Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it
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        • Opere per genere

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          II – Orchestrali
          III – Danze
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          VII – Trii con piano
          VIII – Violino e piano
          IX – Cello e piano
          X – Strumento e piano 

           

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          XII – Quintetti
          XIII – Quartetti
          XIV – Duetti Trii
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          XVII – Variazioni
          XVIII – Varie piano
          XIX – Opere sacre

           

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          XXIII – Canti popolari

        • XXIV – Lieder
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  • Beethovens Mutter. (Zur Auffindung ihres Grabes.)
  • Beethovens Mutter. I. geschichtliche Voraussetzungen der Auffindung.
  • Beethovens Mutter. II. Untersuchung und Identifizierung des Skeletts

Beethovens Mutter. (Zur Auffindung ihres Grabes.)

Von Hermann Unger, Köln.

Ende März des Jahres 1932 gelang es, die bislang verschollen gebliebene letzte Ruhestätte der Mutter des großen Tondichters wieder aufzufinden. Prof. Dr. Knickenberg, leider kurz danach aus dem Leben berufen, bekannt als Spezialift der Geographie des bei Bonn gelegenen Siebengebirges, hat sich schon früher um das Andenken Beethovens besondere Verdienste erworben: er gehörte zu dem kleinen Kreis jener opferbereiten Männer, welche im Jahre 1889 das damals als Wirtshaus nicht gerade besten Rufes fungierende Geburtshaus (ia) des Meisters aus eigenen Mitteln erwarben, instandsetzen ließen und es zu einem Museum ausgefallenen, in dessen Gästebuch wohl kaum der Name eines der bedeutenden Musiker unserer Zeit fehlt, (ib) Knickenberg erhielt nun vor einiger Zeit von einem alten Bonner, jetzt aber in Düsseldorf wohnenden Bürger namens Baum die Mitteilung, er könne ihm jene Stätte zeigen, wo Beethovens Mutter 1787 beerdigt worden fei. Baum, der Urenkel der Patentante Beethovens, habe die Grabstelle des öfteren von feinem alten Klassenlehrer gezeigt bekommen. Und, wie das meistens geschieht: heute bestätigen eine ganze Reihe alter Bonner Bürger jene Angabe und erklären, das hätten sie auch sagen können, wenn man sie nur gefragt hätte! Die Grabstätte wurde nun auch nach der Lifte des alten Friedhofs als richtig erwiesen und bei ihrer Öffnung die sterblichen Reste der Frau unterhalb eines, 1826 darüber angelegten Grabes eines in Bonn während feines Reifeaufenthaltes verstorbenen italienischen Geistlichen Matari aufgefunden. Der erst feit kurzem von der deutschen medizinischen Akademie Schanghai an die Bonner Universität überfiedelte Anatom Prof. Dr. Ferdinand Wagenfeil unterzog die Gebeine einer eingehenden wissenschaftlichen Untersuchung. Ohne deren Ergebnis, das in einem eigenen Aussatz Raum findet, vorwegzunehmen, kann doch schon soviel daraus verraten werden, daß unsere recht dürftigen Kenntnisse über die Mutter Beethovens um Wesentliches bereichert werden.

