” e comprendere perché egli fosse giudicato “astioso, testardo o misantropo”.
Ma tale spiegazione ci appare troppo semplicistica. Oscillazioni dell’umore, tendenza all’isolamento e a chiudersi in se stesso, queste pieghe del carattere di Beethoven facevano parte della sua personalità, esistevano molto prima dell’insorgere della sordità ed erano affiorate già negli anni giovanili a Bonn. Frau von Breuning conosceva bene la sua ostinatezza ed i suoi sbalzi di umore, i “suoi raptus” come li chiamava lei, e da tempo ormai protettori, insegnanti e pianisti rivali avevano provato la violenza della sua aggressività. “Il Testamento, in un certo senso,” scrive Solomon, “è il prototipo letterario della Sinfonia Eroica, il ritratto di un artista-eroe, colpito dalla sordità, isolato dall’umanità, che reprime i propri impulsi suicidi, lotta contro il fato, sperando di trovare “almeno un giorno di gioia“. È un sogno ad occhi aperti fatto di eroismo, di morte e rinascita, una riaffermazione della fedeltà di Beethoven alla virtù e all’imperativo categorico”.]

Nel 1804 Stephan von Breuning scrisse a Wegeler: “Lei non può immaginare, caro Wegeler, quale indescrivibile e vorrei dire terrificante impronta ha lasciato su Beethoven la diminuzione dell’udito. Lei conosce il suo carattere irascibile, e può quindi immaginarsi a cosa lo abbia portato l’idea di sentirsi colpito dalla sventura: si è chiuso molto in se stesso, e sovente diffida anche dei suoi migliori amici, ed è insicuro in tante cose! Esclusi certi momenti eccezionali in cui appare di nuovo il suo sensibile carattere, i rapporti con lui sono realmente faticosi”.
Wegeler

La diminuzione del contatto uditivo di Beethoven con il mondo esterno lo condusse inevitabilmente ad un senso di doloroso isolamento e incoraggiò tendenze, già latenti in lui, alla misantropia ed al sospetto. Ma in un certo senso la sordità ebbe un effetto positivo sulla sua creatività, permettendogli forse di concentrarsi totalmente sulla composizione, all’interno di un mondo di sempre crescente isolamento acustico. In questo suo mondo di sordo, Beethoven potè sperimentare nuove forme di esperienza, libero dai suoni invadenti dell’ambiente esterno libero, come un sognatore, di seguire i propri desideri. Il vuoto era riempito della sua musica. “Vivi soltanto nella tua arte!“, scrisse in un foglio di appunti del 1816. [E in una Lettera ad Amenda, K.50, 1 luglio 1801 “Quando suono e compongo, il mio malanno mi dà ancora il fastidio minore, lo sento invece molto nelle relazioni [con gli altri]”.]

Solomon

La popolarità di Beethoven, nel 1814, indusse Artaria a pubblicare un suo ritratto. Il disegno a matita era stato fatto da Latronne. Blasius Höfel, un giovane di 22 anni, era stato incaricato di eseguire l’incisione. Il disegno di Latronne non era molto bello ma Höfel desiderava fare invece un ritratto molto somigliante. Höfel aveva visto spesso Beethoven da Artaria, e quando fu abbastanza avanti col lavoro gli chiese di fare una o due sedute per lui. Beethoven accettò e alla prima seduta rimase in posizione abbastanza quieto per circa cinque minuti. Ma a un certo punto balzò in piedi e corse al pianoforte dove si mise da improvvisare. Höfel seccato non sapeva che fare, ma il cameriere di Beethoven lo rassicurò dicendogli di sedersi pure presso di lui, a lato del pianoforte, e lavorare a suo piacere perché il Maestro si era certo dimenticato di lui e non si ricordava che vi fosse qualcuno nella stanza. Höfel lavorò quanto volle e alla fine se ne andò senza che Beethoven si accorgesse di nulla. Ne uscì un ottimo lavoro, forse la migliore incisione di Beethoven.

Thayer

[I primi segnali di un indebolimento di udito  con i primi sintomi preoccupanti Beethoven li avvertì attorno al 1798-1799. All’inizio consistettero in sintomi intermittenti con acufeni in forma di ronzii, fischi e in una parziale perdita della capacità di distinguere le frequenze più alte. Fu solo negli anni 1801-1802 che Beethoven si rese conto che il suo disturbo poteva divenire invalidante, e questo causò la grande crisi che sfociò nel testamento di Heiligenstadt. Tuttavia negli anni successivi la sordità di Beethoven non appariva molto marcata. Seyfried, che tra il 1803 e il 1806 visse per lunghi anni nella stesso stabile in cui viveva Beethoven e passava parecchio tempo con lui, scrisse nelle sue memorie che non vi erano ancora a quel tempo i segni di una grave compromissione dell’udito. Ma nel 1804 Beethoven ebbe delle difficoltà nel percepire il suono dei fiati durante una prova dell’Eroica. Nel 1805 fu comunque in grado di dirigere le prove del Fidelio e negli anni successivi suonava ancora in pubblico. Wilhelm Rust, un pianista fanciullo prodigio, che si fermò a Vienna nel 1807 e nel 1808, racconta che dopo una sua esecuzione di una fuga di Bach nel 1808 Beethoven gli fece notare alcune minimi errori, quale ad esempio la esecuzione di una nota ribattuta là dove doveva essere legata. Difficile dire se l’osservazione nascesse da una ancora considerevole  finezza di udito o dall’esperienza di vecchio insegnante che guardava le mani. A questo proposito von Breuning ha scritto che una volta, nel 1825 lo invitò a suonare “e lui, che non sentiva nulla, guardava attentamente le mie mani”. Ma Reichard ricorda di averlo sentito suonare in maniera ancora meravigliosa nel 1808 a casa Erdödy. Fu dopo il 1810 che la sordità si fece più marcata fino ad impedirgli di esibirsi ancora come pianista solista in concerto. Nel 1814, il giorno 11 aprile, gli riuscì a malapena di partecipare al concerto, organizzato da Schuppanzigh a beneficio dei militari, che si tenne nella hall dell’Hotel zum Römischer Kaiser, in cui fu eseguito il Trio Arciduca. Ludwig Spohr, e che lo sentì suonare in quella occasione scrisse: “Nei passaggi in forte il povero sordo pestava sui tasti fino a far stridere le corde, e nel piano suonava così sommessamente che interi gruppi di note venivano a mancare, cosicché la musica risultava incomprensibile …”

