Gli ultimi giorni di Beethoven

[L’ultimo scorcio della vita terrena di Beethoven è quello che, forse, è stato scandagliato più a fondo da biografi e studiosi. Forse anche perché la mole di informazioni relative a questo periodo è enorme. Dell’ultimo Beethoven si parla in biografie; memoriali; articoli giornalistici; lettere di amici, scrittori, artisti, editori e cultori di musica dell’epoca. Il materiale è enorme. Non sempre le informazioni concordano. Del tutto recentemente uno studioso italiano, Artemio Focher, ha rivissuto, si può dire giorno per giorno, l’ultima parte del viaggio terreno del Maestro cercando di ricostruire il più esattamente possibile gli avvenimenti e ha raccolto le sue ricerche nel libro “Ludwig van Beethoven. 26-29 marzo 1827” (LIM Editrice, Lucca, 2002). Vediamo dunque, molto sinteticamente, quest’ultimo periodo della vita di Beethoven. Alla fine del 1825, Beethoven, prese possesso della sua ultima dimora terrena. Un appartamento al Glacis Alsergrund nr.200, al secondo piano della Schwarzspanierhaus [Casa egli Spagnoli Neri], così chiamata perché nella residenza, cui era annessa una chiesa, aveva vissuto una comunità di monaci spagnoli il cui abito era una lunga tunica nera.
La casa guardava sul Glacis, l’ampia spianata verde al di fuori delle mura fortificate di Vienna, al di là delle quali si stendeva la città su cui spiccava la guglia di Santo Stefano.
Nel grande appartamento di otto stanze, Beethoven abitò fino alla morte, avvenuta il 26 marzo 1827. Era vicinissima alla casa di Stephan von Breuning alla Rothes Haus, presso il quale Beethoven aveva cercato di nuovo il calore e l’affetto di una famiglia. La casa è stata purtroppo abbattuta per esigenze urbanistiche (o per speculazione edilizia, diremmo noi oggi) nel 1903, nonostante i tentativi per salvarla. La conosciamo bene, con le grandi e signorili scale, le grandi stanze tappezzate, le porte massicce, e le ampie finestre, perché è stata disegnata e fotografata molte volte, dal giorno seguente la morte di Beethoven fino alla sua demolizione. Questa casa fu la meta del pellegrinaggio di musicisti, scrittori e anche viaggiatori curiosi che si recavano a Vienna per rendere omaggio a Beethoven. “A Vienna ci si recava devotamente”, ha scritto Focher, “con speranza, quasi religiosa, di poter accedere alla sua casa, quasi fosse un tempio e di poter conferire con lui”.
In questa casa Beethoven visse una vita quasi normale di lavoro, e vi scrisse i Quartetti Op.131 e 135, curò la pubblicazione di alcune sue ultime opere. Tuttavia le sue condizioni di salute, sebbene discrete, declinavano progressivamente. Per motivi non chiari, forse legati al tentativo di migliore le proprie condizioni di salute, forse al desiderio di far recuperare al nipote Karl un certo equilibrio lontano da occhi indiscreti dopo il tentativo di suicidio dell’agosto 1826, Beethoven inaspettatamente, il 28 settembre 1826, lasciò la sua casa e si trasferì nella tenuta di campagna del fratello Johann, a Gneixendorf. Si ritrovarono riuniti qui gli ultimi Beethoven, eccetto la cognata Johanna vedova di Carl. Nonostante le apparenze il soggiorno a Gneixendorf fu segnato da incomprensioni e tensioni. Ma soprattutto le condizioni di Beethoven cominciarono a peggiorare. Come ha scritto Johann “a pranzo non mangiava quasi nulla, tranne delle uova, ma poi eccedeva nel vino, così che soffriva spesso di diarrea, di conseguenza il ventre gli divenne sempre più gonfio”, e gli gonfiarono i piedi [Solomon]. Nonostante questo egli lavorò alle sue ultime composizioni col solito treno di vita. Passava la maggior parte delle giornate girovagando per la campagna mentre all’alba e di sera lavorava. A Gneixendorf terminò il Quartetto Op.135 e scrisse il nuovo finale per l’Op.130, l’ultima sua composizione, una pagina quasi spensierata che nulla fa presagire dell’immediato futuro. Uno degli ultimi giorni di novembre o il primo dicembre, probabilmente