Beethoven e l’invenzione della gioia.

La Sonata per pianoforte op. 78. Di Carlo Bianchi

Si parla sempre della Sonata in do diesis minore, ma ho scritto cose ben migliori.
La Sonata in fa diesis maggiore ad esempio è tutt’un’altra cosa!

Beethoven a Carl Czerny[2]

I.

Eseguita piuttosto di rado e considerata una sorta di parentesi nella produzione sonatistica beethoveniana, l’op. 78 reca invero, nei suoi due pur brevi movimenti, strategie compositive e formali quanto mai rispondenti della poetica del sommo compositore di Bonn. Per certi aspetti può essere paragonata all’op. 54, altra Sonata poco frequentata dal pubblico e dai pianisti, anche perché messa in ombra da due Sonate scritte da Beethoven rispettivamente subito prima e dopo – l’Aurora op. 53 e l’Appassionata op. 57 – e divenute capisaldi del repertorio pianistico in generale. Le peculiarità della Sonata op. 54 erano state già evidenziate da Erwin Ratz in un saggio sull’interpretazione di Beethoven pubblicato nel 1970. Quel saggio compariva in coincidenza dell’importante bicentenario della nascita di Beethoven, ma altresì in un periodo di forti tendenze razionali nella produzione e concezione compositiva contemporanea che pure incidevano sulla riflessione musicologica (nonché sulla prassi esecutiva e le scelte di repertorio). Ratz rimarcava come le Sonate di Beethoven più note e celebrate fossero quelle che al di là delle intenzioni o dichiarazioni del compositore avevano stimolato titoli e referenti extra-musicali, ma altresì in un periodo, quello romantico ottocentesco, in cui il rapporto tra estetica della forma ed estetica del contenuto risultava conflittuale.

La teoria ermeneutica non poteva in alcun modo rendere giustizia del contenuto della musica. I tentativi di spiegazione erano pertanto impressioni arbitrarie sprovviste di qualsiasi relazione con il materiale musicale. E questo è il motivo per cui esse venivano etichettate, non senza ragione, come non-musicologiche [unwissenschaftlich].[3]

Muovendo dalla considerazione generale che si può tentare un’interpretazione del significato dell’opera nelle sue istanze extra-musicali soltanto dopo averla esaminata nel suo «contenuto» inteso come «idea musicale» (id est pensiero compositivo) che si manifesta nella «forma» (concretezza sonora), Ratz prende la Sonata op. 54 come esempio paradigmatico di un’opera in cui tale contenuto musicale è talmente significativo già in sé che non pare invocare spiegazioni ad altri livelli. Proprio questo tuttavia – rimarca sempre Ratz – ha fatto sì che il pieno significato della Sonata venisse scarsamente riconosciuto ancora nel 1970. Lo studioso tedesco infatti nel perorare le qualità dell’op. 54 stigmatizza anche una presunta tendenza diffusa fra il pubblico ad aspettarsi talmente e forsanche inconsciamente un contenuto extra-musicale da una composizione, al punto che, qualora questo non venga rintracciato, si tende a pensare meno anche al brano in sé e attribuirvi meno importanza. La Sonata op. 54 viene pertanto inserita da Ratz nell’alveo di quelle composizioni che possono suscitare la nostra ammirazione in ragione di «una perfezione esclusivamente musicale», al cospetto di quelle in cui invece la materia compositiva viene trascesa additando un significato dell’opera che risiede anche in «istanze umane e perfino religiose».[4]

Un paragone con la Sonata op. 78 e i suoi preziosismi compositivi potrebbe così essere motivato anche dall’assenza di una connotazione extra-musicale, che si contrappone – analogamente alla contrapposizione fra l’op. 54 alle opp. 53 e 57 – alla ben più celebre Sonata op. 81a, scritta nel medesimo anno 1809 e ammantata da Beethoven dei noti significati politici fin dal celebre incipit Le-be-wohl rivolto all’Arciduca Rodolfo in esilio. E tuttavia questo saggio intende sottoporre il contenuto dell’op. 78 a nuove considerazioni al pari della contrapposizione che Ratz individuava fra perfezioni esclusivamente musicali e opere che trascendono la materia compositiva. Quella che Ratz definiva «dicotomia inseparabile dalla natura dell’opera» è stata collocata dalla musicologia più recente in una nuova prospettiva con particolare attenzione proprio alla traiettoria beethoveniana ritrovando nuovi intrecci e motivazioni nel rapporto fra materia compositiva e mondo della vita.[5]

Una disamina dell’op. 78 che tenga conto delle istanze umane e persino delle circostanze sociali in cui venne composta si fa parte di una generale tendenza post-moderna a riconsiderare anche quelle «impressioni arbitrarie» che nel corso dell’Ottocento avevano conferito titoli e spiegazioni apocrife alle Sonate di Beethoven tramite metodi ermeneutici forsanche «inadeguati» ma che risentivano comunque di un latente accordo fra tecnica compositiva e spirito del tempo. In particolare, l’op. 78 risvegliava l’orgoglio del compositore per via di un procedere quanto mai organico nel primo movimento che tende a uniformare e integrare le dialettiche della forma-sonata beethoveniana, al servizio del carattere eminentemente lirico del primo tema. D’altronde, il continuo e sottile lavorio tematico, improntato a un procedimento di variazione più che sviluppo, trova una logica prosecuzione e forte accentuazione nel Rondo e nel carattere improvvisativo degli episodi che si alternano al ritornello veicolando quel carattere di abbandono al piacere disinibito che Beethoven attribuiva alla pratica dell’improvvisazione. Anche in tal modo veniva maturando lo spirito gioioso che accomuna questo Rondo a molti altri finali beethoveniani e che avrebbe raggiunto il culmine al termine della parabola beethoveniana, nell’Inno alla gioia della nona Sinfonia.