„Sie war mir eine so gute, liebenswürdige Mutter, meine beste Freundin“, hat Beethoven von dieser Frau gesagt, und feine Worte hat man dem, nun neu gefetzten Grabstein beigefügt, der sich wenige Schritte von demjenigen der Gattin und des älteren Sohnes Friedrich Schillers befindet. (2) Mit Lotte von Lengefeld teilt Maria Magdalena van Beethoven aber auch das Schicksal, mehr nach innen als äußerlich eine Rolle im Leben eines Großen gespielt zu haben. So besitzen wir noch nicht einmal ein Bildnis von ihr. Beethoven erklärte zwar einmal, er könne kraft feiner Phantasie sich ein der Verstorbenen ähnliches Bild vor die Seele bringen. Aber ein von dem rheinischen Maler Beckenkamp nach 1890 in den Handel gebrachtes und allgemein als das Porträt der Frau Beethoven geltendes Bild, das heute noch im Beethovenhaus hängt, hat sich leider längst als unecht erwiesen. Die einzigen literarischen Zeugnisse, welche sie und ihr Aufsehen betreffen, stammen von dem Bäckermeister Fischer, dem Besitzer des Hauses in der Rheingasse, dessen Mansarde die Beethovens in den Jahren 1776 bis 1785 bewohnten (3). diese Gasse führt noch heute, nahe der vor der großen Rheinbrücke gelegenen „Beethovenhalle“, dem 1870 zur Feier des 100. Geburtstages des Meisters errichteten Konzert-saal, ziemlich steil hinab zum Rhein und zur Dampferanlegestelle. Schon zu Beethovens Lebzeiten war die Rheingasse darum eine der wichtigsten Straßen der Stadt: an ihrem Ausgange zum Strom liegt heute noch das Gasthaus „Zum alten Keller“, das, 1553 begründet, der Treffpunkt der Honoratioren, das Kneip lokal des Korps „Saxonia“ blieb, in welchem u. a. auch der berühmte Deutschamerikaner Karl Schurz, aus der Nähe Bonns gebürtig, Stammgast war und es noch vor feiner letzten Rückreife in die neue Welt pietätvoll aussuchte. Seine Bedeutung mag der Gasthof dadurch gewonnen haben, daß dicht neben ihm die Zollftelle lag und man berichtet, daß der „Alte Keller“ häufig als Untersuchungsgebäude für Schmuggler herhalten mußte (4). An den „Alten Zoll“, eine Bastion, deren Ausficht auf das Siebengebirge Zelter in einem Briefe an feinen Freund Goethe „das schönste Schaufpiel“ nannte, das er sich. Vorfällen könne, und der das Geburtshaus des Botanikers Lenne und das Denkmal des in Bonn lehrenden E. M. Arndt trägt, lehnte sich das, von Beethovens bewohnte Haus des Bäckers Fischer an (5) und bildete auf halber Höhe der Bastionsmauer eine Art Terrasse vor der Mansardenwohnung (6, 7, 8).

Durch Fischers, zwar ungewandte, aber dennoch in ihrer urwüchsigen Ausdrucksweife höchst plastische Erinnerungen find wir in die Lage gefetzt, uns von der Persönlichkeit Maria Magdalena van Beethovens und ihrer Umwelt eine Vorstellung zu machen, während uns über ihre letzten Lebensjahre, die sie in der Wenzelgaffe verbrachte, die Chronik im Stiche läßt. Frau Beethoven war nach den Schilderungen Fischers eine übermittelgroße, fehmächtige, sanfte, im Umgang mit Hoch und Niedrig geschickte Frau, über deren Zügen jedoch der Schleier frühen Kummers und schwerer Krankheit ausgebreitet lag. 1746 in Ehrenbreitst ein als Tochter des kurfürstlich-tierischen Küchenmeisters Keverich geboren, hatte sie als Neunzehnjährige ihren ersten Mann, den Kammerdiener Laym verloren und mußte, 1767 mit dem Bonner kurfürstlichen Kapellfänger Johann van Beethoven gegen den Willen dessen Vaters Louis vermählt, ihr erstes Kind Ludwig Maria und drei, dem „großen Ludwig“ nachgeborene frühzeitig begraben. Der Stille Kummer um den haltlosen, als Künstler ziemlich mäßigen Gatten, von dem die Akten berichten: „hat eine schwache Stimme und ist sehr arm“, war wohl mit der Grund, daß es von ihr hieß, man habe sie niemals lachen sehen und sie habe einmal die Ehe als eine kurze Freude und ein langes Leiden bezeichnet. Bei allen Freunden und Bekannten genoß sie höchste Verehrung, und Fischer schildert sehr anziehend, wie ihr Geburtstag von den Schauspielern und Sängern des Hofes durch ein nächtliches Hauskonzert („auf Strümpfen“, um keinen zu Stören) gefeiert wurde.