Fu questa la sua ultima esibizione in pubblico. Già allora la sordità era tale che per farsi intendere da lui era necessario strillare avvicinandosi alle sue orecchie. Attorno al 1817, come ha raccontato Czerny, la sua sordità era progredita a tal punto da impedirgli di ascoltare musica. Beethoven cercò di ovviare alla sua infermità con l’uso di cornetti acustici a partire dal 1816 e con l’uso di uno speciale apparato risuonatore appoggiato sul suo pianoforte.  Fu poi necessario scrivere durante le normali conversazioni per farsi intendere da lui: è del febbraio 1818 il primo dei Quaderni di Conversazione che ci sono pervenuti.   Negli ultimi otto-dieci anni di vita la sordità si fece sempre più marcata. Sebbene totalmente sordo dall’orecchio destro aveva ancora la possibilità di avvertire qualche suono Qualcuno dei suoi visitatori riferisce che attorno al 1822-1823 si riusciva ancora a fargli comprendere qualche cosa urlandogli forte nell’orecchio sinistro.. Ma poi la sordità fu completa. Nel 1822 tentò invano di dirigere una ripresa del Fidelio e in occasione della prima della Nona Sinfonia, il 7 maggio 1824, non udì neppure le urla di acclamazione del pubblico tanto che Carolina Hunger lo fece girare perché vedesse cosa accadeva in sala. Come racconta Stephan von Breuning ragazzino, una volta nel 1825, recatosi a casa del maestro che era seduto al suo tavolo di lavoro, non essendo convinto della sua sordità cominciò a pestare sul pianoforte che era lì vicino, sempre più forte e sempre più in fretta. Ma il maestro imperterrito continuò il suo lavoro. E racconta von Breuning che suo padre urlava parlando col maestro, ma che questo lo capiva più per i gesti che per i suoni. Nonostante questo Holz, che fu accanto al maestro negli ultimi periodi della vita, ha raccontato che  “Beethoven fu in grado di condurre le prove dei suoi ultimi quartetti”,  ma è molto più probabile, come ha detto qualcuno che lo facesse seguendo il movimento degli archetti.]

[Ricordi di Sir Julius Benedict su Beethoven, nel 1823].
Beethoven passava sovente nel negozio di Steiner e Haslinger nella Paternostergasschen. La mattina in cui vidi per la prima volta Beethoven, Blahetka, il padre della pianista, attirò la mia attenzione su di un signore robusto e tarchiato, dal viso molto rosso, dagli occhi piccoli e pentranti con sopracciglia folte, che indossava una lunga marsina che gli giungeva quasi alle caviglie, e che in quel momento, attorno alle dodici, stava entrando nel negozio. Blahekta mi chiese: “Chi pensate che sia?”. Esclamai subito “Dev’essere Beethoven!”. Infatti, nonostante il rossore del viso e l’aspetto del tutto trascurato, nei suoi occhi, piccoli e penetranti vi era un’espressione che probabilmente nessun pittore saprebbe riprodurre.
Thayer

[Cipriani Potter (1792-1871), pianista e compositore, ha lasciato un resoconto dei suoi incontri con Beethoven].
Beethoven pregò Potter di mostrargli una sua partitura, e questi gli diede un’ouverture. Beethoven la scorse con una tale rapidità che Potter pensò che egli vi avesse gettato un’occhiata per gentilezza, ma senza in realtà leggere nulla: fu molto sorpreso quando Beethoven gli mostrò alcuni errori.
Durante le passeggiate in campagna nei dintorni di Vienna, Beethoven si arrestava sovente, si guarda attorno  e manifestava la gioia che gli dava il contatto con la natura.
Una volta, Potter gli chiese la sua opinione su uno dei pianisti più in voga allora a Vienna, Moscheles. “Non parlatemi più dei suonatori di scale!”. Un’altra voltà dichiarò che il pianista che gli piaceva di più era Cramer.
Una volta, a Mödling, Potter entrò nell’anticamera di Beethoven, lo sentì che nella stanza accanto improvvisava, e fu sorpreso ed emozionato per questo modo di suonare meraviglioso che produceva armonie inaudite (o disarmonie, a causa della sua sordità), e passaggi delicati e veloci. Dopo un po’ Beethoven aprì la porta guardando fuori; vedendo Potter lì,   apparve irritato e disse: “Non mi piace che qualcuno mi ascolti”.
Anche la politica aveva posto nella loro conversazione. Fin dal primo giorno trascorso insieme, Beethoven ricoprì il governo austriaco con tutti gli epiteti possibili. Era dominato dall’idea di recarsi in Inghilterra. Era suo desiderio vedere la Camera dei Comuni. “Voi in Inghilterra, Voi avete la testa sulle spalle”.
Potter riferisce che Beethoven parlava più facilmente l’italiano che il francese. Pensava che avesse conservato una predilezione per questa lingua grazie ai suoi rapporti con Salieri e altri artisti italiani. La loro conversazione si svolgeva per lo più in questa lingua. Potter riusciva a farsi capire parlando nella sua mano, tenuta leggermene ricurva a mò di cornetto, appoggiata all’orecchio.
Thayer

