Opus 27 Sonate (2) quasi una fantasia in mi bemolle maggiore e do diesis minore per pianoforte

OPUS 27 SONATE (2) quasi una fantasia in mi bemolle maggiore e do diesis minore per pianoforte, op. 27, 1800-1801, pubblicate a Vienna, Cappi, marzo 1802. GA. nn. 136, 137 (serie 16/13-14) – B. 27 – KH. 27 – L. II, pp. 56 – N. 27 – T. 89

Il carattere di fantasia è nel complesso, almeno esternamente, più sensibile nella prima Sonata per la varietà formale del primo tempo ed anche per alcune particolarità dell’ultimo, mentre nella seconda alla improvvisazione del preludio che sostituisce il primo tempo, seguono uno Scherzo ed un Finale di forme più ortodosse. Ma, a parte questo, resta fra le due opere la differenza che separa il sogno e il giuoco dalla passione.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Opus 27 numero 1 Sonata quasi una fantasia in mi bemolle maggiore per pianoforte

I) Allegretto – II) Allegro molto vivace – III) Adagio con espressione- Allegro vivace

Prima Sonata, dedicata alla principessa Liechtenstein. Il manoscritto originale è sconosciuto. Abbozzi del primo e secondo tempo si trovano nel quaderno Landsberg.

L’Andante iniziale non poggia su elementi a cui possa darsi il nome di temi pregnanti, in senso sonatistico: una serie di piccole frasi che si susseguono con la logica di giustapposizioni ritmicamente simmetriche, interrotta a metà da un tumultuoso Allegro di tutt’altro carattere, poi brevemente ripresa e conclusa in piana ripercussione di accordi. Alternative dello stesso genere si trovano anche in opere di musicisti anteriori: per esempio nel secondo tempo della Sonata in mi bemolle maggiore per pianoforte e violino, op. 5 n. 3, di Clementi. E un procedimento analogo aveva già seguito lo stesso Beethoven nel tempo lento del secondo Quartetto dell’op. 18.

All’Andante si collega senza interruzione (attacca subito) l’Allegro molto e vivace con una prima parte in minore, ove nelle strette figurazioni dei moti contrari si indovina lo schema di una melanconica elementare cantilena, ed un Trio in maggiore, la cui ritmica baldanza iniziale viene man mano componendosi in tranquillità pur senza attenuare la sua pulsazione. Il ritorno della prima parte è reso più vibrante dall’introduzione del sincopato, come nel tempo corrispondente della Sonata op. 10 n. 2, al quale del resto fa pensare anche qualche altra analogia. L’Adagio, che segue anch’esso senza interruzione, enuncia un tema identico o quasi nelle sue prime battute al corrispondente del Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 37; ma resta circoscritto nel giro di sole ventiquattro battute senza sviluppi; adempiendo pertanto all’ufficio di episodio introduttivo dell’Allegro vivace finale.

Questo si svolge con energia e gaiezza, con un breve ritorno alla fine dell’Adagio stesso e una conclusione in Presto sulla base di un elemento tematico derivato dal principale. A titolo di curiosità si ricorda l’analogia dell’impulso ritmico del tema con quello iniziale dell’ultimo tempo del Concerto di Locatelli, per quattro violini e orchestra, in fa maggiore (ed. Ricordi).Come determinante poetica di quest’opera lo Schering porta in campo la scena II dell’atto III del Mercante dì Venezia di Shakespeare. Primo tempo-. Il dialogo fra Porzia e Bassanio prima che questi si accinga a fare la sua scelta fra i tre scrigni d’oro, d’argento e di piombo. Se indovinerà lo scrigno in cui si trova il ritratto di Porzia, otterrà la sua mano — Secondo tempo. Agitazione di Bassanio, poi scelta felice — Adagio con espressione: Commozione di Bassanio, che bacia Porzia — Allegro vivace : Porzia e Bassanio si abbandonano alla loro gioia.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 27 Nr. 1 Sonate (Es-dur) Sonata quasi una Fantasia für Klavier Widmung: Josephine Sophie Fürstin von Liechtenstein NGA VII/3 AGA 136 = Serie 16/13

