Beethoven e l’Italia Parte prima:

ovverosia “Sono tedeschi i maestri, ma la musica è italiana”

Introduzione

Non risulta che Ludwig van Beethoven abbia fatto il classico “Grand Tour”, come invece fecero molti altri artisti tedeschi seguendo le orme di Wolfgang Goethe, ma sapeva l’italiano e, fin dalla sua giovinezza, fu circondato da amicizie ed artisti italiani: dal suo primo maestro Andrea Luchesi (o Lucchesi), ad Antonio Salieri nel periodo viennese, e poi ancora le famiglie Malfatti e Guicciardi e gli editori Artaria, Mollo e Cappi, nonché i celebri ballerini Salvatore Viganò e Antonio Muzzarelli.

A proposito dell’educazione giovanile di Beethoven Francis J. Rowbotham ha scritto che

[…]  l’educazione di Ludwig ricevette uno stimolo sotto forma di lezioni in latino, francese, italiano e logica, date da un uomo di nome [Stephan] Zambona. Questo Zambona era un personaggio eccentrico, le cui peculiarità ben si adattavano alle condizioni prevalenti di casa Beethoven. Apparentemente si considerava idoneo a ricoprire vari incarichi: aveva fatto da locandiere, portiere di camera a corte e contabile, oltre ad essere un insegnante di lingue; il suo valore è stato ben dimostrato dal fatto che Beethoven fece buoni progressi sotto la sua guida.[1]

Il violoncellista Bernhard Mäurer, amico d’infanzia di Beethoven, ricordò allo stesso modo: «Gli ha dato lezioni quotidiane in latino; Louis ha continuato per un anno (in sei settimane leggeva le lettere di Cicerone!) – e anche di logica, francese e italiano».[2]

Nell’orchestra di Bonn con Andrea Luchesi

Cominciamo con quello che molti reputano il vero primo Maestro di Beethoven: Andrea Luchesi, Nato a Motta di Livenza, allievo di Baldassarre Galuppi, nel 1771 – quando Beethoven aveva appena un anno – fu invitato a Bonn dal principe-arcivescovo di Colonia, e per circa trent’anni ne fu il principale animatore musicale. Vi giunse nel corso dell’autunno, portandosi appresso un’équipe di cantanti, un insegnante di dizione italiana e un primo violino, l’eccellente Gaetano Mattioli. Dopo la morte del precedente detentore di questa carica – Ludwig van Beethoven, il nonno del Titano – Luchesi divenne (l’ultimo) maestro di cappella del principe elettore Maximilian Friedrich von Königsegg-Rothenfels, e sotto la sua direzione (dal 1774 al 1794) la cappella musicale di Bonn acquisì la fama di terza migliore entro i confini dell’Impero, seguita – non preceduta – dalla cappella imperiale di Vienna. Come Kapellmeister Luchesi era arbitro della conduzione musicale e dei destini dei musicisti che facevano parte della sua orchestra, di cui Beethoven entrò a far parte come violista all’età di dodici anni.

Nel 1858 un articolo apparso su «The Atlantic Monthly» ricostruiva così la formazione del grande musicista di Bonn, lodando quell’orchestra che dalla fine del 1771 era rimasta ininterrottamente sotto la direzione di Andrea Luchesi: “Alcune indicazioni merita l’orchestra Elettorale, quella scuola nella quale Beethoven ebbe i fondamenti del suo prodigioso sapere sugli effetti strumentali e orchestrali […] Il Kapellmeister nel 1792 era Andrea Luchesi, nativo di Motta nel territorio Veneziano, un fertile e compiuto compositore in molti stili. Il Konzertmeister era Joseph Reicha, un virtuoso di violoncello, un fine direttore e non meno valido compositore. I violini erano 16 e tra essi Franz Ries, Neefe, Anton Reicha – in seguito celebre direttore del conservatorio di Parigi – e Andreas Romberg; quattro viole, tra cui Ludwig van Beethoven; tre violoncellisti tra cui Bernard Romberg; tre contrabbassisti. Tre erano anche gli oboe, due i flauti – uno suonato da Anton Reicha – due clarinetti, due corni – uno suonato da Simrock, famoso cornista e fondatore dell’omonima casa editrice ancora esistente in Bonn – tre fagotti, quattro trombe e i consueti timpani. Quattordici dei quarantatré musicisti erano virtuosi nei loro strumenti e mezza dozzina di essi era apprezzata come compositore. Quattro anni di servizio, nell’ipotesi più riduttiva, in un’orchestra del genere possono ben essere considerati la miglior scuola di tutte quelle che Beethoven possa aver frequentato”.[3]

In quel periodo, probabilmente, il giovane Ludwig imparò da Luchesi le tecniche della composizione “severa”, anticipando così lo studio del contrappunto e della composizione che avrebbe in seguito approfondito nel periodo viennese con Joseph Haydn e soprattutto con Johann Georg Albrechtsberger, studio che lo avrebbe poi occupato per tutto il resto della sua vita.

Con Luchesi Beethoven conobbe lavori di alcuni insigni operisti italiani dell’epoca, quali Paisiello, Salieri, Pergolesi, Sarti e Guglielmi.