Fischers Erinnerungen führen uns in jene Zeit zurück, die man als Beethovens „Lausbubenjahre“ bezeichnen dürfte. So berichtet er, der Vater habe den Jungen, der in der Schule nicht viel gelernt, sehr bald ans Klavier gebracht und dort auf einem Bänkchen flehend Spielen lassen, Oft habe er den Knaben gescholten oder gar mit Ohrfeigen bedroht, wenn dieser auf der Geige fantasiert oder am Klavier sich Griffe zurechtgesucht, anstatt nach Noten zu spielen. Fischers Frau schalt den kleinen Ludwig wegen feiner Unordentlichkeit und „Un-propprität“, aber der meinte: „Was liegt daran? Wenn ich einmal ein Herr werde, wird mir das keiner mehr anfehen.“ Auch sonst war der Bursche nicht um eine rasche Antwort verlegen, so als er von der Hauswirtin im Hühnerstall auf der Terrasse ertappt wurde und meinte, die Eier würden wohl von den Füchsen gestohlen, er selber fei ja nur ein Notenfuchs. Oder, wenn er den Sohn der Frau Fischer beschwor, er möchte nichts von dem Hahn verraten, den man, als er fidi verflogen, der Magd zum Braten übergeben hatte. „Die Leute“, so erklärte er bündig, „sollen ihr Vieh besser verwahren, den durch Vieh können auch große Unglücker kommen.“ Eier und Hahn haben wohl die sonst so schmale Küche der Kinder aufbessern müssen. Aber neben dem Schalk und Lausbuben häuste der Phantast: Frau Fischer sah ihn einmal starr in den Hof blicken und bekam, als sie in ihn drang, endlich zur Antwort: „Ich war in einem so schönen und tiefen Gedanken beschäftigt, da konnte ich mich gar nicht stören lassen.“ Mit Vorliebe schaute der angehende Musikus vom Speicher oberhalb des von den drei Jungen bewohnten Mansardenstübchens über den alten Zoll hinweg durch ein Fernrohr auf das schöne Siebengebirge in der Ferne und auf den Rhein, den er bis in feine letzten Lebensjahre liebte. Auch davon berichtet Fischer, wie die Knaben häufig den Vater, wenn er in Gesellschaft zuviel getrunken, schmeichelnd mit den Worten „O Papächen, Papächen“ heim-bugsiert hätten, auch daß der Vater einmal erklärt habe: „Mein Ludwig wird noch ein großer Mann in der Welt werden.“ Als aber ein Mann namens Stommb, der über dem Musik-

Studium den Versand verloren hatte, öfters in Fischers Parterrestube kam, Noten in der Hand und mit einem Taktstock auf den Tisch schlug, dabei aber bedeutsam nach oben in Beethovens Wohnung wies, meinte der kleine Ludwig trocken: „Da können wir sehen, wie es den Musikern ergeht. Dieser ist schon durch die Musik irre geworden. Wie mag es uns noch ergehen?“ In jene Zeit des Aufenthalts in der Rheingasse fallen auch die ersten gedruckten Kompositionen des jugendlichen Musikers, so die drei bekannten „Kurfürstensonaten“, zwei Rondos für Klavier, ein, erst 1890 erfchienenes Klavierkonzert und drei Streichquartette, die ebenfalls erst nach dem Tode Beethovens an die Öffentlichkeit gekommen find. 1778, ein Jahr nach der großen Rheinüberschwemmung, die gewiß auch den so nahe am Strom wohnenden Kindern ein bedeutsames Ereignis wurde, stellte Johann van Beethoven feinen Sohn der Öffentlichkeit als Musiker vor: in der Kölner Sternengasse, nahe dem einst von P. P. Rubens’ Eltern bewohnten Haufe, trug der Knabe eigene Klavier- und Kammerwerke den Musikfreunden vor, wobei der Vater, wohl angefeuert durch Mozarts Wunderkindleistungen, von dem Alter des Jungen 2 Jahre herunterlog (f. Abb.). Drei Jahre später unternahm feine Frau, auf Anraten einer der holländischen Verwandten der Beethovens (die aus Mecheln und Antwerpen stammten), einen zweiten Versuch, aus dem Talent des Kindes Geld zu machen: sie fuhr mit ihm auf