Origine e pubblicazione: Composta nel 1801. I primi abbozzi si trovano tra quelli per la musica da balletto op. 43, che Beethoven compose nei primi mesi dell’anno e che fu eseguito per la prima volta il 28 marzo. L’edizione originale dell’op. 27 n. 1 fu pubblicata nel marzo 1802 da Giovanni Cappi a Vienna. Per quanto riguarda le edizioni di Cappi dell’op. 25-27 vedere op. 25. — Dell’edizione originale del Cappi dell’op. 27 n. 1 si sono conservate diverse copie di un’edizione anticipata prive di stampa, editore e numero di targa. Forse Cappi rilevò le lastre incise in questa forma da Artaria, che lasciò vuoto il nome dell’editore a causa delle trattative di acquisizione in corso. La versione del titolo, aggiunta poco dopo, era apparentemente destinata anche all’op. 27 n. 2, poiché lo spazio per i numeri “1” e “2” è rimasto libero per aggiungerlo – in forma manoscritta –  e furono stampati i numeri di catalogo dell’editore di entrambe le sonate.

La decisione di Beethoven di dedicare la sonata Opus 27 n. 2 a Julie Guicciardi richiese un titolo diverso (vedi TDR II p. 307). Peter Riethus pensava che l’edizione senza intestazione fosse l’edizione originale vera e propria (suggerita da Artaria) e quella con la sigla di Cappi come edizione cel titolo. Seguiamo però il KH nel classificare quest’ultima come edizione originale. Il fatto che i titoli delle due sonate “quasi una Fantasia” fossero gli stessi prima che fossero stabilite entrambe le dediche ha favorito la confusione, tanto che in alcune edizioni, a partire dalla Zulehner 1802, i numeri 1 e 2 sono invertiti. Successivamente, la „Mondscheinsonate” potrebbe essere stata deliberatamente posta al primo posto a causa della sua popolarità in rapida crescita (cfr. Pleyel, Breitkopf & Härtel, Schott, Haslinger, così come le edizioni successive dell’op. 27 n. 2 di Cramer e Spehr).

Dedica: Principessa Josephine Sophie von Liechtenstein, * 20 giugno 1775 a Vienna, f 23 febbraio 1848 ibid., figlia del langravio Joachim Egon von Fürstenberg-Weytra (1749-1828) e della contessa imperiale Sophie Therese von Oettingen-Wallerstein (1751 — 1835), sposò il principe Johann (I.) Joseph von Liechtenstein (1760—1836, principe regnante dal 24 marzo 1805) il 12 aprile 1792, k.k. Feldmaresciallo, collezionista d’arte e designer della galleria del Liechtenstein. Il principe non solo possedeva una pinacoteca, ma anche una grande biblioteca, e nella sua casa si coltivavano ugualmente musica e arte. Non si sa come Beethoven sia entrato in contatto con i principi del Liechtenstein. Potrebbe aver incontrato la principessa di Karl von Lichnowsky, come afferma Theodor von Frimmel senza citare le fonti, il quale presume anche che sia diventata sua allieva (Frimmel/Handbuch Vol. 1 p. 35 lf). Cinque membri della famiglia Liechtenstein si sono iscritti all’op. 1, inclusa la principessa Josephine Sophie. Beethoven sembra essere rimasto in contatto con lei per diversi anni, perché poco prima che le truppe francesi entrassero a Vienna il 13 novembre 1805, scrisse alla principessa una lettera di raccomandazione per il suo allievo Ferdinand Ries (BGA 240). Tuttavia, Ries non si è avvalso di questo, “che ha suscitato la più grande rabbia di Beethoven” (Wegeler/Ries p. 135). Prima esecuzione sconosciuta.