[Nell’ottobre del 1808 giunse, da parte del re Jerome Buonaparte, l’invito a Beethoven di trasferirsi a Cassel, in Westfalia, come Kapellmeister, con un salario di 600 ducati. Un rendiconto esatto di come siano andate le cose non lo abbiamo. Ma poco dopo, grazie alla generosità e all’ entusiasmo per la musica di tre giovani esponenti dell’alta nobiltà, i principi Lobkowitz e Kinsky e l’arciduca Rodolfo d’Austria, fu assegnato a Beethoven un vitalizio di 4000 fiorini. In un contratto, il cui testo è riportato per estreso da Thayer, gli aristocratici fra l’altro scrissero:
“Dato che è stato dimostrato, che solamente chi sia il più possibile libero da preoccupazioni si può dedicare  ad un’unica attività e creare opere grandi ed elevate che nobilitino l’arte, i sottoscritti hanno deciso di porre Herr Ludwig van Beethoven in una posizione nella quale le necessità della vita non gli provochino difficoltà né soffochino il suo possente genio“. “In considerazione del fatto che Beethoven si impegna a stabilire il proprio domicilio a Vienna o in un’altra città dei paesi di sua Maestà Imperiale Austriaca, e ad allontanarsi dal suo domicilio solo per il tempo richiesto dalla sua attività artistica …” “In cambio i sottoscritti si impegnano a pagare questo salario annuo  sino a che Herr van Beethoven non riceva un incarico che gli renda l’equivalente della detta somma“.
Quanto lo abbiano deciso spontaneamente “i sottoscritti” o quanto e come, e da chi essi siano stati indotti a farlo è motivo di congettura. Ma è certo che Beethoven, ben consigliato, giocò bene le sue carte in questa occasione sfruttando la minaccia di trasferirsi altrove. Già nel 1807, in una lettera [E. 202] indirizzata alla “Onorevole regia imperiale direzione dei teatri di corte”, nella quale si dichiarava favorevole ad accettare la “assunzione, ad adeguate condizioni” presso i teatri di corte, fissandovi stabilmente la sua residenza, Beethoven agitava lo spettro di una sua partenza da Vienna: “Il sottoscritto, avendo sempre assunto come filo conduttore della sua carriera non certo il mero guadagno …, bensì l’interesse per l’arte …, ha dovuto spesso sacrificare alla musa il suo profitto e i suoi interessi.” Ed ecco la non tanto velata minaccia: “Tuttavia, opere nate da tale impegno gli hanno valso in paesi lontani una fama che gli ha garantito, in varie città importanti, l’accoglienza più favorevole commisurata ai suoi talenti …”. E poi, dopo avere dichiarato che “prima di mettere in atto il proposito di abbandonare un soggiorno a lui caro” [cioè Vienna] non poteva rifiutarsi di “manifestare nelle forme dovute la sua disponibilità a tale assunzione” il grande commerciante che, non dimentichiamolo, arriverà ad offrire contemporaneamente a più editori la stessa opera, elencava le sue condizioni. In occasione della minacciata partenza per Cassel vi fu certo un grande affaccendarsi nelle nobili case e negli ambienti di corte fra i sostenitori di Beethoven. Probabilmente un ruolo importantissimo lo ebbe la affascinante amica Contessa Maria Erdödy, presso la quale a quel tempo, nella Krügerstrasse 1074, abitava Beethoven. Ne è rimasta traccia nelle lettere del maestro. Prima di tutto ricevuta la richiesta da Cassel Beethoven si affretta a chiedere, su consiglio dell’amico Ignaz von Gleichenstein, quale sarebbe stato il suo stipendio. Appena avuta la risposta si affretta, nel dicembre 1808, a comunicarglielo [lettera K.164] e si affretta a spargere la falsa notizia della sua partenza, compreso l’ammontare dello stipendio, scrivendone a Breitkopf e Härtel [7 gennaio 1809, K.175]. E qui viene il sospetto che tutto il piano sia stato architettato dalla sottigliezza della mente della sposa quindicenne, che a venti lascia il marito e, che sebbene malaticcia e zoppicante, nella Vienna sfarzosa tiene una casa frequentata da artisti e potenti (e probabilmente due amanti contemporaneamente, il segretario Franz Xaver Brauchle e il maestro van Beethoven), la Contessa Erdödy. Infatti è la contessa, come ci racconta senza mezzi termini la lettera K.177 del gennaio 1809, che “pensa che [tu Ignaz von Gleichenstein] dovresti abbozzare con lei un piano, sulla base del quale lei possa svolgere le trattative nel caso in cui fosse interpellata, come crede per certo. Se tu avessi tempo questo pomeriggio la principessa sarebbe lieta di vederti“. E poi altre lettere in cui si tratta del contratto, di un avvocato, con la raccomandazione che “il documento si riferisca interamente ed esclusivamente all’esercizio della mia arte”, specificando bene che in Westfalia non avrebbe dovuto “far altro che dirigere i concerti del Re, i quali sono brevi e non troppo frequenti” [K.180] per cui risultava “chiaro che [a Cassel] potrò dedicarmi completamente all’obbiettivo principale della mia arte, scrivere grandi opere …”. Ma altro che generiche raccomandazioni. Thayer ha riportato anche un testo, verosimilmente redatto da Gleichenstein, di cui è andato perduto l’originale, nel quale sono elencate le condizioni per così dire dettate da Beethoven ed i suoi amici per la stesura del contratto che fu alla fine firmato il 26 febbraio 1809. Il contratto lasciava libero Beethoven di dedicarsi alla composizione, non richiedeva che  componesse un determinato numero di opere, né che dovesse prestare qualsiasi tipo di servizio come musicista. Con questo Beethoven aveva raggiunto [o meglio credeva di avere raggiunto, dato che il pagamento del vitalizio non sempre avvenne regolarmente e il suo valore fu falcidiato dalla Finanz-Patent dopo le guerre napoleoniche] quello cui aspirava: la massima libertà e la massima indipendenza in un epoca in cui i musicisti erano ancora dipendenti di un mondo semifeudale, nel quale avevano ancora un ruolo la protezione e i legami personali con potenti e aristocratici, anche se non si arrivava più al ruolo servile che era stato anche di Mozart.]

[Il Dr.Karl von Bursy, medico, incontrò Beethoven nel 1816. Era un amico di Amenda.]
Al contrario di quanto accadde con Jean Paul, l’immagine di Beethoven confermò del tutto l’idea che mi ero fatto di lui. Piccolo, abbastanza robusto, capelli irsuti, molti già grigi, viso rossastro, occhi di fuoco, profondi e animati da una vita straordinaria. Si lamentò del fatto che i suoi migliori amici, fra cui Amenda erano lontani e che lui era solo nella detestabile Vienna. Mi pregò di parlare forte causa la sua difficoltà di udito, cosa per la quale si sarebbe recato in estate a Baden. Non stava bene da tempo e non aveva composto nulla di nuovo. Gli chiesi notizie sul soggetto del libretto dell’opera Bacchus, di Berge, che gli aveva mandato Amenda. Gli gridai nell’orecchio che per questo avrebbe avuto bisogno di tempo e comodità. “No” rispose, “non lavoro senza interruzione. Lavoro sempre contemporaneamente a più cose, ora a questa ora a quella”. Spesso mi capiva male e per capirmi doveva metterci la massima attenzione.
Mi raccontò molte cose di Vienna e della sua vita qui. Ribolliva di bile. Ce l’aveva con tutto e tutti, era scontento di tutto e malediva l’Austria e in particolare Vienna. Parlava velocemente e in modo molto animato. Ogni tanto picchiava violentemente il pugno sul tavolo facendo risuonare tutta la stanza. Con me non fu riservato e mi raccontò rapidamente delle sue vicende personali e dei suoi familiari. Questo è proprio il signum diagnosticum dell’ipocondria. Egli si lamentava del presente per molti motivi. L’arte non è più così al di sopra della volgarità, non è più così considerata e soprattutto non è più così apprezzata per quel che riguarda il suo compenso. E giù lamentele sulla durezza dei tempi dal punto di vista pecuniario.  È credibile che anche un Beethoven avesse delle ragioni di lamentarsi di questo?
Alla mia domanda perché allora restasse a Vienna, mentre ovunque i regali stranieri gli avrebbero dato un posto vicino al trono, rispose: “Ci sono rapporti che mi legano a Vienna, ma vi sono qui molte cose meschine e sporche. Da cima a fondo tutto il mondo è miserabile. Non ci si può più fidare di nessuno. Se non è scritto nero su bianco non lo rispetta più nessuno. La gente pretende che si lavori e paga come dei miserabili, e mai quello che si è pattuito”.
Beethoven dà grande importanza al denaro, e devo convenire che questo lo rende più umano, lo avvicina molto a noi tutti.
von Bursy [da Prod’homme]

