Opus 29 Quintetto in do maggiore per due violini, due viole e violoncello

I) Allegro moderato – II) Adagio molto espressivo – III) Scherzo – Allegro – IV) Finale – Presto.

Opus 29 – Quintetto in do maggiore per due violini, due viole e violoncello op. 29, dedicato al conte Moritz von Fries, dicembre 1800 – 1801, pubblicato in parti staccate a Lipsia, Breitkopf e Härtel, dicembre 1802; in partitura a Berlino, Schlesinger, 1828 GA. n. 34 (serie 5/3) – B. 29 – KH. 29 – L. II, p. 94 -N. 29 – T. 85.

Per quanto il manoscritto originale, conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, porti la data del 1801, l’opera fu iniziata almeno prima della fine dell’anno precedente, come appare evidente da una lettera di Beethoven all’editore Hoffmeister del 15 dicembre 1800. Abbozzi del primo e secondo tempo erano stati ricordati già nel 1908 dal Frimmel come appartenenti ad una raccolta di Max Kalbeck a Vienna; altri, del primo tempo, si trovano presso l’archivio della società degli Amici della Musica di Vienna; altri ancora, del primo ed ultimo tempo, nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino.

Cronologicamente questo Quintetto è la seconda delle quattro composizioni per due violini, due viole e violoncello lasciateci da Beethoven. Ma in realtà, rispetto alle altre tre (il Quintetto in mi bemolle maggiore op. 4 del 1795-1796, rifacimento dell’ Ottetto per istrumenti a fiato del 1792, pubblicato dopo la morte del maestro con il numero d’opera 103; il Quintetto in do minore op. 104, rielaborazione compiuta nell’agosto 1817 del Trio per pianoforte, violino e violoncello op. 1 n. 3; la Fuga in re maggiore op. 137, del novembre 1817), esso può considerarsi come l’unica genuina opera pensata e scritta per un tale definito complesso nella tradizionale struttura sonatistica in quattro tempi.

Alcuni hanno voluto collocarlo ad un livello inferiore, sia dal punto di vista formale che da quello espressivo, al tipico modello del quartetto per due violini, viola e violoncello, sostenendo che non da una necessità sostanziale Beethoven sia stato indotto a servirsi del complesso a cinque, ma da ragioni di natura esterna, dirette ad ottenere una maggiore sonorità e effetti di colore strumentale; ciò che avrebbe influito anche sul carattere delle idee musicali, non improntate ad una rigorosa unità di sviluppi e di concatenamenti costruttivi. Ma l’opera, in ogni modo, va considerata nella sua artistica realtà, non per quello che avrebbe dovuto essere secondo certe regole, che l’autore non ha deliberatamente seguito per fare un’altra cosa.

Nell’Allegro moderato crediamo che si debba notare, oltre la particolare dolcezza e scorrevolezza dei due temi principali, la frase accessoria a terzine, che s’accompagna immediatamente al primo come un estroso commento, assunta poi gradatamente, e tanto più nello sviluppo (dove il secondo tema non riappare) e nella parte conclusiva dopo la ripresa, ad elemento coordinatore dell’insieme, nel senso del movimento e dell’espressione, così da contribuire validamente alla formazione del carattere del tempo intero.

Adagio, alla cantabile adorna serenità della melodia principale si alterna in sensibile contrasto un episodio che potremmo chiamare di turbamento romantico, affidato in prevalenza al primo violino sopra una tipica figura di accordi ribattuti, come un tremito, degli altri strumenti. L’elemento vivace ed estroso alla maniera beethoveniana si spiega largamente nel terzo tempo con il giuoco della figura saltellante rimandata dall’uno all’altro strumento, nello Scherzo, e poi con l’insistenza di una figura ritmica di tre note e di una tensione cadenzale portata quasi fino all’esasperazione nel Trio.

Il Presto s’annuncia con la sprizzante vivacità di un fuoco d’artificio a cui fanno seguito le volute delle figurazioni in legato che costituiscono il secondo momento tematico.

Lo sviluppo è ricco e originale con l’introduzione di un episodio fugato sulla base di un terzo tema di carattere marziale, intorno a cui s’avvolgono leggermente elementi di movimento più vivi del primo tema: quelli del secondo conducono in fine all’ulteriore episodio, tutto diverso, andante con moto e scherzoso simile quasi all’introduzione strumentale di un’opera giocosa. Poi la fedele ripresa della prima parte; ma al termine di questa e ad essa unita, come una sua naturale continuazione, anche dalla trasposizione di rito nel tono d’impianto di do maggiore, nuovamente la melodia dell’ Andante. Infine, con il ritorno del tempo primo, la conclusione rapida e festosa dei due elementi tematici principali.

