Opus 67 Sinfonia n. 5 in do minore

I) Allegro con brio – II) Andante con moto – III) Allegro – attacca: – IV) Allegro

Opus 67 Sinfonia n. 5 in do minore op. 67, dedicata al principe Franz Joseph Lobkowitz e al conte Andreas Rasumowsky, 1804 – principio 1808, pubblicata in parti d’orchestra a Lipsia, Breitkopf e Härtel, aprile 1809; in partitura id. id., marzo 1826. GA. n. 5 (serie 1/5) – B. 67 – KH. 67 – L. Ili, p. 70 – N. 67 – T. 140 Orchestra: 2 flauti, ottavino (nel Finale), 2 oboi, clarinetti, 2 fagotti, controfagotto (nel Finale), 2 corni 2 trombe, 3 tromboni (nel Finale), timpani, archi

Il manoscritto è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Gli abbozzi, che si trovano in vari fogli e quaderni, vanno dal 1804 al 1807 e sono stati descritti dal Nottebohm. La prima esecuzione ebbe luogo al teatro an der Wien il 22 dicembre 1808.

Una logica passionale, attraverso gli stati d’animo ricchi di luce e d’ombra dell’ Andante e le fantastiche visioni del terzo tempo, collega in un rapporto ideale di antecedenza e conseguenza l’ Allegro con brio al Finale. Il tema posto a base dell’Allegro con brio (i cosiddetti « colpi del destino che batte alla porta », secondo la nota frase attribuita a Beethoven, intorno alla quale troppa retorica è stata fatta) ha vari precedenti.

Lo Chantavoine ne rileva la presenza in maniera episodica in opere anteriori: finale della Quinta Sonata per pianoforte op. 10 n. 1 in do minore, primo tempo (Coda) del Terzo Concerto per pianoforte e orchestra in do minore, tema principale dell’ Allegro del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra, pure contemporaneo della Sinfonia. Il Torrefranca ne trova la traccia in un Allegro di Giambattista Sammartini; il Paribeni lo avvicina a quello della Sonata per pianoforte in sol minore op. 34 nr. 2 di Clementi in cui domina tutto il primo tempo, e, con ritorno ciclico, anche il finale.

Ma, qualunque possa essere la sua prima origine o la sua rassomiglianza con altri ritmi o temi, il particolare carattere interiettivo qui dato — che costituisce l’individualità inconfondibile di tutto il tempo — basta a sciogliere ogni suo legame di dipendenza da elementi di musicalità comune o naturale. Il secondo tema sorge e si sviluppa entro la sua inquadratura. Nel solco scavato dall’incidenza dei suoi richiami si svolge anche l’episodio che precede la ripresa, caratterizzato da un singolare rinvio di accordi dagli strumenti a fiato agli archi. Ed è pure dalla sua proposizione che rampolla, nella ripresa, la cadenzina dell’oboe come un Perché mi schiante?, più sincero ed umile peraltro di quel che possa immaginarsi nell’interrogazione dantesca. L’impeto compensa in tutto questo primo tempo lo schematismo della linea.

Sviluppi, raccordi, giri tonali sono più brevi e semplici che nella Terza Sinfonia, ma qui tutto è più propriamente slancio e scatto. L’Andante con moto poggia sulla varia inflessione espressiva di un ordine di idee musicali affini fra loro. Nella prima proposizione tematica la larga melodia degli archi, dopo essersi diluita supplichevolmente passando nei legni, si stabilizza nella frase terminale come una acquiescenza rassegnata. Il secondo tema sembra in principio continuare nel senso del primo; poi si arresta dubbioso, per riprendersi modulando in un energico passaggio in do maggiore.

L’alternativa ripetuta di questi due elementi (in cui al primo, che ritorna in forme variate assumendo di volta in volta aspetti diversi, passando dalla serenità all’idillio, all’implorazione, talora quasi ad una sconsolata ironia, risponde l’altro con immutato carattere di sicurezza affermativa) si conclude alla fine nel senso di una chiarificazione che allude già a quella risolutiva del finale. Il tema iniziale del terzo tempo (Allegro) è come note identico (salvo il tono differente) a quello del finale della Sinfonia in sol minore di Mozart K. 550. Ma il ritmo ed il colore gli attribuiscono una fisionomia particolare (Berlioz ne paragonava l’impressione « à cet émotion inexplicable qu’on épreuve sous le regard magnétique de certains individus »).

Un secondo tema nei corni, appare come un fatidico richiamo, in alti accentuazione ritmica e in una luce quasi di tregenda del tema del destino (chiamiamolo così tanto per intenderci) del primo tempo.

Nel Trio sono caratteristici la pesante figura di slancio che sale in imitazioni dai violoncelli e contrabbassi agli altri strumenti, cadenzanti robustamente (il suo movimento può confrontarsi col il secondo del Terzo Concerto Brandeburghese di Bach), e nella seconda parte, i suoi arresti improvvisi in cui lo Schumann vedeva una figura di comico musicale.