Beethoven voleva sentire il calore di una esperienza nel seno di una vera famiglia. Durante i due anni (1816-1817) durante i quali [il nipote] Karl frequentò l’Istituto Giannattasio, Beethoven si sentì a casa propria con i Giannattasio e le due figlie ormai adulte, la maggiore delle quali, Fanny, teneva un commovente diario. Essa ricordava che Beethoven “pareva volersi consacrare anima e corpo“ a Karl. … Fanny, che aveva di recente vissuto una storia d’amore finita tragicamente, si innamorò di Beethoven, ma egli in conformità al suo abitale modello di comportamento, l’attrazione cioè per una donna irraggiungibile, sostenne di preferire la sorella minore, Anna, che era fidanzata con un altro. … Egli chiamava Fanny “Signora badessa“, il che, essa scrive, non mi piaceva affatto, e si lasciava andare a “piccoli sarcasmi“ che la ferivano profondamente. Per alcuni mesi egli fu un ospite che giungeva a tarda sera, e per di più imbronciato. “A volte sembra così ostile e freddo“ scrive Fanny. “Purtroppo le serate interessanti erano rare. Per tutta la sera Beethoven se ne stava seduto al tavolo rotondo accanto a noi, immerso, pareva, nei suoi pensieri concedendoci ogni tanto una parola o un sorriso, sputando incessantemente nel fazzoletto e poi guardando nel fazzoletto come se aspettasse di trovarvi del sangue“. (Avrebbe potuto anche andar peggio: altri riferiscono che Beethoven “a volte sputava nella sue mani“). Non era però sempre così sgradevole. Un giorno portò delle violette e disse, alla compiaciuta Fanny: “Vi porto la primavera!“.  Accompagnava le due ragazze al piano, regalava loro biglietti per i concerti e le ultime edizioni dei suoi Lieder. Compose un Hochzeitslied WoO 105, per il matrimonio di Anna, nel 1819. Si confidava con loro sui propri problemi familiari. Il fatto che egli narrasse loro anche racconti idealizzati sulla sua giovinezza, sui genitori, e sul nonno tanto venerato, indica certo come egli considerasse i Giannattasio una famiglia adottiva durante questi anni difficili.

Solomon

August Röckel (1783-1870), il tenore che cantò nel Fidelio alla ripresa del 1806, e che partecipò alle riunioni a casa Licknowsky del 1805 nelle quali si decisero le modificazioni da apportare all’opera prima di riproporla in pubblico, ci ha lasciato una lunga memoria, in versioni leggermente differenti, su quegli avvenimenti e su certi aspetti di Beethoven. Egli si recò a casa di Beethoven per ritirare la sua parte dell’opera che doveva interpretare. Ha scritto:
Entrai nel santuario del genio sublime. Una casa di aspetto quasi miserabile, ove pareva che l’ordine fosse stato bandito o non vi avesse mai albergato. In un angolo un fortepiano aperto con sopra molti fogli di musica nel più selvaggio disordine; sparse dovunque le parti dell’opera [Fidelio] alle quali stava lavorando, alcune su delle sedie, altre sopra e sotto la tavola che stava al centro della stanza; fra fogli di musica e schizzi un enorme lavabo al quale il maestro stava facendo delle abluzioni con acqua fredda al suo torso robusto. Mi accolse senza cerimonie e così ebbi la ventura di ammirare la sua robusta costituzione e la potente muscolatura.

… Beethoven mi accolse con un sorriso soddisfatto e mi disse, mentre si vestiva, che aveva faticato molto a riprendere dalla sua illeggibile partitura la mia parte, affinché io l’avessi subito e del tutto corretta. … Anche gli altri cantanti ebbero le loro parti nella nuova versione. Tutti noi fummo stupiti dalla forza lavoratrice di Beethoven per essere riuscito a rielaborare la sua opera in così poco tempo.
Röckel [da Prod’homme]

[Un problema psicologico molto grave per Beethoven, come ha ben sottolineato Solomon, nacque dal fatto che egli usò ogni mezzo nella battaglia legale per la tutela di Karl. Probabilmente il fatto di aver separato Karl da sua madre (la cognata Johanna, vedova del fratello Carl) suscitò in Beethoven un senso di colpa che fu fonte costante di turbamento e di dolore. Questo atteggiamento psicologico traspare in una frase che  Fanny Giannattasio nel suo diario dice pronunciata dal maestro: ”Cosa  dirà mai la gente! Mi prenderanno per un tiranno!“. E nei suoi appunti nel 1817 Beethoven citò queste parole di Schiller: “Questa sola cosa io comprendo e sento  profondamente: la vita non è la più grande delle benedizioni, ma la colpa è il più grande dei mali“. Secondo Solomon, fu l’angoscia che il proprio comportamento ossessivo nei confronti di Johanna gli provocava a indurre Beethoven a scrivere all’inizio del 1818, nel Tagebuch (nr. 159-160) queste righe: “Ho fatto la mia parte, o Signore! Sarebbe forse stato possibile senza recare offesa alla vedova, ma non è stato così. Solo Tu, Dio Onnipotente, puoi vedere nel mio cuore. Tu sai che ho sacrificato il meglio per amore del mio caro Karl: benedici la mia opera, benedici la vedova. Perché non riesco ad obbedire a tutto ciò che il mio cuore mi suggerisce ed aiutare la vedova? Tu vedi nel mio cuore e sai quanto mi addolori essere obbligato a far soffrire un altro a causa delle mie pene per il mio prezioso Karl!”]