Opus 27 numero 2 Sonata quasi una fantasia in do diesis minore per pianoforte

I) Adagio sostenuto II) – Allegretto – III) Presto agitato

Seconda Sonata, dedicata a Giulietta Guicciardi. Il manoscritto originale è conservato nella Beethoven-Haus; manca del primo foglio (contenente le tredici battute iniziali del primo tempo) e dell’ultimo (contenente le tre battute finali del terzo). Gli abbozzi oggi conosciuti consistono in tre frammenti dell’ultimo tempo: uno conservato nella Beethovenhaus, fondo Bodmer, gli altri due, a quanto riferisce il KH., in possesso rispettivamente del Fitzwilliam-Museum di Cambridge e di Wilhelm Kux di Vienna; tutti e tre riprodotti in fac-simile da H. Schenker in Musikalische Seltenheiten, Vienna, Universal Edition, 1921; il primo anche da M. U. S., tav. XV. Si è già parlato della dedica alla Guicciardi.

Ma esiste un rapporto fra la musica e lo stato d’animo in cui il maestro allora si trovava per il suo disgraziato amore? Si può pensarlo, soprattutto per il cupo dolore che si esprime nell’Adagio sostenuto, anche ammettendo, se si vuole, che una qualche altra causa occasionale possa avervi dato origine. Ci riferiamo per questa alla poesia Die Betterin del poeta Joh. Gottfried Seume, in cui si parla del dolore e della speranza di una fanciulla che implora dal Signore la guarigione del padre moribondo, o all’ipotesi del Fischer, che Beethoven abbia improvvisato questo pezzo «funebre» vegliando la salma d’un amico. Comunque sia, la pagina vive oggi ancora in uno «splendido isolamento» per la profondità emotiva che non è stata raggiunta neppure da composizioni di musicisti posteriori, ad essa più o meno direttamente affini: qualche notturno di Field o di Chopin, il Rondò-Sonata in la maggiore o la canzone “An dem Mond” di Schubert, la “Mainacht” di Brahms, il Preludio dell’atto II, scena IV della “Norma”.

Nella giustapposizione schematica delle sue brevissime frasi e nel giuoco di legati e staccati, l’Allegretto risponde ad un particolare tipo di Scherzo beethoveniano. Il De Lenz riferisce per l’esecuzione alcune osservazioni di Liszt, il cui nome è particolarmente legato nel suo ricordo ed in quello di Berlioz alla Sonata in oggetto. Ma la similitudine del «fiore fra due abissi» con la quale il grande pianista ha voluto caratterizzare questo tempo ci sembra un po’ esagerata. E’ vero che esso crea un diversivo, necessariamente breve, dal corso principale degli affetti: senza che perciò debba pensarsi con il Rolland che sia proprio la sua «grazia che giuoca e sorride» a provocare l’esasperazione di dolore del Finale.

La figura musicale che nel Presto agitato adempie morfologicamente all’ufficio di primo tema ci appare, dal punto di vista del compito espressivo, non meno che da quello della funzione dinamica, come un avvio turbinoso; o un sondaggio, per dirla con il Riezler, una ricerca che introduce la melodia che costituisce poi il secondo tema: e dalla quale, per nuova forza generatrice, si sviluppa tutta un’ansia di movimento. Dello spunto tematico il D’Indy nota una analogia con il corrispondente della Sonata Wurtemberghese in la bemolle maggiore di F. E. Bach; ma si possono ricordare anche due pagine mozartiane: il primo tempo della Sonata per pianoforte in la minore K. 310 (che ha tuttavia un altro e pur bellissimo sviluppo) ed un episodio dell’Allegro con spirito della Sonata per pianoforte e violino m mi minore K. 60 (Anhang, 209h); poi anche un episodio di sviluppo della Sonata giovanile per pianoforte dello stesso Beethoven in mi bemolle maggiore in cui del resto il Riemann trova una figurazione del respiro di Mannheim.