II.

Il primo movimento è in una forma-sonata che a un primo ascolto si distingue soprattutto per lo sviluppo alquanto breve. Da un’analisi più capillare, tuttavia, emerge come la riduzione dello sviluppo sia parte di una generale tendenza ad attenuare i contrasti fra le varie sezioni della forma, in particolare fra il primo e il secondo tema. Tale livellamento deriva da un utilizzo intensivo del materiale del primo tema – inteso come la semifrase di quattro battute 5-8 che segue la breve introduzione indicata Adagio cantabile. Ancora più in particolare Beethoven sfrutta l’incipit del motivo iniziale di due battute, le tre note ascendenti per moto congiunto. La sezione tematica principale poi, considerata in base ai principi e alle segmentazioni della Formenlehere classica, è costituita da sezione di 8 battute: 4 + 4 (5-8 + 9-12) + 4 (13-16) con una connotazione di «frase» più che di «periodo». A suffragio della tipologia di frase interviene sia il carattere di ‘apertura’ finale del segmento di otto battute (batt. 12), sia il carattere di variazione che le battute 9-12 («prosecuzione» più che «conseguente») denotano rispetto alle batt. 5-8 («presentazione» più che «antecedente»). Procedimento che prosegue nelle quattro battute successive 13-16.

Fig. 1: L.v. Beethoven, Sonata per pianoforte in fa diesis maggiore op. 78, I, batt. 1-18 (Könemann Music Budapest, ed. I. Máriássy – T. Záskaliczky, KM 4002, vol. II – K 109, 1999, p. 162).

Secondo un contributo critico di Carl Dahlhaus, ancora oggi fondamentale per distinguere tra le tipologie di frase e periodo, una caratteristica precipua del secondo dovrebbe essere una relazione fra cadenza sospesa e cadenza perfetta «che conservi un certo grado di preminenza rispetto alle corrispondenze metriche e alle associazioni motiviche». Invero, anche lungo questo segmento tematico beethoveniano di 8 battute, le armonie di tonica e dominante inquadrano la prima semifrase di batt. 5-8, collegando i due motivi di due battute, e infine la conclusione a batt. 12. È tuttavia insita nella natura della cadenza tonale, anche nelle tipologie di frase, una corrispondenza fra gradi armonici fondamentali e curve melodiche significative o cesure motiviche. Nel complesso, l’aspetto più significativo e caratterizzante di questo segmento beethoveniano è comunque il citato procedimento di elaborazione continua, se non si può definire sviluppo, che le batt. 9-12(16) mostrano rispetto al motivo iniziale di quattro battute 5-8.

Fig. 2.

Le figurazioni di semicrome fra le batt. 8-10 sono un evidente fioritura dell’incipit del tema la-si-do ascendente. Quella ‘testa’ tematica ritorna ancora più evidente nella conclusione accordale della frase (batt. 12) e nelle conseguenti progressioni (fino a batt. 16) quando inizia la transizione che conduce al secondo tema. Le terzine di crome fra batt. 10-11, che collegano le elaborazioni della testa del tema, derivano a loro volta dal secondo motivo di due battute (7-8), in particolare dal tratto finale discendente fa-mi-re-do.

Fig. 3.

Elementi del tema sono presenti già nella breve introduzione Adagio cantabile di quattro battute. La linea data dal ‘soprano’ degli accordi si configura come una pre-elaborazione dell’incipit del tema.

Fig. 4.

D’altronde, a conclusione della prima sezione tematica, la transizione al secondo tema si inserisce in quella tipologia di transizioni che sfruttano elementi del primo tema. Essa prende le mosse a batt. 16 dalla medesima figurazione di semicrome che dava inizio alla «prosecuzione» di batt. 9-12 a mo’ di variazione dell’incipit del tema. Incipit che viene poi ripetuto quasi letteralmente a batt. 17. Le figurazioni di semicrome alla mano destra fra batt. 18-28 costituiscono la transizione modulante vera e propria che conduce al secondo tema nell’area della dominante do diesis maggiore (essendo fa diesis maggiore la tonalità di impianto). Potrebbe sembrare arduo intravvedere elementi del tema anche in questo passaggio. Eppure le semicrome riecheggiano sempre quelle udite fin da batt. 9 e alcuni editori della Sonata, in particolare Frederic Lamond e Alfredo Casella rispettivamente nel 1918 e 1919, hanno inteso evidenziare graficamente all’acuto un frammento melodico discendente di tre note fra batt. 20-22 che risuona come inversione dell’incipit del tema.

Fig. 5: L.v. Beethoven, Sonata op. 78, I, batt. 19-24 (ed. F. Lamond, 1918).