[August Karl Friedrich von Klöber, pittore, 1793-1864, ebbe l’incarico da un cognato, il barone von Skrbensky, di fare per lui un ritratto a Beethoven nel 1818. Ecco il suo resoconto.]
Fu difficile fare la conoscenza di Beethoven e specialmente fu difficile convincerlo a posare. Un amico di Beethoven, il violoncellista Dont, … mi suggerì di attendere l’estate, epoca in cui di solito Beethoven si trasferiva a Mödling e lì sarebbe stato di buon umore e facile da contattare. Beethoven fu preavvisato per lettera e informato che avrei voluto ritrarlo. Aveva acconsentito ma a condizione di non dover posare troppo a lungo.
Mi recai da lui di buon mattino. Una anziana governante mi fece sapere che sarebbe venuto rapidamente, che stava ancora facendo colazione, ma che c’erano dei libri di Goethe e Herder con cui distrarmi. Finalmente Beethoven arrivò e disse: “Volete ritrarmi, ma sono proprio poco paziente”. Era già talmente sordo che quando volevo dire qualcosa, o la dovevo scrivere, o lui doveva mettersi il suo cornetto acustico, se non era presente il suo famulus (un parente di circa dodici anni) che gli gridava le parole all’orecchio.
Beethoven si sedette e il giovane si mise a fare i suoi esercizi al piano, un regalo dall’Inghilterra, fornito di una grande cupola metallica. Lo strumento era circa quattro o cinque passi dietro di lui, e Beethoven, malgrado la sua sordità, correggeva i suoi errori facendogli ricominciare i passaggi.
Beethoven aveva sempre l’aria seria, gli occhi vivacissimi e sognatori, lo sguardo cupo e depresso, rivolto per lo più verso l’alto, come ho cercato di renderlo nel ritratto. Teneva le labbra chiuse, ma i tratti attorno alla bocca non erano duri. Parlava volentieri della vanitosa arroganza e del gusto  assurdo dell’aristocrazia viennese, di cui non aveva nulla di buono da dire, perché non lo trattavano nel modo che gli era dovuto e non lo comprendevano a sufficienza.
Dopo circa tre quarti d’ora cominciò a dare segni di impazienza. Sapevo dai consigli di Dont che era il momento di smettere e gli chiesi semplicemente il permesso di tornare il giorno dopo. Beethoven acconsentì volentieri.
Durante le mie passeggiate a Mödling incontrai parecchie volte Beethoven, ed era curioso vederlo, con la sua carta da musica ed una matita in mano, arrestarsi sovente, come se ascoltasse, guardare in alto e in basso e poi scrivere delle note sulla carta. Dont mi aveva detto, se lo avessi incontrato in tali situazioni di far finta di niente, perché questo lo avrebbe messo in imbarazzo o a disagio. Una volta mentre passeggiavo nel bosco lo vidi davanti a me che, lasciato il sentiero che ci separava, si arrampicava su per una collinetta col cappello di feltro grigio a larghe falde sotto il braccio; arrivato in alto si distese sotto un pino e guardò lungamente il cielo.
Tutte le mattine posava circa un’ora per me. Quando Beethoven vide il ritratto disse che gli piaceva molto la disposizione dei capelli: gli altri pittori, diceva, l’avevano sempre rappresentato con i capelli lisci ed in ordine, come se dovesse andare a prendere servizio a corte. Ma lui non era così.
L’abitazione di Beethoven a Mödling era semplicissima, come in genere il suo carattere. Il suo abbigliamento consisteva in una marsina blu chiaro con bottoni gialli, panciotto bianco e fazzoletto attorno al collo, come usava allora, ma tutto era molto trasandato. Il colorito era sano e robusto, la cute appena butterata dal vaiolo; i capelli avevano dei riflessi blu acciaio [sic], ma tendevano già dal nero al grigio. Gli occhi grigio-azzurri e vivacissimi. Quando la sua capigliatura si agitava tumultuosamente aveva veramente qualcosa di ossianico o di demoniaco. Nelle conversazioni familiari invece prendeva un’aria bonaria e dolce, soprattutto quando il soggetto della conversazione lo toccava piacevolmente. Ogni stato d’animo si rifletteva immediatamente sul suo volto.
Mi disse ancora che quando andava all’opera si metteva in alto perchè così sentiva meglio gli “insieme” [ma altri hanno riferito che si piazzasse subito a ridosso dell’orchestra.]
von Klöber [da Prod’homme]

[Gli amici e coloro che lo conobbero sin dai tempi di Bonn si rendevano bene conto del fatto che Beethoven era un tipo decisamente eccentrico. Questa nomea si diffuse poi col passare degli anni anche a Vienna e fuori Vienna. Certi suoi comportamenti ce ne fanno comprendere bene la ragione. Beethoven, seduto ai tavoli delle taverne con gli amici, insolentiva l’aristocrazia, nella quale pur contava dei solidi protettori, e inveiva contro la corte e l’imperatore Franz che, come ha raccontato il giovane Peter Joseph Simrock definiva un mascalzone che meritava di essere impiccato, attribuendogli tutti i guai dell’Austria e in particolare la svalutazione della moneta austriaca che lo aveva duramente colpito. Era ben nota a chi lo circondava la sua crescente ossessione relativa al denaro. E di queste cose parlava anche con visitatori occasionali (come hanno raccontato anche il dr. von Bursy e Cipriani Potter). E nota era la sua sospettosità, anche nei confronti degli amici, che sfociò quasi in idee deliranti persecutorie. E di dominio pubblico erano le continue discussioni con gli editori, i gesti di stizza contro amici e protettori, gli atteggiamenti offensivi verso chi non era della sua opinione ( si veda la querelle per la tutela del nipote Karl). A un certo momento per il suo modo di vestire e camminare per strada veniva additato dalla gente e dileggiato dai ragazzi. La sua eccentricità e la sua instabilità emotiva persistettero fino alla morte. Come raccontò Grillparzer a Thayer Beethoven era una sorta di intollerante che quando veniva irritato si trasformava in un animale selvaggio. In tal modo si diffuse fra i viennesi l’opinione che egli fosse qualcosa di più che un artista eccentrico, ma un vero pazzo; e la voce divenne di pubblico dominio. Ed è forse per questo, ed anche perché era Beethoven, che le sue opinioni contro la corte e l’imperatore furono tollerate anche dalla polizia. Può apparire logico che fossero i suoi rivali, se non proprio nemici, a diffondere questa nomea:  Zelter si premurò di comunicare  a Goethe, in una lettera del 16 agosto 1819, alcune delle stranezze di Beethoven. Ma anche gli amici cominciarono a sospettarlo. Ad esempio, nel 1816, Charlotte Brunsvik scrisse alla sorella Therese di aver sentito dire che Beethoven era diventato matto. Beethoven probabilmente non si rendeva ben conto della eccentricità del suo comportamento ma era certo a conoscenza della sua fama. Il dr. Wilhelem Christian Müller, un pedagogo molto amante della musica, grande ammiratore di Beethoven che aveva fondato a Brema  un Familienkonzert, la cui figlia era un ottima pianista,  pubblicò le sue memorie sotto forma di lettere agli amici. In una di queste, datata 26 ottobre 1820, racconta che Beethoven lo aveva invitato a fargli visita raccomandandogli di non lasciarsi influenzare dai giudizi dei viennesi che lo consideravano un pazzo.]

