Opus 131 Quartetto in do diesis minore per archi

I) Adagio ma non troppo e molto espressivo – II) Allegro molto vivace – III) Allegro moderato – IV) Andante ma non troppo e molto cantabile – V) Presto – VI) Adagio quasi un poco andante – VII) Allegro.

Opus 131 Quartetto in do diesis minore per archi, op. 131, dedicato al barone von Stutterheim, dicembre 1825-prima metà di agosto 1826, pubblicato a Magonza, Schott, partitura e parti, giugno 1827. GA. n. 50 (serie 6/14) – B. 131 – KH. 131 – L. IV, p. 302 – N. 131 – T. 260.

Il manoscritto originale si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. (Il Quartetto era destinato all’amico Wolfmayer, ma all’ultimo momento Beethoven cambiò idea, scrivendo all’editore in data 10 marzo 1827 (sedici giorni prima della sua morte) di stampare l’opera con la dedica al feldmaresciallo barone Joseph von Stutterheim, che aveva accettato nel suo reggimento «Arciduca Lodovico» di Iglau il nipote Karl. Al Wolfmayer fu poi dedicato il Quartetto op. 135. Gli abbozzi, comunicati dal Nottebohm, si trovano frammisti, negli stessi quaderni, a quelli dei Quartetti opp. 127, 130 e 132: dal che può dedursi che anche altre idee musicali si affollavano nel medesimo tempo nella fantasia del maestro, idee che egli lì per lì si limitava ad annotare allo stato grezzo, riservandosi di svilupparle in composizioni future. Ad una copia del quartetto, da lui riveduta, Beethoven ha infatti apposto l’annotazione: “Zusammengestohlen aus Verschiedenen diesem u. jenem” (messo insieme con frammenti presi qua e là). Ma i sette movimenti di cui l’opera consta (da eseguirsi ininterrottamente, secondo un’altra annotazione dell’autore) appaiono ideologicamente collegati nella coordinazione degli elementi espressivi musicali che li sostanziano.

Alla melanconia ascetica del primo fa riscontro l’impeto fervido dell’ultimo, attraverso la calda melodiosità dell’Andante; alla fantasia romantica un po’ nebulosa del secondo risponde quella più luminosa, viva e colorata del quinto (Presto). Richard Wagner in un suo noto scritto ha dato del Quartetto un’interpretazione particolare, alla quale si è opposto tra gli altri Rolland, osservando come egli «abbia attribuito al più vivo, al più immediato dei musicisti, a questo renano gonfio di linfa come le sue vigne, figlio di fiamminghi dal sangue torrenziale, le elucubrazioni schopenauerizzanti di cui la sua vita è impregnata, quelle ideologie da lui stemperate in un misticismo sentimentale». Nell’Adagio ma non troppo si alternano ed intrecciano espressioni appassionate, voci di anelito e di rassegnazione, in una specie di preghiera che si eleva a volte ad altezze mistiche, per concludere in una serie di cupi accordi, che si risolvono nel lungo unisono di do diesis da cui prende infine le mosse l’Allegro molto vivace. Il tema ritorna, in aspetto abbastanza riconoscibile, nel Finale, ed ha analogie con elementi del Quartetto precedente, della Fuga op. 133 e del Quartetto op. 132.

La fisionomia dell’Allegro molto vivace è tra malinconica e fantastica; esso costituisce un episodio di leggerezza che separa adeguatamente i movimenti di maggiore consistenza: l’Adagio iniziale e l’Andante con variazioni che segue. Precede l’Andante, che è il più sviluppato dei sette movimenti, una breve introduzione (Allegro moderato), di carattere interrogativo e conciso come un recitativo di melodramma, e tuttavia d’una fisionomia e d’una struttura tutta strumentale nel fraseggio che si trasmette dall’uno all’altro strumento e resta sospeso in una breve cadenza del primo violino. Poi il tema, d’una grazia piena d’abbandono e di ardore — come già il secondo dell’Adagio della Nona Sinfonia — viene enunciato dagli strumenti superiori: ed è pure d’una fisionomia e d’una snellezza che si potrebbero chiamare squisitamente italiane; si pensi per un momento al “Quae moerebat” dello “Stabat” di Pergolesi. Andante ma non troppo e molto cantabile.

Segue la serie delle variazioni, che possono paragonarsi a una teoria di affreschi differenti l’uno dall’altro, per il carattere e gli atteggiamenti stessi delle figure che li compongono, ma che si rieriscono allo stesso soggetto per un tono unico fondamentale di luce calda e per una predilezione comune al rilievo di immagini nette e stagliate; forme di estrinsecazione imposte da una abundantia cordis in pieno rigoglio di vita piuttosto che derivate dalla elaborazione artistica di rappresentazioni passate già nel campo della riflessione. Alla fine della Coda si annuncia energicamente in forte, dopo una breve pausa, l’accordo di mi maggiore snodato in conciso arpeggio di quattro note del violoncello. A questo brusco appello per un istante come sospeso nel vuoto — e che già ne fissa l’impulso tematico — si allaccia senz’altro il Presto, movimento vivacissimo che si afferma subito nella sua fisionomia per metà delicata e per metà ruvida, tipicamente beethoveniana.