einem Rheinsrachtschiff nach Holland, kehrte jedoch unverrichteter Dinge heim: Beethoven hat den geizigen „Pfeffersäcken“ diese feine Niederlage nie verziehen. Wenige Jahre nachher bat Fischer die Beethovens, bei denen nun öfters Hauskonzerte unter Mitwirkung des Knaben gegeben wurden, um wenigstens auf diese Weife Einnahmen zu erzielen, ihre Wohnung aufzugeben, da er als Bäcker doch tagsüber Schlafruhe haben müsse. Man zog in die Wenzelgaffe, wo 1786 Maria Magdalena nach der Geburt ihres jüngsten Kindes schwer erkrankte: die Schwindsucht kam jetzt zum offenen Ausbruch. Ludwig, der um jene Zeit sich in Wien befand, wo er soeben Mozart sich als künftigen Schüler vorgestellt hatte, mußte in Eilposten, zu denen er sich das Geld lieh, heimkehren und kam noch rechtzeitig an, um der Mutter die Augen zuzudrücken. Vorüber waren nun für ihn die Zeiten, von denen er damals sagte: „Oh, wer war glücklicher als ich, da ich noch den fußen Namen Mutter aussprechen konnte, und er wurde gehört.“

Als 1792 der Vater ins Grab sank, verließ auch Ludwig die Heimat, um in Wien sich ein neues Leben zu schaffen.

(Als wertvollste einschlägige Veröffentlichung sei des o. Prof. an der Rhein. Friedr. wilhelm-Universität Bonn Dr. Ludwig Schiedermair „D er junge Beethoven“ (Verlag Quelle und Meyer in Leipzig 1925) dringend empfohlen!)

Alla fine di marzo del 1932 fu possibile ritrovare il luogo di sepoltura, precedentemente perduto, della madre del grande compositore. Il Prof. Dott. Knickenberg, purtroppo deceduto poco dopo, noto  geografo del Siebengebirge, vicino a Bonn, aveva già dato un contributo speciale alla memoria di Beethoven: apparteneva a quel piccolo gruppo di uomini disposti a fare sacrifici, che nel 1889 chiamò Wirtshaus (ia) la casa natale del maestro, che non godeva di ottima fama, la acquistò con i propri fondi, la fece riparare e la fece diventare un museo, nel cui libro degli ospiti non manca quasi il nome di uno dei importanti musicisti del nostro tempo.

(ib) Knickenberg identificò il luogo dove fu sepolta la madre di Beethoven nel 1787. Questo luogo gli fi confidato qualche tempo fa da un anziano cittadino di Bonn di nome Baum, che ora vive a Düsseldorf. A Baum, il pronipote della madrina di Beethoven, veniva spesso mostrato il luogo della tomba da un bravo ed anziano insegnante. Come succede solitamente, interrogati a proposito molti  anziani cittadini di Bonn confermano tale affermazione e dichiarano che avrebbero potuto dirlo se solo qualcuno lo avesse chiesto loro!