Questa forse è una impressione personale; ma l’intero Trio potrebbe valere, nell’insieme, come una nota di clamorosa caricatura immessa nel mezzo della sinistra visione e d’altra parte ben adeguata alla tinta violenta e fantastica del quadro generale. Poi tutto si oscura: l’Allegro viene ripetuto in un’atmosfera spettrale, con i caratteri di una ridda in cui ogni immagine di vita, ogni sentimento definito sembrano man mano deformarsi e dissolversi.

Ma proprio all’ultimo le voci strumentali tornano ad affluire sovrapponendosi ed addensandosi in uno straordinario crescendo fino alla irruzione vittoriosa del finale (Allegro): una travolgente risurrezione, nella magnificazione del tono di do maggiore, che risponde vittoriosamente alla tragica interrogazione del do minore del primo tempo. In questa celebrazione convergono altri e vari elementi musicali tematici e di sviluppo: alcuni anche legati per l’analogia ritmica a quello del destino del primo tempo. La ripresa è condotta da un breve ritorno dell’episodio spettrale che concludeva il tempo precedente, come un fugace riaffacciarsi dell’elemento negativo, subito sopraffatto dalla rinnovata irruzione del tema vittorioso.

Nella Zeitschrift für Musikwissenschaft del febbraio 1934 Io Schering attribuiva a quest’opera il significato di una Sinfonia della riscossa nazionale o della rivoluzione (« Essa dovrebbe trasformarsi in un simbolo che, proprio per noi tedeschi del presente, splende di piena luce meridiana»), interpretandola, con ampiezza di discutibili particolari illustrativi, sulla base dello schema seguente: Primo tempo: Il tiranno e il popolo — Secondo tempo: Preghiera al Cielo perché mandi l’eroe salvatore — terzo tempo: Il popolo si domanda chi sarà questo eroe, i profeti ne preconizzano la prossima venuta. Nel Trio episodio di lotta contro i falsi eroi — Quarto tempo: l’eroe appare nel suo pieno splendore, acclamato dal popolo esultante.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 67 Symphonie Nr. 5 (c-moll) Widmung: Franz Joseph Maximilian Fürst Lobkowitz und Andreas Kyrillowitsch Graf Rasumowsky NGA1/3 AGA 5 = Serie 1/5 Beiname: Schicksalssymphonie

Origine e pubblicazione: i primi schizzi risalgono alla prima metà del 1804. Beethoven iniziò quindi a lavorare all’op. 67 a più riprese probabilmente solo nell’autunno/inverno 1806/07, ma interrompendosi nuovamente a favore di altri lavori. Intorno al settembre 1807 iniziò la fase principale della stesura per il secondo, terzo e quarto movimento. A questo punto il primo movimento era probabilmente già in gran parte elaborato ed era iniziata la partitura autografa. Nel marzo 1808, secondo Beethoven, la sinfonia era „schon lange bereit“. In seguito furono apportate numerose correzioni al testo musicale. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Breitkopf & Härtel a Lipsia nell’aprile 1809, e la partitura completa seguì nel marzo 1826. Beethoven stava già progettando almeno un’altra composizione di questo genere mentre stava lavorando alla 3a sinfonia op.55 nel 1803. Tra gli schizzi per l’op. 55 si trovano le prime idee con possibili riferimenti all’op. 67 e 68. Nella loro corrispondenza di questo periodo, Ferdinand Ries e Kaspar Karl van Beethoven menzionano ripetutamente una seconda sinfonia non ancora terminata (BGA 152, 163, 165, 171, 173). La composizione di un’altra sinfonia accanto all’op. 55 riguardava, tra l’altro, i piani per un viaggio di Beethoven a Parigi, mai concretizzato (BGA 173). Forse anche per questo sospese il lavoro sulla nuova sinfonia.

Tra gli schizzi per il concerto per violino op.61, scritto probabilmente nel novembre/dicembre 1806, esistono ulteriori schizzi per l’op. 67, che documentano la ripresa da parte di Beethoven del progetto sinfonico. Un quaderno di schizzi degli anni 1806/07 è probabilmente andato perduto, quindi si può solo supporre che i piani di composizione per la 5a sinfonia siano rimasti dormienti fino a quando i lavori sulla Messa in do maggiore op.86 non furono completati nell’agosto/settembre 1807. Come dimostra una lettera del marzo 1808, la sinfonia era inizialmente destinata al conte Oppersdorff, che aveva commissionato a Beethoven un’opera di questo genere: „ich will ihnen daher nur noch melden, daß ihre Sinfonie schon lange bereit liegt, ich sie ihnen nun aber mit nächster Post schicke — 150 fl. können sie mir abhalten, da die Copiaturen welche ich für sie machen laßen, Wenigstens 50 fl. ausmacht — im Fall sie aber die Sinfonie nicht wollen, machen sie mir’s noch vor künftigen Posttag zu wissen – im Falle sie selbe aber nehmen, dann erfreuen sie mich sobald als möglich mit den mir noch zukommenden 300 fl. — Das lezte Stück der Sinfonie ist mit 3 Posaunen und flautino – zwar nicht 3 Pauken, wird aber mehr lärm als 6 Pauken und zwar bessern lärm machen“ (BGA 325). Beethoven incontrò probabilmente Oppersdorff durante il suo soggiorno al castello di Graetz con il principe Lichnowsky nell’autunno del 1806. Nel giugno 1807 Beethoven aveva già ricevuto 200 fiorini da Oppersdorff, e nel marzo 1808 ne furono aggiunti altri 150. Nel novembre 1808, però, dovette riferire: „Sie werden mich in einem falschen Lichte betrachten, aber Noth zwang mich die Sinfonie, die für sie geschrieben, und noch eine Andere dazu an Jemanden ändern zu veraüßern“ (BGA 340).

