Scritti, documenti ed il “Testamento di Heiligenstadt”
IL TESTAMENTO DI HEILIGENSTADT
[Il Testamento di Heiligenstadt risale all’ottobre 1802. È una straordinaria confessione che non ha uguale negli scritti di Beethoven, stesa in un periodo di disperazione in cui certo aleggiarono nella sua mente idee suicide. Fu trovato dopo la sua morte fra le sue carte, e fu in mano di Schindler. Poi passò da quelle di Artaria a quelle di Hotschevar, per finire in possesso di Jenny Lind, la famosa cantante, il cui marito lo donò alla Staats- und Universitäts-Bibliotek di Amburgo verso il 1890.
Lo stato di depressione di Beethoven in quel periodo era certo in gran parte legato all’accentuarsi della sordità, cosa di cui pochi erano a conoscenza. Proprio nel tentativo di trovarle un sollievo Beethoven si era trasferito, su consiglio del dottor Schmidt, per sei mesi nel sobborgo Viennese di Heiligenstadt, dove esiste ancora, trasformata in un museo, la piccola casa in cui Beethoven soggiornò e scrisse, verosimilmente, il Testamento. Fu dopo questi sei mesi, durante i quali non vi fu alcun miglioramento, che Beethoven si rese conto che la sua sordità era un male incurabile, e questo probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso e che lo fece pensare anche al suicidio. Certo che altri motivi potevano essere in azione nel provocare tal stato: le disavventure amorose con Giulietta Guicciardi e Josephine von Brunsvik, le difficoltà nell’ottenere il teatro per concerti a suo beneficio. Ma come sottolinea Solomon, non si deve dimenticare che il carattere di Beethoven era segnato fin dagli anni giovanili da tendenze alla misantropia, sbalzi di umore e inclinazione all’isolamento, che ne condizionavano anche il comportamento ostinato ed aggressivo. Non vi è dubbio comunque che la sordità ingravescente fu l’evento finale nel condizionare, allora, questo stato psicologico. Ne abbiamo anche una buona descrizione nell’episodio raccontato da Ries, di come Beethoven divenne ombroso quando, durante una passeggiata con lui, egli non riusciva a sentire il suono di un flauto lontano. Viene fatto però di chiedersi se non sia stato Ries ad enfatizzare a posteriori l’episodio cui Beethoven accenna nel Testamento, del quale Ries era certo a conoscenza al momento della stesura delle sue memorie, pubblicate poi nel 1838.
Vi sono alcune cose che colpiscono in questa confessione, scritta da Beethoven non solo per i fratelli ma perché “il mondo [potesse] riconciliarsi con lui” dopo la sua morte. Come dice Solomon, “vi sono momenti di pathos sincero, talmente frammisti, tuttavia, ad atteggiamenti studiatamente drammatici da indurci a pensare che questo documento, sia una bella copia, scritta con cura”, di un documento steso una prima volta ma poi depurato dell’emotività originaria. Ed in effetti si deve trattare di una copia, perché la sua veste è accurata, ordinata e senza cancellature al contrario di quanto si osserva di solito, in tutti gli scritti di Beethoven. Solomon si dice anche poco convinto dei ripetuti accenni al suicidio e ai richiami insistenti alla “virtù” e “alla mia arte” che lo avrebbero salvato. Ma forse è bene essere più semplici e considerarlo per quello che è, cioè lo sfogo di un uomo angosciato, che di esserlo aveva tutti i motivi, e scritto quando le sottigliezza psicologiche, quelle degli psicologi e psicanalisti del giorno d’oggi, non erano ancora state inventate quali necessari corollari delle sofferenze dell’uomo.
A far arrovellare gli studiosi contribuiscono poi due altri dati. Il primo: il nome del fratello Johann non viene mai scritto accanto a quello di Carl; e il nome dei due fratelli venne scritto da Beethoven solo in pochissime occasioni in lettere e documenti durante tutta la vita. Ma trattandosi di un testamento, che li indicava quali eredi, Beethoven poteva avere avuto dei dubbi quale dei due nomi di Johann, che si chiamava Nikolaous Johann, si dovesse usare a scopo legale. Ma la stessa cosa avrebbe dovuto avvenire per il fratello Carl, che si chiamava Caspar Carl. Ed in realtà è stato poi osservato da Tyson che lo spazio per i due nomi era stato lasciato in bianco e riempito solo in secondo tempo, con un inchiostro diverso! Il secondo punto sta nel fatto che, nel post-scriptum del 10 ottobre, Beethoven usa il “tu”, “così ti dico addio”. Addio a chi? Alla casa? Al luogo dove aveva sperato di riacquistare l’udito? È comunque un addio, non alla vita, un addio che apre prospettive future perché, subito dopo, la produzione artistica di Beethoven toccherà dei nuovi vertici con la Sinfonia Eroica, le Sonate Waldstein e A Kreutzer, l’Oratorio “Cristo sul Monte degli Ulivi e altre composizioni minori.]
[Tutti coloro che si sono occupati di studiare i risvolti psicologici della vita di Beethoven hanno sottolineato il fatto che durante tutta la sua vita vi fu un contrasto tra il suo evidente successo, anche se a volte venato da difficoltà finanziarie, e uno stato di insoddisfazione e sovente di disperazione. Un periodo in cui si riflette questo contrasto è quello dei primi del 1800. Gli anni 1800 e 1801 furono gli anni nei quali Beethoven fu protagonista di una chiara affermazione nella vita musicale viennese. Il 2 aprile 1800 ottenne il teatro per dare il primo concerto pubblico a proprio beneficio, concerto durante il quale furono eseguite, oltre ad opere di Haydn e di Mozart anche la sua Prima Sinfonia, il Settimino Op.20 e il Concerto per pianoforte Op.15, con lui stesso alla tastiera. Poco tempo dopo la sua fama fu ben consolidata dal successo della musica per il balletto Le Creature di Prometeo che nel 1801-1802 fu eseguita ben 23 volte. Ma nonostante questi successi Beethoven tuttavia, stava per cadere vittima della crisi di angoscia e depressione forse più grave in cui egli si sia trovato coinvolto. Tutto questo si riflette nella celebre lettera del 29 giugno [1801] a Franz Wegeler, a Bonn [A.51]:
“Vuoi avere notizie sulla mia situazione. Ebbene nel complesso non è neanche male. Le mie composizioni mi rendono parecchio, e posso dire di ricevere più commissioni di quante sia in grado di portare a termine. Inoltre, per ogni lavoro posso contare su sei o sette editori, o anche di più, se lo voglio; non discutono nemmeno più con me, io fisso un prezzo e quelli pagano. Se vedo un amico in difficoltà, e lo stato delle mie finanze non mi permette in quel momento di aiutarlo, basta che mi metta al tavolino a comporre, ed ecco sono in grado di soccorrerlo. Vivo immerso nella mia musica e riesco appena a finire un pezzo che già ne inizio un altro. Al ritmo cui ora compongo, produco spesso tre o quattro opere contemporaneamente. Ma quel demone geloso, la mia pessima salute, mi ha messo un bastone fra le ruote; e il risultato è che il mio udito, negli ultimi tre anni, è diventato sempre più debole. Pare che la causa di questo male sia da attribuirsi alle condizioni del mio addome; sono stato perennemente afflitto da diarrea. La cura non ha avuto alcun effetto: la sordità è ancora peggiorata e il mio addome è rimasto nello stato di prima. Un dottore più sensato mi ha prescritto i soliti bagni tiepidi nel Danubio, il mio ventre è migliorato. La sordità tuttavia persiste, anzi direi che è peggiorata. Quest’inverno sono stato malissimo, perché ho avuto delle coliche davvero terribili. Sono rimasto in questo stato fino a quattro settimane fa, quando sono andato da Vering. Bene, è riuscito a sconfiggere quasi completamente quella violenta diarrea, ma le orecchie continuano a fischiare a ronzare. Ti confesso che sto trascinando una vita ben misera. Da quasi due anni ho smesso di prender parte a qualsiasi attività sociale perché mi è impossibile dire alla gente: sono sordo. Se la mia professione fosse un’altra, ma nel mio caso è un terribile ostacolo. Se lo venissero a sapere i miei nemici cosa direbbero? Per darti un’idea di questa strana sordità, ti dirò che a teatro mi devo mettere vicinissimo all’orchestra per capire le parole dell’attore; a una certa distanza non riesco ad udire i suoni acuti degli strumenti o delle voci. In quanto alla conversazione è sorprendente che taluni non abbiano mai notato la mia sordità; ma dato che sono stato sempre soggetto ad eccessi di distrazione attribuiscono a ciò la mia debolezza di udito. A volte, inoltre, riesco a stento ad udire una persona che parla a bassa voce; posso udire i suoni ma non distinguo le parole. Ma se qualcuno grida non lo sopporto. Dio solo sa che cosa sarà di me. Già ho maledetto più volte il mio creatore e la mia esistenza. Plutarco mi ha insegnato la via della rassegnazione. Se sarà possibile sfiderò il mio destino, anche se credo che finché vivrò vi saranno momenti in cui sarò la più infelice creatura di Dio. Rassegnazione misera risorsa! Eppure è tutto quello che mi è rimasto.” Due giorni dopo la sua angoscia ribolle in una lettera a Karl Amenda [1 giugno 1801, K.50]: “Il tuo Beethoven conduce una vita davvero infelice, ed in collera con la natura e il Creatore; molte volte ormai lo ho maledetto per aver abbandonato le Sue creature … Sappi dunque che la mia parte più nobile, il mio udito, si è molto deteriorato … Ti renderai conto quanto sia triste ora la mia vita, tagliato fuori da tutto ciò che mi è più caro e prezioso; i miei migliori anni fuggiranno via senza che io possa realizzare tutto ciò che il mio talento e la mia forza mi hanno richiesto di fare. Triste rassegnazione, nella quale sono costretto a trovare rifugio. È inutile dire che sono risoluto a lottare contro tutto, ma in che modo? Ebbene adesso mi sento in grado di fare qualsiasi cosa. Da quando sei partito ho composto musica di ogni tipo, eccetto opere e musica sacra”. Questo stato di estrema tensione ebbe una fase di remissione grazie ad un nuovo innamoramento e probabilmente anche al fatto di avere trovato un nuovo medico che si prese cura di lui e che riaccese in lui la speranza di una guarigione. Il 16 novembre [1801] scrive ancora a Wegeler [A.54]: “Ti sarebbe difficile credere quanto sia stata vuota e triste la mia vita negli ultimi due anni. La debolezza del mio udito mi perseguitava dappertutto come uno spettro e io sfuggivo l’intera società umana. Dovevo fare la figura del misantropo, mentre non lo sono affatto. Questa trasformazione è dovuta a una cara, incantevole fanciulla che mi ama a io amo. Dopo due anni ho di nuovo qualche momento di beatitudine, e per la prima volta sento che il matrimonio potrebbe darmi la felicità. Purtroppo lei non è del mio ceto, e adesso, non potrei certo sposarmi – debbo continuare a darmi da fare con tutte le mie energie. Se non fosse per la mia sordità già da tempo avrei percorso mezzo mondo; ed è una cosa che debbo fare – Perché non conosco piacere più grande che mettere in pratica ed esercitare la mia arte.
Da qualche tempo le mie energie fisiche stanno aumentando sempre di più e anche le mie facoltà mentali. Ogni giorno mi porta sempre più vicino al fine che io sento ma non so descrivere. Afferrerò il fato per la gola; non riuscirà certo a piegarmi e a schiacciarmi completamente”. La fanciulla cui Beethoven si riferisce, è quasi certamente, la sedicenne contessina Giulietta Guicciardi, una sua allieva di pianoforte. Nonostante questi conflitti e questi periodi di angoscia in questi anni la creatività di Beethoven toccò uno dei suoi vertici, concretandosi in una serie di opere che secondo molti critici segnano la conquista della massima padronanza dello stile classico. Nel 1800 furono portati a termine i Sei quartetti Op. 18; il Settimino Op.20; la Prima Sinfonia Op.21; il Terzo concerto per pianoforte Op.37; la Sonata Op.22 oltre ad altre cose minori. Ancora più rilevante la produzione del 1801: Le creature di Prometeo Op.43; il Quintetto per archi Op.29; le Sonate per violino Op. 23 e 24; quattro Sonate per pianoforte Op.26, Op.27 nr.1 e nr.2 e Op.28. Nell’anno 1802 le opere principali furono la Seconda sinfonia Op.36; le tre Sonate per violino Op. 30; il gruppo delle Variazioni Op. 34 e 35; e le tre Sonate per pianoforte Op.31.]
(Nei primi anni viennesi) le molli seduzioni di Vienna l’avvolgono e lo conquistano: ma una crisi terribile lo fa ripiegare su se stesso, crisi fisica e morale che, dopo aver covato a lungo, esplode nel 1802. La sordità, che lo minacciava dal 1796 o 1797, si installa nelle sue orecchie: da prima lotta, simula, vuole ingannare gli altri e se stesso, finge di essere distratto, ma invano; la verità impietosa è là: non sente più. Allo stesso tempo si innamora di Giulietta Guicciardi “magica fanciulla“: crede di essere amato, malgrado la diversità delle loro condizioni sociali, e dimentica il suo male. Ma ben presto la civetta gli sfugge, per sposare quell’avventuriero di Gallenberg. Malato, infermo, tradito, ferito nel corpo e nell’anima, Beethoven sogna di morire. Plutarco lo distoglie. Per obbedire a lui Beethoven, quando ogni cosa lo abbandona, cerca una nuova ragione di vita; la trova nella sua arte. “La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto.” Scrive nel testamento di Heiligenstadt “Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di avere creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre.” La musica ormai sarà per lui al posto di tutto, della salute, dell’amore, del piacere, delle distrazioni. Soltanto quest’arte non rassomiglierà più a quello che è stata fino ad ora, un modo di distrarre gli amatori. Separato dal mondo per la muraglia, ogni giorno più spessa, della sua sordità, respinto da Giulietta, egli confiderà alla sua arte le sue pene e le sue gioie. Così, alla fine del 1802, si dichiara poco soddisfatto delle sue opere precedenti e annuncia una nuova maniera, le cui primizie sono la Sonata Op.31 nr.2 e la Sinfonia Eroica. A partire da questo momento, man mano che egli approfondisce e rinnova la sua arte, Beethoven vi scopre una sorta di filosofia che fu la sua religione e la sua morale. L’arte diviene il mondo ideale, il solo in cui trovare degli amici, e che si deve creare lui stesso: “Trasportarsi nel cielo dell’arte; non vi è gioia più pura di quella che viene di là“. “La musica è una rivelazione più alta della saggezza e della filosofia“. “Non vi è nulla di più alto che avvicinarsi alla divinità più degli altri uomini, e di spargere da là i raggi di questa divinità sulla razza umana“. Ma l’artista è costretto ad uno sforzo senza fine che non lo eguaglierà mai all’infinito, ma che ve lo avvicinerà indefinitamente. Nel 1812 scriverà: “L’artista vede che l’arte non ha limiti; egli sente oscuramente quanto è lontano dalla meta, e mentre può essere che altri lo ammirino, egli deplora di non essere ancora arrivato laggiù ove un miglior genio non brilla per lui che come un sole lontano”. L’artista, se non riposerà mai nella terra promessa che la sua immaginazione intravede, può alleviare i tormenti che lo opprimono, e giungere alla gioia “attraverso il dolore“.
Chantavoine
Testamento di Heiligenstadt.
