Opus 70 Trii (2) in re maggiore e mi bemolle maggiore per pianoforte, violino e violoncello

Opus 70 Trii (2) in re maggiore e mi bemolle maggiore per pianoforte, violino e violoncello, op. 70, dedicati alla contessa Erdödy, 1808 (non oltre il tardo autunno), pubblicati a Lipsia, Breitkopf e Härtel, giugno-agosto 1809. GA. nn. 82, 83 (serie 11/4-5) – B. 70 – KH. 70 L. III, p. 120 – N. 70 – T. 139

Il manoscritto originale del primo Trio, appartenuto già alla raccolta di Max Friedländer di Berlino e poi alla sua vedova a Hollywood, è stato in seguito venduto a privati in New York e non se ne hanno ulteriori notizie; quello del secondo è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Abbozzi di tutti e due sono contenuti nel quaderno della Sinfonia Pastorale (v. n. 447 e segg.).

Lo spunto del secondo tempo del Trio in re maggiore figura anche, come è stato detto al n. precedente, fra gli appunti per Unvollendete 16 Ouverture per un opera “Macbeth” (Già Biamonti 454). Nel complesso dei sei Trii per pianoforte, violino e violoncello di Beethoven, fra i tre giovanili dell’op. 1 (1793-1794) e l’ultimo dell’op. 97 (1811), i due intermedi dell’op. 70 sono caratterizzati dalla piacevolezza e scorrevolezza dell’eloquio più che dall’impegno espressivo.

L’unica pagina grave (il Largo del primo Trio) ha poi una fisionomia tutta sua particolare che la distingue da ogni altra. Si potrebbe pensare che l’ampiezza e varietà di contenuto dei Trii dell’op. 1 li colleghi piuttosto — con tutti i perfezionamenti ed approfondimenti di carattere formale ed ideologico, apportati in quindici anni di evoluzione artistica — all’op. 97 che non all’op. 70.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 70 Zwei Trios (D-dur, Es-dur) für Klavier, Violine und Violoncello Widmung: Anna Maria (Marie) Gräfin Erdödy NGAIV/2 AGA 82-83 = Serie 11/4-5 Beiname: Nr. 1 Geistertrio (nach dem Charakter des 2. Satzes).

Creazione e pubblicazione: Gli abbozzi risalgono principalmente nel 1808. Entrambi i trii furono completati nello stesso anno, perché a dicembre Johann Friedrich Reichhardt li ascoltò in un concerto presso la contessa Erdödy. L’edizione di Lipsia fu pubblicata da Breitkopf & Härtel nel luglio e agosto 1809, e l’edizione originale di Vienna da Artaria nel marzo 1810. Alla fine del luglio 1808 Beethoven offrì l’op. 70 Breitkopf & Härtel come „zwei Trios für Klawier Violin und Violonzell (da daran Mangel ist)“ (BGA 331). Scrisse inoltre che i modelli di incisione sarebbero stati consegnati „in einigen Wochen”. Il contratto fu concluso il 14 settembre 1808 (contratto e ricevuta di pagamento di 100 ducati d’oro conservata nella D-BNba, collezione HC Bodmer, Br 72 e 73). Nel gennaio 1809 le incisioni erano probabilmente già a Lipsia, perché Beethoven scrisse a Gottfried Christoph Härtel: „sie haben doch die terzetten erhalten -Eins wissen sie war schon bey ihrer abreise fertig, ich wollte es aber erst mit dem Zweiten schiken dieses war auch schon ein paar Monathe fertig, ohn daß ich weiter dran dachte, ihnen solches zu schiken“(BGA 350). L’editore fu informato della dedica e del numero d’opera il 4 marzo 1809: “Die Trios werden gewidmet Ä Madame la Comtesse Marie d’Erdödy nee Comtesse Niczky Dame de la Croix / op. 62“ (BGA 359). La richiesta di Beethoven, espressa nello stesso mese, di inviargli comunque le bozze dei trii, non fu più accolta dall’editore (BGA 370). Le richieste di integrazioni e correzioni inviate il 20 aprile furono solo parzialmente prese in considerazione nell’edizione originale (BGA 380). Il 26 luglio Beethoven riferì a Lipsia che il primo trio era arrivato presso i commercianti di Vienna, ma che non aveva ancora ricevuto alcuna copia stampata (BGA 392).

