Biamonti 490 – Pezzo da concerto (appunto), 1809

Biamonti 490 – Pezzo da concerto (appunto), 1809. Compreso nel gruppo di fogli descritto da Nottebohm, di cui al numero 477 e seguenti e riportato come segue: “Al principio questa annotazione: Schluss eines Stück, welches in g moll anfangt (Chiusa di un pezzo che incomincia in sol minore) e alla fine: Vielleicht das erste Allegro eines Stücks in einem Conzert so schliessen und nicht in der Tonart selbst, endlich das letzte Stück im eigentlichen Ton, worin das erste angefangen (Concludere forse così il primo Allegro di un pezzo in un concerto, e non nella stessa tonalità; infine poi l’ultimo pezzo nello stesso tono in cui il pezzo era incominciato)”.

Nuove osservazioni del Centro Ricerche Musicali (Maggio 2024): Anche questo appunto, così come gli altri che lo precedono, si trova nel Landsberg 5 Skizzenbuch alla pagina 76, righi da 8 fino in fondo alla pagina. Nottebohm non indica nessun altro dato a parte quello riportato da Biamonti. In effetti questo abbozzo è scritto solo nei righi 9/12; tutto il resto del fondo pagina è il commento originale di Beethoven.
Più che un appunto per un pezzo da concerto, come lo ha definito Biamonti, potremmo chiamare questo abbozzo “Studio per il finale di Cadenza di un primo tempo in un Concerto in sol minore per Pianoforte e Orchestra”. Beethoven infatti ce la indica come: “Chiusa di un pezzo che incomincia in sol minore” […] “Concludere forse così il primo Allegro di un pezzo in un concerto”. Visto il suo andamento è infatti sicuramente un appunto per una Cadenza: le prime 3 battute sono degli arpeggi sospesi con corone finali, mentre la seconda parte è anch’essa una formula cadenzale che conclude alla dominante della tonalità d’impianto. Anche Brenneis, analizzando l’intero quaderno di schizzi Landsberg 5, scrive: “Konzept für die tonartliche Gestaltung der Satzschlüsse in einem Klavierkonzert in g-moll” [idea per la determinazione tonale di un Concerto in sol minore per Pianoforte]
Essendo uno appunto scritto come pro-memoria per se stesso Beethoven non ha indicato sempre tutte le alterazioni considerando che queste valessero anche per le successive note dell’arpeggio, bisogna quindi considerare il primo come un arpeggio di si diminuito, il secondo come uno di do minore (o per meglio dire do minore settima), il terzo come fa# diminuito che risolve nella tonalità di impianto di sol (minore) e quindi finire alla sua dominante.
Nottebohm, nell’analisi che troviamo a pagina 270 del suo Zweite Beethoveniana ha invece riscritto esattamente l’abbozzo beethoveniano non indicando le alterazioni escluse da Beethoven.
Alcuni dubbi su questo Abbozzo:
1) non è molto chiaro in che tempo considerarlo; infatti vediamo che nel primo arpeggio Beethoven indica alla mano sinistra un accordo in tempo di 2/4, mentre il secondo e il terzo li troviamo scritti in ¾ (potremmo ipotizzare una dimenticanza nel primo); anche la mancanza delle stanghette di battuta non aiuta a definire il tempo.

2) nella seconda parte dell’abbozzo troviamo una figurazione sempre in ¾ – fa(#) sol(acuto) sol(basso) – seguita però da una formula cadenzale con 2 accordi di minima (il primo in re+, il secondo in mi-7) ed un accordo finale di semibreve sempre in re maggiore questa volta con le stanghette di battuta ad indicare che la cadenza sta per finire. Noi abbiamo ritenuta valida la versione di Brenneis tranne che per il penultimo accordo dove personalmente leggiamo alla mano destra l’accordo re-mi-sol.

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