L’autografo beethoveniano non riporta questa differenziazione, e così la maggior parte delle edizioni a stampa, fin dalla prima, comparsa nel 1809 per Breitkopf & Härtel. Eppure l’operazione di Lamond e Casella non si configura nemmeno come tradimento del testo, ma piuttosto come una lettura più profonda del suo «contenuto musicale» – secondo l’accezione di Ratz – individuando un elemento cui Beethoven poteva essere giunto persino al di là delle sue intenzioni.

Fig. 6: L.v. Beethoven, Sonata op. 78, I, batt. 28-39 (Könemann, cit.)

Il secondo tema si presenta dunque nella dominante do diesis maggiore, alla fine della transizione, fra le batt. 28-32. Sempre nello spirito della «frase», un motivo di due battute costituito da una successione di terzine di crome viene ripetuto due volte. Vi è una evidente similitudine rispetto alle terzine già udite nella «prosecuzione» del primo tema a batt. 10-11. Il secondo tema si pone quindi a sua volta come elaborazione del primo, più che come contrasto. Tutta la sezione tematica secondaria è condotta ancora secondo il principio della «frase»: il motivo a batt. 32-34 è infatti un’evidente fioritura del primo, una ‘diminuzione’ in semicrome che sfocia progressivamente nelle codette: ma queste semicrome derivano

ancora da quelle che a batt. 9 costituivano la prima variazione del tema iniziale. Lo sviluppo, dicevamo piuttosto breve (batt. 39-55), prende le mosse da una ripresa del primo tema in minore per poi sfruttare sistematicamente una variazione dell’incipit attraverso vari gradi della tonalità sostenuti da un continuum – ancora – di semicrome.

Fig. 7: Ibid., batt. 39-48.

La riconduzione al tema principale ristabilisce la tonica fa diesis maggiore.

Fig. 8: Ibid., batt. 56-59.

Sfruttando il procedimento variativo insito nella «prosecuzione» del tema, questa viene ampliata e trasposta fino alla tonalità ‘lontana’ di do maggiore (batt. 64-66, fig. 9). Anche le progressioni accordali successive (batt. 67-75) basate sempre sulla testa del tema vengono continuamente trasposte e ampliate nella texture.

Fig. 9: Ibid., batt. 62-73.

La transizione conduce al secondo tema nella tonalità di impianto fa diesis maggiore. La «prosecuzione» della frase sfocia nelle codette che stavolta però, nel presagire la conclusione, sostengono un ulteriore ritorno variato del tema iniziale, concludendosi con una «liquidazione».

Fig. 10: Ibid., batt. 98-105.

Per via del carattere cantabile del primo tema e di una sostanziale continuità e assenza di contrasti fra le varie sezioni da cui scaturisce un’aura complessivamente elegiaca, il primo movimento dell’op. 78 viene talvolta definito ‘schubertiano’. Si possono in effetti ricondurre alle modalità di scrittura di Schubert, specialmente nella forma-Sonata, ma anche

alle forme di altri movimenti o pezzi brevi (Improvvisi, Momenti musicali), sia il carattere lirico del tema, sia la relativa elaborazione che Beethoven persegue lungo tutto il movimento. Non solo la continua variazione a breve distanza ma anche la comparsa in differenti sezioni della macro-forma di elementi già uditi e solo leggermente variati, laddove la tipologia classica prevede soluzioni alternative o contrastanti, invoca un aggettivo talvolta adottato per la processualità schubertiana – Wanderer, dall’omonima Fantasia pianistica – a indicare con evidente accezione extra-musicale narrativa un medesimo soggetto che attraversa la composizione presentandosi ogni volta sotto aspetti e in luoghi diversi (eclatante il caso dell’Improvviso in do minore op. 90 n. 1, giusto per rimanere nell’ambito del pianoforte).

Non paiono tuttavia agganci narrativi potenzialmente letterari o autobiografici a contraddistinguere l’op. 78 di Beethoven, anche solo come analogia inconsapevole. Piuttosto, le caratteristiche compositive di questa Sonata – quelle del primo movimento e ancor di più, come vedremo, il Rondo – paiono scaturire da un’altra istanza beethoveniana che fondeva il contenuto strettamente musicale dell’opera con il mondo della vita del compositore, in un continuo gioco di rimandi reciproci, ossia la pratica dell’improvvisazione cui abbiamo accennato a suggello del capitolo introduttivo (p. 3). Stando alle testimonianze dell’epoca, Beethoven, come altri musicisti suoi contemporanei, usava improvvisare temi in pubblico inventando all’istante un ricco campionario di variazioni. La variazione tematica che egli esibiva estemporaneamente in pubblico rifletteva e informava, inevitabilmente, i procedimenti delle sue composizioni scritte. Che si possano ricollegare a questo le continue variazioni tematiche del primo movimento dell’op. 78 e del Rondo, lo conferma indirettamente una testimonianza di Carl Czerny il quale descrive le improvvisazioni di Beethoven in relazione alla forma.

