Opus 56 Concerto in do maggiore per pianoforte, violino, violoncello e orchestra

I) Allegro – II) Largo – III) Rondò alla polacca

Opus 56 Concerto in do maggiore per pianoforte, violino, violoncello e orchestra op. 56, dedicato al principe Lobkowitz, 1803-1804 (non oltre l’estate), pubblicato a Vienna, Bureau d’arts et d’industrie (parti d’orchestra e soli), giugno-luglio 1807, e a Francoforte, Dunst, 1836 (partitura). GA. n. 70 (serie 9/6) – B. 56 – KH. 56 – L. III, p. 1 – N. 56 – T. 124.

Il manoscritto originale è sconosciuto. Gli abbozzi sono contenuti nei quaderni dell’Eroica e del Fidelio. Fra questi ultimi si trovano anche indicazioni ed appunti di cadenza per il Rondò rimasti inutilizzati. Lo Schindler ci informa che quest’opera sarebbe stata composta per il giovane arciduca Rodolfo d’ Austria, al quale proprio allora Beethoven aveva incominciato a dare lezioni. Secondo il Thayer-Riemann  la parte pianistica sarebbe stata scritta con particolare riguardo alle capacità tecniche dell’allievo, cioè in modo non troppo difficile, ma tale tuttavia ch’egli non sfigurasse troppo di fronte agli altri due esecutori: il violinista Carl August Seidler ed il violoncellista Anton Kraft, appartenenti alla sua corte. Specialmente impegnativa è la parte affidata al violoncello, quasi sempre nel registro alto dello strumento e d’una penetrante dolcezza melodica.

Il concerto, prosegue il Thayer-Riemann, dovette essere eseguito privatamente nel 1805 presso l’arciduca Rodolfo, al quale fu poi riservata forse ancora per un anno l’esclusività di esecuzione, secondo una consuetudine già seguita da Beethoven in casi analoghi nei riguardi di altri committenti o destinatari onorari. La prima esecuzione pubblica ebbe luogo in un concerto all’Augarten dell’estate 1808, organizzato dallo Schuppanzig, sembra con poco successo; questo invece non mancò dopo la morte di Beethoven nell’esecuzione del 1830 in un concerto spirituale, con la partecipazione del pianista Carl Maria von Becklet, del violinista Joseph Mayseder e del violoncellista Joseph Merk.

Non abbiamo notizia di esecuzioni intermedie. Dobbiamo dire ch’esse non sono state frequenti neppure in seguito, e che anche oggi l’opera non è sempre considerata fra quelle di prima grandezza del maestro: il che dipende forse dall’assenza in essa di forti espressioni drammatiche, o di contrasti dinamici, o di profondo pathos. Ma la musica resta musica: d’una felice abbondanza e freschezza d’idee, d’una comunicatività immediata che non cade tuttavia nell’usuale, d’una forma scorrevole e pur curatissima, d’una tecnica subordinata sempre al fine espressivo.

Nel primo tempo le idee fondamentali, enunciate elementarmente dal Tutti, vengono ad arricchirsi man mano, con l’entrata successiva del violoncello, del violino e del pianoforte, di elementi collaterali, di deduzioni melodiche nuove, spesso presentate con varietà di luci tonali e legate sempre l’una all’altra, anche nella loro varietà e molteplicità, da un comune impulso ritmico elementare. Il Largo appartiene al novero di quelle pagine beethoveniane in cui la brevità sembra condizione necessaria d’una essenzialità che uno sviluppo maggiore non avrebbe forse raggiunto.

Per questo esso non potrà mai considerarsi come qualche cosa di accessorio nel complesso del Concerto, nonostante sia racchiuso fra due tempi molto più sviluppati e che adempia ad una funzione introduttiva rispetto al Rondò al quale è collegato. Pensiamo per analogia ai tempi corrispondenti, e pure così diversi fra loro, della Sonata per pianoforte op. 53 e di quella per pianoforte e violoncello op. 69. Alla tenera melodia, enunciata in principio dal violoncello su accompagnamento degli archi, partecipano poi tutti e tre i solisti, espressivamente integrati in particolare dal sobrio intervento di qualche strumento a fiato. Un trapasso tonale abbastanza sensibile dopo questa intensa, per quanto breve effusione introduce senza interruzione il Rondò, con il tema armonicamente variegato del suo ritornello pur entro gli estremi del do maggiore fondamentale. Torniamo nell’ordine di idee del primo tempo, ma come di solito in atmosfera di maggiore leggerezza.