a causa di un contrasto col fratello, improvvisamente Beethoven riparte con Karl alla volta di Vienna, su di un carro scoperto, con abiti estivi. Il tempo è orribile. Pernotta in una taverna non riscaldata e giunge a casa con febbre elevata e un’affezione polmonare in atto. Come ricorda Schindler, che riprese in quest’epoca il suo posto accanto al Maestro, fu difficile trovare un medico. Alla fine venne il dr. Andreas Ignaz Wawruch, considerato uno dei migliori della città; l’affezione polmonare fu superata; Beethoven potè rimettersi in piedi verso la metà di dicembre. Ma la cirrosi epatica, di cui si erano avuti i segni inequivocabili a Gneixnedorf, col gonfiore addominale e dei piedi, si manifestò con la comparsa di itterizia, dolori, diarrea. Furono necessarie, dal dicembre al 27 febbraio 1827, quattro paracentesi, punture evacuative del liquido che si raccoglieva in addome. Il Maestro era quasi sempre costretto a letto, si alzava per brevi periodi; fu in piedi per l’ultima volta, l’otto marzo in occasione della prima visita di Hummel e Hiller. Con il livello della scienza del tempo è chiaro che tutte le cure erano inutili o al più palliative dei dolori. Beethoven che comprendeva il suo decadimento, tanto per cambiare, appioppò al dr. Wawruch l’epiteto “asino”; altri medici vennero, fra cui il dr. Malfatti, ma senza alcun risultato. In questo quadro di progressivo declino e di sofferenza fisica e morale fu rallegrato da poche cose. Non era assolutamente più in grado di lavorare, anche se schizzò ancora qualche nota; fu felice nel leggere i Lieder di Schubert che, molti ancora manoscritti, Schindler gli aveva procurato; fu allietato dalla presenza premurosa di Gerhard von Breuning, il figlio di Stephan, che Beethoven chiamava Ariel, e che, non ancora quattordicenne, lo accudì premurosamente cercando di sollevarne lo spirito. A parte la continua premurosa assistenza di Schindler e della governante Sali (Rosalia), la frequenza di Holz e le visite quotidiane dei von Breuning, la casa fu meta di un continuo pellegrinaggio di visitatori,  amici abituali che tornarono a più riprese, altri venuti da lontano, che, diffusasi la notizia delle gravi condizioni del Maestro, desideravano portargli l’ultimo saluto. L’elenco è molto lungo: i fabbricanti di pianoforti Streicher padre e figlio; il commerciante J.N.Wolfmayer; gli editori Diabelli, Haslinger, Artaria; i musicisti Schuppanzigh, Clement e Linke; l’amico von Gleichenstein; il conte Moritz Lichnowsky (quello della Sonata Op.90!) e naturalmente il barone Pasqualati; il poeta Christoph Kuffner; il funzionario di corte e musicista F.Piringer; il segretario della società dei concerti di Graz, Johann Baptist Jenger; i cantanti Maria Schindler Egloff (sorella del famulus Anton), Louis Cramolini e Nanette Schechtner; Sebastian Rau e il giornalista Carl Josef Bernard; il fratello Johann; il pianista Jan N.Dolezalek e naturalmente l’allievo Carl Czerny. Molti altri avrebbero voluto recarsi da lui ma pare che Beethoven spesso non facesse entrare che gli amici più intimi. Da Weimer vennero, e visitarono più volte il maestro, Johann Nepomuk Hummel e Ferdinand Hiller. Le condizioni si aggravarono a partire dai primi giorni di marzo; l’otto fu in grado di conversare ancora vivacemente con Hummel e Hiller ma nei giorni successivi perse vivacità, giaceva sempre a letto, parlava con fatica. In uno di quei giorni sorrise a Wawruch che lo incoraggiava e disse “La mia opera è finita; se un medico potesse ancora essermi di aiuto his name shall be called wonderful” (una citazione dal Messia di Händel). Il giorno 23 fu aiutato da Stephan von Breuning a firmare una postilla sul suo testamento. Il 24 marzo strinse la mano in segno di saluto a Carl Czerny e pronunciò le sue ultime parole quando gli arrivò in dono del vino del Reno, da lui molto amato: “Peccato, peccato, troppo tardi”. Negli ultimi giorni venne anche il poeta Ignaz Castelli.