La collocazione della tomba si è stata dimostrata corretta anche dopo che il vecchio cimitero fu interrato e raddoppiato. Quando si procedette allo scavo, i resti della donna furono trovati sotto la tomba di un sacerdote italiano di nome Matari, morto a Bonn nel 1826, durante un suo soggiorno. L’anatomista Prof. Dr. Ferdinand Wagenfeil ha sottoposto le ossa a un esame scientifico dettagliato. Senza anticipare il risultato, che trova spazio in una capitolo separato, si può affermare che la ricognizione ci rivela molto rispetto alla scarsissima conoscenza che abbiamo della madre di Beethoven. “Era una madre così buona e gentile per me, la mia migliore amica”, disse Beethoven di questa donna, e queste belle parole sono state aggiunte alla lapide appena collocata, a pochi passi da quella della moglie e del figlio maggiore di Friedrich Schiller. (2) Come Lotte von Lengefeld, anche Maria Magdalena van Beethoven condivide il destino di aver avuto un ruolo più intimo che pratico nella vita di tale un grande uomo. Di Magdalena non possediamo nemmeno un ritratto.

Beethoven una volta dichiarò che grazie alla sua fine immaginazione poteva riportare davanti ai suoi occhi il ricordo della madre. Un quadro del pittore renano Beckenkamp, immesso sul mercato dopo il 1890 e generalmente accettato come il ritratto di Frau Beethoven, (ancor oggi appeso nella Beethovenhaus) da tempo si è rivelato un falso.

Le uniche testimonianze scritte letterarie che riguardano questi ricordi provengono dal mastro fornaio Fischer, proprietario della casa nella Rheingaffe, nella cui soffitta visse Beethoven dal 1776 al 1785 (3). Questa stada conduce ancora abbastanza ripidamente al Reno e all’imbarcadero del piroscafo vicino alla “Beethovenhalle”, situata di fronte al grande ponte sul Reno, la sala da concerto costruita nel 1870 per festeggiare il centesimo compleanno del maestro. Già durante la vita di Beethoven, la Rheingasse era una delle strade più importanti della città: alla sua uscita sul fiume, si trova ancora oggi la locanda “Zum alten Keller”, in cui il famoso Karl Schurz, nato vicino a Bonn, fu ospite abituale che la scelse prima del suo ritorno definitivo nel nuovo mondo.

Questa locanda potrebbe aver acquisito importanza perché l’ufficio doganale era proprio accanto ad essa e si dice che la “vecchia cantina” fosse spesso utilizzata come edificio per interrogare i contrabbandieri (4). Alla “Vecchia Dogana”, un bastione il cui panorama verso il Siebengebirge fu definito da Zelter “lo spettacolo più bello” in una lettera all’amico Goethe. Questo luogo che porta alla casa natale del botanico Lenne e al monumento per EM Arndt, che insegnò a Bonn, addossato alla casa del fornaio Fischer, casa in cui visse Beethoven (5) formava una sorta di terrazza davanti all’attico appartamento a metà del bastione ( 6, 7, 8)

Attraverso i ricordi di Fischer, seppur inutilizzati, ma comunque vivissimi nella loro naturale espressione, siamo messi in condizione di farci un’idea della personalità di Maria Magdalena van Beethoven e del suo ambiente, durante gli ultimi anni della sua vita, da lei speso nel Wenzelgaffe speso, lascia la cronaca in asso. Secondo la descrizione di Fischer, Frau Beethoven era una donna più grande della media, potente e gentile, abile nel trattare con alti e bassi, ma sui cui lineamenti si stendeva il velo del dolore precoce e della grave malattia. Nata a Ehrenbreitst nel 1746 come figlia del cuoco di animali elettorali Keverich, aveva perso il suo primo marito, il cameriere Laym, all’età di diciannove anni, e nel 1767 dovette sposare Johann van Beethoven, l’elettore di Bonn, contro la volontà di suo padre Louis, il suo primo figlio Ludwig Maria e tre, nati dopo il “grande Ludwig”, sepolti presto. Il pacato dolore per il marito instabile, piuttosto moderato come artista, di cui i dossier riportano: “ha una voce debole ed è molto povero”, fu probabilmente uno dei motivi per cui si diceva di lei che lei e lei mai visto ridere una volta ha descritto il matrimonio come una breve gioia e una lunga sofferenza. Era ammirata da tutti gli amici e conoscenti e Fischer descrive in modo molto attraente come il suo compleanno sia stato celebrato dagli attori e dai cantanti della corte con un concerto notturno (“in calze” per non disturbare nessuno).