6 ottobre 1802
Per i miei fratelli Carl e [Johann] Beethoven
O voi uomini che mi stimate o mi definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta che mi fa apparire a voi così. Il mio cuore e il mio animo, fin dall’infanzia, erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e sono sempre stato disposto a compiere azioni generose. Considerate però, che da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti. Di anno in anno le mie speranze di guarire sono state gradualmente frustrate, ed alla fine sono stato costretto ad accettare la prospettiva di una malattia cronica (la cui guarigione richiederà forse degli anni o sarà del tutto impossibile). Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata esperienza della debolezza del mio udito. Tuttavia non mi riusciva di dire alla gente: “Parlate più forte, gridate, perché sono sordo”.
Come potevo, ahimè, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che in me raggiungeva un tempo un grado di perfezione massima, un grado tale di perfezione quale pochi nella mia professione sicuramente posseggono, o hanno mai posseduto – No, non posso farlo; perdonatemi perciò se talora mi vedrete stare in disparte dalla vostra compagnia, che invece un tempo mi era caro ricercare. La mia sventura mi fa doppiamente soffrire perché mi porta ad essere frainteso. Per me non può esservi sollievo nella compagnia degli uomini, non possono esservi conversazioni elevate né confidenze reciproche. Costretto a vivere completamente solo, posso entrare furtivamente in società solo quando lo richiedono le necessità più impellenti; debbo vivere come un proscritto. Se sto in compagnia vengo sopraffatto da un’ansietà cocente, dalla paura di correre il rischio che si noti il mio stato – E così è stato anche in questi sei mesi che ho trascorso in campagna. Invitandomi a risparmiare il più possibile il mio udito, quell’assennata persona del mio medico ha più o meno incoraggiato la mia attuale disposizione naturale, sebbene talvolta, sedotto dal desiderio di compagnia, mi sia lasciato tentare a ricercarla. Ma quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e io ancora nulla udivo – Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita – La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di avere creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho trascinato avanti questa misera esistenza – davvero misera, dal momento che il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro, precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa disperazione – Pazienza – mi dicono che questa è la virtù che adesso debbo scegliermi come guida; e adesso io la posseggo.
Duratura deve essere, io spero, la mia risoluzione di resistere fino alla fine, finché alle Parche inesorabili piacerà spezzare il filo; forse il mio stato migliorerà, forse no, ad ogni modo io, ora sono rassegnato – Dio Onnipotente, che mi guardi fino in fondo all’anima, che vedi nel mio cuore e sai che esso è colmo di amore per l’umanità e del desiderio di bene operare. O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, ricordate che mi avete fatto torto; e l’infelice tragga conforto dal pensiero di aver trovato un altro infelice che, nonostante tutti gli ostacoli imposti dalla natura, ha fatto quanto era in suo potere per elevarsi al rango degli artisti nobili e degli uomini degni. – E voi fratelli miei, Carl e [Johann], dopo la mia morte, se il Prof. Schmidt sarà ancora in vita, pregatelo a mio nome di fare una descrizione della mia infermità e allegate al suo documento questo mio scritto, in modo che, almeno dopo la mia morte, il mondo e io possiamo riconciliarci, per quanto è possibile – Nello stesso tempo vi dichiaro qui tutti e due eredi del mio piccolo patrimonio (se posso chiamarlo così) – Dividetelo giustamente, andate d’accordo e aiutatevi reciprocamente. Il male che mi avete fatto, voi lo sapete, è stato perdonato da lungo tempo. Ringrazio ancora in maniera particolare te, fratello Carl, per l’affetto che mi hai dimostrato in questi ultimi anni. Il mio augurio è che la vostra vita sia più serena e più scevra da preoccupazioni della mia. Raccomandate ai vostri figli di essere virtuosi; perché soltanto la virtù può rendere felici, non certo il denaro. Parlo per esperienza. E’ stata la virtù che mi ha sostenuto nella sofferenza. Io debbo ad essa, oltre che alla mia arte, se non ho messo fine alla mia vita con un suicidio – State bene e amatevi – Ringrazio tutti i miei amici, in particolare il principe Lichnowsky e il professor Schmidt. Vorrei che gli strumenti del principe L[ichnowsky] venissero custoditi da uno di voi, purché ciò non conduca ad un litigio fra voi. Qualora essi possano servire ad uno scopo più proficuo, vendeteli pure; quanto sarò lieto se potrò esservi utile anche nella tomba – Ebbene questo è tutto – Con gioia vado incontro alla Morte – se essa venisse prima che io abbia avuto la possibilità di sviluppare tutte le mie qualità artistiche, allora, malgrado la durezza del mio destino, giungerebbe troppo presto; e indubbiamente mi piacerebbe ritardarne la venuta – Sarei però contento anche così; non mi libererebbe essa da uno stato di sofferenza senza fine? Vieni dunque Morte, quando tu vuoi, io ti verrò incontro coraggiosamente – Addio, non dimenticatemi del tutto, dopo la mia morte. Io merito di essere ricordato da voi, perché nella mia vita ho spesso pensato a voi, e ho cercato di rendervi felici – Siate felici –
Ludwig van Beethoven
Per i miei fratelli Carl e [Johann]
Da leggere dopo la mia morte –
Heiligenstadt. 10 ottobre 1802 – Così prendo commiato da te – e per di più con tanta tristezza – sì, la speranza che ho nutrito – la speranza che ho portato con me qui, di guarire almeno in parte – quella speranza ormai la devo completamente abbandonare. Come d’autunno le foglie cadono ed appassiscono – così quella speranza è ormai per me del tutto inaridita. Parto da qui – quasi nelle stese condizioni in cui ero arrivato – Anche il grande coraggio – che spesso mi animava nelle belle giornate d’estate – è ormai svanito – O provvidenza concedimi ancora un giorno di pura gioia – Da tanto tempo ormai non conosco più l’intima eco della vera gioia – Oh quando – quando, Dio Onnipotente – potrò di nuovo sentire questa eco nel tempio della Natura e nel contatto con l’umanità. – Mai? – No! – Oh questo sarebbe troppo crudele.
[Come osserva M.Cooper Beethoven era orgoglioso e si sentiva autosufficiente, superiore alle cose del mondo: ma questo suo orgoglio, questa sua certezza di poter far fronte a tutte le avversità della vita da solo, fu piegata dal sopravvenire della sordità. Fu questo, come hanno segnalato in molti e come scrive M.Cooper, “a trasformare lentamente e dolorosamente il compositore tempestoso, estremamente estroverso delle opere del periodo giovanile e intermedio, nel visionario introspettivo e contemplativo dell’ultimo decennio”. Fu in sostanza la sordità non un ostacolo alla sua creatività ma una delle spinte che gli permisero di raggiungere i confini della sua arte. Le prime avvisaglie della sordità si possono far risalire al 1798, Beethoven la vede incombere e diviene certo del suo destino, con tutte le conseguenza che si prospettano ad un musicista, attorno al 1801 quando ne parla a Wegeler in una lettera confidenziale. Nella lettera del 29 giugno 1801 [E.65] scriveva: “Spesso ho maledetto il Creatore e la mia esistenza; Plutarco mi ha portato alla rassegnazione; se altrimenti è possibile voglio sfidare il mio destino, tuttavia vi saranno dei momenti nella vita in cui sarò la più infelice delle creature di Dio. … ti prego di non dir nulla a nessuno … solo come segreto te lo confido. … Rassegnazione, che misero rifugio, eppure è l’unico che mi rimanga”. La sua disperazione esploderà nel testamento di Heiligenstadt del 1802. Questo documento è stato letto in modo diverso dai vari studiosi. C’è chi, specie in epoche passate, travolto dalla ammirazione per il musicista ne ha sottolineato solo l’aspetto profondamente umano e chi al contrario, pur riconoscendovi un fondo di sincerità ha voluto trovarvi delle note di autocommiserazione e addirittura di compiacimento [!?], mettendo in dubbio le idee suicide che vi sono riportate. Ma io credo che la sincerità sia la dote di fondo di questa lettera, come ci dice la chiara visione del suo incombente destino: “Di anno in anno le mie speranze di guarire sono state gradualmente frustrate … Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. … Come potevo, ahimé, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini. … Essere costretti a diventare filosofi ad appena 28 anni non è davvero una cosa facile e per l’artista è più difficile che per chiunque altro. … Pazienza – mi dicono che questa è la virtù che adesso debbo scegliermi come guida; e adesso io la posseggo – Duratura deve essere, io spero, la mia risoluzione di resistere fino alla fine, finché alle Parche inesorabili piacerà spezzare il filo”. E di rassegnazione Beethoven sarà chiamato da ora in avanti a dar continuamente prova. Dieci anni dopo il testamento di Heiligenstadt, quando ormai la sordità è conclamata, due annotazioni del 1812 nei suoi “persönliche Aufzeichnungen” ci permettono di renderci conto di quale sia, finite ormai le giovanili illusioni amorose, il suo stato psicologico: “Sottomissione, la più profonda sottomissione al tuo destino. Solo questo possono concederti i sacrifici – al dovere professionale. – Oh, dura lotta! …”. “Resistenza. Rassegnazione. Rassegnazione. Così superiamo anche la più nera miseria e ci rendiamo degni, così che Dio [possa redimere] i nostri peccati”.
DALLE LETTERE
[Beethoven non aveva grande dimestichezza con lo scrivere, cosa di cui non si vergognava affatto e che lui stesso riconosceva pubblicamente. Una volta scrisse a Simrock, il 28 novembre 1820 [K.986], “Io scrivo piuttosto 10000 note che una lettera dell’alfabeto”; e a Wegeler, il 7 dicembre 1826 [A.1542], “Spesso ho la risposta già pronta in testa, tuttavia quando poi voglio metterla per iscritto, il più delle volte butto via la penna, perché non sono in grado di scrivere quello che sento”. E nell’unica lettera certamente autentica a Bettina Brentano, del 10 febbraio 1811 [K.262], “Sebbene anche io non Le scriva così spesso, sebbene Lei non mi veda mai, col pensiero le scrivo mille volte mille lettere”. Oggi abbiamo notizia di circa 1600 sue lettere. Di molte ci è pervenuto il manoscritto, di altre il manoscritto è andato perduto e noi le conosciamo grazie a trascrizioni o citazioni di studiosi del 1800. Un certo numero, che dobbiamo considerare perdute, sono citate in scritti di o su coloro che le ricevettero: ad esempio quelle scritte a Carl Maria von Weber il 16 febbraio, 10 aprile e 9 giugno 1823, che si ricollegano all’esecuzione trionfale del Fidelio diretto a Dresda da Weber il 29 aprile, sono citate nella biografia del compositore, scritta dal figlio Max Maria von Weber. Tuttavia rimane la speranza che molte di queste lettere possano ricomparire improvvisamente, come le 13 lettere a Josephine Deym Brunsvik, scoperte nel 1957, pubblicate a cura di Joseph Schmidt-Goerg, o che altre vengano alla luce, dato che molte lettere di Beethoven sono sparse in collezioni private di tutto il mondo, dal Vecchio Continente, alle Americhe, al Giappone.
Oggi abbiamo a disposizione edizioni veramente straordinarie delle lettere di Beethoven. Qui sono state consultati i seguenti volumi: 1.“Ludwig van Beethoven sämtliche Briefe, herausgegeben von Emerich Kastner, vollig umgearbeitet und wesentlich vermehrte Neueasugabe von Dr. Julius Kapp”, pubblicato a Lipsia da Hesse & Becker Verlag nel 1923, che contiene 1474 lettere. 2. “The letters of Beethoven”, nella edizione curata da Emily Anderson, e pubblicata anche in Italia nel 1968, “Le lettere di Beethoven” [ILTE, Torino]. 3. “Ludwig van Beethoven. Briewechsel Gesamtausgabe”, pubblicata nel 1996 [G.Henle Verlag, München], di cui sono comparsi nel 1999-2005, col titolo “Ludwig van Beethoven. Epistolario”, i primi cinque volumi anche in Italia, a cura dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia [Skira, Milano].
Nella edizione della Anderson e di Kastner sono raccolte solo le lettere di Beethoven, quelle autografe e quelle scritte da altri per lui, specialmente in lingue straniere, o in periodi di malattia e nelle ultime settimane di vita, e da lui soltanto firmate. L’Epistolario invece raccoglie anche tutte le lettere note scritte a Beethoven, molte pervenuteci, molte oggi scomparse, ma di cui si conosce il contenuto. E molte scritte per lui per questioni di affari, e da lui neppure firmate, come molte scritte dal fratello Carl a Breitkopf e Härtel negli anni 1802-1805, con offerte di opere per la pubblicazione, e che verosimilmente esprimono le sue idee e sono quindi considerate “sue” lettere.
Leggere le lettere di Beethoven è stato per gli studiosi talora difficile per la imprecisione della sua grafia, per una certa stranezza nella forma dei caratteri e per un suo modo di tracciare caratteri del tutto diversi con un segno identico.
Frequenti sono le cancellature e le correzioni, fatta eccezione per alcune lettere, il che ha fatto sospettare che il testo di queste gli sia stato preparato da altri, e che Beethoven si sia limitato a copiarlo. Probabilmente anche il Testamento di Heiligenstadt fu ricopiato da una brutta copia, tanto ne è pulita la stesura.
Il modo di scrivere di Beethoven, è basato su di un vocabolario e su un frasario abbastanza povero, conciso e diretto rapidamente al nocciolo della questione. Lo stile è di solito maldestro. Molto frequenti sono gli errori nella costruzione della frase e nella grammatica; sovente la punteggiatura appare approssimativa con frequente uso di barrette per separare le frasi.
Molte volte le indicazioni agli argomenti trattati sono approssimative, semplicemente allusive, come se il Maestro fosse certo che il destinatario era perfettamente informato di quanto diceva. L’esempio più semplice è quello relativo alle sue opere, che vengono sempre semplicemente citate come “una sonata”, “un Lied” senza altre indicazioni.
Molte volte non vi era sulle lettere indicazione di data, o addirittura Beethoven vi appose una data sbagliata: alla data si può risalire precisamente se il destinatario al momento della ricezione ve la ha annotata o se la lettera fu scritta pochi giorni prima o dopo avvenimenti ben datati; un pò più approssimativamente in base all’indirizzo o al luogo in cui fu scritta la lettera, o al nome del destinatario (che qualche volta manca), o all’argomento trattato.
Si spiega così come nelle varie edizioni delle lettere di Beethoven, e anche nelle tre appena citate, vi sia una discrepanza anche di anni nell’attribuzione della data a certe lettere! Per questi motivi, a volte, risalire agli argomenti trattati solo per accenni o all’opera di cui si tratta, è stato un compito arduo per gli studiosi. Ad esempio una datazione certa di alcune lettere scritte da altri e firmate da Beethoven, ma senza data, fu possibile solo in base all’identificazione della mano dello scrivente e la datazione spostata addirittura di oltre dieci anni! Il caso più clamoroso è quello di una lettera in francese, senza indirizzo né data, ritenuta diretta al Conte Rasumovsky del 1806 [A.135] e in cui si sarebbe dovuto trattare dei Quartetti Op.59, che fu scritta invece nel 1825 per il principe Galitzin e in cui si trattava dei Quartetti Op.127, 132 e 130 [E.2026].