Dedica: Anna Maria (Marie) contessa Erdödy, nata contessa Niczky, nata il 21 agosto 1778 al castello di Susevo (Ligvand, oggi Nebersdorf croato, Burgenland), e deceduta il 17 marzo 1837 a Monaco, figlia del conte Georg Niczky von Niczk e di sua moglie Franziska Xaveria nata Batthyany (f 1828). Sposata dal 6 giugno 1796 con il conte Peter Erdödy zu Monyorokerek und Monte Claudio (*1771), dal quale visse separata dal 1805. La contessa era una brava pianista e nel suo appartamento viennese in Krugerstrasse 1074 teneva spesso concerti, ai quali si esibiva anche Beethoven. Verso la fine dell’anno 1808/09, la contessa Erdödy avrebbe svolto un ruolo insieme a Ignaz von Gleichenstein (vedi Op. 69) nell’organizzare il contratto in cui il principe Kinsky, il principe Lobkowitz e l’arciduca Rodolfo promettevano a Beethoven una pensione annuale di 4000 fiorini. Beethoven visse con lei dall’autunno del 1808, ma si trasferì di nuovo nella primavera del 1809 a causa di una discussione su un servitore. Dopo la riconciliazione, nel 1810, apparentemente avvenne un’altra rottura. La relazione non fu ripresa fino al marzo 1815. A quel tempo la contessa viveva a Jedlesee vicino a Vienna. Nell’autunno 1815 si recò in Croazia (Schloss Paucovec), poi in Italia (Padova) e infine di nuovo a Vienna per un breve periodo; 1817-1819 trascorse di nuovo in Croazia. Nel 1820 la contessa Erdödy fu vittima di un intrigo familiare. Suo marito, il conte Peter Erdödy, le aveva già trasferito la sua proprietà nel 1811 a causa dei suoi ingenti debiti. Nel 1820 la sua famiglia tentò di riprendere il controllo di questi possedimenti e denunciò la contessa alle autorità per vari reati, tra cui l’accusa di immoralità. Joseph Xaver Brauchle, ufficialmente educatore e insegnante di musica dei suoi figli, visse con la contessa Erdödy. Ufficiosamente si diceva che entrambi avessero una storia d’amore.

Apparentemente anche Beethoven lo sapeva, poiché in un certo numero di lettere alla contessa Erdödy fece piccanti allusioni (vedi, ad esempio, i suoi giochi di parole su Brauchle in BGA 934). Tuttavia, è anche ipotizzabile che Brauchle si prendesse cura della contessa, che era stata gravemente malata e spesso costretta a letto dalla fine degli anni 1790, e quindi dipendeva dal suo aiuto. (i giochi di parole di Beethoven potrebbero riferirsi a questa situazione). Anche Brauchle fu incriminato nel 1820. Fu (probabilmente a torto) accusato di aver maltrattato così tanto il figlio della Erdödy, August che morì e di essersi anche avvicinato in modo inappropriato alla figlia Mimi. I processi e le accuse furono discussi a Vienna, e Beethoven ne discusse anche con il violoncellista Joseph Linke il 19 agosto 1820 (BKh 2 p. 211). Alla fine del 1823 la contessa lasciò Vienna e si trasferì a Monaco; Brauchle l’accompagnò. La dedica dei trii alla contessa Erdödy (BGA 359) fu comunicata a Breitkopf & Härtel il 4 marzo 1809. Beethoven volle annullarla il 20 aprile in favore dell’arciduca Rodolfo: „wenn der Titel noch nicht fertig wünschte ich, sie machten die Dedication nur gerade an den Erzherzog Rudolf, Wovon sie den Titel von dem Konzert in g [Op. 58], welches im Industrie Komtoir hier gestochen ist, nur ab kopiren lassen könnten, ich habe einigemal bemerkt, daß eben, wenn ich ändern etwas widme, und er das Werk liebt, ein kleines Leidwesen sich seiner Bemächtigt, diese Trios hat er sehr liebgewonnen, Es würde ihm daher wohl wieder schmerzen, wenn die Zuschrift an jemand ändern ist, ist es aber geschehen so ist nichts mehr zu machen (BGA 380). La modifica non fu incorporata nell’edizione originale. Oltre ai trii op.70 alla contessa Beethoven dedicò anche le sonate per violoncello op.102 (1819, edizione originale viennese di Artaria) e un canone per il capodanno del 31 dicembre 1819 (WoO 176).

La prima esecuzione di uno dei trii (probabilmente il n. 1) avvenne in un concerto pubblico forse il 16 aprile 1809 di Nikolaus Zmeskall a Vienna (BGA 376 e 377). Gli interpreti erano Beethoven, Ignaz Schuppanzigh e Anton Kraft. Secondo Johann Friedrich Reichardt, nel dicembre 1808 la contessa Erdödy si esibì più volte con Beethoven al pianoforte e con membri dello Schuppanzigh Quartet: furono eseguiti il ​​Trio n. 1 „Einige Tage später hatte mir Beethoven die Freude gemacht, dasselbe angenehme Quartett zur Gräfin von Erdödy einzuladen, um mir etwas Neues von seiner Arbeit hören zu lassen. Er spielte selbst ein ganz neues Trio für Fortepiano, Violin und Violoncell von großer Kraft und Originalität, überaus brav und resolut“ (lettera del 10 dicembre 1808, Reichardt/Briefe Vol. 1 p. 209). Più tardi dice: „Einen zwiefachen musikalischen Abend habe ich wieder gehabt. Erst ein Quartett bei der Gräfin Erdödy. Beethoven spielte ganz meisterhaft, ganz begeistert, neue Trios, die er kürzlich gemacht, worin ein so himmlischer kantabeler Satz (im Dreivierteltakt und in As dur [Nr. 2/III]) vorkam, wie ich von ihm noch nie gehört […] Er wird die Trios nächstens in Leipzig stechen lassen“.