Il giorno 26 marzo, nel pomeriggio, il maestro era ormai in coma e se ne attendeva la dipartita, quando giunse da Graz il compositore austriaco Anselm Hüttenbrenner (1794-1868). Pare che al letto del morente si siano ritrovati in quel pomeriggio Anton Schindler, Stephan von Breuning, una donna (identificata da alcuni in una delle due cognate di Beethoven, da altri nella governante Sali), il pittore Teltscher. Ma Teltscher fu fatto allontanare, mentre Schindler e von Breuning uscirono per ricercare, al cimitero di Wahring, un adatto luogo di sepoltura. Al momento della morte, avvenuta verso le 17 e tre quarti di quel 26 marzo, pare fossero presenti (e nonostante altre versioni) solo Hüttenbrenner e una donna, la governante Sali.]

[In una lettera a Thayer, del 20 agosto 1860, Hüttenbrenner scrisse]:
“Quando entrai nella camera di Beethoven, il 26 marzo 1827, erano circa le tre del pomeriggio. Vi trovai il Consigliere di Corte von Breuning e suo figlio, la signora van Beethoven, moglie di Johann van Beethoven, e il mio amico Joseph Teltscher, ritrattista. Mi pare fosse presente anche il Prof. Schindler”. Teltscher iniziò lo schizzo del volto del morente, ma, prosegue Hüttenbrenner, per richiesta di von Breuning lasciò la stanza. Anche von Breuning e Schindler uscirono alla ricerca di un luogo adatto per la sepoltura. “Solo la sig.ra van Beethoven ed io eravamo presenti gli ultimi istanti di vita di Beethoven. Beethoven giacque, rantolante, dalle tre fino alle cinque, quando un lampo, accompagnato da un violento rombo di tuono, illuminò di luce accecante la camera del morente (davanti alla casa di Beethoven c’era della neve). A questo straordinario fenomeno della natura, che mi colpì profondamente, Beethoven aprì gli occhi, sollevò la mano destra, guardò in alto per alcuni secondi, col pugno destro chiuso, e con aria minacciosa come se volesse dire: “Potenze ostili, io vi sfido. Allontanatevi da me. Dio è con me”. Pareva che, come un eroico comandante, volesse gridare alle sue truppe che cedevano: “Avanti! Abbiate fede in me. La vittoria è sicura!” Quando il braccio alzato ricadde sul letto, gli occhi gli si chiusero a metà.
Tenevo la mia mano destra sotto il suo capo, la sinistra sul suo petto. Non diede altro respiro, non altri battiti cardiaci. Lo spirito del grande maestro dei suoni aveva lasciato questo mondo di inganni per raggiungere quello della verità. Chiusi gli occhi del morto, li baciai, baciai la sua fronte, la bocca e le mani. La sig.ra van Beethoven tagliò una ciocca di capelli e me la porse come un sacro ricordo delle ultime ore di Beethoven. Profondamente commosso corsi ad annunciarne la morte a Tobias Haslinger, e dopo poche ore tornai a casa in Stiria”.

Thayer

La storia di Beethoven, che sembra ‘agitare il pugno contro il cielo’ in un’ultimo gesto di sfida, è stata respinta come una finzione romantica dalla maggior parte dei biografi di Beethoven. Eppure questa è una acuta osservazione clinica: chi muore di insufficienza epatica spesso risponde in maniera esagerata a stimoli improvvisi come una luce brillante. Questo è dovuto all’accumolo di sostanze tossiche normalmente eliminate dal fegato. Un gesto come quello di Beethoven può essere [stato un  fenomeno] riflesso [quali si osservano nell’irritazione] cerebrale e non certo un atto cosciente.