Nonostante certe difficoltà le lettere di Beethoven sono un’importantissima fonte di informazione su certi avvenimenti della sua vita. Ad esempio è stato possibile ricostruire molti dei continui cambiamenti di casa, dei soggiorni estivi e dei (pochi) viaggi in base alle indicazioni degli indirizzi o delle località riportati sulle lettere. Ma soprattutto le lettere sono uno spaccato sul carattere di Beethoven. Scritte molte volte d’impulso dopo un avvenimento sgradevole, ci mostrano il Maestro montare in collera e ricoprire di male parole i supposti colpevoli e il malcapitato destinatario. Così come a volte sono cariche di insulti e di accuse di incapacità e asineria a copisti, stampatori, editori. Quei lati della personalità di Beethoven che si traducevano in un umorismo grossolano (che Bekker ha definito “umorismo da cinghiale”) o in gesti di disprezzo, quelle difficoltà di autocontrollo che talora sfociavano in episodi di momentanea violenza verbale e di intolleranza di carattere offensivo, sono stati impietosamente tramandati ai posteri per l’eternità nelle sue lettere. Molte volte queste esplosioni coincidono con momenti difficili della sua vita, l’insorgenza della sordità o le crisi per la tutela del nipote, le disillusioni sentimentali e le [supposte?] ristrettezze finanziarie; ma a volte affiorano anche in momenti di calma apparente. Vittime ne furono anche quelli che per la storia non possono che apparire come dei veri amici quali Zmeskall, l’amico devoto che lo aiutò a risolvere sovente tanti problemi quotidiani e Schuppanzigh, il devoto alfiere della sua musica! Queste grossolane esplosioni di intolleranza verbale erano seguite, di solito, da un torrente di scuse o di buone parole che denotano come egli stesso si rendesse conto del cattivo gesto compiuto o della cattiva parola. Noi oggi giustifichiamo tutto questo con la sua instabilità emotiva e caratteriale, con la sua incapacità di controllarsi dovute certo alle tare ereditarie (costituzionali e acquisite – l’alcolismo si trova e si ritrova negli ascendenti) ed educative (basta pensare ai rapporti col padre). Per contro molte lettere sono la prova della sua bontà d’animo, della sua devozione amichevole e del desiderio innegabile di voler fare del bene, come scriveva, “alla povera umanità sofferente”.
Le poche lettere d’amore riflettono abbastanza fedelmente lo stato emotivo di un uomo che ebbe nell’amore, profondo e fedele come lui lo intendeva, una meta che si allontanava ad ogni nuova esperienza e che rimase sempre per lui irraggiungibile. Fra queste lettere vanno ricordate quelle all’Amata Immortale e alcune di quelle per Josephine Deym Brunsvik. Altre lettere ci mostrano chiaramente il versante umoristico del carattere di Beethoven: piene di giochi di parole, nomignoli e di doppi sensi ci mostrano anche il suo modo scherzoso, ma nello stesso tempo autoritario, di trattare gli amici o i malcapitati che gli prestavano volentieri aiuto e che coi quali talora restava in relazione e tollerava, sono sue parole, “per quello che fanno per me”.
Moltissime lettere naturalmente hanno a che fare con la sua musica. La maggior parte riguardano i problemi di copia e di stampa, e le trattative con gli editori. E da alcune ci si rende subito conto di come, qualche volta, Beethoven non sia sempre stato cristallino nelle sue trattative, quando ha cercato di smerciare la stessa opera a più editori contemporaneamente. O di come, molte volte egli abbia millantato credito spacciando per ormai completate opere che erano appena abbozzate o che aveva soltanto “in testa”. Altre lettere si riferiscono ad esecuzioni delle sue opere sia pubbliche che in palazzi privati: ricerca di esecutori, affitti di sale, benestare delle autorità, previsioni di spesa e ricavo.
La cosa che forse colpisce di più è che dall’epistolario beethoveniano non si ricavi praticamente nessuna notizia sulla sua poetica. Non vi sono considerazioni estetiche o musicali; nulla trapela della personalità artistica di Beethoven, del suo modo di comporre, fatto salve rare eccezioni. Ad esempio in una lettera a Schlesinger del 13 novembre 1821 [E.1446] scrive che nel comporre era solito “annotare certe idee e, quando ho tutta l’opera in testa, metto tutto per iscritto, ma una sola volta“. Altrimenti sulla composizione e sull’arte tutto è limitato a brevi frasi o affermazioni da cui si deve cercare di trarre delle deduzioni.
Un argomento che ricorre sovente è quello dei concerti benefici e del dono di opere da eseguire per beneficenza, con ripetute affermazioni del proprio desiderio di servire i deboli e i sofferenti.
Le lettere sono inoltre un vero e proprio bollettino medico delle affezioni di Beethoven: vi si fa riferimento, in certi periodi quasi ossessivamente, a problemi di salute.
Non ultimi i problemi domestici. Cambiamenti di casa e soprattutto questioni con la servitù occupano molto spazio. Affiora quel modo di considerare i domestici degli esseri inferiori ed infami, il modo veramente incivile col quale Beethoven li trattava, giungendo alle maniere forti come quando tirò sulla testa alla governante una pila di libri. E di tutti questi problemi vi è una conferma nei Quaderni di Conversazione e in certe note scritte su alcuni calendari che sono state ricopiate dopo la sua morte. Infine molto si viene a sapere sui gusti culinari di Beethoven e sui vini da lui preferiti.]
[Il testo delle lettere qui riportato è quello riportato nei volumi “Le lettere di Beethoven” a cura di Emily Anderson, ILTE, Torino 1968, nell’”Epistolario” edito da Skira, sotto gli auspici dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 1999-2003, ma vi sono anche traduzioni dalla raccolta “Ludwig van Beethovens sämtliche Briefe. Herausgegeben von Emerich Kastner” (Hesse & Becker Verlag, Leipzig 1923).
Il numero, di solito fra parentesi quadre, dopo la data, corrisponde al numero della lettera nell’edizione consultata. Se preceduta da A. ci si riferisce all’edizione a cura di E.Anderson, se da E. all’edizione dell’Epistolario di Skira, se da K. all’edizione di Kastner.
Se una lettera è citata in un libro o saggio, si riportano data e numero della lettera e alla fine il nome dell’autore del libro o saggio. Le parole della lettera riportate nel testo sono fra virgolette.
Lo spazio qui dedicato alle lettere è relativamente poco perché molte, coi passi in relazione alla genesi e alle prime esecuzione delle opere, ai rapporti con i copisti, gli editori, i cantanti, gli amici, i mecenati o in relazione a vari avvenimenti della vita del Maestro sono riportate nei vari altri capitoli.]
Nella lettera in cui confessa ad Amenda la sua sordità scrive anche:
“Come devo vivere tristemente ora, lasciare tutto ciò che amo e mi è caro … e poi con uomini così miserabili, egoisti come [gli Zmeskall, Schuppanzigh] etc.. Devo dire che fra gli altri il più fidato è Lichnowsky; egli ha stanziato per me 600 fiorini … Ora per mia consolazione è tornato di nuovo un uomo con cui posso condividere il piacere della compagnia e dell’amicizia disinteressata, è uno dei miei amici di gioventù [Stephan von Breuning, col quale però anni dopo entrerà in conflitto, tanto da non frequentarlo più per anni!]. … anche a lui non può piacere Zmeskall; è e resta troppo fiacco per l’amicizia, considero lui e Schuppanzigh solo come strumenti, su cui, quando mi piace, suono, ma non potranno mai diventare cose per la mia attività interiore o esteriore, né parteciperanno mai veramente alla mia vita; io li valuto solo in base a quello che fanno per me”.
Lettera 10 giugno 1801, a Karl Amenda. [K.50]
[I nomi di Zmeskall e Schuppanzigh mancano nella lettera della raccolta di Kastner ove al posto dei nomi ci sono solo dei punti, mentre sono riportati nella edizione dell’Epistolario pubblicato da Skira, E.67]
Carissimo barone nettezza urbana … ieri con le sue chiacchere Zmeskal-domanovezischiane sono diventato tristissimo. Vada al diavolo, non voglio saper niente di tutta la sua morale, la forza è la morale degli uomini che si distinguono dagli altri ed è anche la mia; e se Lei ricomincia oggi sullo stesso tono, La tormento talmente fino a che non troverà buono e lodevole tutto quello che faccio. Adieu Baron, Ba…ron, ron/nor/orn/rno/onr. Voila quelque chose dal vecchio Monte di Pietà] Lettera a N.Zmeskall von Domanovecz 1798 [K.24]
A. Non venire più da me! Sei un falso cane e il boia venga a prendersi i falsi cani.
B. Nazerl del mio cuore! Sei un ragazzo sincero e hai ragione, cosa che riconosco. Vieni dunque da me oggi pomeriggio. Troverai anche Schuppanzigh e tutti e due vogliamo sgridarti, tormentarti scrollarti così che tu per questo debba avere la tua gioia. Ti bacia il tuo Beethoven
detto anche mucchio di farina. Biglietti a Johann Nepomuk Hummel scritti in due giorni successivi a Vienna, probabilmente nel 1799 [K.36, K.37]. Siccome manca il manoscritto orginale e la parola Nazerl è un diminutivo di “Ignaz” c’è chi suppone che i biglietti fossero per Ignaz von Gleichenstein [Anderson].
Le ho detto già ieri che non avrei accettato il Suo biglietto. Dovrebbe conoscermi abbastanza da non credermi capace di defraudare di un piacere un amico per offrire tale piacere a qualcun altro. Mantengo quello che ho detto e qui unito Le rimando il biglietto. Sono lieto di non essere tanto incostante da cambiare opinione ogni momento, ma di attenermi, anzi, strettamente a ciò che dico.
Lettera a N.Zmeskall von Domanovecz, 24 marzo 1799 [A.31]
Amatissimo Conte di musica! [in italiano]
Sì carissimo Conte [in italiano], fidato amico [in italiano] mio, i tempi sono cattivi, la nostra camera del tesoro è vuota, le entrate entrano male e noi, benignissimo Signore, siamo costretti a degnarci di chiederVi un prestito di 5 Gulden.
Lettera a N.Zmeskall von Domanovecz, 1799 ? [K.38]
Avrei voluto rispondere alle sue domande già più volte, ma per scrivere sono di una spaventosa pigrizia e ce ne vuole prima che io scriva delle aride lettere dell’alfabeto invece che delle note.
Lettera a F.A.Hoffmeister, 15 dicembre 1800 [K.42]
“Dovrebbe esistere al mondo un mercato dell’arte (Magazin der Kunst) dove l’artista dovrebbe portare solo le proprie opere e prendersi il denaro di cui abbisogna. Ma così come stanno le cose ora, un artista è costretto ad essere anche, in un certo senso, un uomo d’affari“.
Lettera a F.A.Hoffmeister, [15] gennaio 1801 [E.54]
Ai loro signori recensori raccomandino maggior intelligenza e prudenza, sopratutto riguardo alle produzioni dei giovani autori, qualcuno, che altrimenti potrebbe anche andare lontano, potrebbe esserne sgomentato; per quanto mi riguarda sono ben lontano dal ritenermi vicino a quella perfezione che non ammette alcun biasimo, però le chiassate del loro recensore furono, in principio, così avvilenti che io, cominciando a paragonarmi con altri compositori potevo appena soffermarmici sopra, restai del tutto calmo e pensai che non capiscono nulla; e tanto più tranquillo io potevo restare se consideravo come vengono portati in alto uomini che qui, in loco, significano poco fra i migliori – e qui quasi spariscono per bravi che possano essere. Ma ora pax vobiscum; pace a loro e a me; io non avrei detto una sillaba su questo, se non fosse stato fatto da Lei”
Lettera a Breitkopf e Härtel, 22 aprile 1801 [K.47]
Beethoven trattando con Steiner e Tobias Haslinger suoi editori, si riferiva sovente ad una immaginaria armata nella quale Beethoven era ‘Generalissimo’, Steiner ‘Sottotenente’, Haslinger ‘Aiutante’ e i ducati gli ‘Uomini armati’. In una sua lettera (A.1345) Beethoven immagina una umoristica biografia di Tobias Haslinger. Le lettere di Beethoven a Tobias inoltre sono zeppe di giochi di parole, battute e prese in giro per il suo accento salisburghese, ma anche di “battute musicali”, brevi frasi musicali sul nome To-bi-as. Nel 1821 gli scrisse un canone a tre voci (WoO 182), sul nome Tobias, che gli fu inviato in una lettera del 10 settembre 1821, da Baden [A.1056] che diceva:
“Ieri, mentre stavo viaggiando verso Vienna in carrozza, mi prese sonno – Orbene, mentre ero assopito ho sognato che stavo viaggiando verso lontanissime parti del mondo, fino in Siria e alla fine sono persino arrivato a Gerusalemme. La Città Santa fece volgere i miei pensieri ai Libri Sacri. Così non c’è da meravigliarsi se in quel momento mi misi a pensare all’amico Tobias; e naturalmente, deve avermi attraversato la mente anche il nostro Tobiuccio ed il suo “pertobiare”. Ebbene, durante questo viaggio fatto in sogno, mi è venuto in mente il seguente canone: [e qui è scritta la frase musicale base del canone].
Ma appena sveglio il canone era bello e scomparso e non riuscivo più a ricordarne neanche una nota. Tuttavia il giorno seguente, mentre tornavo a Baden sullo stesso veicolo (un veicolo da povero musicante austriaco), e continuavo il viaggio fatto in sogno il giorno prima, questa volta però da sveglio, mi venne di nuovo in mente lo stesso canone.
Questa volta, essendo sveglio, lo tenni stretto come un tempo Menelao fece con Proteo e gli permisi soltanto di trasformarsi in un canone a tre voci: [e qui è riportato il canone a tre voci]. Stia bene. Noi ci auguriamo sempre che Lei non abbia a giustificare il titolo di editore e non si trovi mai in imbarazzo, ma che continui ad essere editore senza imbarazzi [gioco di parole fra “Verleger” – editore e “verlegen” – imbarazzato] – Canti ogni giorno le Epistole di San Paolo, vada ogni domenica da Padre Werner [un predicatore molto alla moda allora] che Le indicherà il librettino adatto per farLa andare diritto in Cielo. Lei vede quanto mi preoccupi del Suo bene spirituale. Insomma io rimarrò sempre, con il più grande piacere, di eternità in eternità,
il Suo fedelissimo debitore
Beethoven”.
Lettere a Bernhard Schotte Söhne, 22 gennaio 1825 [A.1345] e a Tobias Haslinger, 10 settembre 1821 [A.1056].
Un amico mi ha riferito l’importo che è stato raccolto per la figlia dell’immortale dio dell’Armonia, [per Regina Susanna ultima figlia di Johann Sebastian Bach, che poi morì il 14 dicembre 1809]; sono rimasto stupefatto per la piccola somma che la Germania, proprio la sua Germania ha raccolto per questa per me veneranda persona per i meriti di suo padre, il che mi suggerisce il pensiero, come andrebbe se io pubblicassi qualcosa su prenotazione a beneficio di questa persona e rendessi nota al pubblico la somma e l’introito di tutto l’anno in modo da proteggersi da ogni attacco? Lei potrebbe fare per questo più [di tutti]. Mi scriva rapidamente come questo è possibile nel migliore dei modi, che non accadesse, prima che ci muoia questa Bach, prima che questo ruscello [in tedesco Bach] si prosciughi e noi non possiamo più abbeverarcisi.
Lettera a Breitkopf e Härtel, 22 aprile 1801 [K.47]
Il tuo Beethoven ha una vita molto infelice, in lotta con la natura ed il Creatore. Già più di una volta maledissi quest’ultimo perchè ha disposto le sue creature in modo che spesso anche il più bel fiore può essere distrutto e stroncato. Sappi che la parte più nobile di me, il mio udito è molto scemato. Sin da quando tu eri ancora con me notavo qualche sintomo, ma tacqui; ora è andato sempre peggiorando. Non so se potrò mai guarire. Oh come sarei felice se avessi il mio udito perfetto. Così devo tenermi in disparte da tutto; per suonare e comporre il mio male conta meno: il peggio è per i rapporti con la gente. Ciò che ti ho detto del mio udito ti prego di custodirlo come un gran segreto e di non confidarlo a nessuno.