Opus 70 numero 1 Trio in re maggiore per pianoforte, violino e violoncello

I) Allegro vivace e con brio – II) Largo assai ed espressivo –
III) Presto

Il carattere dominante del primo tempo è quello di uno slancio e leggerezza festosi. Basta pensare alla formazione dei due temi essenziali: il primo in due parti, ritmicamente vivace l’una, melodica l’altra, che si intrecciano agilmente nello sviluppo; il secondo con la sua figura levitante al di sopra di uno scorrevole movimento in legato e planante fino alla smussata cadenza. Il secondo tempo è, si è detto, una pagina sui generis.

Si può pensare ad una connessione con qualche impressione del Macbeth shakespeariano (donde il titolo di Trio degli spettri con cui spesso l’intera composizione è designata); ma indipendentemente da ciò non si può non riconoscere nella musica in sé un qualche cosa di fantomatico per il sorgere e ripetersi continuo dello squallido spunto melodico, come una immagine che si stagli debolmente dallo sfondo oscuro, tentando invano di prendere una certa consistenza e ricadendo impotente su se stessa; e poi torni a formarsi cercando ancora di diffondersi in luce e calore, e di nuovo ridiscenda e scompaia nel buio: il palpito di un cuore, sopraffatto sul nascere da una incapacità congenita di espansione; la pulsazione di una vita che viva solo nel ricordo o nel tentativo.

Una certa analogia espressiva può trovarsi in due altre pagine pure beethoveniane nello stesso tono di re minore, per quanto meno lugubri (ma più intimamente tristi): il Largo della Sonata op. 10 n. 3 per pianoforte e l’episodio orchestrale che commenta la morte di Chiarina nell’Egmont. Lo slancio festoso (ma qui d’una più facile correntezza) avvicina il terzo tempo al primo, legati anche con una certa analogia del tema impulsivo iniziale.

Opus 70 numero 2 Trio in mi bemolle maggiore per pianoforte, violino e violoncello

I) Poco sostenuto – Allegro, ma non troppo – II) Allegretto – III) Allegretto, ma non troppo – IV) Presto

È più omogeneo del precedente nella rispondenza di contenuto dei suoi quattro tempi: il primo e l’ultimo più ricchi, il secondo ed il terzo d’una squisitezza di fattura connaturata con un carattere di fine divertimento piuttosto che interiormente espressiva. L’Allegro ma non troppo è preceduto da una introduzione lenta (Poco sostenuto) che darà poi lo spunto, in altra figurazione, all’entrata del secondo tema e riapparirà anche, in forma abbreviata, alla fine della ripresa prima della conclusione e ciò dà all’insieme una maggiore attrattiva formale senza aumentarne quella sostanziale. Lo sviluppo e la prima parte della ripresa rivelano la finezza di elaborazione dei vari elementi tematici.

L’ Allegretto è basato, a quanto si dice, su un tema di canto popolare croato, ascoltato da Beethoven durante un soggiorno in Ungheria, trattato in una serie di variazioni che ne calcano ripetutamente la figura senza cadere mai nella monotonia o nella sazietà: un godimento puramente musicale nel riposo di ogni emozione, nel piacere del suono e del ritmo, che fa pensare per questo a qualche pagina di serenità haydniana.

Il terzo tempo ha fisionomia di Minuetto, a carattere pastorale nel primo tema, e simile nel secondo ad un noto spunto melodico haydniano introdotto da Beethoven anche in altre composizioni. Il Trio nell’alternativa delle piccole frasi elementari che si rispondono compiendosi armonicamente dal violino e violoncello al pianoforte, prima in mi e poi in la, segue anch’esso un modello di struttura beethoveniana già nota; ma una originale fisionomia di languidezza presenta la parte conclusiva ed il successivo passaggio cadenzale alla ripresa delle prime due parti.

L’interesse del finale (Allegro), più vivace e robusto di quello del trio precedente (una evidente analogia lega anche qui l’elemento melodico del tema iniziale al corrispondente dell’altro), è aumentato dall’introduzione come secondo tema di un motivo di canto o danza popolare, che si vuole egualmente di derivazione croata.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

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