[Le voci che circolavano su Beethoven negli ultimi suoi anni, cioè che fosse pazzo, non potevano che essere alimentate dal suo aspetto e dal suo comportamento eccentrico nelle più svariate occasioni. E questa descrizione di Schindler ce ne spiega la ragione]: “La sua testa, che era insolitamente grossa, era coperta da lunghi capelli irsuti che, sempre in disordine, gli conferivano una certa aria selvaggia. Nelle taverne e nei ristoranti era solito mercanteggiare coi camerieri sul prezzo di ogni panino. Per strada i suoi ampi gesti, il suo parlare ad alta voce e la risata sonora facevano vergognare Karl quando si trovava a passeggiare con lui, e la gente appunto lo prendeva per matto. I monelli ridevano dietro quella figura tarchiata e muscolosa, con il suo basso cappello a cilindro deformato, che camminava per le strade di Vienna avvolta in un lungo soprabito scuro che arrivava quasi alle caviglie, portando un doppio occhialetto o un monocolo, e si arrestava spesso a scarabocchiare incomprensibili annotazioni sul suo quaderno di appunti canticchiando o mugolando con voce stonata“.
Schindler

[Fra i piaceri di Beethoven vi fu quello del bere vino, sia mangiando sia nelle riunioni con gli amici in qualche taverna o assieme a qualche visitatore. Amava molto i vini profumati tanto che nelle ultime settimane di vita chiese più volte all’editore Schott di Magonza di inviargli del vino del Reno. Per ironia della sorte le bottiglie arrivarono due giorni prima della morte, il 24 marzo 1827,  e ad esse si riferiscono le ultime parole pronunciate da lui: “Peccato, peccato, troppo tardi …”. Thayer ha puntigliosamente cercato di calcolare quanto spendesse Beethoven per l’acquisto di vino in base ai dati ricavabili da alcuni suoi appunti relativi alle  spese casalinghe.  Certamente Beethoven giungeva a bere anche una bottiglia di vino per pasto ma non lo si vide mai ubriaco. Tuttavia Holz ha raccontato a Otto Jahn che negli ultimi anni Beethoven beveva copiosamente a tavola e che poteva reggere una gran quantità di vino, ma che in compagnia a volte diventava un po’ brillo. E per quanto ne sappiamo anche Holz amava molto bere e con lui Beethoven bevve forse anche troppo!]

Rochlitz ha descritto così il suo primo incontro con Beethoven. Quando andai al negozio di Haslinger vi trovai Beethoven che parlava animatamente con lui: lo capisce quasi del tutto perché gli legge le parole sul movimento delle labbra. Haslinger ci presentò. Beethoven parve contento, ma era un po’ preoccupato. Se non vi fossi stato preparato la sua vista mi avrebbe molto turbato: non per il suo aspetto trasandato, quasi selvaggio, non per la capigliatura nera, folta, irsuta, ma per l’insieme del suo aspetto. Immaginatevi un uomo di una cinquantina d’anni, piuttosto di bassa che di media statura, ma di struttura potente, vigorosa, un concentrato di forza, di un’ossatura robusta, piuttosto grassoccio, con la figura pienotta e rotonda; il colorito fresco, rosso, gli occhi inquieti, brillanti quasi penetranti quando vi fissano; pochi movimenti o rapidi; nell’espressione del viso, dell’occhio soprattutto,una pienezza di vita e di spirito, una mescolanza o una alternanza perpetua di bontà e di timore; in tutto il suo aspetto quella tensione, quella inquietudine tipica dei sordi …; ora diceva una parola divertita e senza reticenza per ricadere in un silenzio feroce ….
Rochlitz [da Prod’homme]

[Solomon, che nella sua formazione ha anche un curriculum con studi di psicologia, ha cercato di far luce su alcuni aspetti della personalità di Beethoven anche in chiave, come si usa dire oggi, psicodinamica. Per questa analisi parte da alcune osservazione che a me sembrano relativamente banali, in quanto espressione di un comportamento in fondo normale per la vita di relazione in un genio eccentrico quale era Beethoven. Beethoven, ricorda Solomon, aveva una cerchia di amici devoti, alcuni addirittura servili, ma certo utili e pronti  ad aiutarlo nelle necessità quotidiane della sua vita disordinata, e che tolleravano i suoi rimbrotti quasi continui. Basta pensare ad Amenda, a Gleichenstein e al povero Holz. Un gruppo di amici, nei confronti dei quali non si può certo escludere un qualche motivo di interesse, era costituito poi dai protagonisti del mondo dell’editoria musicale viennese; vi appartenevano Anton Diabelli, Sigmund Anton Steiner e Tobias Haslinger. Beethoven era un frequentatore del negozio di musica di Steiner dove, secondo una abitudine dell’epoca, si riunivano musicisti e scrittori per parlare con lui e dove gli ammiratori si recavano nella speranza di poterne fare la personale conoscenza. Franz Schubert vi andò sovente per ammirarlo almeno da lontano. Un altro gruppo si ritrovava con Beethoven nelle taverne e nei ristoranti preferiti a bere e a discutere degli argomenti più svariati,  dalla musica alla politica, dai pettegolezzi cittadini alle ultime notizie. Di queste riunioni abbiamo dei vividi resoconti di visitatori che si erano apposta recati a Vienna per vedere da vicino il grande maestro. Uno dei più animati è quello di Rochlitz che ha descritto la vivacità, la ricchezza di spirito, la allegria talora chiassosa e la  gaiezza di Beethoven in queste riunioni fra amici. Ma un altro aspetto del suo carattere fu sottolineato da molti: la facile tendenza a cambiare di umore, con improvvisi scatti di ira seguiti dalla chiusura in se stesso, la scontrosità e la tendenza all’isolamento. Forse, ha scritto Solomon,  questo ondeggiare del comportamento fra il malinconico ed il maniacale rifletteva la profondità del dolore che stava sopportando negli anni in cui si rese conto della incombente sordità, motivo sufficiente ad indurlo a pensare di porre fine alla sua vita, come scopriamo leggendo il Testamento di Heiligenstadt. Testamento scritto quando ormai da alcuni anni aveva scoperto con terrore l’indebolirsi del suo udito e mentre era soggetto a crisi di depressione e di ansia, come testimoniano le famose lettere a Wegeler e ad Amenda.  “Il Testamento di Heiligenstadt” scrive Solomon “è la più straordinaria confessione nella biografia di Beethoven … in cui cercò di spiegare le  proprie sofferenze e la propria angoscia” che lo avevano condotto alla solitudine e a pensieri suicidi. Il Testamento, nel quale Beethoven chiede agli uomini di comprenderne la sofferenza e il comportamento, provocato dalla chiusura in se stesso cui fu costretto dalla sordità, è stato però definito da Solomon, un saggio di autogiustificazione, non sempre sincero, copiato in bella copia quasi con compiacimento. Non vi è dubbio che certe pieghe del carattere di Beethoven, di cui cerca di giustificarsi con la sordità, esistevano ed erano apparse evidenti fin dagli anni giovanili, molto prima dell’insorgere della malattia: tendenza a chiudersi in se stesso, all’isolamento, a reagire in modo poco adeguato alle quotidiane difficoltà (basta ricordare “il raptus” della signora von Breuning); comportamenti che rasentavano la aggressività nei confronti di protettori, insegnanti e  rivali erano all’ordine del giorno per Beethoven. Ma forse, se pensiamo a quale era stata la sua vita, quanto egli contasse sulle sue doti innate, che sentiva minacciate dalla sordità, è bene essere semplici e considerare il Testamento per quello che probabilmente è, cioè lo sfogo di un uomo angosciato, che aveva tutti i motivi di esserlo, scritto quando le sottigliezze psicologiche del giorno d’oggi, necessari corollari delle sofferenze dell’uomo, non erano ancora state inventate.]