Lettera a K.Amenda, 1 luglio 1801 [A.53]
[In questa lettera Beethoven ringraziava per dei dolci che gli avevano mandato le Dame Orsoline (beneficiarie dei concerti da lui spediti a Varena), e riufiutando ogni onorario scriveva]: “Se del resto le R[everende] D[ame] volessero essere sicure di fare qualcosa di buono per me, con le loro educande vogliano includere il mio nome nelle loro preghiere”.
Lettera a J.Varena 19 luglio 1812 [K.339].
Sono un pò stupito di ciò che mi ha fatto dire dal curatore dei suoi affari di qui; e ciò che mi disgusta è che Ella mi ritenga capace di un così brutto tiro. Altro sarebbe se io avessi negoziato la mia roba con avidi mercantucoli e avessi fatto poi di nascosto una buona speculazione. Ma artista contro artista, è un po’ forte pretendere da me una cosa simile. Mi pare che tutto questo sia o escogitato, o per mettermi alla prova o solo una supposizione. In ogni caso sappia che prima che Lei ricevesse il mio Settimino lo ho spedito al signor Solomon a Londra (perché fosse eseguito al suo concerto, e questo è stato fatto solo per amicizia), ma con la raccomandazione di preoccuparsi che non venisse in mani estranee, poiché io sono deciso a lasciarlo stampare in Germania, della qual cosa, se Lei lo trova necessario, può informarsi direttamente da Lui. Ma per darle un’altra prova della mia rettitudine do a lei qui la mia assicurazione che il Settimino [Op.20], il Concerto [Op.19], la Sinfonia [Op.21] e la Sonata [Op.22] non le ho vendute a nessun altro al mondo che a Voi Signori Hofmeister e Kühnel e che potete considerare queste opere vostra esclusiva proprietà, ne rispondo sul mio onore. Loro possono usare questa mia assicurazione in ogni caso in cui lo vogliano.
Lettera a F.A.Hoffmeister, giugno 1801 [K.51]
Mio caro buon Wegeler, quanto ti ringrazio del tuo ricordo; ho meritato così poco con la mia imperdonabile negligenza. Nonostante questo resto il buono, fedele, leale amico. Ho nostalgia di voi e considererò come uno degli eventi più felici della mia vita il momento in cui potrò rivedere voi e salutare il nostro padre Reno … Ma voi non mi rivedrete che ben grande non solo come artista, ma come uomo migliore e più perfetto: allora la mia arte dovrà mostrarsi esclusivamente a beneficio dei poveri.
Lettera a F.G.Wegeler, 29 giugno 1801 [A.51]
Devo confessare che la mia vita trascorre miseramente. Da quasi due anni ho smesso di prender parte ad ogni attività sociale, proprio perché mi è impossibile dire alla gente: sono sordo. Se lo sapessero i miei nemici. Che non sono pochi, cosa direbbero? – Per darti un’idea di questa strana sordità ti dirò che a teatro devo mettermi vicinissimo all’orchestra per comprendere ciò che l’attore dice, e che i suoni acuti degli strumenti e delle voci, se appena sono un poco lontano non li sento affatto. Quanto al conversare è sorprendente come molte persone non si siano mai accorte della mia sordità; ma siccome sono sempre stato soggetto ad accessi di distrazione, attribuiscono a questo la mia debolezza di udito. Infine talvolta odo a malapena chi parla piano. Odo i suoni ma non distinguo le parole, mentre, invece, se appena uno grida mi è addirittura impossibile sopportarlo. Il Cielo solo sa cosa avverrà di me. – Più volte già ho maledetto il Creatore e la mia esistenza. Plutarco mi ha indicato la strada della rassegnazione. Voglio se possibile lanciare una sfida alla mia sorte, anche se, finchè vivrò vi saranno momenti nei quali mi sentirò la più infelice fra le creature di Dio. … Rassegnazione, misera risorsa! Eppure è tutto ciò che mi è rimasto!
Lettera a F.G. Wegeler, 29 giugno [1801], [A.51].
Non ho mai dimenticato nessuno di voi cari e buoni amici anche se non ho fatto sapere nulla di me per anni; ma scrivere non fu mai il mio forte. Non vivo che nella mia musica e appena una composizione è finita ecco un’altra è già principiata; scrivo spesso tre quattro lavori alla volta.
Lettera a F.G.Wegeler, 29 giugno 1801 [A.51]
Salutami tutti, anche la buona signora del consigliere (von Breuning) e dille che qualche volta “farei ancora una mattana”.
Lettera a F.G.Wegeler, 29 giugno 1801 [A.51]
[La signora von Breuning diceva del giovane maestro quindicenne, il quale a Bonn, talvolta, non era disposto ad impartire lezioni, che “aveva il suo raptus”.]
[Dalle seguenti lettere ci viene uno spaccato abbastanza vivido di un certo modo di vedere la vita da parte di Beethoven. Il Maestro aveva invitato, il 4 marzo 1807, la signora Marie Bigot a fare una gita in carrozza con lui [probabilmente come sospetta anche Thayer con uno scopo ben mirato]. “Mia cara e ammiratissima Marie, il tempo è veramente divino – chissà se domani lo sarà ancora – Le propongo perciò di venirLa a prendere oggi verso mezzogiorno per una passeggiata in carrozza – Probabilmente Bigot sarà già uscito, e non potremo portarlo con noi – ma lasciar cadere l’idea per questo motivo certamente lo stesso Bigot non lo vorrebbe – …. Qualunque motivo Lei adduca per non accettare la mia proposta l’attribuirò soltanto alla scarsa fiducia che ripone nella mia persona ….”
Marie Kiene (1786-1820), eccellente pianista, era la moglie di Bigot de Morogues, bibliotecario del Conte Razumovsky. L’invito non piacque ai Bigot e Beethoven se ne adombrò perché non considerava la cosa affatto sconveniente, e scrisse ai Bigot, 6 marzo 1807]: “Non senza profondo rammarico devo constatare che i sentimenti più puri e innocenti possono essere sovente fraintesi – Per quanto affettuosa sia stata la sua accoglienza, cara M.[arie], non mi sono mai sognato di vedere nel suo comportamento altro che il dono della Sua amicizia – ……… – Uno dei miei principi fondamentali è di non avere mai niente più che rapporti di amicizia con la moglie di un altro; non vorrei, infatti, con una relazione del genere, riempire il mio cuore di sfiducia nei confronti della donna che forse un giorno potrebbe condividere il mio destino – e distruggere così io stesso la relazione più bella e più pura – È possibile che una volta o due io abbia scherzato con Bigot in maniera non proprio delicata, ve lo ho detto io stesso che certe volte sono molto impertinente – Con tutti i miei amici mi comporto in maniera estremamente naturale … considerato il rifiuto opposto da Bigot il giorno precedente all’idea che Lei uscisse sola con me, era del tutto naturale che tutti e due la riteneste cosa sconveniente – e quando Le ho scritto non mi proponevo nient’altro che farLe capire che non ci trovavo niente di male. … Se ho detto che dalla visita che Vi volevo fare sarebbe venuto fuori qualcosa di brutto si trattava più che altro di uno scherzo allo scopo di dimostrare che tutto ciò che vi riguarda mi attira sempre di più, al punto che il mio desiderio più grande è quello di poter vivere sempre accanto a Voi due … – Supponiamo pure che potesse esserci nella mia dichiarazione anche un’intenzione segreta, ebbene, anche l’amicizia più sacra può spesso avere sfumature segrete, ma – fraintendere per questo motivo il segreto dell’amico – …. – questo non dovevate farlo. Caro Bigot, Cara Marie. Mai, mai troverete in me alcunché di disonorevole. Fin dall’infanzia ho appreso ad amare la virtù – e tutto ciò che è bello e buono –
Lettere ai Signori Bigot, 4 marzo 1807 [E.271], 7 marzo 1807 [E.273]
Ora vivo più piacevolmente fra la gente. Non puoi immaginare come vuota, come triste è stata la mia vita da un paio di anni a questa parte: il mio debole udito mi pareva uno spettro ed io fuggivo gli uomini, dovevo apparire misantropo ed invece lo sono così poco. Questo mutamento lo ha prodotto una cara ragazza incantevole, che mi ama e che io amo. Dopo due anni questi sono i primi momenti beati e sento che lo sposarsi potrebbe rendere felici. Purtroppo ella non è del mio stato sociale ed ora non mi potrei davvero sposare
Lettera a F.G.Wegeler, 16 novembre 1801 [A.54]
Per me non esiste gioia più grande che darmi alla mia arte e prestarla
Lettera a F.G.Wegeler, 16 novembre 1801 [A.54]
Se non fosse per l’udito anche le vostre premure mi farebbero male: ogni momento leggerei la pietà sui vostri volti, e sarei sempre più infelice. Oh! il mondo io lo terrei in pugno senza questo male. La mia forza fisica e quella del mio ingegno aumentano ogni giorno di più. Potessi liberarmi solo a metà del mio male e poi venire a voi come uomo più completo, più maturo. Voglio afferrare il destino per la gola, non deve assolutemente piegarmi, oh no. Oh, è così bello vivere mille volta la vita!
Lettera a F.G.Wegeler, 16 novembre 1801 [A.54]
Quanto è fortunata Lei che ha potuto trasferirsi così presto in campagna. Io non potrò avere questa gioia fino al giorno 8, ma già me ne rallegro come un bambino solo a pensarci. Che bellezza potermene andare finalmente in giro fra siepi e boschi, fra alberi, erbe, rocce. Nessuno può amare la campagna quanto io l’amo – Boschi, alberi, rocce rimandano l’eco che l’uomo desidera udire …
Lettera a Therese Malfatti. Fine maggio 1810 [E.442]
Ho già ricevuto due lettere da Lei e vedo che mi ricorda sempre e, ciò che più conta, in maniera anche troppo lusinghiera – La Sua prima lettera la ho portata con me tutta l’estate ed essa mi ha reso infinitamente felice. Sebbene non Le scriva molto col pensiero Le scrivo mille volte mille lettere. Anche se non me lo avessero detto le Sue lettere, avrei potuto facilmente immaginare come si trovi a Berlino in mezzo a quei rifiuti della società internazionale: molte chiacchere sull’arte e pochi fatti!!!!!
Se mi sarà concesso di sopravvivere ancora qualche anno renderò grazie anche per questo come per ogni altro bene e dolore a Colui che tutto abbraccia, a Colui che è l’Altissimo – Se scrive a Goethe di me, scelga con cura ogni parola che possa fargli comprendere tutta la mia più profonda venerazione e ammirazione. Sono anch’io in procinto di scrivergli a proposito dell’Egmont, che ho messo in musica e, quel che più conta, unicamente per amore delle sue poesie che mi fanno sentire felice.
[Delle tre lettere a Bettina Brentano questa, di cui è rimasto il manoscritto, è l’unica certamente autentica.]
Lettera a Bettina Brentano, 10 febbraio 1811,[A.296]
[L’impazienza e l’intolleranza di Beethoven sono documentate dalle parole di questa lettera indirizzata a Breitkopf e Härtel a Lipsia. Essi avevano pubblicato nel 1811 parecchie opere di Beethoven, ed egli si era lamentato per molti errori nel Concerto Imperatore, per il fatto con non sempre riceveva le bozze o che gli errori non sempre venivano corretti.]
“Errori – errori – Loro stessi sono un unico errore senza pari! Insomma, dovrò mandare il mio copista, dovrò venire là io stesso, se non voglio che le mie opere – compaiano come un solo errore. Il tribunale musicale di Lipsia, a quanto pare non produce neppure un solo buon correttore…… – Vedano, nella riduzione per pianoforte dell’ouverture dell’Egmont manca un’intera battuta. Ecco il catalogo degli errori“.
Lettera a Breitkopf e Härtel 6 maggio [1811] [K.272]
“Rochlitz, se non mi inganno, ha già parlato non favorevolmente del coro dei giovani ‘Noi l’abbiamo veduto’ [nell’Oratorio “Cristo sul monte degli ulivi”], prima ancora che lo avessi dato a Lei da stampare. Lo disse “curioso”. Recensite pure quanto volete, non fino all’eternità, questo non lo potreste mai fare. E ora andatevene con Dio”.
“La prego di farmi subito quest’affare [spedire delle lettere] quantunque Le sia già imposto per legge come castigo alle tante edizioni piene di errori, titoli falsi, negligenze dovrebbe andare errando col cilicio per tutte le atrocità commesse nelle mie opere. Le auguro una Xantippe come fu data a Socrate, affinchè io possa vedere una buona volta un editore tedesco imbarazzato”.
Da alcune lettere a Breitkopf e Härtel 1811-12
O Cielo, aiutami; io non sono un Ercole che possa aiutare Atlante a sorreggere il mondo o addirittura da solo. – Ieri ho appreso dettagliatamente per la prima volta come il sig. barone Krafft ha parlato bene di me a Zizius, e giudicato. Lasciamo andare caro Z[meskall] tanto non durerà più a lungo che io continui ancora a vivere qui in questo modo vergognoso, l’arte, la perseguitata, trova sempre un rifugio; Dedalo, chiuso nel labirinto, inventò le ali che lo sollevarono in alto nell’aria, oh, anche io troverò queste ali!
Lettera a N.Zmeskall von Domanovecz, 19 febbraio 1812[K.311]
Perchè scrivo? Tutto quello che ho nel cuore deve uscire: ecco perchè. Coglierò ogni occasione per dimostrarle sempre la mia viva premura per aiutare i suoi poveri. Mi obbligo a mandarle, sempre ogni anno, della musica composta per questo scopo e metterla a sua disposizione a beneficio dei poveri.
Lettera a J.Varena, 8 febbraio 1812, [A.348]
Le nostre aspirazioni sono infinite, ma la volgarità rende tutto limitato e finito.
Lettera a F.Brunsvik, [estate 1813], [A.427]
Imbecille, asino presuntuoso
E debbo scambiare complimenti con un tale mascalzone che mi rubacchia il denaro? Dovrei invece tirargli le sue orecchie asinine.
Pasticcione di un copista! Imbecille!
Corregga gli errori che ha fatto per ignoranza, arroganza, presunzione e stupidità. Questo le si addice meglio che non pretendere di farmi la lezione, perché è proprio come se la scrofa volesse fare la lezione a Minerva.
La prego di fare a Mozart e Haydn l’onore di non menzionare i loro nomi. [Frase aggiunta sul margine destro della pagina]. Già ieri e anche prima si era deciso di non darle più l’incarico di copiare per me. [Frase aggiunta sul margine sinistro].
Lettera a F.Wolanek, 1825, [A.1463].
Non vi è nulla di più bello che avvicinarsi alla Divinità e spargerne i raggi sulla razza umana.
Lettera all’Arciduca Rodolfo
Non togliere a Händel, Haydn e Mozart i loro allori: essi ne hanno diritto io non ancora. … Persevera, non limitarti a fare dell’arte un esercizio ma devi sforzarti di penetrarne l’intimo significato; essa merita tale sforzo perchè soltanto l’arte e la scienza innalzano l’uomo sino alla divinità. Se dovessi venire una volta ad A[mburgo], verrò da te e dai tuoi cari; nell’uomo non riconosco altra superiorità che quella di essere annoverato fra le creature migliori. Dove trovo tali uomini, lì è la mia casa”.]
Lettera a Emilie M., 17 luglio 1812 [E.585]
Il 27 di questo mese [febbraio 1814] darò una seconda accademia nella grossen Redoutensal [nella quale verrà data la prima dell’Ottava Sinfonia]. Quindi vieni. Ora lo sai. Così poco a poco posso salvarmi dalla mia miseria poiché del mio stipendio non ho ancora ottenuto un Kreutzer. … Anche la mia opera Il Fidelio] viene rimessa in scena, ma vi faccio molto di nuovo. Spero che tu viva contento, che non è certo poco. Per quanto mi riguarda, santo cielo, il mio mondo è nell’aria, come spesso il vento così turbinano i suoni, così spesso turbinano nella mia anima – Io ti abbraccio.
