Opus 30 Sonate (3) per pianoforte e violino in la maggiore, do minore, sol maggiore

Opus 30 Sonate (3) per pianoforte e violino in la maggiore, do minore, sol maggiore, op. 30, dedicate allo Zar Alessandro I di Russia, 1802, pubblicate in parti staccate a Vienna, Bureau d’arts et d’industrie, maggio-giugno 1803; in spartito a Francoforte, Dunst, verso il 1835. GA. nn. 97-99 (serie 12/6-8) – B. 30/1-3 – KH. 30/1-3 -L. II, pag. 121 – N. 30/1-3 – T. 96.

Titolo ufficiale: Opus 30 Drei Sonaten (A-dur, c-moll, G-dur) für Klavier und Violine Widmung: Alexander I., Zar von Russland NGA V/2 AGA 97-99 = Serie 12/6-8 Beinamen: Nr. 2 Eroica-Sonate, Nr. 3 Champagnersonate (Anklänge an Mozarts „Don Giovanni“ im 3. Satz).

Origine e pubblicazione: Composte nella prima metà del 1802. La partitura autografa della prima sonata è datata “1802” da Beethoven, gli abbozzi per tutte e tre le composizioni risalgono presumibilmente da mese di marzo al maggio dello stesso anno. L’edizione originale in parti fu pubblicata nel maggio e giugno 1803 dal Kunst- und Industrie-Comptoir di Vienna e contemporaneamente da Dale a Londra. La prima sonata è stata concepita per prima, con il finale che diverrà il finale della sonata op. 47. Tuttavia, dopo aver abbozzato le altre due sonate, Beethoven decise di comporre un nuovo movimento finale per la n. 1. Un primo riferimento scritto alle sonate si trova nell’offerta scritta del 22 aprile 1802 all’ editore Breitkopf & Härtel. Kaspar Karl van Beethoven scrisse: „Gegenwärtig haben wir 3 Sonaten fürs Klavier und Violin, wenn sie Ihnen gefällig sind, so werden wir sie schicken“ (BGA 85). Nonostante l’ offerta non furono pubblicate presso quell’ editore ma nel maggio (n. 1) e nel giugno (n. 2 e 3) 1803 dal  Wiener Kunst- und Industrie-Comptoir.

Anche se le opere autografe erano ovviamente il modello per l’editore, Alan Tyson pensa che non stessero incidendo direttamente dal manoscritto dell’edizione originale, ma che ne fossero state fatte delle copie.

Dedica: Zar Alessandro I, nato il 23 dicembre (12 dicembre secondo il calendario giuliano) 1777 a San Pietroburgo, e deceduto il primo dicembre (19 novembre) 1825 a Taganrog, primogenito dello zar Paolo I (1754-1801) e della sua seconda moglie, Maria Fyodorovna, nata Sophia Dorothea (Augusta Luise) di Württemberg (1759-1828), Zar di Russia dal 24 marzo 1801. Alessandro I sposò la principessa Luisa di Baden nel 1793 (dopo il matrimonio: Elisabeta Alexejewna). La dedica dell’op. 30 allo zar Alessandro I fu inizialmente ignorata e non ebbe alcun rendimento finanziario. Solo nella primavera del 1815, quando la Zarina Elisabeta Alexeyevna, che in quel periodo soggiornava presso lo Zar per il congresso a Vienna, ricevette in udienza Beethoven per presentare la polonaise op.89 a lei dedicata, gli lasciò 100 ducati oltre al pagamento per la polacca come onorario per le sonate per violino. Nel 1823 Alessandro I divenne sottoscrittore della Missa Soleminis di Beethoven (vedi anche BGA 1619, 1620 e 1664). La copia della partitura destinata allo zar fu consegnata alla legazione russa a Vienna alla fine del giugno 1823 (BGA 1684 e 1757), ed andò perduta. Il 28 gennaio 1826 Beethoven riferì alla casa editrice B. Schotts Söhne che inizialmente voleva dedicare la Nona sinfonia Op. 125 ad Alessandro I (BGA 2110), ma ciò fu impedito dalla sua morte.