Nel corso di un primo movimento o di un finale Rondo di Sonata, egli dopo una prima parte in cui aveva concluso in modo regolare inventando un tema secondario in una tonalità relativa, nella seconda parte si abbandonava liberamente al proprio entusiasmo sfruttando il motivo in ogni modo. In un movimento Allegro tutto era arricchito da passaggi di bravura anche più difficoltosi di quelli che si trovano nelle sue opere.[6]

La testimonianza di Czerny è indicativa di aspetti tecnico-formali, ma altresì del significato umano ed emotivo che l’improvvisazione aveva per Beethoven. Da un lato, improvvisare in pubblico era certo anche un fatto sociale, un modo per attirare attenzione dell’audience sulla propria figura di compositore in cerca di successo, specie quando Beethoven comparve a Vienna. Eppure, non si trattava di una mera strategia performativa i.e. calcolo narcisistico per vendere la propria immagine. Vi era in quell’estemporaneo virtuosismo creativo una sincera carica di gioia e vitalità, il puro piacere dell’invenzione che scaturisce all’istante sotto le dita. Proprio in quell’anno 1809 in cui stava componendo l’op. 78, Beethoven lasciò scritte, su alcuni schizzi per il Lied Sehnsucht WoO 134, alcune indicazioni sulle modalità di improvvisazione. Oltre una prescrizione di tipo formale, di modellare l’improvvisazione seguendo lo schema tripartito Variazioni su Lied – fuga – finale in pianissimo, riportata sulla pagina 3-verso,[7] è illuminante quanto il compositore scrive sul recto della pagina 3

Fig. 11: Schizzo per il Lied Sehnsucht WoO 134, Beethoven-Haus, Bonn, Sammlung H.C. Bodmer, HCB Mh 75, p. 3 (recto). Per gentile concessione.

Man fantasirt eigentlich nur, wenn man gar nicht acht giebt, was man spielt, so – würde man auch am besten, wahrsten fantasiren öffentlich – sich ungezwungen überlassen, eben was einem / einfällt

[Si improvvisa veramente solo quando non si bada affatto a quel che si suona, così – anche se in pubblico si passasse alla migliore e più sincera improvvisazione, abbandonarsi senza costrizioni a quello che piace]

Preziose anche le indicazioni scritte sulla pagina successiva (4)

Fig. 12: Ibid., HCB Mh 75, p. 4 (recto). Per gentile concessione.

Bey andern Gelegenheiten sich das Thema geben laßen geschrieben, und gleich variirt

[In altri casi farsi scrivere il tema dato e variarlo subito]

La scritta im Concert sempre a due è riferita al passaggio sottostante, mentre ancora più sotto si legge:

alle opern-Bücher durchgelesen um manchmal passende Texte  zu einem lied zum variiren anzuwenden so z. B. ein lied wo lebe wohl oder d.g. von Abschiede vorkömmt wenn man irgendwo fortgeht – Da wahrscheinlich nichts zu hoffen ist, so richte es so ein, daß du in der Fasten Ein oder 2 Konzerte Auf praenumeration bej jan giebt – und dann in Gottes namen weiter. Morgen an Dietrichstein wegen [?, schwer lesbar] geschrieben

[Leggere tutti i libretti d’opera per adoperare nell’improvvisazione le parole talvolta adatte di un lied, per es. un lied dove si tratta di addii o di congedo, se si arrivasse a qualche cosa… ma poiché probabilmente non c’è speranza provvedi perché in Quaresima tu dia uno o due concerti con prenotazioni in gennaio – e poi nel nome di Dio, domani scrivere ancora per Dietrichstein][8]

L’ultima parte del testo non pare alludere solo a un periodo di difficoltà finanziarie ma anche al tema degli «addii» e del «congedo» che caratterizzano la Sonata op. 81a – supportando quindi l’ipotesi che questi scritti risalgano al 1809. Per quanto riguarda l’op. 78, le indicazioni sullo spirito dell’improvvisazione paiono coincidere anche con le istanze formali testimoniate da Czerny. Il momento della variazione più libera cioè, e in cui il compositore pare abbandonarsi al proprio piacere, si ritrova appunto nella seconda parte: nello sviluppo, con la sua trasposizione quasi frenetica dell’incipit del tema, e nella ripresa. Al pari dello sviluppo, tuttavia, nella ripresa vengono accentuati elementi che già nell’esposizione erano presenti come variazioni. In particolare, come abbiamo visto, viene portata all’estremo dapprima la figurazione di semicrome con cui inizia la «prosecuzione» della frase tematica (batt. 4-6 [fig. 1]) e poi la successione accordale derivata anch’essa dall’incipit del tema (batt. 66-73 [fig. 9]).

Quelle successioni di accordi nella ripresa sembrano costituire una variazione quasi ‘parlante’. Il continuo ispessimento delle armonie, ma soprattutto le indicazioni dinamiche forte e fortissimo che si alternano al piano danno vita a una sorta di ‘teatro’ strumentale (per cogliere quanto in Beethoven la differenziazione dinamica stesse evocando sempre più significati extra-musicali, si pensi al recitativo della Sonata op. 110, a quell’accordo ripetuto nove volte in crescendo prima della ripresa della fuga indicata e poi di nuovo vivente). È infine facile cogliere il piacere della variazione nelle ripetizioni fiorite del secondo tema, sia nella ripresa ma già nell’esposizione, con quelle semicrome a mo’ di ‘divertimenti’, sia in senso tecnico sia affettivo, che sfociano infine nelle codette.