Lettera al Conte Franz von Brunsvik, 13 febbraio 1814 [K.414]
A Goethe garba troppo l’aria di corte; garba più di quanto non si convenga ad un poeta. Come si può trovare troppo a ridire sul comportamento ridicolo dei virtuosi, sotto questo aspetto, quando i poeti, che dovrebbero essere considerati come i primi maestri della Nazione, possono dimenticare ogni altra cosa davanti a quel luccichio.
Lettera a Breitkopf e Härtel, 9 agosto 1812 [A.380]
Le scrivo da letto. Anche la natura ha le sue esigenze. Mentre facevo ancora i bagni, ieri mattina sul far del giorno, mi salta in mente di andare nei boschi nonostante la nebbia. Per questa licentiam poeticam faccio oggi penitenza …
Lettera a Breitkopf e Härtel, 17 settembre 1812 [A.383]
La libertà ed il progresso sono il fine dell’arte, come del resto la vita stessa. Se noi artisti moderni non siamo così sicuri come i nostri avi, il progresso della civiltà ci ha, almeno, insegnato molte cose.
Lettera all’Arciduca Rodolfo
Non ho l’abitudine di ritoccare le mie composizioni, una volta che le ho terminate. Non lo ho mai fatto, convinto che ogni mutamento parziale alteri il carattere della composizione.
Lettera a Thomson.
[Beethoven sottopose tutti gli strumenti (ad eccezione dell’arpa) ad analisi continue. Ma in realtà soltanto il pianoforte venne da lui veramente esplorato a fondo.] “Non c’è dubbio che per quanto riguarda il modo di suonare il pianoforte è ancora il meno studiato e sviluppato fra tutti gli strumenti: spesso si ha l’impressione di ascoltare semplicemente un’arpa. Ed io sono lieto, mio caro amico, che Lei sia uno dei pochi che si rendono conto ed intuiscono che, se uno ha la musica nell’anima, il pianoforte può farlo perfino cantare”.
Lettera a J.A.Streicher, [1796] [A.18]
La descrizione di un quadro è proprio della pittura. A questo riguardo anche il poeta, il cui campo, in questo caso, non è limitato come il mio, può considerarsi più favorito di me rispetto alla mia Musa. La mia arte, d’altra parte, si stende più lontano, in altre sfere, e il nostro regno non si può raggiungere tanto facilmente.
Lettera a W.Gerhard, 15 luglio 1817 [A.788]
Per ciò che mi riguarda come artista non si potrà mai dire che io abbia reagito a qualsiasi cosa si scrivesse su di me in relazione alla mia arte.
Lettera a B.Schott, 13 agosto 1825 [A.1411]
Per quanto concertne i buoi di Lipsia, si lascino pure parlare; non faranno diventare nessuno immortale con la loro chiacchiera, così come non potranno mai togliere l’immortalità a nessuno cui è destinata da Apollo.
Lettera a F.A.Hoffmeister, Vienna il 15 [o qualcosa di simile] gennaio 1801 [K.43]
Fin dall’anno scorso Lichnowsky che, per quanto ti possa sembrare incredibile, fu ed è rimasto sempre il mio più affettuoso amico (naturalmente abbiamo avuto qualche piccola divergenza, che però è riuscita solo a rafforzare la nostra amicizia), mi ha assegnato una somma fissa di 600 Gulden – da cui posso attingere finché non avrò trovata un’occupazione adatta a me. Le mie composizioni mi rendono molto, e posso dire di avere più ordinazioni di quante io passa soddisfare. Inoltre per ogni composizione posso contare su sei sette editori, e anche di più se lo volessi. Con me non discuto più, pagano quello che chiedo – Come vedi mi trovo in una situazione piacevole. Se per esempio vedo un amico in bisogno e il mio borsellino giusto in quel momento non mi permette di aiutarlo subito, basta che io mi metta al tavolino a comporre, e in poco tempo ho la possibilità di soccorrerlo. … Soltanto un demone invidioso, la mia cattiva salute, mi ha messo il bastone fra le ruote; e questo significa che in sostanza da tre anni a questa parte il mio udito è diventato sempre più debole.
Lettera a F.G.Wegeler, 29 giugno 1801 [A.51]
Mio buon Amenda il tuo Beethoven è terribilmente infelice. Devi dunque sapere che la parte più preziosa di me stesso, il mio udito, è oramai molto indebolita. Ho avvertito i primi sintomi quando ancora stavi con me; ma non te ne ho voluto parlare. Ora si sono molto aggravati. C’è solo da aspettare per sapere se il mio udito può guarire. Lo devo sperare, ma stento a crederlo. Puoi renderti conto ora quanto la mia vita sia triste.
Lettera a K.Amenda, 1 luglio 1801 [A.53]
Sarei felice, forse uno dei più felici fra gli uomini, se il demone non avesse preso dimora nelle mie orecchie – Se non avessi letto da qualche parte che all’uomo non è lecito staccarsi volontariamente dalla vita, finché può compiere ancora qualcosa di buono, ormai da tempo avrei cessato di vivere – e per di più di mano mia – Oh, la vita è così bella, ma per me è avvelenata per sempre –
Lettera a F.G.Wegeler, 2 maggio 1810 [A.256]
Se non fosse per la mia sordità già da tempo avrei percorso mezzo mondo – Perché non conosco piacere più grande che mettere in pratica ed esercitare la mia arte. Oh se riuscissi a liberarmi [della mia sordità] abbraccerei il mondo intero! – La mia giovinezza, sì lo sento, comincia soltanto ora. Le mie energie fisiche da qualche tempo vanno crescendo sempre più che mai e lo stesso accade anche alle mie facoltà mentali. Ogni giorno mi avvicino di più alla meta che sento ma che non so descrivere. Il tuo Beethoven non può conoscere soste – Non ne conosco altre che il sonno, e mi dispiace molto dover ora concedere al sonno più tempo di prima. Se soltanto potrò liberarmi parzialmente dal mio male, allora – verrò da voi come uomo completo, maturo …. Mi dovrete vedere felice e non infelice – no non potrei sopportarlo – voglio afferrare il Destino alla gola; non riuscirà certo a piegarmi e ad abbattermi completamente – Oh sarebbe così bello vivere mille volte!
Lettera a F.G.Wegeler, 16 novembre [1801] [A.54].
… come Lei ben sa lo spirito creativo, non deve essere condizionato dalle misere necessità della vita e questa storia [la causa per ottenere il pagamento del vitalizio dagli eredi Kinsky] mi priva pure di molte altre cose che contribuiscono ad una vita felice, ho dovuto e devo ancora adesso imporre dei limiti alla mi inclinazione, anzi al dovere che io stesso mi ero imposto, di operare con la mia arte a favore dell’umanità bisognosa –
Non le scriverò niente dei nostri monarchi …. – Il regno dell’intelletto è quello che io preferisco, e pongo più in alto di tutte le monarchie spirituali e terrene.
Lettera a J.N.Kanka, Vienna autunno 1814 [E.747].
Il mondo ideale di Beethoven è nell’aria. “L’arte, quando è perseguitata trova sempre un asilo”, scrive a Zmeskall il 19 febbraio 1812 [A.349]. “Dedalo rinchiuso nel labirinto, ha ben inventato le ali che lo fecero uscire, sollevandolo in alto, nell’aria. Oh, le troverò anch’io queste ali!” Due anni dopo le ha già trovate: “Il mio regno è nell’aria. Come spesso fa il vento così i suoni turbinano intorno a me, così tutto turbina attorno alla mia anima”, in un regno solitario, ove la bellezza è parvenza sensibile della verità. È l’impegno morale che riecheggia l’alto ideale di Schiller: “Ciò che abbiamo trovato quaggiù sotto forma di Bellezza, ci verrà incontro un giorno come Verità”
Magnani
Se dalla sua lettera non fosse risultata tanto chiaramente l’intenzione di aiutare i poveri, Lei mi avrebbe offeso non poco abbinando immantinente l’invito che mi ha rivolto con il pagamento – Fin dalla prima fanciullezza, il mio ardente desiderio di servire in qualsiasi modo per mezzo della mia arte la nostra povera umanità sofferente, non è mai sceso a compromessi con alcun basso motivo; o meglio il solo compenso che ho desiderato è stato quel sentimento di intima felicità che sempre accompagna tali azioni – Le mando con questa lettera un Oratorio, una Ouverture, una Fantasia con Coro. Se nelle istituzioni per i poveri di Graz esiste un magazzino per questo genere di mercanzia, depositi queste tre opere come proprietà dei promotori di concerti per i poveri.
A Joseph von Varena, [primi di dicembre 1811] [A.334]
[A Teresa Malfatti, che gli stava a cuore e che voleva sposare, nel 1811, scrisse]: “Ha letto il Wilhelm Meister di Goethe e lo Shakespeare tradotto da Schlegel?”.
Lettera a Therese Malfatti, maggio 1810, [A.258]
“Mentre mettevo in musica per gli ungheresi il prologo ed epilogo [cioè il “Koenig Stephen” Op.117, e le “Rovine di Atene” Op.113, da eseguirsi all’inaugurazione del nuovo teatro tedesco di Pest nel 1812, su testo di Kotzebue], non potevo contenere il mio vivo desiderio di avere un’opera che fosse il frutto del Suo impareggiabile genio drammatico. Io sarei lieto di accoglierla quale ne sia il genere, romantico, serio, eroico, comico, sentimentale, in breve, qualunque cosa Lei voglia. Certo, più di tutto preferirei un grande soggetto storico e specialmente dei tempi oscuri per esempio dell’epoca di Attila. Accetterei però con gratitudine un Suo testo, qualunque ne sia il soggetto, purchè venga da Lei, dal Suo spirito poetico, che possa trasferire nel mio spirito musicale”.
Ad August von Kotzebue, 28 gennaio 1812 [A.344]
„Se Ella volesse pregare a nome mio il barone Friedrich de La Motte Fouquet‚ [(1777-1843), poeta romantico di discreta fama e di gusto; scrisse molti libretti operistici. Fece un adattamento teatrale del suo bellissimo racconto “Undine”, che fu messo in musica da E.T.A.Hoffmann] di ideare un grande soggetto d’opera che fosse anche adatto a Lei, acquisterebbe un grande merito nei confronti miei e del teatro tedesco”.
Alla cantante Anna Milder-Hauptmann, 6 gennaio 1816, [A.595]
“Che devastazione e sconquasso intorno a me, nient’altro che tamburi, cannoni, afflizione umana di ogni genere”.
Lettera a Breitkopf e Härtel, 26 luglio 1809, [A.220], [dopo il bombardamento e l’occupazione di Vienna da parte francese].
“Quanto è fortunata Lei, che ha potuto [andare] in campagna così presto. Soltanto l’otto io posso godere questa beatitudine. Ma già me ne rallegro come un bambino, come sarò lieto di poter vagare fra boschetti e boschi, fra alberi, erbe e rocce, nessun uomo può amare la campagna come me. Boschi, alberi, rocce rimandano l’eco che l’uomo desidera udire”
A Therese Malfatti, Vienna, maggio 1810 [K.245]
… ho dovuto ora affrettarmi sul serio per mantenere la mia parola, ma inoltre a Loro deve essere noto che io purtroppo posso vivere solo con le opere che scrivo. Ma molte cose ora devono essere cambiate nell’oratorio di Bernard. Ne ho già indicate alcune e sarò presto alla fine e poi presentarle a Bernard. Perché così come è, sebbene l’argomento sia ben inventato e il poema abbia il suo valore, non può rimanere. “Christus am Ölberg” è stato scritto da me e dal poeta nel giro di 14 giorni. Solo che il poeta era molto musicale e aveva già scritto molte cose per la musica; io potevo discutere con lui in ogni momento. Lasciamo impregiudicato il valore di un tal tipo di poesia. Con ciò tutti noi sappiamo cosa possiamo accettare; qui la qualità sta nel mezzo. Per ciò che mi riguarda io metterei volentieri in musica Omero, Klopstock e Schiller; perlomeno, anche se vi sono da superare delle difficoltà, questi poeti immortali lo meritano.
Alla Società degli Amici della Musica. Vienna, 23 Gennaio 1824. [K.1184]
[Questo è uno dei pochissimi scritti in cui Beethoven allude a problemi compositivi e in particolare ai rapporti poesia musica. Oltre a confermarci la sua grande ammirazione per Omero e i classici suoi contemporanei, ci spiega bene anche quanto diversa fosse la sua posizione, in tema di poesia messa in musica, rispetto a quella di Goethe che voleva che la musica fosse soltanto la schiava della parola.]
I QUADERNI DI CONVERSAZIONE
[I Quaderni di Conversazione furono una necessità vitale per Beethoven. Dal 1818 furono l’unico mezzo che permise al sordo di mettersi ancora in comunicazione con il mondo. Si tratta di libricini di cm 12×18, contenenti un numero variabile di pagine, su cui gli interlocutori di Beethoven scrivevano le loro domande, le loro risposte o esponevano le loro opinioni. Purtroppo mancano, naturalmente, le risposte di Beethoven: solo occasionalmente, a volte quando si trovava in locali pubblici e non voleva farsi sentire, anch’egli annotò le proprie. La lettura dei Quaderni ci mette quindi nella curiosa situazione di uno spettatore cui, a teatro, durante un lungo dialogo fra due attori, fosse consentito sentire solo la voce di uno dei due. Le risposte dell’altro dovrebbero essere immaginate, in base alle successive frasi dell’unico attore udibile, alle circostanze in cui si svolge la scena, a ciò che si può comprendere dalla mimica e dal comportamento degli attori, a quello che accade intorno a loro e così via. Lo stesso nei Quaderni di Conversazione. Bisogna immaginare la risposta di Beethoven. Questo è possibile molte volte, se si sa chi era l’interlocutore, dove e quando si svolse la conversazione, o in base a come fu formulata la domanda, o se alla luce di quanto ci dicono le lettere contemporanee sullo stesso argomento possiamo comprendere di che cosa si stava trattando. Ma tante volte Beethoven avrebbe potuto dare due risposte, entrambe accettabili, ma diametralmente opposte. La lettura dei Quaderni di Conversazione è quindi difficile e la loro comprensione non può prescindere dalla conoscenza del mondo di Beethoven negli anni in cui furono utilizzati.
Il quadro offerto dai Quaderni è, d’altra parte, molto limitato. Beethoven infatti utilizzò a casa anche una lavagna, e quindi moltissime delle conversazioni sono andate perdute. Inoltre vi sono dei periodi della vita del Maestro dei quali non ci sono rimasti Quaderni. La raccolta che abbiamo è incompleta. Mancano i quaderni che coprono un periodo di 12 mesi dal marzo 1818, e quelli dal settembre 1820 al giugno 1822. Dopo la morte di Beethoven i Quaderni finirono nelle mani di Schindler. Thayer riferisce che i Quaderni erano “all’incirca quattrocento”. Schindler ha poi sostenuto di averli custoditi gelosamente per anni, ma resosi conto che non c’era nessuno che avesse qualche interesse per essi, dato che occupavano molto spazio, si decise ad eliminare tutti quelli che, a suo giudizio, non contenevano informazioni importanti. Ne sono rimasti così 137 che, fortunatamente, furono ceduti da Schindler, in cambio di un vitalizio, alla Biblioteca Reale di Berlino, divenuta oggi la Staatsbibliotek di Berlino. Spetta a Nohl e a Schünenmann il merito di averli dissepolti e averli pubblicati. Ho consultato l’edizione di Nohl “Ludwig van Beethoven Konversationshefte. Herausgegeben und eingeleitet von Walter Nohl“ Allgemeine Verlangsanstalt München, 1924 e la bella versione italiana della edizione di Schünemann “I quaderni di Conversazione di Beethoven”, pubblicati dalla ILTE, a Torino, nel 1968, che termina però col Quaderno XXXVII del 1823. Schindler è stato quindi accusato di avere praticato un vero e proprio scellerato vandalismo. Ma recentemente, si è sostenuto che, probabilmente, la raccolta di Quaderni non è mai stata così corposa come ritenuto da Thayer e che il delitto di Schindler, se vi è stato, è molto meno grave di quanto abbiano sostenuto i suoi accusatori. Egli infatti si sarebbe limitato a far sparire quelle parti delle conversazioni che gli parevano dannose alla figura del compositore, quale egli la aveva idealizzata e desiderava far rivivere nella sua Biographie.