[Oggi sappiamo che anche pazienti in coma irreversibile, pronti per una donazione di organo a scopo di trapianto, possono avere reazioni motorie che nella forma più clamorosa consistono in una flessione del busto in avanti, come se il comatoso si mettesse a sedere. Questo fenomeno viene chiamato il “segno di Lazzaro”.]
O’Shea

Ho parlato con Beethoven una sola volta in vita mia. Era il 15 o il 16 dicembre 1826. Ero da due anni come tenore al teatro di corte, ed ero fidanzato con l’ottima cantante Nanette Schechtner. … Mia madre, che lo aveva conosciuto, mi incitò ad andarlo a trovare. Ne parlai a Schindler, allora direttore al Josephstadttheater, e lo pregai di ricordare a Beethoven il piccolo Louis figlio della sig.ra Cramolini. Alcuni giorni dopo Schindler mi disse che Beethoven era disposto a riceverci. Si scusava se ci doveva ricevere stando a letto.
Quando entrammo il pover’uomo era a letto gravemente ammalato di idropisia. Mi guardò con gli occhi splendenti e spalancati, mi porse sorridendo la mano sinistra: “Questo sarebbe dunque il piccolo Louis, e ora fidanzato?”. E piegando il capo verso Nanny disse: ”Una bella coppia, e a quello che ho sentito dire, due bravi artisti. E come va la vostra cara madre?”. Ci diede carta e matita e continuammo la conversazione per iscritto mentre parlando era talora poco comprensibile. Ci pregò poi di cantare qualche cosa. Schindler si mise ad uno dei due pianoforti al centro della camera e noi ci mettemmo di fronte a lui. Gli scrissi che avrei cantato la sua Adelaide, grazie alla quale ero diventato famoso nel mondo del canto. Beethoven approvò gentilmente. Ma mentre stavo per cominciare a cantare la gola mi si chiuse per l’angoscia. Pregai Schindler di aspettare un momento che fosse passata. Beethoven chiese cosa accadeva, perché io non cantassi e dopo che Schindler gliene ebbe spiegata la ragione per iscritto, scoppiò a ridere e disse: “Canta dunque mio caro Louis, io non sento nulla, voglio solo vederti cantare!”. Mi feci coraggio e cantai con entusiasmo il cantico dei cantici, la divina Adelaide. Alla fine Beethoven mi fece avvicinare al letto e mi strinse amichevolmente la mano. “Dal vostro modo di respirare ho visto che cantate come si deve, e dal vostro sguardo ho capito che sentite quello che cantate. Mi avete fatto molto piacere”. Ero talmente felice per il commento del grand’uomo che mi asciugai una lacrima. Mentre cercavo di baciargli la mano la ritrasse e mi disse: “Fate questo con la vostra cara madre e salutatela da parte mia; mi ha dato una gran gioia il fatto che ella si ricordi ancora di me e che vi abbia mandato da me”. Allora Nanny cantò la grande aria di Leonora dal Fidelio e con un entusiasmo tale che Beethoven più volte batté il tempo mentre la guardava divorandola con gli occhi. “Siete veramente un’artista, e avete una voce che ricorda quella della Milder, che però non aveva la vostra profondità di sentimento, che vi si legge chiaramente in viso. Peccato che io …”. Senza dubbio voleva dire “che io non possa sentire”. S’interruppe e aggiunse: “Grazie signorina per questi momenti; vi auguro che possiate essere felici insieme”. Nanny profondamente commossa appoggiò la mano sul suo petto. Beethoven disse: “Mi sento veramente spossato”.