III.

La tipologia del divertimento in questa doppia, e in verità connaturata, accezione, diviene determinante per il Rondo della Sonata, dove il criterio dell’improvvisazione pare ancora più accentuato che nel primo movimento. Da un punto di vista formale, anche nel Rondo pare ritrovarsi la citata testimonianza di Czerny secondo cui l’improvvisazione diviene più disinibita e creativa nella seconda parte. Nondimeno, la struttura del Rondo pare corrispondere a un’altra considerazione sempre di Czerny sull’improvvisazione beethoveniana, ossia che «spesso poche note bastavano a fargli improvvisare un intero brano (come nel finale della terza Sonata dell’op. 10 in re maggiore)».[9] In effetti, similmente al Rondo dell’op. 10 n. 3, anche quello dell’op. 78 è costruito a partire da poche note.

Da un motivo puntato di due battute scaturiscono frasi di quattro, ma complessivamente non ne risulta un segmento di otto – sia in forma di «frase» o «periodo» – bensì una struttura ibrida 4×3. La frase iniziale di quattro battute (2+2) viene ripetuta tre volte intrecciando il principio di antecedente-conseguente (VordersatzNachsatz) con quello della variazione e trasposizione. Arduo stabilire se le due frasi successive costituiscano rispetto alla prima più una ‘risposta’ come nel «periodo» o un’elaborazione continua come nella «frase». La prima frase conclude sulla dominante (batt. 4) la seconda sul IV grado (batt. 8) e l’ultima sulla tonica (batt. 12) da cui prendono immediatamente le mosse le variazioni e i divertimenti che costituiscono il primo episodio.

Fig. 13: L.v. Beethoven, Sonata op. 78, II, batt. 1-18 (Könemann, cit.)

Le categorie di ‘variazione’ e ‘divertimento’ vengono qui impiegate con il significato che si evince dal seguente schema (fig. 14). Nel formare gli ‘episodi’ (in francese couplets; tedesco Zwischensätze; inglese digressions) che si alternano al tema-ritornello (A) essi non sono costituiti da temi diversi bensì diversificate elaborazioni del tema medesimo. Qui vengono indicati comunque con la lettera B per via di una differenza soprattutto nella texture (figurazioni continue arricchite da semicrome) rispetto al ritornello puntato.

Fig. 14.

Con ‘variazione’ viene indicato il procedimento con cui inizia appunto il primo episodio a batt. 12. La linea della mano sinistra costituisce una variazione ampliata del profilo del motivo esposto a batt. 2-4 (variazione ripetuta e ulteriormente ampliata fra batt. 16-22).

Fig. 15.

La sezione del ‘divertimento’ è invece intesa quella successiva, fra batt. 22-29, quando rimangono esclusivamente le duine di semicrome come ampliamento dell’armonia conclusiva della variazione (in questo caso un accordo di dominante, do maggiore). In termini formali il passaggio assume la funzione di una transizione – in questo caso al ritorno del tema.

Fig. 16: L.v. Beethoven, Sonata op. 78, II, batt. 20-39 (Könemann, cit.)

Il secondo episodio è simile al primo nella prima sezione, ma il conseguente divertimento, che scaturisce da una triade su la diesis, non presenta duine ascendenti come nel primo divertimento, bensì discendenti.

Fig. 17: Ibid., batt. 40-56.

Inoltre questo divertimento fra batt. 51-56 non conduce a una ripresa del tema, bensì a un’ulteriore variazione del materiale motivico iniziale, in una continua alternanza maggiore-minore (2+2). Per quanto il rapporto col ritornello sia meno evidente, anche qui la variazione è affidata alla linea della mano sinistra. Il divertimento che seguirà (batt. 74-88) sfrutta ancora le duine di semicrome in senso ascendente, ampliando un accordo di sol maggiore, e costituisce una più ampia transizione verso il ritornello.

Fig. 18: Ibid., batt. 57-60.

Il carattere improvvisativo delle duine di semicrome risalta anche solo a un primo ascolto o sguardo alla partitura. In particolare le sezioni dei divertimenti manifestano una natura estemporanea in quanto fioritura di un’unica armonia precedente. Nondimeno, anche nelle variazioni le duine alla mano destra che raddoppiano ritmicamente la linea della mano sinistra sono un evidente retaggio di antiche pratiche dell’improvvisazione e diminuzione – le ‘figurazioni’ di cui parlava Heinrich Christoph Koch ancora all’inizio dell’Ottocento.[10] Una conferma di come le duine sole dei divertimenti e quelle accompagnate delle variazioni siano aspetti di un medesimo procedimento legato all’improvvisazione non si ritrova solo nello sfociare di queste due sezioni l’una dentro l’altra, ma anche nel primo movimento della Sonata op. 31 n. 2 composta qualche anno prima (1802).

Sullo strascico dell’arpeggio iniziale di la maggiore, Beethoven impiega una serie di duine in progressione che sono molto simili, in certi casi del tutto identiche a quelle dei divertimenti del Rondo dell’op. 78 – confortando l’ipotesi di un’improvvisazione che segue moduli ricorrenti anche a livello locale, non solo al livello macro-formale che testimoniava Czerny o indicava lo stesso Beethoven.