La tipica fisionomia di Polacca è palese dal principio alla fine, oltre che nel ritmo, apertamente ribattuto o sottinteso, negli atteggiamenti della melodia principale e degli intermezzi. Soltanto all’ultimo un cambiamento di tempo (Allegro, 2/4) viene ad alterarla: come una stretta, che peraltro cede ancora il campo al ritorno del normale Tempo I, 3/4, per una appropriata conclusione dal doppio punto di vista concertistico e formale.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 56 Konzert (C-dur) für Violine, Violoncello, Klavier und Orchester Widmung: Franz Joseph Maximilian Fürst Lobkowitz NGA III/1 AGA 70 = Serie 9/6 Beiname: Tripelkonzert

Creazione e pubblicazione: gli schizzi superstiti furono realizzati nel marzo/aprile 1804. A maggio o all’inizio di giugno di quell’anno la partitura e le parti erano disponibili per la prima esecuzione. L’edizione originale in parti fu pubblicata nel giugno/luglio 1807 dal Kunst- und Industrie-Comptoir di Vienna. Schizzi nel taccuino “Keßler” e una partitura autografa interrotta mostrano che Beethoven stava già lavorando a un concerto in re maggiore nella primavera del 1802 prima del triplo concerto del 1804 (vedere Opere incompiute Unv 6). Alan Tyson congettura inoltre che attorno al 14 ottobre 1803, quando il fratello di Beethoven, Kaspar Karl, offrì agli editori Breitkopf & Härtel un „Konzertant für alle Instrumenten für Klavier Violonzello und Violin“ (BGA 163), si sia riferito a un progetto abbozzato per un tale concerto in sol maggiore ( che si trova nella raccolta di abbozzi conservata nella D-B, Mus. ms.autogr. Beethoven Landsberg 10, pp.18-20) Secondo Jonathan Del Mar, una parte copiata del primo violino, conservata nell’archivio della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, verificata da Beethoven, prova che esisteva  una prima versione del concerto: „This Urfassung must have been totally revised in every detail; Beethoven must have written out two entire full scores.“ Non è chiaro se si trattasse di un’opera commissionata dal principe Lobkowitz, ma nel novembre 1804 Beethoven ricevette una somma di denaro dal principe per la dedica. Opus 56 era una delle composizioni offerte a Breitkopf & Härtel il 26 agosto 1804, cui gli editori rinunciarono nel giugno 1805 (vedere Op. 53).

Dedica: vedere op. 18. Prima esecuzione come parte di due „Proben“  presso il principe Lobkowitz a Vienna prima del 9 giugno 1804 (vedere anche Op. 55). Il concerto fu probabilmente tenuto pubblicamente per la prima volta il 18 febbraio 1808 al Gewandhaus di Lipsia e a Vienna solo nel maggio 1808 all’Augarten. L’11 giugno 1804 Lobkowitz approvò il pagamento di alcuni musicisti che avevano assistito la sua orchestra in due prove “vom Bethowen seine Sinf: u Conc:”. Poiché, su richiesta del principe, il pagamento doveva essere effettuato entro due settimane dal rispettivo servizio, queste prove dovevano aver luogo alla fine di maggio o all’inizio di giugno. Una ricevuta del copista viennese Wenzel Sukowaty, contenente un „Concerto del Sig: Bethoven das erste Allegro – 9 Parten […] zu detto das Adagio. Alla Polacca und das letzte Tempo Allegro“  prova che il concerto provato fosse l’ op. 56. Non si sa nulla dei solisti delle prime esecuzioni; forse solisti furono Anton Wranitzky e Anton o Nikolaus Kraft e la parte del pianoforte fu forse suonata dallo stesso Beethoven. In una riunione del 25 gennaio 1805, Anton Wranitzky propose l’Eroica e il Triplo Concerto alla Tonkünstler-Societät per il concerto quaresimale della Società. In tutti i casi il suggerimento non fu messo in pratica. L’Allgemeine Musikalische Zeitung riporta la prima esecuzione a Lipsia „von den dies Vierteljahr gehörten Konzerten“: „Das grosse Beethovensche Konz, für Pianoforte, Violin u. Violoncell, mit reichem Orchester begleitet; die Solostimmen von Mad. Müller, Hrn. Matthäi und Hrn. Dozzauer gespielt. Dies Konzert ist, unsrer Einsicht nach, unter den gestochenen Beet-hovenschen das letzte – nicht blos in Bezug auf die Zeit. […] So gut das Konzert gespielt und begleitet ward, so sehr das hiesige Publikum für B.s Kompositionen gewonnen ist: so gefiel diese doch nur mässig.“ Si trattava probabilmente di un concerto che ebbe luogo nella Gewandhaus il 18 febbraio 1808.

Riguardo alla prima esecuzione pubblica viennese si legge: „Auch hörten wir in einer dieser Akademien ein ganz neues Concertino von Beethoven für Pianof., Viol. und Violonc., mit Begleitung des Orchesters; welches aber keinen rechten Eingang finden wollte. Es besteht fast nur aus Passagen, welche auf die drey Instrumente ziemlich gleich vertheilt sind, mit der Zeit aber, für den Zuhörer, wie für den Spieler, gleich ermüdend werden; indem weder das Ohr des Erstem, noch die Hand der Letzteren die Ruhe finden können, um gleichsam zu sich selbst zu kommen. Indessen kann man, wie bekannt, über Beethovensche Kompositionen selten beym Erstenmale ein bestimmtes Urtheil fällen“

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

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