Presumibilmente Oppersdorff scrisse sulla ricevuta del 29 marzo 1808 la nota „auf die 5. Sinphoni gegeben aber noch nicht erha[lten]. Den 25 Nov. 1808“. Beethoven dedicò finalmente al Conte la sua 4a sinfonia op.60 invece della 5a. Secondo le conoscenze attuali, l’altra persona menzionata da Beethoven era probabilmente il principe Lobkowitz, uno dei dedicatari. Il materiale orchestrale per la 5a e 6a sinfonia, realizzato nel 1808, proviene dalla sua proprietà. Probabilmente aveva acquisito un diritto esclusivo di sei mesi su entrambe le opere, a partire dal 1 giugno 1808. Ciò spinse Beethoven a chiedere a Breitkopf & Härtel l’8 giugno 1808: „Aus meh-rern Rücksichten muß ich bey den 2 Sinfonien die Bedingung machen, daß sie vom 1-ten Juni angerechnet erst in Sechs Monathen herauskommen dörfen – Vermuthlich dörft ich eine Reise gegen den Winter machen, und wünschte daher, daß sie wenigstens im Sommer noch nicht bekannt würden“ (BGA 327). Già nel 1803, quando Beethoven stava annotando idee isolate per altre sinfonie nel taccuino “Landsberg 6” oltre agli schizzi per la 3a sinfonia, fu fatta un’offerta a Breitkopf & Härtel per „eine oder zwey Simpfonien“ (BGA 163). Questi piani inizialmente fallirono. Fu solo nel giugno 1808 che Beethoven offrì di nuovo all’editore due sinfonie (op. 67 e 68) così come la messa op.86 e la sonata per violoncello op.69 (BGA 327). A questo contatto seguì una vivace corrispondenza con Breitkopf & Härtel, in cui Beethoven cercò di stabilire legami più stretti con questo editore.

 Una serie così ampia e ininterrotta di prime edizioni non era mai stata prodotta da nessun editore, nemmeno da Artaria, Mollo, Cappi o la Kunst- und Industrie-Comptoir. Nel settembre 1808, durante la sua visita a Vienna, Gottfried Christoph Härtel ricevette le copie delle partiture dell’op. 67 e 68: „hier die eine Sinfonie, die andere bringt ihnen Gegen Eilf halb zwölf uhr mein Bedienter auch – Der Kopist ist dran die Fehler, die ich angezeigt, in derselben zu korrigiren“ (BGA 335).  La partitura e le parti furono corrette da Beethoven. Un’altra copia dell’Op.67 fu realizzata prima della prima esecuzione dell’opera il 22 dicembre 1808.

Soprannomi: Il popolare titolo “Schicksals-Symphonie” (Sinfonia del destino) risale ad Anton Schindler. Il famulo scrive: „Den Schlüssel zu diesen Tiefen gab dessen Schöpfer selber, als er eines Tages mit dem Verfasser [Schindler] über die denselben zum Grunde liegende Idee sprach, mit den Worten ,so pocht das Schicksal an die Pforte!  indem er auf den Anfang des ersten Satzes hinwies“ (Schindler/Beethoven 1860 vol. 1 p. 158). Non è chiaro quanto seriamente debbano essere prese queste informazioni.

Sui due dedicatari vedere l’ Opus 18 (Lobkowitz) e Opus 59 (Rasumowsky). – Beethoven li specificò in una lettera del 4 marzo 1809: „Beyde Sinfonien Den beyden Herrn zugleich nemlich: S [einer] Exzellenz Dem Grafen Rasoumowsky und Seiner Durchlaucht dem Fürsten Lobkowitz gewidmet – Sinfonie in c moll op. 60 [!], Sinfonie in F op. 61 [!] (BGA 359). Prima esecuzione pubblica all’Accademia di Beethoven il 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien. In questa accademia furono eseguiti per la prima volta pubblicamente (con Beethoven come solista) la 6a Sinfonia op.68, la Fantasia corale op.80 e il 4° Concerto per pianoforte op.58, oltre a Gloria e Sanctus dalla Messa in do maggiore Opus 86.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

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