Fig. 19: L.v. Beethoven, Sonata in re minore op. 31 n. 2, I, batt. 1-12 (Henle, ed. H. Schmidt).

In particolare, le duine arricchiscono la linea della mano sinistra come nelle variazioni del Rondo op. 78 e seguendo parimenti un moto contrario (qui convergente, nell’op. 78 divergente) ma sono discendenti come nei divertimenti. Queste figurazioni iniziali non lasciano intravvedere un vero e proprio tema ma costituiscono una sorta di rapsodica introduzione. Il loro carattere improvvisativo può essere supportato anche da un confronto – come quello operato da Hans-Joachim Hinrichsen – fra lo schizzo e la versione definitiva del movimento.[11] Osservando quello schizzo, il carattere improvvisativo del movimento in generale non emerge solo dall’assenza di regolari ripetizioni di temi e motivi, come nota Hinrichsen,[12] ma anche dalla continua successione variata di crome. Queste infatti costituiscono sia un evidente fioritura dell’arpeggio iniziale, sia un ‘riempitivo’ degli spazi vuoti che lo schizzo presenta rispetto alla comparsa del primo tema (tema che richiama ancora l’arpeggio iniziale da cui scaturivano le crome). Il secondo tema sarà basato su un’ulteriore variazione delle crome, confermando quanto Czerny diceva sull’improvvisazione di Beethoven a distanza, lungo la forma.

Un’altra caratteristica che accomuna questo inizio agli episodi del Rondo dell’op. 78 è la continua oscillazione maggiore-minore, qui ambigua fino alla comparsa del tema che afferma definitivamente il re minore. La differenza principale invece riguarda il generale rapporto con la tassonomia delle forme classiche. Mentre nell’op. 31 n. 2 le sezioni di matrice improvvisativa contribuiscono a una forma ‘aperta’ e innovativa, che rende questo movimento uno dei più difficili da ricondurre alla forma-sonata classica, gli episodi del Rondo nell’op. 78 riportano questa forma alla tipologia monotematica del Settecento. Quel Rondo prevedeva episodi costituiti da variazioni del ritornello o pensieri secondari molto simili, [13] dando origine nel secondo e terzo episodio a piccole forme con ripresa,[14] e che proprio Beethoven aveva contribuito a superare tramite i suoi Rondo con più temi.

Questa differenza dimostra che l’improvvisazione in Beethoven non rispondeva sempre alle medesime esigenze formali, bensì costituiva più genericamente un momento di libertà creativa che si rapportava in vari modi a criteri di organizzazione compositiva ereditati e razionalmente controllati. Così, il ruolo e i significati dell’improvvisazione vanno ricercati

anche in quel senso di abbandono al piacere esplicitamente dichiarato da Beethoven che non si inserisce solo in un’inevitabile dialettica compositiva fra libertà e costruzione logica ma anche in un percorso di sentimenti umani contrastanti che contribuisce a rendere la forma beethoveniana telologicamente orientata.

Per un movimento formalmente aperto e problematico come l’Allegro dell’op. 31 n. 2 Hinrichsen opportunamente parla di un procedere quasi-improvvisativo che nello schizzo pare concepito come ‘lotta’ che conduce da sentimenti di passione e dolore a gioia e riconciliazione – al cospetto di una versione definitiva che pare privilegiare la scura traiettoria del modo minore in ragione di esigenze costruttive.[15] D’altronde, lungo una forma classicamente regolata come il Rondo dell’op. 78 le variazioni e i divertimenti con le duine creano una dialettica interna agli episodi medesimi, oltre che in alternanza al ritornello, testimoniando un piacere dell’improvvisazione beethoveniana sia in quanto gioia nel variare il carattere brillante del ritornello, e dal risultato persino umoristico alla fine del secondo e del terzo divertimento (gli scambi fra mano destra e sinistra [fig. 20])

Fig. 20: L.v. Beethoven, Sonata op. 78, II, batt. 143-152 (Könemann, cit.)

sia tuttavia come forza che scaturisce da un oscurarsi dell’armonia, tanto nelle variazioni quanto nei divertimenti. L’ultimo episodio (fig. 21) è una coda basata su una continua progressione dell’ultimo motivo di due battute che accentua, nella direzione di uno sviluppo, il potenziale di prosecuzione-elaborazione insito nella frase iniziale, rivelando una gioia della variazione tematica tramite i gradi più luminosi della tonalità (batt. 159-175). L’istanza extra-musicale, sempre più ‘parlante’ del Beethoven maturo risulta supportata dai contrasti che egli prescrive per il ritornello immediatamente precedente (batt. 152-159), ma che il Rondo reca invero fin dall’esordio nella direzione di quel ‘teatro strumentale’ cui abbiamo già accennato per la ripresa del primo movimento.

Fig. 21: Ibid., batt. 154-167.

La ripresa finale sugella il movimento tramite le duine-variazione. Alfredo Casella nella sua edizione aggiunge l’indicazione Presto con fuoco, assente nell’autografo, richiamando altresì uno schema di accelerazione conclusiva già impiegato da Beethoven in altri Rondo (Sonata op. 53, Concerto op. 37).