I ricordi di Fischer ci riportano a quelli che si potrebbero definire gli “anni da mascalzoni” di Beethoven. Racconta che il padre ben presto portò al pianoforte il ragazzo, che a scuola non imparava molto, e lo fece suonare implorante su una panchina. Spesso lo sgridava o addirittura lo minacciava di schiaffi quando fantasticava sul violino o riprendendo le diteggiature al pianoforte invece di suonare dalle note. La moglie di Fischer rimproverò il piccolo Ludwig per essere disordinato e “improprio”, ma lui disse: “Che importa? Una volta diventato un maestro, nessuno mi guarderà più. ”Altrimenti, il ragazzo non era a corto di una risposta rapida, ad esempio quando è stato catturato dalla padrona di casa nel pollaio sul terrazzo e ha detto che le uova probabilmente erano delle volpi rubate, lui stesso è solo una volpe musicale. O se giurasse al figlio di Frau Fischer che non avrebbe voluto nulla dal gallo che, quando era volato via, era stato dato alla serva per arrostire. “La gente”, ha spiegato succintamente, “dovrebbe tenere il bestiame, perché il bestiame può anche portare grandi disgrazie”. Uova e galli probabilmente hanno dovuto migliorare la cucina altrimenti angusta dei bambini. Ma accanto ai mascalzoni e ai mascalzoni viveva il fantastico: una volta Frau Fischer lo vide fissare il cortile e, quando si premette su di lui, finalmente ottenne la risposta: “Ero occupato con un pensiero così bello e profondo che potevo anche io fare non lasciate che sia disturbato. ”Il musicista in erba dall’attico sopra la stanza della soffitta dove vivevano i tre ragazzi, amava osservare le antiche usanze attraverso un telescopio sulla bella Siebengebirge in lontananza e sul Reno, che amava fino al ultimi anni della sua vita. Fischer riferisce anche di come i ragazzi portassero spesso a casa il padre quando beveva troppo in compagnia, lusingandoli con le parole “O Papaeche, Papaeche”, e come il padre una volta dichiarò: “Il mio Ludwig sarà ancora un grande uomo nel mondo. ”Ma quando un uomo di nome Stommb, che Gli studi avevano perso la posta, spesso venivano nel salotto di Fischer, prendevano appunti in mano e colpivano il tavolo con un bastone, ma indicavano significativamente al piano di sopra nell’appartamento di Beethoven, ha detto seccamente il piccolo Ludwig: “Possiamo vedere come stanno i musicisti. La musica lo ha già fatto impazzire. Come possiamo ancora cavarcela? ”Le prime composizioni stampate del giovane musicista, come le tre famose “Sonate dell’Elettore”, due rondò per pianoforte, un concerto per pianoforte, pubblicato per la prima volta nel 1890, e tre quartetti d’archi, cadono durante anche il periodo della loro permanenza nella Rheingasse venne al pubblico solo dopo la morte di Beethoven. Nel 1778, un anno dopo la grande alluvione del Reno, che fu certamente un evento significativo anche per i bambini che vivevano così vicino al fiume, Johann van Beethoven presentò al pubblico suo figlio come musicista: nella Sternengasse di Colonia, vicino al luogo dove un tempo vivevano i genitori di PP Rubens Haufe, il ragazzo suonava il proprio pianoforte e opere da camera per gli amanti della musica, con il padre, probabilmente incoraggiato dal bambino prodigio di Mozart, sdraiato a 2 anni dall’età del ragazzo (f. Ill.). Tre anni dopo, su consiglio di uno dei parenti olandesi dei Beethoven (proveniente da Mechelen e da Anversa), Fein Frau fece un secondo tentativo di guadagnare dal talento del bambino: arrivò con lui una nave da carico del Reno per l’Olanda, ma tornò a casa senza aver ottenuto nulla: Beethoven non perdonò mai gli avari “sacchi di pepe” per questa bella sconfitta. Qualche anno dopo, Fischer chiese ai Beethoven, ai quali ormai si tenevano spesso concerti in casa con l’assistenza del ragazzo, per poter almeno guadagnare in questo modo, di rinunciare al loro appartamento, poiché come fornaio doveva essere tranquillo durante il giorno. Si trasferirono a Wenzelgaffe, dove nel 1786 Maria Magdalena si ammalò gravemente dopo la nascita del figlio più piccolo: la consunzione arrivò ora a un’epidemia aperta. Ludwig, che si trovava a Vienna nel momento in cui si era appena presentato a Mozart come futuro allievo, dovette tornare a casa in posti urgenti, per i quali prese in prestito i soldi, e arrivò in tempo per chiudere un occhio davanti a sua madre. Erano finiti i tempi per lui quando diceva: “Oh, chi era più felice di me, dal momento che potevo ancora pronunciare il nome madre, e fu ascoltato”. Quando suo padre affondò nella tomba nel 1792, anche Ludwig lasciò la casa per rifarsi una vita a Vienna. (La pubblicazione più importante è l’o. Prof. an der Rhein. Friedr. Wilhelm Università di Bonn, Dr. Ludwig Schiedermair, “Il giovane Beethoven” (Verlag Quelle e Meyer a Lipsia 1925) urgentemente raccomandato!)