Comunque sia, la posizione di Schindler nei confronti dei Quaderni sembra proprio essere quella di un malfattore, anche per un altro motivo. È certo che egli ha introdotto, dopo la morte del Maestro, delle conversazioni fra lui e Beethoven, alcune delle quali riguardo al modo di comporre di Beethoven e al significato della sua musica. E altre che dovevano far apparire ancora più grande la sua familiarità con Beethoven. Oggi queste conversazioni spurie sono state chiaramente identificate, ma in passato sono state considerate autentiche e certi studiosi ne hanno tratto anche delle deduzioni critiche molto importanti sull’arte di Beethoven.
Il pregio maggiore dei Quaderni di Conversazione è quello di farci penetrare, “in tempo reale” diremmo oggi, nella vita quotidiana del Maestro, e quindi essi hanno un grande interesse biografico. La maggior parte delle conversazioni però riguardano cose semplici: problemi della vita di tutti i giorni, pettegolezzi e maldicenze, notizie su ottimi ristoranti; non mancano battute licenziose o spiritose. Ma vi si tratta anche di poesia, storia e di politica.
Mancano invece totalmente, eccetto quelle spurie introdotte da Schindler, le informazioni relative alla poetica beethoveniana e ai suoi problemi compositivi. Vi si parla molto di musica, ma soprattutto di organizzazione di concerti, esecuzioni e vendita delle opere del Maestro, di vita musicale viennese e dei compositori che vi vivevano, e vi compaiono Liszt e Weber.
L’ultima conversazione è del 5 marzo 1827, esattamente tre settimane prima della morte del Maestro.]
I Quaderni di Conversazione ci riveleranno aspetti segreti del suo animo, ci documenteranno sulla vastità dei suoi interessi spirituali ed umani, sulla passione politica, sull’amore per la storia, la poesia, la filosofia, e mostreranno come egli costantemente aspiri a riannodare la musica a qualche cosa di più alto.
Magnani
La conversazione con Beethoven doveva farsi in parte per iscritto; egli parlava, i suoi interlocutori erano obbligati a scrivere le loro domande e le loro risposte. A questo fine egli aveva sempre a portata di mano dei grossi quaderni di carta ordinaria, di formato in quarto e delle matite. Egli seguiva con occhio avido la mano che scriveva e afferrava con un colpo d’occhio, più che non leggesse, ciò che vi era scritto.
Hiller
Un giorno lessi, nel Quaderno di Conversazione che usava in quei giorni, “Il suo quartetto eseguito ieri da Schuppanzigh non è piaciuto”. Gli mostrai l’annotazione chiedendogli cosa ne pensasse. “Piacerà un’altra volta rispose”, rispose, “scrivo come ritengo giusto, non mi lascio guidare dal giudizio dei contemporanei. So di essere un artista” … “una seconda, una terza generazione mi ricompenseranno duplicemente dei torti che ho dovuto sopportare dai miei contemporanei”.
von Breuning
Il capolavoro di Mozart è il Flauto magico, è lì ove si è rivelato come maestro tedesco. Don Giovanni ha ancora la forma italiana; inoltre l’arte non dovrebbe mai lasciarsi disonorare dalla follia di un soggetto tanto scandaloso.
Dai Quaderni di Conversazione.
Io non appartengo per la mia attività [di artista] a questa massa plebea … [probabilmente Beethoven intendeva di nobili che di gente comune]. “Socrate e Gesù furono i miei modelli”.
Dai Quaderni di Conversazione, gennaio 1820, VI.
Il borghese – e a me è capitato di essere uno di costoro – è destinato a rimanere escluso dalle classi superiori della società.
Dai Quaderni di Conversazione, gennaio-febbraio 1820, VII
[Nei quaderni relativi ai primi mesi del 1820 si accenna sovente ai suoi cibi preferiti, fra i quali aringhe, ostriche, selvaggina tipo fagiani e lepri, e ai vini che egli preferiva, gli ungheresi Tokay, Ofner, Ruster ma anche il Bordeaux e di dove si potessero trovare. Si parla anche di vini pessimi. Sono probabilmente questi pessimi vini adulterati che contribuiranno alla rovina del suo fegato: il dato più rilevante della autopsia di Beethoven fu proprio un quadro di cirrosi epatica.]
Dai Quaderni di Conversazione, gennaio 1820, VI; febbraio 1820 VII.
[Beethoven, che pare fosse molto ordinato nella sua attività lavorativa era molto disordinato per il resto e talvolta, preso da nuove idee musicali o assorbito da esse, lasciava i raffreddare i cibi che allora giudicava immangiabili, prendendosela con i domestici. Verso la fine del Quaderno di Conversazione XVI relativo all’agosto-settembre 1820, vi sono chiare allusioni a questo suo disordinato modo di vivere e alle sue esplosioni di malumore in alcune note di pugno di Schindler:
pare che di recente Lei abbia di nuovo tempestato spaventosamente durante la notte, è vero?
nel Cum Sancto spiritu
ma non si chiuda dentro la notte, perché non c’è nessun estraneo che Le venga in camera, e la governante talvolta deve entrare.
Allora lei deve rassegnarsi a che tutte le vivande siano cotte e stracotte e immangiabili; e non tuonare
(hear! hear!)]
Dai quaderni di Conversazione, agosto-settembre 1820, XVI
L’errore è già rettificato.
Ho chiesto a Bernard se ancora non fosse rettificato
L’errore nel Convers. Lexicon secondo cui Ella figura come figlio naturale del Re di Prussia
Nel Conversations Lexicon sta scritto che Lei sarebbe un figlio naturale del grande Federico
Peters: Il sig. Janitschek dice che Lei amerebbe tanto Federico il Grande, appunto perchè egli sarebbe suo padre
Simili errori devono tuttavia essere rettificati
Lei non ha bisogno di ricevere lustro da Federico
Dai Quaderni di Conversazione, 12-25 dicembre 1819, V; gennaio-febbraio 1820, VII.
[Queste conversazioni si ricollegano alla diceria che Beethoven fosse figlio di Federico il Grande. Ma la notizia era apparsa su Encyclopedische Handwörterbuch für gebildete Stände, Lipsia e Altenburg, F.A.Brockhaus, 1824, che a pag. 559 scriveva: “Beethoven … figlio del cantore della locale Cappella dell’Elettore; ma secondo quanto sostenuto da Fayolle, figlio naturale di Federico II di Prussia”. La notizia fu anche ripresa in una stampa successiva del 1818]
GLI APPUNTI DI BEETHOVEN
[Se si escludono il grande corpus formato dalle lettere e le molte pagine di memorie scritte in occasione della causa per la tutela del nipote Karl e lasciando a parte il Testamento di Heiligenstadt, pochi sono gli scritti di Beethoven che ci restano. Abbiamo alcune minute e abbozzi per contratti, una dozzina o poco più di avvisi pubblicati sui giornali per dare comunicazione di concerti o della avvenuta pubblicazione di opere o per mettere in guardia di fronte ad edizioni pirata. Non vi sono suoi scritti in cui egli esprima le sue idee sulla musica, la sua poetica come si suol dire oggi, o in cui tratti dei problemi politici del tempo, della morale e così via. Alcune delle sue idee relative a questi problemi, alcuni aspetti della sua vita, personalità e creatività li conosciamo per qualche annotazione sui Quaderni di Conversazione, per certe sue frasi sparse qua e la nell’epistolario o per notizie che ci sono state tramandate da amici, colleghi o visitatori che hanno afferrato le sue parole e le sue idee per così dire al volo, durante le loro conversazioni, o ascoltandolo chiaccherare in un gruppo di amici. Un altro spiraglio su Beethoven uomo e compositore si apre se si leggono certe annotazioni che egli aveva scritto in vari periodi della vita per ragioni che ci sfuggono su fogli o quadernetti. Ma è molto poco. Oltre agli scritti citati di Beethoven sono rimasti infatti soltanto degli Appunti di diversa provenienza, scritti in stile telegrafico e di cui sovente è difficile comprendere il significato, nei quali il maestro allude alle sue idee sulla composizione, sulla morale, sulla letteratura; a fatti accaduti; a progetti e così via. Questi Appunti erano sparsi su calendari domestici, (sui quali si trovano segnati di solito dati concernenti il ménage domestico e le attività finanziarie), su fogli volanti, su piccoli libretti; talvolta questi Appunti venivano scritti sul retro di qualche foglio dei suoi schizzi musicali; occasionalmente poi Beethoven fece delle annotazioni nei Quaderni di Conversazione. Tutti questi Appunti ci sono giunti purtroppo in massima parte in copie e sovente di seconda o terza mano; gli originali sono andati perduti. Questi Appunti erano già stati visti, ma già solo in copie, nel 1800 da Thayer e Notteboom. Leitzmann li ha pubblicati nel 1918 in un piccolo libretto intitolato “Beethovens persönliche Aufzeichnungen” (Im Insel Verlag, Leipzig 1918, 61 pag.), cioè “Appunti personali di Beethoven” e commentandoli ha sottolineato giustamente come la comprensione del loro significato sia difficile dato che sono scritti in uno stile concentrato e di solito senza alcun riferimento ai fatti con i quali i singoli appunti vanno messi in relazione, ma anche perché gli originali sono andati perduti e le copie esistenti, ad esempio il così detto Manoscritto Fischhoff che si trova alla Staatsbibliothek zu Berlin, contengono certo molti errori di trascrizione dovuti anche alla cattiva grafia beethoveniana, sovente difficile da decifrare. Aggiungiamo a questo che coloro che li hanno copiati o pubblicati, come Fischhoff o Leitzmann, hanno fatto aggiunte o modificazioni al testo nel tentativo di migliorarlo.
Vediamo questi Appunti, come sono riportati nel libretto di Leitzmann. Il libretto è oggi una rarità bibliografica, difficile da trovare soprattutto in buono stato di conservazione, data la scadente qualità della carta impiegata. Formato 17 cm. x 12 cm., consiste di 61 pagine: la prima pagina è dedicata alla presentazione da parte di Leitzmann. Il materiale è poi raccolto, diviso in tre sezioni, in 44 pagine. La prima sezione riporta il Testamento di Heiligenstadt; la seconda Appunti numerati dal nr. 1 al 184; la terza 51 citazioni, da uno a quindici versi, dalla Odissea di Omero. Dopo le tre sezioni le restanti 14 pagine contengo i commenti di Leitzmann, esposti separatamente per ogni sezione. Nella esposizione seguirò la numerazione di Leitzmann.
Sezione I
I. Appunti nr.1-6, anni 1804-1811.
- Il 2 giugno [1804]. Finale sempre più semplice, altrettanto tutta la musica per pianoforte. Dio solo sa, perché su di me la mia musica per pianoforte fa ancora la peggior impressione, specialmente se viene suonata male.
Il commento di Leitzmann è ripreso da Notteboom. È un appunto in un libretto di schizzi, che essenzialmente riguarda il lavoro preparatorio per Leonora, prima stesura del Fidelio, in mezzo a lavori per il secondo finale.
2. [1806] Un salice piangente o una acacia sulla tomba dei miei fratelli.
Si trova in un foglio di schizzi per l’Adagio del Quartetto
Op.59 nr.1. Leitzmann ricorda che un fratello di Ludwig, anche lui chiamato Ludwig, era morto appena nato.
- [1806] Così come tu qui ti slanci nel vortice della
società, come è possibile scrivere opere con tutti gli ostacoli sociali.
Non sia più un segreto la tua sordità – anche nell’arte.
Da un libretto di schizzi per il finale del Quartetto per archi in Do maggiore Op. 59 nr.3.
4. [1807] Si lasci scoprire all’ascoltatore la situazione. Sinfonia caracteristica [in italiano]. Ogni pittura infine se viene spinta troppo lontano nella musica strumentale perde. Sinfonia pastorella [in italiano]. Chi anche solo conserva una qualche idea della vita in campagna può capire da solo, senza bisogno di altri titoli, quale era la volontà dell’autore. Anche senza descrizioni si riconoscerà che il tutto è più sentimento che pittura in musica.
Si trova in un libretto di schizzi preparatori alla Sinfonia Pastorale.
5. [1808] Sinfonia Pastorale non pittura, bensì vi sono espressi i sentimenti quali il piacere della campagna suscita nell’uomo, in cui vengono descritte alcune sensazioni della vita in campagna.
Da un libretto di schizzi preparatori per la Fantasia Corale Op. 80. La osservazione è scritta in relazione ad un breve titolo esplicativo che doveva essere dato alla Sinfonia Pastorale in occasione della sua prima esecuzione.
6. [1811] Il cotone nelle orecchie al pianoforte priva il mio orecchio di spiacevoli scrosci.
Su un libretto di schizzi per l’Ottava e la Settima sinfonia. Il cotone nelle orecchie fu una delle prime cose che il giovane Carl Czerny decenne osservò al suo primo incontro con Beethoven!
II. Appunti nr.7-180 Anni 1812-1818
Questi appunti che, come riferisce Leitzmann, provengono dal Manoscritto Fischhoff della Staatsbibliothek di Berlino, erano raccolti in due libretti giunti nelle mani di Ludwig Nohl e considerati, nel 1918, perduti. Nel manoscritto Fischhoff questi appunti furono ricopiati da un originale libretto di Beethoven (o da una sua copia) degli anni 1812-1818, e che oggi si usa definire il Tagebuch. Non si trattava però di un vero diario ma di annotazioni occasionali, eco di riflessioni e reazioni emotive per l’insoddisfazione del suo lavoro, per avvenimenti familiari; di progetti; di registrazioni di avvenimenti della vita; di pro-memoria per progetti musicali, o per cose fatte e da fare. Qualche appunto riguarda attività finanziarie, terapie mediche, problemi domestici. Vi sono molte citazioni di brani da scritti di autori classici e contemporanei: da Omero a Schiller, dalle “Betrachtungen” di Christian Sturm alla poesia di Herder. Da questo punto di vista gli “Aufzeichnungen” sono in fondo un buono specchio di quello “sforzo di afferrare il senso delle persone migliori e più sagge di ogni epoca” che Beethoven, in una famosa lettera, dice di aver sempre fatto.
Parecchie annotazioni contengono citazioni di scritti relativi al pensiero e alla filosofia orientale. Vi sono invocazioni e preghiere rivolte a Dio, all’onnipotente, al di fuori di ogni dogmatismo, e questo, come dice Solomon “esemplifica l’adesione non dogmatica di Beethoven ad un’ampia gamma di forme religiose non cristiane”, in una visione del mondo che, come era nelle idee illuministiche postulava una verità religiosa superiore, indipendente dalle Chiese e dai dogmi.
Mancano del tutto in questi Appunti accenni ai successi di Beethoven. Ad esempio non si parla della sua notorietà o degli onori tributatigli in occasione del Congresso di Vienna, cosa di cui, sappiamo da altre fonti, Beethoven era abbastanza fiero. Manca ogni riferimento storico e politico e alla caduta di Napoleone.