Il piacere dell’improvvisazione che Beethoven raccomandava per iscritto nel 1809 si innestava in una tendenza a concepire movimenti conclusivi particolarmente brillanti e di carattere gioioso fin dall’inizio della sua produzione. Dal Rondo del Concerto op. 15 al finale della Sonata op. 101 (giusto per citare due brani per pianoforte di ampie dimensioni) quella tendenza formale si carica progressivamente di un significato catartico, man mano che nel compositore maturano ideali umanistici sempre più forti – nell’ambito di quella «identità come processo infinito» di cui parla Kropfinger –[16] scontrandosi altresì con circostanze avverse per lui di immane natura esistenziale a causa dell’inesorabile progredire della sordità. La rispondenza con la gioia tutta umana perseguita dalla cultura illuministica addirittura nei circuiti della massoneria è stata solo ipotizzata in merito al testamento di Heiligenstadt, scritto da Beethoven sull’onda dei primi sintomi del male,[17] ma pare evidente nell’adozione dell’Inno alla gioia di Schiller per il finale della Nona sinfonia,[18] a testimonianza di un’accentuazione tanto compositiva quanto extra-musicale.

La Sonata op. 78 con il suo Rondo conclusivo si pone al mezzo di tale percorso musicale e umano sfruttando tecniche di variazione che certo risentono dell’improvvisazione tanto amata e praticata da Beethoven. Il carattere improvvisativo si fa espressione di un’istanza gioiosa in quanto «alto coraggio» – per usare un’espressione del testamento di Heiligenstadt – al cospetto delle ombre che l’arte beethoveniana accoglie onde debellare. Esso emerge dall’analisi, dai documenti e dai contesti che abbiamo indicato, ma anche dalla diretta e immediata esperienza auratica di quest’opera: sia in quanto dimensione uditiva nell’ascolto, sia esperienza audio-tattile nella performance. Per tale ragione, viene riportata un’esecuzione dal vivo data dall’autore a testimonianza non solo dell’entusiasmo contenuto nell’opera ma anche dell’esecutore in quel momento.

L’interpretazione era stata condotta sotto la guida di Alberto Ranucci sulla partitura edita da Casella (Ricordi), assecondando pertanto il Presto con fuoco finale nel Rondo ed evidenziando nel primo movimento, tramite una lieve differenziazione dinamica, l’incipit tematico che Casella, come Lamond, ravvisa nella transizione fra primo e secondo tema alla mano destra. Il dettaglio si può cogliere all’ascolto più nella prima transizione (esposizione, batt. 20-22) che nella seconda (ripresa, batt. 79-81) dove alcune note acute risultano poco distinguibili a causa della registrazione non eccellente (effettuata con un semplice walkman a cassette). Nonostante l’inconveniente si verifichi qua e là in altri passaggi, e nel complesso la registrazione restituisca un effetto-room, si è ritenuto di fare riferimento a quell’esecuzione per via dello stato anche emotivo di quel pomeriggio del giugno 1997. La digitalizzazione è stata effettuata senza apportare correzioni (unico errore un raddoppio di ottava al basso nel secondo episodio del Rondo, re diesis a batt. 61). Il primo movimento è stato condotto a un tempo BPM 104/112 per semiminima e il Rondo a 110ca.

CB luglio 2020

Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata n. 24 in fa diesis maggiore op. 78

Carlo Bianchi, pianoforte
(Padova, Conservatorio “Cesare Pollini”, 21.6.1997)
I. Adagio cantabile – Allegro ma non troppo
II. Allegro Vivace

Abstract. Though less-known, the piano Sonata opus 78 was claimed by Beethoven as one of his best. Written in the unusual key of F-sharp major, it is characterized by remarkable cohesion both in the first movement (Sonata-form) and the following Rondo (Allegro vivace). The constant variation of the opening motives strongly suggests an improvisational matrix especially throughout the Rondo. The improvisation which Beethoven practiced in his live performances to create variations on melodies, and which affected the creative process of his written-out compositions, was also inextricably linked to a strong sense of pleasure and freedom. Beethoven expressed this idea in his writings just when he was composing opus 78. The Rondo of the Sonata, even more than the first movement, reflects the joyful character of many Beethovenian final movements down to Schiller’s Ode An die Freude which the composer would set in his 9th Symphony. To support this thesis, the article offers a close analysis of the Sonata, cites written documents from the age of Beethoven and explores his manuscripts – courtesy of Beethoven-Haus in Bonn. In addition, the article includes a live performance of the Sonata given by the author in Padua in 1997.

Note

[1] Questo articolo deriva da una ricerca svolta dall’autore presso il Dipartimento di Musicologia della Facoltà di Pavia-Cremona in qualità di Cultore Della Materia 2009-2019. L’indagine sulla figura di Beethoven si ritrova in altre pubblicazioni fra cui due articoli per la rivista «BresciaMusica» citati alla nota 5; Sulle ‘Sonate di guerra’ di Sergej Prokof’ev, «Rivista Italiana» di Musicologia, 52, 2017, pp. 183-232; Prokof’ev rilegge la forma classica. L’Andante caloroso della Sonata n. 7, unpublished draft

https://www.academia.edu/43219747/Prokofev_rilegge_la_forma_classica._LAndante_caloroso_della_Sonata_n._7

[2] Carl Dahlhaus, Beethoven e il suo tempo, Torino, EDT, 1990 (ed. originale, Ludwig van Beethoven und seine Zeit, Laaber, Laaber Verlag, 1987), p. 6.