Secondo quanto scrive nel suo libro di memorie il già citato Bernhard Mäurer, egli stesso membro dell’orchestra di Bonn dal 1771 al 1780, l’ambasciatore inglese Georg Cressner (o Cressener) sostenne finanziariamente la famiglia di Beethoven. Quando, nel gennaio del 1781, Cressner morì, il giovane Ludwig  compose una cantata in sua memoria, sottoponendola ad Andrea Luchesi per i suoi commenti, e benché quest’ultimo dichiarasse di non riuscire a capirla, accettò di provarla e di farla eseguire dall’orchestra. Mäurer definì questo il primo tentativo di composizione (Cantata a Cressner, Hess 314) di Beethoven[4] (gli studiosi fanno tuttavia fatica ad accettare come vera questa storia, in primo luogo perché Mäurer non avrebbe potuto parlare per memoria personale, avendo lasciato Bonn diversi mesi prima degli eventi descritti); della cantata, al tempo stesso, non si fa menzione in nessun altro racconto coevo sulla giovinezza di Beethoven né ne è stata trovata alcuna traccia fino ad oggi.[5]

Le prime opere accreditate – e sicuramente le prime pubblicate – composte da Beethoven sono dunque considerate due piccole composizioni, un Lied per voce e pianoforte (Schilderung eines Mädchen WoO 107 ) e un Rondò per tastiera (WoO 049), pubblicate nella Blumenlese für Klavierliebhaber del 1783. La Blumenlese è una raccolta di musiche di diversi compositori uscita settimanalmente dal 1782 al 1787 per opera di Roth Bossler; secondo le biografie “ufficiali”, i due brani di Beethoven furono pubblicati sotto consiglio di Gottlob Neefe, organista della cappella musicale di Bonn, che le stesse biografie indicano come primo importante maestro di Beethoven. Questa tesi, cionondimeno, non è affatto suffragata da quanto scritto negli appunti del dottor Franz Gerhard Wegeler, amico molto intimo di Ludwig fin dal 1782 e a cui si devono – assieme agli appunti del compositore Ferdinand Ries, anch’egli amico di Beethoven – le prime note biografiche pubblicate nel 1838. Wegeler scrisse infatti che «Neefe […] influì modestamente nell’educazione musicale del nostro Ludwig, il quale anzi lamentò le critiche che quegli, con eccessiva severità, espresse riguardo ai suoi primi tentativi di composizione».[6]

Perché dunque Luchesi è stato oscurato da secoli di storia musicale?  Non viene mai citato tra i maestri di Beethoven; e dunque, perché di lui si sa ancor oggi poco o nulla?

Facciamo una piccola premessa: tutte le corti d’Europa, piccole e grandi, avevano musicisti stipendiati, soprattutto italiani, ma a quel tempo non esistevano “diritti d’autore”, per cui un musicista poteva copiare tranquillamente una composizione di un altro ed accreditare a sé stesso la creazione. La biblioteca di un Kapellmeister, quando un musicista assumeva l’incarico, diventava sua personale proprietà e questi poteva farne ciò che voleva, anche bruciarla; quanti brani, o parte di brani, dei loro predecessori furono quindi estrapolati, rivisti e copiati come se fossero opere nuove di zecca? Probabilmente non lo sapremo mai. Alcuni studi moderni si spingono a dire che alcune sinfonie di Joseph Haydn (al quale durante il XIX sec. ne furono accreditate oltre duecento) siano in realtà opera di Giovanni Battista Sammartini e di altri compositori italiani e che addirittura alcune opere di Mozart possano essere in realtà opere dello stesso Sammartini o di Andrea Luchesi.

Perché allora non vi è traccia del rapporto tra Luchesi e Beethoven? Perché si volle cancellare la figura del maestro veneto al punto che molto spesso persino il ritratto di Luchesi risulta lo stesso che viene anche legato a Gottlob Neefe? Probabilmente la verità sull’enigma sta nel fatto che Luchesi divenne Kapellmeister prendendo il posto del nonno di Beethoven e che anche il padre di Ludwig anelò per lungo tempo – senza averne peraltro le qualifiche –a quella carica.

Un’altra possibile o persino probabile motivazione di tale misconoscimento  da parte dei tanti biografi beethoveniani sarebbe dovuta in gran parte da quello che è un vizio di fondo tipicamente tedesco: non voler, o poter, ammettere che l’insegnante principe di quello che è stato uno dei massimi geni della musica tedesca e universale sia stato un italiano  e che anche la  “Prima Scuola di Vienna”, potrebbe  essere considerata come una propaggine della Scuola Italiana; sembra quasi che in loro ci fosse la necessità di costruire  a tavolino “una tradizione tedesca” autonoma dagli influssi stranieri (come se fosse possibile una vera cultura realmente autoctona!) che avesse, come fulcro, l’asse Haydn-Mozart-Beethoven”.

[1]Francis Jameson Rowbotham, Story-Lives of Great Musicians, Gardner, Darton & Co., Wells 1907.

[2]Bernhard Joseph Mäurer, Über Ludwig van Beethovens Jugendzeit in Bonn, manoscritto 1830-1840, Staatsbibliothek zu Berlin.

[3]Beethoven: His Childhood and Youth, in «The Atlantic Monthly. A Magazine of Literature, Arts, and Politics», I (1857/58), p. 856.

[4]B. J. Mäurer, Über Ludwig van Beethovens Jugendzeit in Bonn, cit.

[5]Peter Clive, Beethoven and His World. A Biographical Dictionary, Oxford University Press, Oxford 2001.

[6]Franz Gerhard Wegeler – Ferdinand Ries, Beethoven. Appunti biografici dal vivo, a cura di A. Focher, Moretti & Vitali, Bergamo 2002.

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