Nonostante questa loro frammentarietà e il loro significato talora oscuro gli Appunti ci aiutano a conoscere certi tratti del carattere beethoveniano, ci aprono qualche spiraglio sulla sua poetica, sul suo stato psicologico in quel periodo difficile in cui i suoi problemi personali, legati a un certo punto sopratutto alla causa per la tutela del nipote, si rifletterono sicuramente sulla sua produttività.
Pare certo che Beethoven, a parte e oltre questi appunti, non abbia mai tenuto un diario. Esiste un altro quadernetto di annotazioni che si riferisce al periodo fine 1792-inizi del 1794, che Leitzmann non riporta nel suo libro. Questo libretto contiene una serie di annotazione relative alle spese sostenute da Beethoven nel trasferimento a Vienna e nel primo periodo Viennese.
Non è facile individuare la ragione per cui Beethoven cominciò a scrivere questi appunti. Ma dalla fine del 1812, mentre la sordità si faceva sempre più incombente, il maestro dovette avvertire un senso di crescente isolamento per vari motivi: la partenza da Vienna dei Brentano e la fine della vicenda sentimentale con l’Immortale Amata da prima, poi il suo allontanamento da Breuning, infine la partenza della Erdödy. Tutto questo, forse, fu lo stimolo a scrivere le sue riflessioni.
Come siano andati perduti gli originali di queste Annotazioni non è chiaro. Dopo la morte di Beethoven le carte personali del Maestro, quelle di cui non si era impossessato Schindler, passarono a Stephen von Breuning, l’esecutore testamentario di Beethoven, e poco dopo, alla sua morte, il 4 giugno 1827, giunsero nelle mani di Jacob Hotschevar, che rimpiazzò Breuning nella qualità di esecutore e di tutore del nipote Karl. Ma a chi passarono poi? Secondo Eliot Forbes fortunatamente Jacob Hotschevar, il tutore di Karl, fece una copia delle carte del maestro aggiungendovi alcune informazioni. Questa copia fu poi data a Joseph Fischoff, professore al Conservatorio di Vienna. Alla sua morte la copia finì nelle mani di un commerciante di musica, Julius Friedlander, che lo vendette alla Biblioteca di Berlino nel 1859, ove Thayer ebbe occasione di studiarlo, e dove si trova tutt’ora. L’originale,come ha raccontato Caroline moglie di Karl van Beethoven, sarebbe stato dato da Hotschevar a Karl quando divenne maggiorenne, cioè nel settembre 1830. Alla morte di Karl, nel 1858, le carte di Beethoven verosimilmente rimasero in mano alla vedova. Ma a questo punto di questo manoscritto si è persa ogni traccia.
Una storia un poco diversa viene riferita da Solomon. Attorno al 1827 l’originale (o una copia?) giunse nelle mani di Anton Gräffer (1874-1852), impiegato di Artaria, che in accordo con Karl Holz avrebbe dovuto scrivere una biografia di Beethoven (A Holz, non dimentichiamolo, Beethoven aveva rilasciato l’autorizzazione a scrivere la sua biografia). Gräffer ne fece una copia. La copia di Gräffer fu poi data a Joseph Fischhof, professore di pianoforte al Conservatorio di Vienna, che la ricopiò a sua volta. La copia di Gräffer passò poi nelle mani di Ferdinand Simon Gassner (1798-1851) che avrebbe dovuto scrivere la biografia dato che Gräffer non ne aveva fatto nulla, e infine dalle mani della vedova Gassner giunse nelle mani di Ludwig Nohl e la si credette perduta. È certo che vi sono più copie di questi manoscritti: due alla Staatsbibliothek di Berlino; una all’Archivio Municipale di Iserlohn; una alla Biblioteca dell’Università di Bonn. Il materiale in esse contenute è, a parte alcune varianti, sovrapponibile. Così come è certo che la prima pubblicazione degli Appunti del 1812-1818, oggi comunemente chiamati Tagebuch, fu fatta da Ludwig Nohl nel 1871, e al materiale di Nohl, ritenuto perduto [ma poi ritrovato nel 1965] accenna Leitzemann nel suo libro. La copia che era stata di Nohl secondo Siegbert Brandenburg fu proprio scritta di pugno di Gräffer.
Leggiamo ora alcune di questi Appunti. I numeri arabi corrispondono alla numerazione delle 174 voci del libro di Leitzmann.
7. 1812
Sottomissione, la più profonda sottomissione al tuo destino. Solo questo possono concederti i sacrifici – al dovere professionale – Oh, dura lotta! Usare tutto quello che è ancora da fare per il necessario per programmare il lungo viaggio.
Leitzmann pensa che il lungo viaggio possa essere il viaggio progettato con Mälzel a Londra e mai realizzato.
8. Non avevi il diritto essere uomo, non per te stesso soltanto per gli altri: per te non c’è più felicità, solo in te stesso, nella tua arte. O Dio! Dammi la forza di vincere me stesso; niente deve più incatenarmi alla vita. In questa maniera tutto va in rovina con A.
Secondo Leitzmann, se i copisti hanno copiato giusto la lettera “A”, la frase potrebbe indicare Amalia Sebald con la quale Beethoven fu in relazione nell’agosto 1811 e 1812 a Teplitz. Ma, dice Leitzman, la famosa lettera all’Immortale Amata appartiene a questo periodo, e la destinataria non ci è nota. Solomon ritiene che questa annotazione alluda proprio alla vicenda sentimentale del 1812 con l’Immortale Amata e in tal caso il nome della destinataria potrebbe essere Antonie Brentano [Lettera all’Immortale Amata,K.55. Già Kastner diceva “verosimilmente 1812”].
10. 13 maggio 1813
Una grande azione, quale può essere, rinunciare e rimanere così. Quale differenza al confronto con un vita senza attività, quale mi ero spesso figurato per me. O circostanze terribili che non sopprimono il mio amore per una vita domestica ma ne [impediscono] la realizzazione. O Dio, Dio, guarda quaggiù l’infelice B., non farlo durare più a lungo.
Come dice Leitzman qui Beethoven allude ai problemi di un matrimonio e alle difficoltà che vi si oppongono, forse in relazione alla vicenda con l’Immortale Amata.
12.Impara a tacere amico. La parola assomiglia all’argento, ma il tacere al momento opportuno è oro puro.
È la prima poesia di Johann Gottfried Herder copiata negli Afzeichnungen, “Das Schweigen” (Il silenzio), pubblicata come ricorda Leitzmann, in “Blumen aus morgenländischen Dichtern gesammelt“, [Quarta raccolta di „Zerstreute Blätter“ in Sammtliche Werke, vol. 26, pag. 374]. Il testo di questa poesia fu messo in musica da Beethoven. È il primo dei due “canoni enigmatici” WoO168 che Beethoven scrisse, come racconta Fanny Giannattasio del Rio [Beethovens Persönlichkeit, pag. 222], il 16 gennaio 1816 nell’album del pianista Charles Neate.
13. Anche se le nuvole facessero piovere ruscelli di
vita, mai il salice darà datteri.
Non sprecare tempo con gente cattiva.
Una canna qualunque non ti darà mai zucchero.
Puoi forgiare una buona lama con molle argilla?
Cambia, anche se allevato dall’uomo, la natura del lupo?
Non è la medesima pioggia che qui su terreni salmastri fa crescere cardi e rovi e che dona fiori ai giardini?
Pertanto non sprecare semenza e costose cure: fare del male al buono e del bene al cattivo è la stessa cosa.
Ancora una citazione di Herder da “Vershwendete Mühe” (Fatica sprecata), sempre da Sammtliche Werke, vol. 26, pag.380. Si tratta, come dice Solomon, di libere interpretazioni di poesie aforistiche e didattiche del poeta persiano Sa’di (1213 ca.- 1292)
14. Il sistema migliore per non pensare ai tuoi guai è l’impegno.
Verosimilmente qui Beethoven allude alla sua sordità.
35. C’è molto da fare sulla terra, fallo presto!
36. Non continuare la mia (sic) attuale vita di tutti i giorni. L’arte reclama anche questo sacrificio. Riposare con delle distrazioni per lavorare per l’arte più energicamente.
Questa annotazione è una spia del conflitto, che fu sempre vivo in Beethoven, fra aspirazioni al contatto umano, vita sociale, matrimonio e la devozione per l’arte. Vedi anche nr. 52, 75, 100, 131, 178.
37. Perché il Destino ha dato all’uomo il coraggio di sopportare.
Prima citazione di Omero negli Appunti. Da Iliade libro XXIV, verso 49.
42. L’odio ricade su quelli che lo nutrono.
Da dove viene questa citazione? Probabilmente un proverbio.
45. Non lasciar notare esteriormente alla gente il disprezzo che merita, perché non si può sapere se si ha bisogno di loro.
1815
52. Tutto quello che si chiama vita sia sacrificato al sublime e [divenga] un santuario dell’arte.
Lascia che io viva, anche con espedienti; se se ne trovano ancora.
53. Perfezionare gli apparecchi acustici quanto possibile, poi viaggiare. Di questo sei debitore a te, agli uomini e a lui, l’Onnipotente. Solo così puoi sviluppare ancora una volta tutto quello che è costretto a restare rinchiuso dentro di te. E una piccola corte – una piccola cappella – in essa l’inno da me scritto, eseguito per la Gloria dell’Onnipotente – l’Eterno, Infinito.
Leitzman pensa che Beethoven qui alluda ad Olmütz ove il suo allievo Principe Rodolfo doveva diventare arcivescovo, come se aspirasse a diventare Kapellmeister presso di lui.
55. I ritratti di Händel, Bach, Gluck, Mozart, Haydn nella mia stanza; essi possono contribuire a servirmi di aiuto nella sofferenza.
59. Iliade. Canto 22, pagina 356. Ma ora il destino mi afferra! Ch’io non cada nella polvere senza fatica e senza gloria; no, prima compia grandi cose di cui anche i posteri sentano [parlare].
Iliade, libro XXII, v. 303-305. Leitzmann dice che i versi erano scanditi con lunghe e brevi, come in previsione di essere messi in musica.
64. Sotto il dente della tigre io sento il sofferente pregare: “Grazie a te Altissimo, io muoio nel dolore, ma non in colpa.”
Da Herder, “Dank der Sterbenden”, (Ringraziamento del morente), da “Blumen aus morgenländischen Dichtern gesammelt“ nella quarta raccolte delle sue „Zerstreuten Blättern“.
65. Vuoi assaggiare il miele senza soffrire le punture dell’ape? Desideri le corone della Vittoria senza il pericolo della battaglia?
Il tuffatore potrà conquistare la perla sul fondo se, temendo il coccodrillo, tarda sulla riva?
Quindi osa! Ciò che Dio ti destinò nessuno te lo strapperà; certo egli lo destinò a te, a te, all’uomo più coraggioso.
Johann Gottfried Herder, “Muh’ und Belohnung“, (Fatica e ricompensa), in Zerstreute Blätter.
66. Chi ama Dio non stima il mondo al di sopra di quanto meriti, poiché egli sa che il mondo non offre un porto sicuro.
Coltiva la scienza; nessun sentiero è più sicuro per un uomo di quello tracciato da tempo dagli uomini più saggi.
Evita il dolore di aver offeso un amico, ma di tutti l’amico al quale nessun altro è pari.
J.G.Herder, “Das Leben der Menschen“. (La vita dell’uomo).
67. Consolazione della vita.
Nelle avversità non disperare di vedere il giorno che ti porta gioia piuttosto che dolore e piacere piuttosto che afflizione.
Quante volte si alzò un vento pestifero, ma subito dopo l’aria si riempì del più gradevole profumo.
Spesso ti minacciò una nuvola scura e fu spazzata via prima che la tempesta si scatenasse dal suo grembo oscuro.
Quante voltò si levò un fumo senza fuoco!
Perciò sii di buon animo anche nella sventura.
Il tempo porta alla luce miracoli; sono innumerevoli le grazie che puoi aspettarti dal gran Dio.
J.G.Herder, stessa fonte del nr. 66.
70. Non fare domande, ma azioni, sacrificati senza gloria né ricompensa.
71. Egli mi ha insegnato la rinuncia e la privazione nel santo senso del dovere, lasciandomi il suo cielo
73. Lotta per la giustizia e la figlia della giustizia, l’eterna libertà, trasfigurata attraverso la legge; rassegnazione all’inflessibile volontà del ferreo destino; obbedienza e rinuncia e immutabile fede fin nella tomba!
Gagliardo Robert!
Praticherai rassegnazione e rinuncia? …
Tu sei un eroe – tu sei, cosa che vale dieci volte di più, un vero uomo!
Solo il fianco del debole viene lacerato dal ferreo dito del Destino …
Però vi sono momenti! …
Si certamente ne esistono, ma grazie a Dio, sono solo momenti in cui l’uomo costretto dalla possente natura immagina la parte migliore di sé in balia delle onde …
Anche tu ti risolleverai gagliardo Robert!
Cosa posso fare?
Essere superiore al tuo destino, amare il nemico e cercare il sommo bene della propria perfezione nella creazione!
Da: “Die Söhne des Thals“, (I figli di Thal), di Zacharias Werner.
74. Dio è immateriale, perciò è superiore ad ogni comprensione; poiché è invisibile non può avere alcuna forma. Ma dalle sue opere noi siamo consapevoli che egli è eterno, onnipotente, onnisciente e onnipresente. Chi è libero da ogni desiderio, quello è l’[Onni]potente . Egli solo. Nessuno è più grande di lui. Brahma: Il suo spirito è avviluppato in se stesso. Egli, l’Onnipotente è presente in ogni luogo dello spazio. ……
O Dio … Tu sei la vera, eternamente beata, immutabile luce di tutti i tempi e di tutti i luoghi. …
Questi stralci di filosofia, di ispirazione indiana furono ricopiati da Johann Friedrich Kleuker, “Das brahmanische Religionssystem im Zusammenhänge Dargestellt” (Il sistema religioso brahmanico, rappresentato nel suo insieme), Riga 1795-1797.
75. Tutto fluisce limpido e puro da Dio. Se dopo fui oscurato della passione per il male, tornai, dopo ripetute penitenze e purificazioni, alla prima, sublime e pura sorgente, alla Divinità. – e alla tua arte.
Secondo Leitzmann è una frase ripresa dalla commedia Sakuntala, di Kalidasa, poeta indiano vissuto nel 300-400 dopo Cristo, e che era stato tradotto in tedesco da Förster. Ma le ultime parole sono certo una riflessione aggiunta da Beethoven medesimo.
76. Beato è l’uomo che ha domato tutte le sue passioni e poi con la sua attività ha eseguito tutte le faccende della vita, senza preoccuparsi del successo. Lascia che il movente sia nell’azione e non nel risultato. Non essere uno di quelli per cui la spinta all’azione sta nella speranza di una ricompensa. Non lasciare che la tua vita trascorra nella inattività. Sii diligente, compi il tuo dovere, abbandona ogni pensiero sulle conseguenze e sul risultato, che potrebbe essere buono o cattivo, poiché questa indifferenza significa attenzione a ciò che è spirituale.
Vedi nota 74.
90. Resistenza. Rassegnazione. Rassegnazione. Così superiamo anche la più nera miseria e ci rendiamo degni, così che Dio i nostri peccati ……… [possa redimere]
Come dice Leitzmann mancano le ultime parole ma il significato non è dubbio.
91. Sfortunatamente i geni mediocri sono condannati ad imitare i difetti dei grandi maestri senza apprezzarne la bellezza; da là il male che Michelangelo ha fatto alla pittura, Shakespeare all’arte drammatica e Beethoven, ai nostri giorni, alla musica.
Questa frase, scritta in francese, proviene verosimilmente da un giornale dell’epoca.