Prima esecuzione sconosciuta.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

Opus 30 numero 1 Sonata per pianoforte e violino in la maggiore

I) Allegro – II) Adagio molto espressivo – III) Allegretto con variazioni

Il manoscritto originale è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Numerosi abbozzi se ne trovano nel quaderno Kessler descritto dal Nottebohm.

Se si dovesse definire sinteticamente il carattere di quest’opera, basterebbe dire ch’essa è di una amabile serenità, al conseguimento della quale cooperano tanto i singoli temi in sé quanto la loro elaborazione.

Così nell’Allegro, l’esposizione a tre parti, e pur tanto leggera, del primo tema, la tenera melodia del secondo, la reciproca compenetrazione, anche nello sviluppo, di questi due principali se non unici elementi formativi, le cadenze, la breve coda. La melodia dell’Adagio è come una canzone di pace, soffusa, in qualche momento, di malinconia, sostenuta, o seguita, da una marcata ma sempre duttile figura ritmica d’accompagnamento (come nel tempo corrispondente della Quarta Sinfonia): nel complesso un perfetto equilibrio di forma e d’espressione.

Al terzo tempo era originariamente destinato, sembra, l’attuale Presto della Sonata a Kreutzer, come appare anche dalla sua posizione negli abbozzi; ma dovette quasi subito prevalere l’idea di sostituirvi l’Allegretto attuale (abbozzato nello stesso quaderno molte pagine dopo gli altri due tempi) come più rispondente allo spirito dell’insieme.

Il tema ha, nella lettera e nello spirito, qualche affinità con quelli, nello stesso tono di la maggiore, del Finale della Sonata per pianoforte e violoncello op. 69, e del terzetto Ettch werde Lohn del Fidelio.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Opus 30 Sonata numero 2 per pianoforte e violino in do minore

I) Allegro con brio- II) Adagio cantabile – III) Scherzo – Allegro – Trio – IV) Finale. Allegro

Il manoscritto originale fa parte del fondo Bodmer della Beethovenhaus. Gli abbozzi si trovano nel quaderno Kessler come quelli della sonata precedente. La struttura del primo tempo e l’impianto stesso nel tono di do minore suggeriscono subito l’analogia esterna con altre composizioni di poco anteriori: il Quartetto op. 18 n. 4, il terzo Concerto per pianoforte e orchestra.

Ma l’enunciazione del primo tema, sul cupo e quasi minaccioso murmure d’accompagnamento, ha un impeto che non si trova nelle suddette; ed esso prende nello sviluppo (in rapporto con il secondo) e soprattutto nella perorazione finale, un carattere appassionato ed eroico. Nel complesso c’è il conflitto e la fusione di due principi diversi anche se non radicalmente opposti, mentre nella sonata precedente si trattava di un prezioso lavoro d’intarsio, con la significazione unica del particolare stato d’animo «amabile». Fra questo primo tempo e l’ultimo — lo Scherzo per il momento non entra in valutazione – si inserisce l’Adagio, analogamente all’Andante della Quinta Sinfonia, come una parentesi contemplativa di cui la elaborazione mette maggiormente in rilievo la bellezza.

L’episodio in minore (ripreso e concluso in maggiore) è una inconfondibile pagina beethoveniana di «profondità nella semplicità», intercalata nel magnifico testo della melodia principale, il ritorno e l’ulteriore sviluppo della quale sono poi condotti con una opulenza (basta pensare all’alone di sfondo creato dal fluido movimento di scale del pianoforte) che la magnifica maggiormente senza renderla retorica. Il carattere dello Scherzo non lega troppo né con l’impetuosa drammaticità del primo e dell’ultimo tempo né con la dolcezza meditativa dell’Adagio. Tenendo conto di questo si potrebbe pensare che la Sonata non avrebbe perduto niente della sua essenzialità se ne fosse restata priva; ma d’altra parte si tratta di una pagina in sé viva ed originale che costituisce nel complesso dell’opera, per quanto non sostanzialmente necessaria, un diversivo che può apparire anche opportuno. L’Allegro finale ci riporta allo stato d’animo del primo tempo, in confronto del quale ha più impeto, ma non eguale intensità drammatica; il carattere di Rondò, per quanto in forma di Sonata, contribuisce a dargli, con i periodici ritorni — qualcuno preparato un po’ alla Haydn —, un che di più spigliato; in certi punti come di danza sfrenata.