Beethoven fu maestro di musica di Giulietta Guicciardi (della quale era innamorato e che cercò di sposare). Quando il compositore le faceva eseguire dei brani al pianoforte si comportava in un modo estremamente severo, e specialmente se l’allieva non riusciva a trovare la giusta espressione, andava in collera molto facilmente, gettava a terra gli spartiti, li stracciava e li calpestava. Dalla Guicciardi non accettava compensi in denaro, sebbene le sue condizioni economiche fossero tutt’altro che floride, ma soltanto della biancheria, col pretesto che Giulietta la aveva ricamata a mano. Beethoven dava anche lezioni alla contessa Odescalchi e alla Baronessa Ertmann. Il maestro non eseguiva volentieri le proprie composizioni ma preferiva improvvisare; al minimo rumore o alla minima disattenzione di chi ascoltava, interrompeva e se ne andava. Il Conte Brunsvik che era dilettante di violoncello lo adorava, come le sue sorelle Therese e la contessa Deym.
Jahn [da Thayer]

Beethoven è ancora molto davanti a noi, non solo  come  genio musicale  ma come sfida per la ulteriore crescita dell’umanità, simbolo dell’eterno rifiuto dell’uomo del modo di pensare negativo nei confronti della vita, e del meschino attaccamento alle piccole ambizioni del limitato egoismo. Le forze della sua personalità, che straripavano in grossolani eccessi e comportamenti offensivi, erano un riflesso di quelle forze trasformate al livello superiore del suo essere – il livello del suo io migliore, la sua individualità – in musica.
Barford
 
Beethoven è il primo musicista moderno d’occidente  che abbia avuto la coscienza di non rappresentare, con la propria musica, una classe sociale definita o un riconoscibile apparato di potere; il primo che non abbia avuto né una classe né un apparato politico come referente sia pur lontano. Il suo amore per l’umanità è estraneo ad ogni rivendicazione rivoluzionaria e ad ogni velleità sociologica ma l’astrazione presente nella parola “umanità” assume connotati particolari. I Millionen che, nell’ode schilleriana a conclusione della Nona Sinfonia, si stringono in un abbraccio universale suscitano in noi un’irresistibile suggestione visiva: li vediamo come masse di diseredati e perseguitati dall’ingiustizia della storia.
Principe [a]
 
 

 

 
Il sentimento della natura

Il sentimento della natura è sempre stato vivissimo in Beethoven. In tutti i periodi della sua vita innumerevoli aneddoti lo mostrano desideroso di trovarsi in campagna. Ogni estate egli lasciava Vienna e si stabiliva nei dintorni, Heiligenstadt, Nussdorf, Mödling, Baden. E di lui si riporta la battuta, la cui autenticità non è verificabile, ma che non pare inverosimile: “Io amo più un albero di un uomo”. Una lettera a Teresa Malfatti (del 1810 [K.245]) conferma i sentimenti di Beethoven di fronte alla natura: egli prova una gioia infantile a girare nelle foreste fra alberi e rocce, che rendono l’eco che l’uomo desidera. La lettera all’”Immortale Amata” attribuisce alla natura un effetto calmante.  Nell’ultima frase del testamento di Heiligenstadt Beethoven esprime il desiderio di ritrovare la pace e la gioia in seno alla natura.
In una nota scritta da Beethoven su un foglio volante nel 1815, si esprime un amore per la natura spinto fino all’esaltazione e un progetto di stabilirsi in campagna (“È come se ogni albero sulla terra mi parlasse: Santo! Santo! Dolce tranquillità della foresta!”) che viene ripetuto ancora in anni successivi. Nella natura egli cerca la calma, la gioia, la forza, la forza di rassegnazione, il sollievo dal tormento della sordità crescente, la pace morale, il contatto con Dio.
E la Sinfonia Pastorale è l’espressione dei sentimenti provocati dalla contemplazione della natura. Il sentimento della natura si esprime ancora in un certo numero di Lied di Beethoven. Nell’”Adelaide” Op.46, tutte le voci della natura vivente ripetono il nome dell’amata, figure melodiche e ritmiche sottolineano l’espressione delle parole (evocazione delle onde che rispecchiano la luce, delle nuvole d’oro, della brezza serale, dell’usignolo, della sera). Il quarto dei Sei Lied di Gellert Op.48, “Die Ehre Gottes aus der Natur” (Lode di Dio dalla natura), afferma, con una sorta di corale, che l’universo glorifica l’Eterno. Il Canto di Maggio di Goethe, Op.52 esprime l’espandersi del sentimento amoroso nella natura primaverile. Nel ciclo “An di ferne Geliebte” (All’amata lontana) Op.98 ogni Lied corrisponde alla evocazione di una certa natura, indifferente, gaia o melanconica. Melodie, ritmi e tonalità sono attentamente diversificati, in modo perfino caratteristico, come ad esempio nel nr.3 in cui si descrive il corso delle nuvole e del ruscello incaricati di salutare la ben amata.
E poi ancora “Der Wachtelschlag” (Il canto della quaglia) WoO 129, l’”Abendlied unterm gestirnten Himmel” (Canto della sera sotto il cielo stellato) WoO 150.
In questi Lied la natura non è cantata di per se, ma essa serve sempre di pretesto o di accompagnamento all’espressione di sentimenti.
Boyer