I temi scorrono attraverso richiami, riprese, soste improvvise, giuochi di ritmi e di timbri, abbandoni di frasi piacevoli o paesanamente gioiose, svanendo alla fine come il trasvolare di impalpabili creature fantastiche. Il Finale (Allegro) è introdotto da un Adagio quasi un poco andante, in sol diesis minore, d’una penetrante espressione dolorosa fatta ancor più sensibile nel timbro della viola che ne enuncia il tema; l’Allegro è il formidabile coronamento di tutto il Quartetto. La fervida aspirazione del primo tempo si trasforma qui, non senza analogie di nuclei tematici in un impeto a cui si addice la denominazione di eroico. L’anima, «non più dispersa nella sinuosità d’una inquieta polifonia» (Chantavoine), trova la sua espressione compatta, serrata, concorde nella foga della melodia e del ritmo.

Lo Schering riferisce al Quartetto alcune scene dello Amleto di Shakespeare. Primo tempo (atto III scena I): Monologo di Amleto: Essere o non essere — Secondo tempo-. Continuazione della scena precedente: Entrata di Ofelia e suo dialogo con Amleto — Terzo tempo (atto III scena II): Preparazione della pantomima — Quarto tempo: Continuazione della scena precedente: La pantomima, fino all’avvelenamento del re — Quinto tempo-. Continuazione della pantomima: L’avvelenatore corteggia la regina — Sesto tempo, (atto III scena V): Canzone di Ofelia — Settimo tempo, (atto V scena II): Duello di Amleto e Laerte innanzi al re e alla regina. Deliquio e morte della regina. Morte di Amleto.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 131 Quartett (cis-moll) für zwei Violinen, Viola und Violoncello Widmung: Joseph Freiherr von Stutterheim NGA VI/5 AGA 50 = Serie 6/14

Creazione e pubblicazione: Opera abbozzata dal dicembre 1825 al luglio 1826 circa a Vienna. A metà agosto 1826 Beethoven presentò all’editore originale Schott di Magonza un modello per l’ incisione. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Schott nel maggio/giugno 1827, prima a Parigi e poi a Magonza, seguita nel febbraio 1828 dallo stesso editore a Magonza. Mentre lavorava ancora alla partitura autografa dell’op. 130 nella versione originale con fuga, Beethoven annotò i primi schizzi per un altro quartetto. Joseph Kerman riferisce già un abbozzo in do diesis minore e re bemolle maggiore dal luglio 1825 che si riferisce all’op. 131. Uno dei primi schizzi chiaramente identificabili è uno schizzo del tema della fuga per il primo movimento (le singole sezioni sono indicate come „Stücke” da Beethoven stesso), che fu annotato in un taccuino di conversazione attorno all’11 dicembre 1825. Già nel gennaio 1826 Karl Holz chiese: „Vielleicht können wir dann zugleich [während der Proben zu Op. 130] etwas vom Cis mol Quartett probiren. – Das erste [Stück] ist schon fertig?“ (BKh 8 p. 273). Non si può escludere che una prima versione del primo brano, disponibile in copia presso il copista Wenzel Rampl, fosse già stata completata. Beethoven menzionò per la prima volta a Schott alla fine del marzo 1826 che presto avrebbe avuto un nuovo quartetto pronto per la pubblicazione: „für Paris würde ich vieleicht ein neues quartett geben können“ (BGA 2136). Schott rispose prontamente chiedendone i diritti. Anche Maurice Schlesinger a Parigi (l’editore dell’Op. 132) e Heinrich Albert Probst a Lipsia nelle settimane successive offrirono a Beethoven la possibilità di pubblica l’opera presso le loro case editrici (BGA 2148, 2159). Come mostrano i quaderni di conversazione, Beethoven negoziò dal maggio, sostenuto da Karl Holz,  con Mathias Artaria che aveva già pubblicato le op. 130 e 133 (BKh 9 p. 227, 232, 245, 262f). Il 20 maggio 1826, come sempre prematuramente, Beethoven annunciò il completamento dell’op. 131 a Schott a Magonza: “Auch war damahls [im April 1826] das Quartett noch nicht vollendet, welches jezt beendiget ist“ (BGA 2154).