Prima di andar via scrivemmo il nostro grazie con l’augurio di una completa guarigione. Al che Beethoven sorridendo disse: “Allora scriverò un’opera per voi due”. Uscimmo in punta di piedi per non disturbarlo. Nanny ruppe il silenzio dicendo: “Abbiamo visto quest’uomo divino per l’ultima volta”. Le diedi la mano e piangemmo amaramente. [Le memorie di Cramolini sono accusate di poca precisione; vi è infatti chi ritiene che questa visita sia stata due mesi circa più tardi della data riferita].
Cramolini [da Prod’homme]

Il pomeriggio [del 29 marzo] alle ore 3 si svolse il funerale. Se durante la sua malattia Beethoven sembrò quasi dimenticato dai viennesi la notizia della sua morte li scosse potentemente dalla loro indifferenza. Già un paio d’ore prima del tempo fissato, un’enorme folla si era ammassata davanti allo Schwarzspanierhaus e incessantemente da ogni direzione continuavano ad affluire, a schiere, persone partecipi o curiosi. Circa ventimila persone si ammassavano ormai nello spazio compreso tra la casa e, all’incirca, il punto del Glacis dove ora s’innalza la Votivkirche. Tutte le più eminenti personalità artistiche erano presenti. I cantanti dell’eccellente Opera Italiana, appena costituitasi a Vienna sotto la direzione di Barbaja, avevano dichiarato di voler cantare, durante il rito funebre accanto alla bara. La calca e l’ondeggiare di quella massa di gente aumentavano, come mai prima era accaduto. Quando il feretro venne fatto scendere per la scala e deposto nel cortile, l’afflusso di persone era [enorme] tanto che mio padre fece sbarrare il portone. Quando, terminata la cerimonia cantata, la bara venne alzata e il portone riaperto, la folla si precipitò nel cortile per accompagnare la bara con tale impeto, che il fratello Johann, mio padre, Schindler ed io, i più colpiti dal lutto, non potemmo rimanere immediatamente dietro la bara, ma riuscimmo a inserirci nel corteo [solo] molto indietro. Otto direttori d’orchestra, Eibler, Hummel, Seyfried, Kreutzer, Weigl, Gyrowetz, Würfel e Gänsbacher reggevano i capi del drappo della bara. La bara era coperta di corone. Non vi era onorificenza alcuna. Un gran numero di musicisti circondava la bara, recando ceri [fra questi vi erano Franz Schubert, Carl Czerny e Schuppanzigh]. Sembrava che il corteo, formato da migliaia di persone, non avesse fine; l’intera Vienna sembrava essersi riversata in strada. Quando il feretro svoltò l’angolo del Rothes Haus per dirigersi verso la chiesa parrocchiale nell’Alserstrasse, risuonò la marcia funebre di Beethoven dalla Sonata per pianoforte Op.26. Sui gradini della chiesa la ressa si accrebbe. Dopo la solenne benedizione, il corteo si mosse verso il cimitero di Wärhing. Heinrich Anschuetz recitò il discorso funebre [scritto da Grillparzer] accanto al feretro, all’ingresso del cimitero. Davvero non mancarono lagrime, né qui né accanto alla tomba, quando il possente Titano fu calato nell’angusta fossa e amici ed estimatori gettarono sulle spoglie mortali le prime manciate di terra.
von Breuning

[Fu Ignaz von Seyfried ad adattare le parole del Miserere al primo dei Tre Equali per 4 tromboni WoO 30, in occasione del funerale del Maestro. Durante il funerale furono eseguiti tutti e tre: il secondo nella versione originale e il terzo trasformato in un Amplius. I tre Equali erano stati composti da Beethoven nel 1812, durante un breve soggiorno estivo a Linz, su richiesta del Kapellmeister di Linz, Franz Xaver Göggl, e loro prima esecuzione si ebbe il 2 novembre 1812, commemorazione dei defunti. Per Equale si intende una composizione per un gruppo di strumenti della stessa famiglia, eguali appunto fra di loro. Questo tipo di composizione, specialmente per trombe o tromboni, di carattere di solito aulico e solenne, veniva usato in cerimonie solenni quali processioni, funerali.]

