Unv. 15 (Hess 115) – Il Fuoco di Vesta, prima scena di un’opera di Schikaneder, soli (soprano, due tenori e basso) e orchestra

Hess 115 – Il Fuoco di Vesta, prima scena di un’opera di Schikaneder, soli (soprano, due tenori e basso) e orchestra, 1803, completata e pubblicata da Willy Fless, Wiesbaden, Bruckner Verlag (oggi Alkor Édition, Kassel), 1953. H. 115 – T. 266.

Il manoscritto originale, oggi conservato nell’archivio della società degli Amici della Musica di Vienna, figurava fra le carte della «successione Beethoven», poste all’asta pubblica del 5 novembre 1827, con la denominazione: “Pezzo di canto con orchestra, compiuto ma non interamente strumentato”. Thayer lo menziona nel suo catalogo, senza attribuirgli una data, come «Terzetto vocale: Volivia, soprano; Sartagone, tenore; Poro, basso: manoscritto incompiuto, in possesso della Musikverein a Vienna». Nottebohm, pubblicando in Beethoveniana 1 il testo, seguito dalle prime trentacinque battute dell’ultima parte (il terzetto vero e proprio), opinava che si trattasse del finale di un’opera o di un Singspiel, forse di Schikaneder e dato da questo da comporre a Beethoven nel 1803. Successivamente lo stesso studioso, riprendendo l’argomento in una pubblicazione di otto anni dopo e notando che al terzetto seguivano gli abbozzi di un’aria: “Hort, Rachegotter, mich” (Ascoltatemi, Deii della vendetta), escludeva che si potesse parlare di finale, ma ribadiva l’opinione che i due pezzi appartenessero all’opera di Schikaneder che Beethoven si era accinto a comporre per il teatro an der Wien prima di por mano al Fidelio. In seguito Thayer-Riemann ha fatto l’ipotesi di un secondo Alessandro, la cui scena si sarebbe svolta in India, offerto da Schikaneder a Beethoven; un completamento di quello con il quale era stato inaugurato due anni prima il suo nuovo teatro. Solo nel 1930, dopo il ritrovamento nella National Bibliothek di Vienna, dovuto a Raoul Biberhofer, del manoscritto completo del fuoco di Vesta, grande opera lirica in due atti di Emanuele Schikaneder, si è potuto stabilire con precisione che il pezzo musicato da Beethoven ne costituiva la prima scena e che gli altri sbozzi non ulteriormente sviluppati riguardavano un’aria della seconda. In realtà per combattere la concorrenza dei due teatri di corte, gestiti dal barone di Braun, e delle opere francesi che, introdotte allora in Austria, andavano riscuotendo sempre maggiori successi, Schikaneder aveva pensato alla collaborazione di due musicisti che, ciascuno alla sua maniera, gli davano valido affidamento: il giovane e già ben noto Beethoven, in promettente e sempre più rapida ascesa, e il cinquantaquattrenne abate Georg Joseph Vogler, che godeva di una consolidata rinomanza come operista, pianista, organista e teorico. A Beethoven fu proposto, con ogni probabilità nei primi mesi del 1803, Il Fuoco di Vesta, ma egli non dovette tardare a sentire il disagio nell’impresa. Lo strampalato libretto di Schikaneder non poteva essere di suo gusto; e d’altra parte le simpatie del pubblico andavano volgendosi alle cosiddette “opere di salvazione” (Rettungsopern), di gusto e importazione francese, in cui prevaleva un più reale interesse drammatico, in azioni ispirate a concetti di libertà e di giustizia per gli innocenti oppressi, e non gli eroismi esotici e la vacuità d’intrecci artificiosi. In una sua lettera del 4 gennaio 1804, rispondendo al letterato Joh. Friedrich Rochlitz che gli aveva fatto mandare un suo libretto d’opera e dichiarandogli di non poterlo accettare perché il soggetto aveva «a che fare con la magia», il maestro aggiungeva di esserne tanto più dolente in quanto un nuovo libretto avrebbe potuto trarlo «in questo preciso momento, da una situazione estremamente imbarazzante. Infatti ho rotto definitivamente con Schikaneder, il cui impero in verità è stato completamente eclissato dalla luce delle brillanti e seducenti opere francesi. Nel frattempo egli mi ha tenuto fermo per ben sei mesi… Ho quindi disdetto ogni accordo con lui, anche se da parte mia avevo composto diversi pezzi. Provi ad immaginare un argomento romano (del quale non mi era stato detto né il piano generale né qualsiasi altra cosa), e un linguaggio e dei versi quali potrebbero uscire soltanto dalla bocca delle nostre fruttivendole (Aepfelweiber) viennesi. Ebbene, ho fatto rapidamente adattare un vecchio libretto francese; e ora comincio a lavorarci su». L’acquisto da parte del barone di Braun del teatro an der Wien, avvenuto appunto al principio del 1804 (forse quando scrisse la suddetta lettera, il 4 gennaio, Beethoven poteva averne avuto già qualche sentore), e il conseguente allontanamento di Schikaneder dalla direzione liberarono definitivamente il maestro dall’impegno a cui tanto malvolentieri si sentiva ormai legato. Schikaneder passò il suo libretto a Joseph Weigl, Kapellmeister del teatro di corte, che lo pose in musica in breve tempo. L’opera andò in scena il 10 agosto 1805 (tre mesi appena prima del Fidelio) e fu replicata varie volte. Poi cadde in dimenticanza, né, a quanto ci consta, è stata fino ad oggi riesumata. Il libretto del Fuoco di Vesta, ritrovato come sopra, è stato pubblicato per intero da Willy Hess. Perché il lettore si renda conto delle buone ragioni di Beethoven nel rifiutarlo ne diamo in succinto l’argomento. Volivia, figlia del nobile romano Poro, ama segretamente Sartagone, altro nobile romano, figlio di un nemico mortale di Poro. Malo, schiavo di Poro e innamorato anch’egli di Volivia, informa della relazione il padrone. Da lui guidato, Poro assiste nascostamente al colloquio dei due giovani che si giurano eterna fedeltà. Scoperti dal padre, che proferisce minacce e maledizioni, Volivia e Sartagone implorano il perdono. Poro alla fine si commuove ed acconsente alla loro unione. Allora Malo, d’accordo con il tribuno Ponteo, rivela ogni cosa al decemviro Romenio, il « iranno» di Roma, terzo e più temibile innamorato di Volivia che per lei ha ripudiato la nobile sabina Sericia. Ponteo, desideroso a sua volta di Sericia, cerca di assecondare la passione di Romenio suggerendogli di allontanare da Roma Poro e Sartagone, con l’incarico di alti comandi militari, e di convocare in pubblica adunanza il popolo e il senato; innanzi a questi Malo accusa Poro di averlo rapito, fanciullo ancora, insieme con Volivia, che egli asserisce essere sua sorella, e condotto a Roma in schiavitù. Nell’attesa del giudizio, che sarà pronunciato entro tre giorni, Romenio ordina che Volivia sia portata e custodita nel suo palazzo. Solo dopo trascorso questo periodo, durante il quale intanto egli spera di conquistare la donna, e previo risultato favorevole del giudizio, essa potrà essere riconsegnata al presunto fratello. Il popolo insorge per difendere Volivia, opponendosi alle guardie di Romenio che vogliono portarla nel palazzo del decemviro: intervengono gli Auguri a sentenziare che Volivia deve essere consacrata vestale. Così la donna viene condotta nel tempio della dea. Romenio forza la porta del tempio, lo invade, lo distrugge, spegne il sacro fuoco; ma Volivia è riuscita a mettersi in salvo, e solo dopo altre varie peripezie, complicate dal ritorno di Poro e di Sartagone che cercano di indurre il popolo alla rivolta, Romenio la ritrova fuggiasca, inseguita da Malo, che minaccia di ucciderla se non acconsente ai suoi desideri. Catturato Malo e fattolo gettare con le mani e i piedi legati nel Tevere, Romenio crede finalmente di avere la donna in suo potere; ma sopraggiunge Sericia (che era stata anch’essa, dopo la sua disavventura, ricoverata nel tempio e consacrata vestale) a pugnalarlo per propria vendetta e per la salvezza dell’innocente Volivia. Eliminati così i malvagi, ritorna l’ordine, la serenità, la gioia; il fuoco di Vesta si riaccende miracolosamente da sé, e in un coro finale Poro, Sartagone, gli Auguri, le Vestali, Volivia, Sericia, il popolo tutto innalzano un inno di ringraziamento agli dei. La scena musicata da Beethoven consta di quattro episodi:

I. Poro, guidato da Malo, assiste di nascosto al colloquio d’amore di Volivia e Sartagone: Blick, o Herr (Guarda, signore). Nel movimento agitato dell’orchestra, pianissimo, si insinuano le parole di Malo, cui risponde Poro cupo e deciso. In una breve conclusione a due è riassunta la tensione della comune attesa.

II. Duetto fra Sartagone e Volivia, che si giurano amore prima di separarsi: “Liebe Freundin, lebe ivohl!” Amata amica, addio!).
Andante molto cantabile. Una dolce melodia in cui le voci si alternano e poi si uniscono in un breve canto a due, bruscamente interrotto dall’entrata di Poro che, uscendo dall’ombra, si fa contro a Sartagone.

III. “Dein Vater war mein Feind” (Tuo padre era mio nemico). Episodio drammatico ove alle parole minacciose di Poro, che vuol maledire la figlia e scacciare l’amante, rispondono le supplichevoli implorazioni di Sartagone e di Volivia: un agitato intreccio di recitativi che raggiunge la massima tensione nel momento in cui Sartagone, di fronte all’inflessibilità di Poro, tenta di uccidersi puntandosi la spada al petto e viene trattenuto da un concorde “Halt ein!” (Fermati!) del padre e della figlia. A questo punto un breve passo dell’orchestra esprime, dice la didascalia, il contrasto di sentimenti del padre. Infine l’ira di Poro è vinta; egli perdona e benedice gli amanti. Al grido di disperazione di Malo “Web mir! Sie ìst dahin. Fur mich ist sie eivig hin!” (Me infelice! essa mi sfugge, è perduta per sempre per me!) si sovrappone l’animato movimento in ascesa, crescendo, dell’orchestra, introduttivo del

IV. Terzetto: “Nie war ich so froh wie beute” (Mai sono stato tanto felice come oggi), Volivia, Sartagone, Poro. anticipazione musicale del duetto “O namenlose Freude” (O gioia senza nome) della Leonora, celebrativo di un sentimento analogo. La partitura è, come abbiamo già detto, incompiuta.

Nella stesura delle parti vocali e di quelle degli archi si trova di tanto in tanto qualche piccola lacuna; le parti degli strumenti a fiato (i quali sono tuttavia elencati nella prima pagina con ogni precisione in quantità e qualità: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 coppie di corni in sol e in mi bemolle, adoperate alternativamente secondo le tonalità) mancano quasi del tutto. Queste lacune, ed altre riguardanti le indicazioni d’espressione, i coloriti e l’ortografia musicale stessa, sono state colmate da Willy Hess che ha pubblicato la partitura così completata, come si è detto in principio, nel 1953, con una introduzione storica e una notizia precisa di tutte le sue aggiunte e modificazioni. Una riduzione per canto e pianoforte è stata ugualmente pubblicata in seguito dallo stesso studioso.

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