Il 29 luglio, quando probabilmente la bozza dell’incisore era già disponibile, scrisse: „Zugleich melde ich Ihnen, daß ich in einigen Tagen das Quartett, wie auch Ihr Schreiben an Herrn Frank abliefern werde; dieß würde schon geschehen seyn, wenn nicht mein Bestreben, Ihnen das Werk ganz correkt zum Stiche zu übersenden, mich bestimmte, es noch ein Mahl auf das Genaueste durchzusehen” (BGA 2173). In cambio del pagamento della metà del compenso, Beethoven presentò quindi la bozza per l’ incisore alla società all’ingrosso Franck & Comp di Vienna in agosto per la spedizione a Parigi e Magonza.

All’inizio dell’ agosto 1826 l’editorechiese al compositore se si trattasse effettivamente di un’opera originale (BGA 2180). Beethoven reagì con una nota scherzosa sulla copia dell’incisore: „Nb: zusammengestohlen aus verschiedenem diesem u. jenem“. Qualche giorno dopo, avendo consegnato il modello per l’ incisore, scrisse all’editore: „sie schrieben, daß es ja ein original quartett seyn sollte, es war mir empfindlich, aus Scherz schrieb ich daher bey der Aufschrift, daß es zusammen getragen, Es ist Unterdeßen Funkei nagelneu“ (BGA 2187). Schott confermò la ricezione il 28 novembre 1826.

L’8 marzo 1827 l’editore annunciò: „Auch das Quartet in Cis— ist hier bereits fertig und wird es nun auch bald in paris seyn“ (BGA 2276). Si trattava dell’edizione delle parti; la partitura fu consegnata solo nel febbraio 1828. Inizialmente ci fu un po’ di confusione riguardo al numero d’opera. Il 22 febbraio 1827 Beethoven informò Schott: „Zwischen dem Opus (Quart, in Cis moll) was Sie haben, geht das vorher, was Math. Artaria hat [Op. 130]. Hiernach können Sie leicht das Nummer bestimmen“ (BGA 2262). L’edizione di Artaria dell’op. 130 non era ancora stato pubblicata, quindi a Magonza il conteggio si basava sulle ultime opere pubblicate, che erano le Opus 127 e 128 e quindi si pensò ad Opus 129. Il quartetto in do diesis minore fu annunciato per la prima volta con questo numero d’ opera in aprile. Successivamente vi fu una vivace corrispondenza tra Anton Schindler e gli editori degli ultimi quartetti, Schlesinger, Artaria e Schott, al fine di determinare il corretto numero d’opera, non essendo chiaramente indicato nella dichiarazione di proprietà di Beethoven nemmeno per Schott.

Il 27 aprile 1827 Artaria poté spiegare a Schott la sequenza esatta dei numeri d’opera in modo che il quartetto in do diesis minore fosse registrato correttamente come op. 131.

Dedica: Josef Freiherr von Stutterheim, nato il 18 giugno 1764 a Moravian-Neustadt (Unicov, Repubblica Ceca), e deceduto 21 luglio 1831 a Lemberg (Lviv, Ucraina), prestò servizio nell’8 ° reggimento di fanteria „Erzherzog Rudolph“ a Iglau. Nel 1783 iniziò la sua carriera militare, che ascese ai più alti gradi. Nel 1819 Stutterheim fu elevato al grado di barone e nel 1824 fu nominato membro del consiglio di guerra di corte, da ultimo fu comandante generale della Galizia. Beethoven informò la casa editrice Schott il 22 febbraio 1827 che op. 131 avrebbe dovuta essere dedicata al „meinem Freunde Johann Nepomuck Wolfmayer” (BGA 2262),al quale dedicò l’op. 135. Tuttavia questa dedica fu ritirata il 10 marzo: „Nach meinem Briefe sollte das Quartett jemanden dedicirt werden, dessen Nahmen ich Ihnen schon überschickte. Ein Ereigniß findet statt, welches mich hat bestimmen müßen, hierin eine Änderung treffen zu mü-ßen. Es muß dem hiesigen Feldmarschal – Lieutenant Baron v. Stutterheim, dem ich große Verbindlichkeiten schuldig bin, gewidmet werden. Sollten Sie vielleicht die erste Dedication schon gestochen haben, so bitte ich Sie um alles in der Welt, dieß abzuändern, und will Ihnen gerne die Kosten dafür ersetzen. Nehmen Sie dieß nicht als leere Versprechungen, allein es liegt mir so viel daran, daß ich gerne jede Vergütung zu leisten bereitet bin. Der Titel liegt hier bey“ (BGA 2278). Dal 1815 Stutterheim fu il secondo comandante  del reggimento „Erzherzog Rudolph“, al quale si era unito il nipote di Beethoven, Karl, all’inizio del gennaio 1827 attraverso la mediazione di Stephan von Breuning dopo il suo tentativo di suicidio.

Nel febbraio/marzo 1827 Stutterheim cercò di far nominare Karl van Beethoven cadetto del reggimento.  Prima esecuzione pubblica postuma il 5 giugno 1828 a cura del Müller ad Halberstadt.

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