[3] Erwin Ratz, Analyse und Hermeneutik in ihrer Bedeutung für die Interpretationen Beethovens, «Österreichische Musikzeitschrift», 25, 1970, pp. 756-767: 756 (trad. ing. Analysis and Hermeneutics and their Significance for the Interpretation of Beethoven, «Music Analysis», 3/3, 1984, pp. 243-254).

[4] Ibid., p. 157.

[5] La tendenza, testimoniata da una vasta bibliografia scientifica internazionale, si è tra l’altro manifestata in Italia a livello concertistico divulgativo nell’edizione 2017 del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo dedicata al rapporto fra Beethoven e la politica. Cfr. C. Bianchi, Beethoven di fronte a Napoleone. La 54ma edizione del Festival Pianistico Internazionale, «BresciaMusica», 152, 2017, pp. 10-11 https://www.academia.edu/35022631/Beethoven_di_fronte_a_Napoleone.  ID., Sul rapporto tra Beethoven e la politica. Traendo spunto dal tema del Festival Pianistico, Ibid., pp. 14-15 https://www.academia.edu/35022437/Sul_rapporto_tra_Beethoven_e_la_politica

[6] Carl Czerny, Über den richtigen Vortrag der sämtlichen Beethoven’schen Klavierwerke, ed. P. Badura-Skoda. Wien, Universal Edition, 1963, p. 21 (trad. ingl. in Angela Carone, Formal Elements of instrumental Improvisation: Evidence from Written Documentation, in Musical improvisation and Open Forms in the Age of Beethoven, ed. G. Borio – A. Carone, London & NY, Routledge, 2018, pp. 7-18: 10).

[7] Pagina trascritta e disponibile sul sito della Beethoven-Haus di Bonn. Per un commento, A Carone, Formal Elements of instrumental Improvisation, cit., p. 13.

[8] I due schizzi che vengono qui riprodotti per gentile concessione della Beethoven-Haus di Bonn erano già stati riprodotti nel volume collettaneo Ludwig van Beethoven, ed. Joseph Shmidt-Görg – Hanns Schmidt, Braunschweig, G. Westermann, 1969, p. 158. Il volume era stato tradotto anche in italiano per le edizioni Claire in coincidenza del 1985, anno internazionale della musica. Anche nell’edizione italiana due schizzi si trovano a p. 158 nell’articolo di Hans Schmidt sulle opere per pianoforte (157-188).

[9] Carl Czerny, Über den richtigen Vortrag der sämtlichen Beethoven’schen Klavierwerke, cit., p. 21.

[10] Siegbert Rampe, Improvisation bei Beethoven, «Musiktheorie», 26/2, 2011, pp. 103–22: 105.

[11] Hans-Joachim Hinrichsen, Quasi una Fantasia? The Legacy of Improvisational Practice in Ludwig van Beethoven Piano Sonatas, in Musical improvisation and Open Forms in the Age of Beethoven, cit., pp. 163-177: 165-171.

[12] «Since there are none of the regular repetitions of themes or motives as is usually the case in a first sonata movement, it presents the real picture of an ad hoc improvisation» (Ibid., p. 169).

[13] „Zergliederungen einzelner Theile desselben, ähnliche mit ihm in Verbindung stehende Nebengedanken, Veränderungen desselben, Versetzungen desselben in verwandte, oder, wenn es auf eine gute Art geschehen kann, entfernte Tonarten von der Haupttonart“ – questa la testimonianza teorica di Nikolaus Forkel alla fine degli anni Settanta del Settecento (cfr. Federica Rovelli, Contrast or Return? Monothematicism in the Late 18th century Instrumental Rondo, «Mozart Studien», 21, 2011, pp. 107- 126: 111).

[14] Koch parla in particolare di una struttura tripartita che può essere tratta a sua volta come un Rondo (Ibid., p. 123).

[15] «Originally conceived as struggling from passion and grief towards joy and reconciliation in a quasi-improvisational manner, as can be seen in the earliest document of creative planning, the dark-glooming minor-mode trajectory of the final version turns out to be the result of the creator’s adaptation to logical structural requirements» (Ibid., p. 171).

[16] Klaus Kropfinger, Beethoven, Lucca, LIM, 2008 (ed, originale, Beethoven, Kassel, Bärenreiter, 2001), pp. 96-97.

[17] Hanns Werner Küthen, Das Heiligenstädter Testament im Licht der Freimaurerei. Beethovens „letzter Wille“ als ein Beweis für seine Zugehörigkeit zur Logenbruderschaft? in Beethoven, ed. Michael Spitzer, London & NY, Routledge, 2015 pp. 166-186: 176.

[18] Per la posizione di Beethoven anche rispetto alle precedenti messe in musica dell’Ode An die Freude di Schiller, cfr. Alberto Basso, L‘invenzione della gioia. Musica e massoneria nell’età dei lumi, Milano, Garzanti, 1994, pp. 421-453.

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