Ferdinand Hiller visitò 4 volte, 8, 13, 20 e 23 marzo 1827, assieme al suo maestro Hummel, Beethoven. Ha lasciato scritto:
L’8 marzo entrammo nella camera di Beethoven e fummo non poco stupiti dal trovare il Maestro alla finestra, quasi con l’aria felice. … Dimagrito per la malattia, quando si alzò, mi sembrò di alta statura. Non era rasato; i capelli lunghi, grigi, gli ricadevano in disordine sulle tempie. La sua espressione era amabile e luminosa …. Hummel mi presentò e Beethoven mi fece sedere accanto a lui. … Seguiva con occhio avido la mano che scriveva e capiva a colpo d’occhio anzi che leggere. … Mi dispiace di non aver scritto tutto quello che mi ha detto, ma un ragazzino di quindici anni che si trovava lì mi ha aiutato a raccoglierne le grandi linee. … Dopo le solite parole sul tempo, il viaggio e il soggiorno a Vienna, Beethoven si interessò in modo straordinario della salute di Goethe, e noi potemmo dargli delle ottime notizie. … Beethoven si lagnò della sua salute e delle molte cose che gli dispiacevano a Vienna … “l’attuale gusto antiartistico” e “il dilettantismo che qui corrompe tutto”. Non risparmiava neppure il governo ai suoi più alti livelli. “Scrivi una raccolta di canzoni e dedicale all’imperatrice” disse con un riso amaro a Hummel. … Beethoven parlò dei suoi problemi familiari, che riguardavano anche suo nipote, con tono melanconico ed appassionato. Si informò dei miei studi incoraggiandomi, “Si deve sempre continuare a coltivare l’arte” disse. E siccome gli parlai dell’interesse esclusivo che si aveva allora a Vienna per l’opera italiana pronunciò queste parole memorabili: “Si dice vox populi vox Dei, ma io non ci ho mai creduto”.

Il 13 marzo Hummel mi accompagnò per la seconda volta da Beethoven. Lo trovammo molto peggiorato. Era a letto ma parlava ancora vivacemente. … Si lamentò di non essersi sposato. E ridendo disse a Hummel “Tu si che sei un uomo felice: hai una donna che ti cura, che ti vuol bene, ma io poveraccio!” e tirando un lungo sospiro pregò Hummel di portare da lui sua moglie che non si era decisa a rivedere un uomo che aveva conosciuto nel pieno della sua forza. Gli avevano regalato di recente un quadro con la casa natale di Haydn; la teneva vicino al letto e ce la mostrò. “Mi dà un piacere infantile, la culla di un uomo così grande …” Quando tornammo da lui il 20 marzo era estremamente debole e parlava con un filo di voce a frasi spezzate. Ci disse quanto lo aveva rallegrato l’arrivo delle 100 sterline da Londra e, dopo che lo avevamo salutato “Farò ben presto il salto …”. … Facendo l’elogio degli inglesi pensava di intraprendere un viaggio a Londra. “Scriverò per loro una grande ouverture e una grande sinfonia”. Madame Hummel era venuta con noi e lui voleva restituirle la visita. … I suoi occhi erano ancora vivaci, ma gli riusciva difficile fissare le cose.
Quando tornammo il 23 marzo il suo stato era disperato. Pietosamente sfinito giaceva sospirando debolmente. Non una parola; il sudore gli imperlava la fronte. … La signora Hummel prese il suo fazzoletto di batista e gli asciugò più volte il volto. Non dimenticherò mai lo sguardo di riconoscenza che il suo sguardo atono posò su di lei. Il 26 marzo, mentre eravamo da amici, fummo sorpresi fra le cinque e le sei da un violento uragano, tuoni, lampi e un furibondo turbinare di neve. Qualche ora dopo apprendemmo che alle cinque e tre quarti Beethoven era morto.
Hiller [da Prod’homme].