Nel 1911 tre riviste tedesche pubblicavano, come allora scoperta, una sedicente lettera di Beethoven datata « 8 luglio, pomeriggio », diretta ad una destinataria ignota e scritta nello stile di quella, universalmente conosciuta, « all’immortale amata » in cui si leggevano fra l’altro queste parole (che riportiamo tradotte in italiano): « Oh se potessi dirti in musica come tu sei tutto per me, la cosa mi sarebbe più facile. M’è venuto questo tema, che non è mal riuscito.

Ma le parole che vi sono sotto debbo tacerle, mentre vorrei gridartele pieno di gioia …» Il tema musicale adattato, forse nemmeno troppo felicemente, al senso espressivo delle parole è per l’appunto quello dell’Andante con moto e scherzoso, che già a suo tempo il De Lenz  aveva pensato di interpretare, nel quadro di una ipotetica « chiarificazione illustrativa » di tutto il Finale, come una « immagine d’amore » riferendosi particolarmente alla passione di Beethoven per la Guicciardi. Ora la nuova lettera, sulla cui epoca non sarebbe stato possibile equivocare per l’inclusione in essa del tema di un’opera composta nel 1800-1801 e pubblicata nel 1802, avrebbe facilmente avvalorato l’opinione che anche la nota lettera « all’immortale amata » (affine ad essa per il tono appassionato, ma di cui in realtà sono ancor oggi rimaste ipotetiche la data e la destinataria) fosse di quello stesso periodo di tempo e dovesse conseguentemente considerarsi diretta alla stessa persona: la quale allora appunto non avrebbe potuto essere altra che Giulietta Guicciardi.

Una critica di poco posteriore non ha tardato a dimostrare con dovizia d’argomenti come la lettera sia stata un’abile ma non perfetta contraffazione dello stile e della calligrafia di Beethoven; e di essa gli studiosi e i biografi non fanno oggi più cenno.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 29 Quintett (C-dur) für zwei Violinen, zwei Violen und Violoncello Widmung: Moritz Johann Christian Graf von Fries NGA VI/2 AGA 34 = Serie 5/3

Creazione e pubblicazione: completata nel 1801 secondo la datazione autografa sulla partitura autografa. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Breitkopf & Härtel a Lipsia nel dicembre 1802. Nel dicembre del 1800 Beethoven informò l’editore Franz Anton Hoffmeister di Lipsia: „ein wenig später, können sie ein Quintett für Geigeninstrumente haben, wie auch vieleicht Quartetten, und auch andere Sachen, die ich jezt nicht bey mir habe“ (BGA 49 ). Forse Beethoven – come Haydn (vedi Biba/Griesinger p. 30f e 86f) – ricevette una commissione da Moritz Graf von Fries. Beethoven probabilmente non aveva ancora iniziato la composizione poiché gli abbozzi conosciuti risalgono al 1801