Il carattere drammatico è tuttavia sensibile nel primo tema; e si concentra ancor più nel Presto conclusivo, d’una travolgenza paragonabile a quella del Finale della Sonata appassionata e del primo tempo della Quinta Sinfonia. Lo Schering definisce questa sonata come «una musica beethoveniana del Werther di Goethe». Il Primo tempo sarebbe il ritratto musicale di Werther, come egli stesso si descrive nella lettera del 30 agosto (primo libro) all’amico di Guglielmo parlando della sua angosciosa passione per Lotte e del suo errare per campi e boschi alla ricerca di un po’ di calma.

Il Secondo tempo corrisponderebbe a quanto Werther dice nella lettera del 24 novembre (secondo libro) sul fascino che emanava da Lotte mentre suonava il pianoforte ed accompagnava ad esso la sua dolce e leggera voce, suscitando in lui l’ardente desiderio di baciarla — Il Terzo tempo si riferirebbe alla lettera del 16 giugno (primo libro): Lotte: “Giuochiamo a contare: Attenti! io vado intorno da destra a sinistra, e voi contate ognuno il numero che gli spetta; deve essere un fuoco di fila: chi inciampa o si confonde si piglia uno schiaffo“. Nel Trio: la scena del ballo, descritta nella medesima lettera, con la confusione e i contrattempi delle coppie inesperte che non riescono ad andare ad egual passo e ritmo — Quarto tempo: Commozione intensa di Lotte e di Werther dopo la lettura dei lagrimevoli canti di Ossian, presentimento di Lotte del suicidio di Werther; loro disperato abbraccio ed addio.

Opus 30 Sonata numero 3 per pianoforte e violino in sol maggiore

I) Allegro assai – II) Tempo di Minuetto – III) Allegro vivace

In confronto con l’impegno espressivo della seconda Sonata, ed anche con l’amabilità della prima, questa terza appare d’un carattere più leggero, a cui qualche atteggiamento popolaresco aggiunge un interesse di colore. Nel primo tempo, piuttosto che di compenetrazioni e tanto meno di opposizioni tematiche, si può parlare di una omogenea continuità degli elementi musicali costitutivi: tanto essi appaiono, dopo l’impetuoso slancio dell’inizio, come discendenti l’uno dall’altro senza contrasti né fratture né intrecci, neppure nella breve parte di sviluppo.

Il Tempo di Minuetto è di una dolcezza sostenuta che l’avvicina al corrispondente, pure in mi bemolle maggiore e destinato ad assolvere lo stesso compito di quasi gravità della Sonata per pianoforte op. 10 n. 3. Il Trio ha per base uno spunto tematico haydniano caro a Beethoven, che si è avuto e si avrà ancora occasione di ricordare. L’Allegro vivace finale arieggia schemi di danze popolari russe. Alcuni atteggiamenti ci richiamano alla fantasia altri Rondò. Secondo lo Schering Beethoven nel comporre questa Sonata si sarebbe ispirato al Singspiel Lila di Goethe.

Primo tempo: Per guarire Lila che, affetta da una cupa malinconia, vive solitaria in una foresta, i familiari le si presentano travestiti, fingendo di essere gli spiriti da lei invocati; la circondano cantando e danzando e la servono a tavola — Secondo tempo: Le filatrici si incontrano con gli uomini e danzano con loro.

Terzo tempo. Canzone delle filatrici intente all’arcolaio. La musica descrive il ruotare degli arcolai, il girare dei fusi, gli arresti, gli intoppi, le riprese e tutta la spensieratezza e l’allegria della scena. Nell’Adagio della Sonata op. 7, nell’Allegretto molto della Sonata op. 10 n. 1, nella Fantasìa op. 77, nel primo tempo della Sonata op. 10 (tutte per pianoforte), nel Trio del Minuetto del Quartetto op. 18 n. 5, nel terzo tempo del Trio op. 70 n. 2. L’attribuzione a Beethoven, di cui parla il Frimmel, di una trascrizione di questa Sonata per quintetto di fiuto, violino, due viole e violoncello, pubblicata nel 1803 dall’editore Spehr a Braunschweig, (Hess Anhang 8) non è oggi riconosciuta.

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