Immediatamente dopo il corteo al cimitero, si verificò il seguente presago avvenimento. Franz Schubert, Benedict Randhartinger (1802-1893, compositore, direttore e tenore aveva studiato insieme a Schubert con Salieri), Franz Lachner (1803-1890, compositore, direttore e organista, fu amico di Beethoven e di Schubert) si recarono alla “Mehlgrube”, il ristorante sul Neuer Markt. Fu ordinato del vino e Schubert alzò il bicchiere esclamando: “Alla memoria del nostro immortale Beethoven!”, e quando i bicchieri furono vuoti riempì nuovamente il suo e disse: “Bene, e ora brindo a colui che tra noi seguirà per primo il nostro Beethoven!”. E con profetica ispirazione espresse quel presentimento di morte per sé: morì infatti il 19 novembre 1828.
von Breuning

[Ed ecco un aneddoto riportato sul giornale viennese “Blätter für Musik, Theater und Kunst” del 1856:]
Il 27 marzo 1827, giorno in cui a Vienna si tennero i funerali di Beethoven, uno straniero che si trovò a passare di lì, stupendosi del grande schieramento di militari, cosa che era stata predisposta [pare su richiesta di Stephan von Breuning] per mantenere l’ordine a causa dell’enorme afflusso di folla domandò ad una fruttivendola: “Che significa mai tutta questa gente e questi militari?”. La donna, che al momento lo fissò meravigliata, rispose poi con un riso beffardo: “Di sicuro è la prima volta che lei è a Vienna se no saprebbe bene che sono i funerali del primo dei musicanti!”.
[Questa battuta si trova riportata in molti libri ma tradotta diversamente. Infatti termina con le parole “der General der Musiker”: la traduzione comunemente adottata è “il generale dei musicanti”, mentre nel dialetto viennese del tempo significa proprio “il primo dei musicisti”.]
Focher

Dall’orazione funebre di Franz Grillparzer.
Nel raccoglierci qui presso la tomba di quest’uomo che ci ha lasciati, noi siamo, per così dire i rappresentanti di un’intera nazione, del popolo tedesco riunito, in lutto per la scomparsa di un suo celebratissimo figlio, di quanto era rimasto del declinante splendore della nostra arte nativa, della fioritura spirituale della patria. In realtà ancora vive – e possa vivere a lungo! – l’eroe del canto in lingua tedesca [Goethe], ma l’ultimo grande Maestro, lo splendido portavoce dell’arte dei suoni colui che ereditò e dilatò la fama immortale di Händel e di Bach, di Mozart e di Haydn, ha concluso la sua esistenza, e noi, piangendo, siamo qui accanto alle corde spezzate dello strumento che ora tace. Dello strumento che ora tace! Lasciate che ne parli così. Perché egli era un artista, e quel che era, egli lo era soltanto in virtù della sua arte. Le spine della vita l’avevano ferito nel profondo, ma come il naufrago s’aggrappa alla riva, così egli si rifugiò tra le tue braccia, o sorella sublime del Bene e del Vero, consolatrice del dolore, Arte che scendi dall’alto. Saldo si tenne a te, e persino quando fu serrata la porta attraverso la quale entravi in lui e gli parlavi, quando divenne cieco alle tue fattezze, nel suo sordo orecchio, egli continuava a portare nel cuore la tua immagine, e anche sul letto di morte l’aveva nel petto. Fu un artista, e chi è in grado di stargli a pari? Adelaide e Leonora, Celebrazione degli eroi della vittoria [accenno alla Vittoria di Wellington], e canto devoto del sacrificio della Messa [allusione alla Missa Solemnis], e voi figli impetuosi delle voci a tre o quattro parti! Sinfonia impetuosa “Freude schöner Götterfunken”, e tu canto del cigno! Musa dei canti e del suono degli archi! Voi tutti attorniate la sua tomba e incoronatelo d’alloro! Fu un artista, ma anche un uomo, uomo in ogni senso, nel senso più alto. Poiché si isolò dal mondo lo dissero ostile, e poiché