La denominazione ancor oggi tanto diffusa di “Sonata Al chiaro di luna” (Mondscheinsonate) deriva dallo scrittore e poeta berlinese Ludwig Rellstab che, a quanto riferisce il De Lenz e molti altri hanno ripetuto, «compare cette oeuvre à une barque visitant par un clair de lune les sites sauvages du Lac des Quatre Cantons». Chi volesse poi sapere a quante strane e strambe fantasie poetico – letterarie la Sonata abbia dato occasione nel corso dal secolo passato, non ha che da leggere il Prod’homme.

Si sono tirati in ballo, di volta in volta, il medio evo, il colore gotico, Dante, il Conte Ugolino, Francesca da Rimini. Alla musica del primo tempo sono state adattate le parole del Kyrie, e poi anche quelle della preghiera di San Bernardo nell’ultimo canto del Paradiso, Ai giorni nostri lo Schering si è richiamato al A Re Lear di Shakespeare, riferendo l’Adagio e l’Allegretto alla scena VII dell’atto IV (Il re si sveglia, riprende lentamente i sensi, riconosce Cordelia che lo assistie piangendo) ed il Presto alla scena III dell’atto V (Re Lear, con Cordelia morta fra le sue braccia: Urlate, urlate, ecc.).

Titolo ufficiale: Opus 27 Nr. 2 Sonate (cis-moll) Sonata quasi una Fantasia für Klavier Widmung: Julie Gräfin Guicciardi NGAVII/3 AGA 137 = Serie 16/14 Beiname: Mondscheinsonate.

Composizione e pubblicazione: Composta nel 1801. Beethoven annotò gli schizzi sopravissuti per il finale in un taccuino di appunti che usò tra la primavera e l’autunno di quell’anno. L’edizione originale fu pubblicata da Giovanni Cappi a Vienna nel marzo 1802. Una notazione del 1793/94 si trova nella raccolta di schizzi “Kafka” (GB-Lbl, Add. Ms. 29801, foglio 139r) e richiama le battute 15-18 del 1° movimento. Per quanto riguarda le edizioni di Cappi dell’op. 25-27 vedere op. 25. Per lo scambio dell’op. 27 nn. 1 e 2 in ulteriori edizioni vedere sopra. Circa il soprannome: Secondo Wilhelm von Lenz, il soprannome apocrifo di “Mondscheinsonate” era già noto e contestato all’inizio degli anni ’30 dell’Ottocento e risale a Ludwig Rellstab. Nella vasta opera letteraria di Rellstab, Friederike Grigat è stata in grado di determinare la seguente descrizione del personaggio dell’adagio che si avvicinava di più a quella diffusa da Lenz. Si trova nella prima novella d’arte „Theodor. Eine musikalische Skizze“ del 1823 (vedi Grigat/Mondschein pagina 23 e nota 8): „Der See ruht in dämmerndem Mondenschimmer; dumpf stößt die Welle an das dunkle Ufer; düstere Waldberge steigen auf und schließen die heilige Gegend von der Welt ab; Schwäne ziehen mit flüsterndem Rauschen wie Geister durch die Fluth und eine Äolsharfe tönt Klagen sehnsüchtiger einsamer Liebe geheimnisvoll von jener Ruine herab. Still, gute Nacht!“ Riporta Lenz in “Beethoven et ses trois styles”, San Pietroburgo 1852, vol. 1, p. 225f: „Rellstab compare cette oeuvre à une barque, visitant, par un clair de lune, les sites sauvages du lac des quatre cantons en Suisse. Le sobriquet de ,Mondscheinsonate“, qui, il y a vingt ans, faisait crier au Connaisseur en Allemagne, n’a pas d’autre origine. Cet Adagio est bien plutôt un monde de morts, l’epitaphe de Napoleon en musique, Adagio sulla morte d’un eroe!“ Riprende lo stesso Lenz in “Beethoven. Eine Kunststudie” (Lenz/Beethoven vol. 3 p. 78), libro in cui la sua interpretazione della sonata si lega al „Mondschein“ in modo altrettanto preciso come nello studio di  Alexandre Oulibicheff  “Beethoven, ses critiques et ses glossateurs” (Parigi 1857).