Non è possibile determinare esattamente quando la composizione sia stata completata. In un esposto alla k.k. Oberpolizeidirektion del 1 settembre 1803 Beethoven dichiarò: „ich habe nämlich vor beiläufig anderthalb Jahren das Quintett in C dur dem Hrn Grafen von Fries gegen die Bedingung verkauft daß ich nach Verlauf eines halben Jahres dieses nämliche Quintett wieder weiter verkaufen, und öffentlich in Stich herausgeben kann. Nun habe ich nach Verfließung dieses halben Jahres das erwähnte Quintett ohne Weiteres den Buchhändlern Breitkopf und Härtel in Leipzig verkaufet“ (TDR II p. 595f). Questa dichiarazione non è affidabile, dal momento che Breitkopf & Härtel aveva già acquisito l’opera nell’aprile 1802, ovvero nello stesso periodo in cui Beethoven avrebbe presentato per la prima volta l’opera a Fries. Non è chiaro inoltre se Beethoven abbia davvero aspettato solo sei mesi prima di offrire il lavoro a un editore. Georg August Griesinger riferì a Breitkopf & Härtel: „Beethoven hatte es an den Grafen Fries unter der Bedingung abgetretten dass er nach 6 Monaten darüber disponiren könnte. Nach Verfluss eines Jahres [!] wurde es von Ihnen erkauft“ (BGA 120 dell’8 dicembre 1802). La data di consegna del manoscritto al dedicatario (e probabilmente anche al committente) è compresa tra il marzo e l’ ottobre 1801. L’offerta a Breitkopf & Härtel fu fatta il 28 marzo 1802 tramite Kaspar Karl van Beethoven che scrisse: „Jetz aber ist es uns ein Vergnügen wenn wir Ihnen mit einem neuen grosen Quintet für 2 Violini, 2 Viole, et Violoncello dienen können, welches wir aber nicht anders als 38 Ducaten Wienerwähring [!] geben können. […] bitte ich Sie etwas zu eilen, indem wir es gern bald in Druck sehn möchten, Weil es eins von meines Bruders vorzügligsten Werke[n] ist“(BGA 81). L’editore acconsentì e all’inizio dell’ aprile il quintetto fu inviato a Lipsia (probabilmente prima del 22 aprile). Il 3 novembre, Breitkopf & Härtel riferirono che il quintetto era stato inciso e che le copie per la revisione sarebbero state inviate con la prossima posta (BGA 109).

Tuttavia, dopo che Beethoven aveva informato l’editore che Artaria era stata piratata, la stampa fu ritardata fino alla fine di dicembre. L’edizione si rese disponibile a Vienna il 22 gennaio 1803 (BGA 125). Breitkopf & Härtel annunciarono la disponibilità delle parti e l’arrangiamento per pianoforte a quattro mani già alla fine dell’ ottobre 1802, (Leipziger Allgemeinen musikalischen Zeitung (5, 1802/03, Intelligenzblatt 2, Ottobre 1802), nella Wiener Zeitung del 30 ottobre 1802 e nel Messkatalog Michaeli del 1802. Secondo il libro mastro l’edizione fu terminata il 29 dicembre 1802; Ciò corrisponde all’incirca agli annunci apparsi nell’ AmZ (Intelligenzblatt 7 dicembre 1802) e nel Reichsanzeiger dell’8 dicembre 1802.

Per quanto riguarda l’ edizione Artaria, il compositore, che si mostrò sorpreso di esser messo in cattiva luce con la Breitkopf (BGA 110 del 13 novembre 1802), dichiarò poi nella Wiener Zeitung del 22 gennaio 1803 di non aver partecipato all’edizione di “Artaria und Mollo ” che è „höchst fehlerhaft, unrichtig und für den Spieler ganz unbrauchbar“.  Una causa intentata da Artaria sfociò in un contenzioso dinanzi alla questura di Vienna, che si protrasse fino alla fine del 1803 e si concluse definitivamente nel 1805 davanti al magistrato con una transazione – praticamente inefficace. Artaria aveva ricevuto una copia del fregio decorativo per l’ incisione, sulla base di una descrizione di Beethoven —  circostanza che rimase non provata e non riconosciuta dall’autorità giudiziaria. Grazie alla mediazione di Fries, Artaria si impegnò ad aspettare prima di vendere la sua edizione „bis die OriginalAuflage 14 Täge hier in Wien in Umlauf“. Inoltre Beethoven si impegnò a redigere, anche se a malincuore e in modo incompleto, delle corrigenda nell’ edizione Artaria. Il soprannome in francese “L’Orage” (tempesta, temporale) compare nel titolo dell’edizione di Sieber père, Parigi. “L’ Orage” si basa sull’ultimo movimento dell’opera (Presto), che mostra delle corrispondenze musicali con “Die Geschöpfe des Prometheus“ op. 43 (introduzione “La Tempesta”). Le interpretazioni successive dell’opera di Wilhelm von Lenz, Alexandre Oulibicheff e altri vanno in una direzione simile

I numerosi schizzi ed abbozzi saranno trattati in un articolo a parte. Prima edizione 1802 (Dicembre). Leipzig, Breitkopf & Härtel, PN 94. — Titolo „QUINTETTO / Pour / 2 Violons, 2 Altos / et Violoncelle / composé et dedié / à Monsieur le Comte / MAURICE DE FRIES / PAR / L. VAN BEETHOVEN. / Oeuv. 29. Prix 2 Fl. / A LEIPSIC, / chez Breitkopf & Härtel“.

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