fuggiva le sensazioni comuni lo dissero privo di sentimenti. Ah! Chi si sa duro non fugge, ma sta fermo e non si turba. Sono proprio le punte più tenere quelle che più facilmente si piegano e si spezzano. Se fuggì il mondo fu perché nel profondo del suo animo, disponibile all’amore, non trovò alcun sostegno per resistergli. Se si sottrasse agli uomini, fu perché essi non volevano salire fino a lui, ed egli non poteva scendere fino a loro. Fu solo perché non trovò chi gli fosse pari. Ma sino alla morte serbò a tutti un cuore umano, paterno con la sua gente, totalmente dedito al genere umano. Così fu, così morì, così vivrà per i secoli dei secoli. Ma voi, voi che avete fin qui seguito questa cerimonia, dominate la vostra mestizia. Poiché non di scoraggiamento, ma un sentimento di innalzamento ci viene dallo stare accanto alla bara dell’uomo di cui è, come per nessuno, lecito affermare: ha prodotto grandi cose, e nessuna macchia era in lui. Allontanatevi da questo luogo dolenti, ma saldi. Prendete con voi – un fiore dalla sua tomba – il ricordo di lui e del suo operare. E se voi sarete talvolta sopraffatti come dal temporale che si avvicina dalla potenza delle sue creazioni, allora rievocate questa giornata, rievocate il ricordo di lui, che ha prodotto cose così eccelse e in cui non vi era macchia.
von Breuning

[Al cimitero di Währing, che all’epoca della sepoltura era in aperta campagna, fu poi costruito, sul tumulo, un piccolo monumento, “realizzato con pietre ordinarie. Raffigura una piramide, al cui culmine è appesa una lira molto grossolana, e sotto solamente il suo nome in lettere dorate”. Come ricorda Focher, vi fu chi, come Maria von Pratobevera, un’amica di Schubert, scrisse che “l’idea di apporvi solo il suo nome, per renderlo assolutamente immortale” le era piaciuta moltissimo, ma che “le pietre e la fattura erano indegne”. Beethoven, come ricorda Focher, riposò nel cimitero di Währing per poco più di 36 anni. Il 13 ottobre 1863 i suoi resti mortali furono riesumati. Dopo essere stati sottoposti a misurazioni e fotografie, furono ricomposti, il 23 ottobre, per essere salvati dalla consunzione, in una cassa di zinco. Le sue spoglie furono di nuovo inumate a Währing. La cerimonia si svolse alla presenza di un folto pubblico, tra cui Ludwig van Beethoven (1839-1890), pronipote del Maestro, figlio del nipote Karl. Il cimitero di Währing fu poi chiuso. Il 21 giugno 1888, a 61 anni dalla morte del Maestro, vi fu una nuova riesumazione, seguita da una tumulazione definitiva nel Zentralfriedhof di Vienna, nella sezione delle “tombe di onore”, occasione in cui vi furono traslate anche le spoglie di Schubert, che era stato sepolto nello stesso cimitero, a breve distanza da Beethoven. Per Beethoven fu eretto un monumento funebre identico a quello di Währing. Oggi a Währing il territorio del cimitero è ridotto ad un modesto giardino pubblico, circondato da abitazioni, lo Schubert-Park. Sono rimaste solo le antiche tombe dei due Maestri, appoggiate al muro di cinta. Anche se vuote e ignorate dai pochi bambini che vi giocano intorno accompagnati dai nonni, tutti probabilmente dimentichi del cumulo di storia passata, ricordano ancora qui per l’eternità la gloria dei due Maestri.

La cosa più stupefacente è lo scoprire che al Zentralfridhof, nella zona dedicata ai musicisti, accanto a Schubert, Brahms, Lehar, gli Strauss e tanti altri compositori, riposano anche gli Streicher. La signora Nanette è a pochi metri dalla tomba di Beethoven, quasi di faccia a lui, (in un monumento rimesso a nuovo da poco, dato che vi sono stati sepolti di recente dei suoi discendenti), come volesse continuare l’affettuosa protezione che gli diede in vita. (Vienna, 29 ottobre 2002).]