1 Dieser Schädel erwies sich nach feiner Reinigung als rel. gut erhalten. Er war 197 mm lang, 155 mm breit und 123 mm hoch. Höchst wahrscheinlich gehörte er einem männlichen Individuum an, das nach der Beschaffenheit der (Unterkiefer-) Zähne und Nähte in der ersten Hälfte des vierten Lebensjahrzehntes gestorben fein dürfte.
2 Dicke der Schädelwand oberhalb des Stirnhöckers r. 6, l. 5 mm.

3 Basion-Bregma.
4 Oberarmknochen: rechts: nicht zu messen, da unteres Ende fehlt. Links: größte Länge (Martins Maß Nr. 1) 316 mm, kleinster Umfang (Nr. 7) 56 mm, Längen Dickenindex 17,7. Gelenkfläche des Kopfes beiderseits beschädigt, klein.

Speiche: rechts: größte Länge (Nr. 1) 235 mm, physiologische Länge (Nr. 2) 223 mm, kleinster Umfang (Nr. 3) 39 mm, Längen Dickenindex 17,5. Links: nicht zu messen, da Köpfchen fehlt.
Elle: beiderseits nicht zu messen, da Ellbogenhöcker fehlt.
Oberschenkelknochen: größte Länge (Nr. 1): R. 443 mm, L. 439 mm, ganze Länge in fog. natürl. Stellung (Nr. 6): R. 441 mm, L. 439 mm; Tiefendurchmesser der Körpermitte (Nr. 6): R. 25 mm, L. 26 mm; Querdurchmesser der Körpermitte (Nr. 7): R. 30 mm, L. 32 mm; Umfang der Körpermitte (N. 8): R. 85 mm, L. 89 mm; Längen Dickenindex: R. 19,3, L. 20,3; Robustizitäts-Index: R. 12,5, L. 13,2.

Schienbein: ganze Länge (Nr. 1): R. 354 mm, L. 356 mm; kleinfter Umfang (Nr. 10b): R.
71 mm, L. 71 mm; Längen Dickenindex: R. 20,1, L. 20,0.

Wadenbein: rechts: nicht zu messen, da zerbrochen. Links: größte Länge (Nr. 1) 351 mm (auch gebrochen, aber mit Plastilin ohne Beeinträchtigung der Messung reparierbar).

I testi e i documenti di questa pagina sono stati curati da  Fiorella Romenzi. Chi volesse  contattare l’ autrice, lo può fare tramite il nostro modulo di contatto.

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Novità. Aggiornamento: 23 giugno 2022

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