99. Come lo stato deve avere una costituzione, così il singolo individuo deve averne una propria.
Una frase che pare tipica del modo di pensare di Beethoven in relazione alla rettitudine di comportamento che l’uomo deve avere.
100. Vivi solo nella tua arte! Sei così limitato ora nel tuo spirito, così che questa è certo l’unica esistenza per te.
La meta per Beethoven, come dice Magnani, consiste nella più intensa concentrazione spirituale, nel padroneggiare i propri impulsi emotivi, nella sovrana maestria della tecnica.
105. La caratteristica principale di un uomo eccellente: la perseveranza in circostanze avverse o sgradevoli.
Anche qui si tratta di una citazione.
110. Segui il consiglio degli altri solo nei casi più eccezionali; in una questione su cui si è già riflettuto, a chi è dato conoscere tutte le circostanze presenti come a se stessi?!
111. Questi Lacedemoni morivano senza tenere in conto, per l’onore, né la morte né la vita …
Anche qui, dice Leitzman si tratta di una antica citazione. Ma potrebbe essere anche un commento di Beethoven alle sue letture di testi classici, per lodare gli spartani per la loro dedizione al bene comune.
116. Quando dallo ordinamento del mondo emergono ordine e bellezza c’è un Dio.
Leitzmann scriveva che l’origine di questa citazione è ignota. Ma Solomon riferisce che si tratta di una frase di Immanuel Kant da “Allgemeine Naturgeschichten und Teorie des Himmels” e che, in una ristampa del 1798, il passo era stampato in grassetto.
112. La morte sull’uomo s’avventa predace
A lui non è dato la data saper;
Lo atterra in cammino, lo coglie vivace,
Lo prostra tra i gorghi di folle piacer.
E l’uomo che è empio e l’uomo che è pio
Di colpo si trova davanti al suo Dio.
“Gesang der Monche” (Canto del monaco), da Wilhelm Tell di Schiller, atto IV [Qui nella traduzione di B.Allason e M.D.Ponti, F. von Schiller, Teatro, Torino 1969]. Beethoven il 3 maggio 1817 ha composto su questi versi un canto per due tenori e basso WoO 104, in memoria del musicista Wenzel Krumpholz (1750-1817) morto improvvisamente il giorno precedente. Krumpholz fu uno dei primi amici viennesi di Beethoven.
126. Tuttavia cosa si può dare di più grande a un uomo che fama e lode per l’eternità?
Questa citazione dalle epistole di Plinio è scritta in latino [Tametsi quid homini potest dari majus quam gloria et laus et aeternitas?] ed in tedesco, e qui è riportata la traduzione del testo tedesco.
129. Dio aiutami! Tu mi vedi abbandonato da tutta l’umanità, poiché io non voglio fare del male. Ascolta la mia preghiera, di stare con il mio Karl, certo solo per il futuro, dato che ora non sembra esserci alcuna possibilità. O dura sorte, o crudele destino! No, no, la mia infelice situazione non ha fine!
Alla fine del gennaio 1818 Beethoven prese il nipote Karl in casa con sé, dopo che la resistenza della madre Johanna contro questa decisione era stata piegata, ma senza che questo portasse a una situazione più felice per lui.
130. Questo solo sento e percepisco con chiarezza
la vita non è il bene supremo,
ma il male più grande è la colpa.
Versi finali di “Die Braut von Messina” di Schiller.
131. Per salvarti non c’è altro mezzo che [partire] da qui. Solo così potrai innalzarti di nuovo alla vetta della tua arte, mentre qui affondi nella bassezza. Soltanto una sinfonia – e poi via, via , via!
Questa frase potrebbe essere uno sfogo di un Beethoven il cui equilibrio emotivo era turbato dalla causa legale per la tutela del nipote e che non poteva dedicarsi completamente alla sua produzione musicale.
135. La gratificazione dei sensi senza unione delle anime è e rimane bestiale: dopo, non si ha traccia di un nobile sentimento, ma piuttosto del rimorso.
Questa è una frase che alcuni hanno messo alla base dell’immagine di un Beethoven modello di castità che alcuni hanno voluto costruire. Questa frase si riferisce probabilmente proprio a1 sentimenti del Maestro, che fu un frequentatore di case di tolleranza, ma che aveva in animo dei modelli etici ai quali certamente talora trasgredì. Vi sono alcune sue lettere che probabilmente contengono allusioni cifrate a prostitute.
140. Pace e libertà sono i beni più preziosi.
149. La solitudine è come veleno per te, nella tua condizione di sordità; sei sempre sospettoso verso una persona di rango inferiore che ti stia intorno.
La diffidenza di Beethoven verso i suoi domestici che considerava esseri inferiori, infami, poco desiderosi di lavorare era ben nota a chi gli viveva vicino, ed anche per questo li cambiava in continuazione. Ma anche dalla sue lettere appare ben evidente questo suo atteggiamento. Per esempio: “sono portato alla disperazione dal pensiero che per il miserevole stato del mio udito sono costretto a trascorrere gran parte della mia vita con questa categoria di persone che è la più abietta di tutte, e a dipenderne almeno in parte” [lettera a Zmeskall del 23 luglio 1817, A.790]
150. Le debolezze della natura sono date dalla natura stessa e la ragione sovrana dovrà cercare di guidarle e sminuirle con la sua forza.
Non si sa se si tratti di una riflessione di Beethoven o di una citazione di fonte ignota.
164. Come restano sempre accoppiate la stupidità e lo squallore.
171. Sarebbe stato possibile, senza offendere i sentimenti della vedova, ma non fu così. Solo tu, onnipotente, vedi nel mio cuore, sai che ho messo da parte il mio benessere per volere [quello] del mio caro Karl; benedici il mio lavoro, benedici la vedova! Per quale ragione non posso seguire del tutto il mio cuore , e sfidare la vedova?
Dio, Dio, mio rifugio, mia roccia, mio tutto, tu vedi nel mio intimo e sai quanto mi addolora dover far soffrire qualcuno a causa delle cose buone che faccio per il mio Karl!!! O ascolta, eterno ineffabile, ascolta me, il tuo infelice, il più infelice di tutti i mortali!
La vedova era Johanna van Beethoven, madre di Karl, figlio del fratello Caspar Carl van Beethoven, con la quale il Maestro combatté una lunga causa legale per ottenerealla fine la completa tutela di Karl. Causa durante la quale Beethoven usò tutti mezzi, tutte le armi e non sempre fu imparziale.
177.Per scrivere vera musica religiosa, esaminare tutti i corali ecclesiastici dei monaci etc.. Cercare anche le strofe nelle traduzioni più fedeli e nella più corretta prosodia di tutti i salmi e inni cristiano cattolici.
Questa annotazione, che risale probabilmente all’estate del 1818 trascorsa a Mödling, rivela chiaramente un interesse ed uno stato d’animo che presto avrebbe trovato espressione nella Missa Solemnis, di cui i primi abbozzi risalgono al 1819. Sappiamo infatti da Thayer che, proprio in quegli anni, Beethoven si dedicò allo studio della musica sacra, dal gregoriano a Palestrina, sulle partiture conservate nella biblioteca dell’Arcivescovo Rodolfo e del Principe Lobkowitz.
178. Sacrifica, una volta per tutte, le banalità della vita sociale alla tua arte! O Dio sopra ogni cosa!
Poiché l’eterna Provvidenza, nella sua onniscienza e saggezza, determina la felicità e l’infelicità dei mortali.
La seconda frase, come dice Leitzmann, è tolta dall’Odissea.
179. Ora per colui che è crudele nei pensieri e nelle azioni
Tutti si augurano per lui sventure per tutta la vita,
E anche dopo morto il suo ricordo è esecrato.
Ma per colui che è nobile di pensieri e esegue nobili gesta
La meritevole fama diffondono gli stranieri
All’umanità intera, e ognuno benedice l’uomo giusto.
Odissea, Canto XIX.
180. Mi sottometterò serenamente a tutti i cambiamenti e riporrò tutta la mia fiducia in Te, bene immutabile, o Dio!
In Te, immutabile si rallegrerà la mia anima.
Sii la mia roccia, Dio, sii la mia luce, mia eterna certezza!
Da Christoph Christian Sturm, „Betrachtungen über die Werke Gottes im Reiche der Natur und der Vorsehung auf alle Tage des Jahres“, (Considerazioni sulle Opere di Dio nel regno della natura e della Provvidenza in tutti i giorni dell’anno), Reutlingen 1811. Queste righe vengono dalla Considerazione per il 29 Dicembre. Come scrive Leitzmann Beethoven possedeva una copia di questa edizione del libro, copia conservata a Berlino, che aveva sottolineato in più punti e annotato sui margini.
I LIBRETTI DI SCHIZZI
Due tipi di documenti sono peculiari di Beethoven: i suoi Quaderni di Conversazione e i Quaderni di schizzi. I Quaderni di Conversazione erano una necessità sociale (a causa della sua sordità). I quaderni di schizzi erano una necessità di tipo diverso: essi erano o divennero indispensabili per il suo processo creativo. Pochi compositori non hanno fatto uso di schizzi se impegnati nel preparare o nello stendere una composizione. Ciò che sorprende in Beethoven, e lo distingue dai suoi colleghi, è l’entità della sua dipendenza dagli schizzi che egli conservò per tutta la vita e che ci permettono di seguire la faticosa elaborazione delle idee fino al momento in cui egli riteneva di avere raggiunto la finita espressione del suo pensiero musicale.
Cosa significavano i quaderni di schizzi per Beethoven? Non vi è alcun dubbio che erano dei documenti personali e riservati. Talvolta Beethoven regalò un autografo a qualche visitatore, ma non sembra che egli abbia mai dato via alcuno dei suoi quaderni di schizzi; essi restarono con lui, in una crescente e corposa collezione, e lo accompagnarono nei suoi molti cambi di residenza. Quando morì aveva quaderni di schizzi di ogni periodo della sua vita, e oltre cinquanta di essi furono inclusi nell’asta dei suoi beni (e realizzarono alcuni dei prezzi minimi della vendita). E, ironia della sorte, oggi i quaderni di schizzi sono sparsi nelle biblioteche di tutto il mondo. L’accurata conservazione, per una vita, di questi arcani volumi da parte di Beethoven, fa pensare che essi avessero una speciale funzione per lui, nel sostenerlo moralmente così come nel facilitare il suo processo creativo, e che li conservasse così gelosamente, come suggerisce Kerman, “per esaminarli in momenti di necessità o di dubbio”. Egli non poteva separarsene per molto; erano in realtà una parte della sua vita quotidiana, come non sfuggì ai suoi contemporanei: “Non fu mai visto per strada senza un piccolo libretto per appunti, sul quale egli appuntava rapidamente qualunque cosa gli venisse in mente sul momento. Ogni volta che la conversazione cadeva su questo egli citava maliziosamente le parole della Giovanna d’Arco di Schiller: ‘Senza la mia bandiera non oserei venire‘”. I contemporanei erano perplessi e divertiti da questo suo modo apparentemente bizzarro di cercare l’ispirazione e dalla grande varietà di carattere di quello che egli pareva annotare. Anche Schindler lo fa sembrare piuttosto capriccioso che intenzionato:
“Era abitudine di Beethoven, in estate e inverno, di alzarsi all’alba e recarsi subito alla sua scrivania. Là egli lavorava fino alle due o alle tre, l’ora del suo pasto di mezzogiorno. Durante la mattinata egli usciva una o due volte, durante le quali egli ‘lavorava e camminava’; egli ritornava a casa dopo un mezz’ora o un’ora con nuove idee e le scriveva“.
Lo studio sistematico dei quaderni di schizzi iniziò con gli studi pionieristici di Gustav Nottebohm, che più di un secolo fa cominciò a descrivere molti di essi in dettaglio. Molte caratteristiche su cui Nottebohm attirò l’attenzione sono divenute oggi osservazioni comuni: la costante ripetizione di passaggi in forme leggermente diverse fino a che la versione finale del tutto soddisfacente veniva ‘trovata’ (una parola di Nottebohm); lo schizzo lineare di tutta una parte di un movimento; il lavoro simultaneo a movimenti diversi o a diverse composizioni; gli schizzi di opere mai realizzate. Naturalmente furono le parti di più immediata accessibilità del lavoro di Nottebohm che hanno colpito l’immaginario comune; così, nonostante egli abbia posto molta attenzione agli schizzi del piano generale di un movimento, si può essere scusati se si è giunti alla conclusione che la funzione principale degli schizzi era la rifinitura della melodia, l’innalzare un tema dal banale al sublime.
I libretti di schizzi sono di più di un tipo. Alcuni erano troppo grossi per essere portati in giro: restavano sul tavolo e sono stati usati per la parte principale del lavoro di base per le composizioni del momento; la maggior parte di questi sono scritti a penna. Quelli portabili erano di diverso formato, potevano entrare nella tasca di un cappotto. La maggior parte di questi libretti tascabili sono scritti a matita. È verosimile che il contenuto di questi libretti sia diverso da quello delle elaborazioni dei libretti di schizzi da tavolo: le brevi, isolate, embrionali idee venivano poi elaborate sistematicamente dopo il ritorno a casa.
Di solito in questi libretti [da tavolo] gli schizzi sono dello stesso periodo. Ma vi sono libretti che contengono schizzi di diversi periodi della vita di Beethoven. In questi casi la carta non è uniforme, e i fogli non furono rilegati assieme prima dell’uso. È verosimile che tali raccolte non siano state fatte da Beethoven, ma che le diverse pagine siano state riunite insieme dopo la sua morte, da qualche collezionista o bibliotecario. Così come esistono molti fogli sparsi che contengono schizzi di natura analoga; la maggior parte di questi sono pagine di libretti in tutto o in parte smembrati.
In realtà i libretti di schizzi contengono di più che semplici appunti di annotazioni musicali relative a composizioni in elaborazione. Spesso vi si trovano brevi pro-memoria, in parole, che Beethoven si faceva, relativi alla natura o all’architettura di un movimento. Quelli per la Sinfonia Pastorale sono forse i più conosciuti: “tutta la pittura nella musica strumentale fallisce se è spinta troppo innanzi”; “la gente non ha bisogno di titoli per comprendere il tutto più come una questione di sentimenti che di pittura in suoni”, etc.. Vi sono anche brutte copie di lettere difficili o di titoli per dediche; liste di errori; belle copie di brevi passaggi, forse da far trascrivere da copisti; somme, calcoli; figurazioni pianistiche ed esercizi [che erano] probabilmente dei pro-memoria per le sue famose improvvisazioni.
Il lavoro per Beethoven era così collegato con la immediata annotazione delle idee, del progetto o della revisione della struttura di un movimento e il progressivo miglioramento del materiale tematico, che pare che egli sia stato incapace di confinare il processo di annotazione ai libretti che egli aveva riservato per questo. Copie di idee musicali, frammenti tematici e altre tracce della rielaborazione di passaggi si spargevano su ogni altro pezzo di carta che era sulla scrivania di Beethoven: il retro delle lettere, certe pagine dei Quaderni di Conversazione. E compaiono anche sui margini o sui righi vuoti di spartiti di opere complete.
Naturalmente il passaggio da uno schizzo ad una partitura rappresenta il passaggio da un fatto privato ad un fatto pubblico. I quaderni di schizzi sono documenti di carattere intimo e personale. E questo carattere personale si riflette nell’oscurità della calligrafia e nella mancanza delle normali convenzioni della notazione musicale. Le varie scritte non dovevano essere comprensibili ad altri se non a Beethoven; e perciò spesso mancano le chiavi e le indicazioni ritmiche. Tanto che talvolta, decifrare la scrittura, leggere le note esatte e le abbreviazioni può essere un compito irrealizzabile.
Tyson