In campagna riusciva più facilmente a trovare tranquillità, isolamento e contatto con la natura, che egli adorava in modo quasi religioso. “Mi sembra quasi che ogni albero d’intorno mi dica: Santo! Santo! Chi mai può esprimere sino in fondo l’estasi nei boschi?“ In una lettera del 1810 scrive di desiderare il soggiorno in campagna con “eccitazione infantile“: “Come sarò felice vagabondando tra cespugli e boschi, sotto gli alberi, sull’erba e tra le rocce. Nessuno può amare la campagna quanto io l’amo: poiché davvero boschi, alberi e rocce producono quell’eco che l’uomo desidera udire“.  Aveva annotato nel suo diario che “calma e libertà sono il bene più prezioso“.
Solomon

[Sebbene amante dei piaceri della vita Beethoven aveva una grande forza di volontà che, a parte certi periodi burrascosi della sua esistenza, quale quello della battaglia legale per la tutela del nipote,  gli consentì di dedicare tutte le sue energie al lavoro sprigionando tutta la sua forza creativa. Aveva organizzato la sua giornata lavorativa in modo da poter dedicare molte ore alla composizione. Molte volte di fronte a situazioni che potevano turbarlo e distrarlo dal suo lavoro fuggiva in campagna per vivere solo per la sua opera. In nessun luogo inoltre la sua fantasia creativa aveva una così fervida esaltazione come nella natura campestre. Era durante le passeggiate, fra gli alberi, di fronte alle nuvole o alle acque di un ruscello che gli si affacciavano le idee musicali. Cipriani Potter ed Edward Schulz hanno raccontato che durante le loro passeggiate Beethoven non si stancava di ammirare e decantare le bellezze della natura, ma che talora si interrompeva, si chiudeva in se stesso canticchiando fra i denti. La natura era in certo qual modo il suo nutrimento, sembrava che vivesse in lei. Come ha ricordato Riezler le idee gli venivano spesso di fronte all’elemento primordiale dell’acqua; cominciava a comporre durante le abluzioni mattutine e cantando e brontolando si rovesciava addosso catini d’acqua che finivano con l’allagare i pavimenti: e questa era una delle cause dei continui dissapori coi padroni di casa e con gli altri inquilini.]

Charles Neate, che lo conobbe nel 1815, dice di non avere mai visto nessuno innamorato con tanta intensità dei fiori, delle nuvole, della natura: sembrava che ne vivesse. “Nessuno sulla terra, può amare la campagna come me”, scrive Beethoven; “Amo un albero più che un uomo”. Ogni giorno, a Vienna, faceva il giro delle mura; mentre in campagna, dall’alba al tramonto passeggiava da solo, senza cappello, sotto il sole o la pioggia. “Onnipotente! Nei boschi io mi sento felice; sono felice, nei boschi, dove ogni albero parla di te; Dio che splendore! In queste foreste, sulle colline, vi è la calma, la calma per servirti”.
Rolland [a]

[Molti amici e visitatori del maestro hanno sottolineato nei loro racconti l’amore che Beethoven nutriva per le cose della natura e in particolare per la campagna dei dintorni di Vienna, ove si recava, appena gli era possibile.  Immerso nei suoni della natura, lo stormire degli alberi, il mormorio dei ruscelli, nei colori e nella luce della campagna, nascevano in lui le idee musicali sulle quali egli cominciava ed effettuava, a mente,  gran parte del lavoro compositivo. Alcuni suoi scritti, di solito brevi appunti, dimostrano inoltre quanto egli associasse le esperienze di serenità e unione con la natura, ad una personale visione religiosa ed ad un credo in Dio che trascendeva i dogmi. “Onnipotente nella foresta! Io sono beato, felice, nella foresta. Nella foresta, ogni albero parla attraverso di Te. O Dio! che splendore! In una terra boscosa come questa, sulle alture c’è pace per servirLo” (frase scarabocchiata su un foglio di carta da musica un tempo in possesso di Joseph Joachim – settembre 1812?). E in un altro momento (luglio 1814): “È come se ogni albero della campagna dicesse: ‘Santo! Santo!’. Estasi nella foresta! Chi mai può esprimere tutto questo?”.]

Gli ultimi giorni d’estate [1811] conobbi a Teplitz Beethoven, e trovai nell’uomo, che passa a torto  per persona selvatica e poco socievole, un artista dal cure d’oro, uno spirito sublime e un’amicizia generosa. Ciò che ha con ostinazione rifiutato a dei principi a noi lo ha accordato generosamente: suonare il pianoforte. Sono divenuto presto suo intimo, e il suo carattere nobile e l’effluvio incessante di un soffio divino che credevo di ricevere quando ero vicino a lui, mi attirarono talmente verso di lui da superare il disagio  della conversazione con lui, dovuto alla sua sordità. Se non avessi saputo, da testimonianze indiscutibili, che Beethoven è il più grande, profondo e ricco dei compositori tedeschi, il vederlo lo avrebbe detto senza alcun dubbio anche a me che sono incompetente di cose musicali.  Vive solo per la sua arte; non vi è passione terrestre che lo distolga dall’esercitarla; è incredibilmente laborioso e fecondo.
Nelle sue passeggiate in campagna cerca i grandi spazi; nei sentieri solitari fra monti e boschi, rappacificato nel guardare il grande libro della natura, pensa in musica e gioisce nel proprio cuore. Se te ne parlo così non è perchè tu lo paragoni ad altri musicisti, ma affinché tu lo consideri un essere a parte. Ah potessi dirti come quest’uomo appariva bello, toccante, raccolto e serio, come se un Dio lo stesse baciando, mentre suonava per noi al pianoforte delle celesti variazioni.
[Lettera di Varnhagen von Ense, da Praga, 23 dicembre 1811 a Ludwig Uhland.]
Prod’homme [b]

“Il mio sciagurato udito qui non mi tormenta. Certo è come se ogni albero mi parlasse dalla campagna: Santo! Santo! Incanto nel bosco! Affittare una casa da un contadino. Dolce tranquillità del bosco!”
Beethoven. Nota scritta su un foglio staccato nel  1815.