Nella sua biografia di Beethoven, Anton Schindler aggiunge anch’ egli il titolo „Die Sonate in Cis-moll Op. 27. No 1. (Mondschein-Sonate)“ (Schindler/Beethoven 1840 p. 216), senza spiegarne il motivo. I topoi „Trauer“, „Tod“, „Nacht“ già citati da Lenz in contrasto con il romanticizzante “Mondschein” furono messi in primo piano da Carl Czerny e Franz Liszt. Lenz riferisce anche che il soprannome „Laubensonate“ era comune a Vienna: „Beethoven habe das Adagio in dem Laubgang eines Gartens, vor der schönen Gräfin [der Widmungsträgerin], improvisiert“ (Lenz/Beethoven vol. 3 p. 79).

Dedica: Julie Guicciardi, nata il 23 novembre 1782 a Przemysl e deceduta il 22 marzo 1856 a Vienna, figlia del conte Franz Joseph Guicciardi (circa 1752—1830) e della contessa Susanna Guicciardi, nata Brunsvik (1757-1813). Julie era arrivata a Vienna con i genitori nell’estate del 1800, dove suo padre aveva ottenuto un posto nella cancelleria di corte. Beethoven la incontrò quell’anno presso la famiglia Brunsvik, cui era imparentata da parte di madre (sua madre era una zia dei fratelli Therese, Franz, Josephine e Charlotte Brunsvik). Beethoven diede lezioni di pianoforte a Julie, per le quali orgogliosamente scrisse che non accettò denaro (vedi BGA 77 e TDR II p. 307), ed evidentemente si innamorò di lei. È presumibilmente la „liebe zauberische Mädchen“ di cui Beethoven riferì in una lettera a Franz Gerhard Wegeier il 16 novembre 1801: „die mich liebt und die ich liebe, es sind seit 2 Jahren wieder einige seelige Augenblicke, und es ist das erstemal, daß ich fühle, daß – heirathen glücklich machen könnte, leider ist sie nicht von meinem Stande“ (BGA 70). Nel novembre 1852, Julie raccontò a Otto Jahn che Beethoven le aveva regalato il Rondò in sol op.51 n.2, ma lo aveva chiesto indietro perché doveva dedicare qualcosa alla contessa Henriette Lichnowsky. In compenso le dedicò la sonata per pianoforte (TDR II p. 307s). Il 14 novembre 1803, Julie sposò Wenzel Robert Graf von Gallenberg (1780-1839), meglio conosciuto come compositore di balletti, con il quale andò presto a Napoli.

In Italia, Gallenberg conobbe l’imprenditore teatrale Domenico Barbaja (intorno al 1778-1841), che dal 1809 fu direttore dell’opera di corte a Napoli. Nel dicembre 1821 Barbaja assunse la direzione del Kärntnertortheater di Vienna e del Theater an der Wien. Il contatto con Barbaja spinse Gallenberg a tornare a Vienna con la moglie nel 1822, dove divenne membro del comitato direttivo del Kärntnertortheater. Nel febbraio 1823 Beethoven inviò Anton Schindler a prendere in prestito una partitura “Fidelio” dal Kärntnertortheater (BGA 1556). Fu probabilmente in questo contesto che Beethoven riferì in un libretto di conversazione a Schindler all’inizio di febbraio 1823 sulla sua relazione con Julie Guicciardi e suo marito (BKh 2 p. 365-367). La sua affermazione secondo cui ella venne da lui piangendo ma lui la mandò via non si riferisce necessariamente al periodo successivo al suo ritorno a Vienna, come spesso si presume. L’incidente potrebbe anche essere avvenuto prima della sua partenza per l’Italia, il che sarebbe più in linea con l’argomento del racconto di Beethoven, che in realtà riflette il passato. Nella sua prima biografia di Beethoven del 1840, Anton Schindler considerava ancora Julie Guicciardi come „Unsterbliche Geliebte“, che però, in base ai dati biografici, non poteva essere lei. (Steblin/Guicciardi.)

Prima esecuzione sconosciuta.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

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