WoO 224 Cacatum non est pictum, canone in si bemolle maggiore

Dreistimmig (A tre voci)

Canone (si bemolle maggiore) su testo di Gottfried August Bürger Dedica: -NGAXII / 3 AGA-
Ca – ca tum non est pic – tum Ros – si – ni Ros – si – ni
10 battute.
Origine ed edizione: Scritto intorno al 1820 a Vienna. GB-British Library  Lbl, add. Ms. 29997 (SV 187) pagina 10 recto La prima edizione  apparve postuma nel 2000 nel contributo di Sieghard Brandenburg alla Mitteilungsblatt der Wiener Beethoven-Gesellschaft.

La scrittura di Beethoven comprende due diversi abbozzi di un canone scherzoso su Rossini, il primo dei quali è completo, ad eccezione del testo sottostante, che è incompleto ma che può essere facilmente integrato. La seconda stesura (un canone in quarta superiore) si interrompe dopo cinque battute. Sieghard Brandenburg data il foglio, secondo la filigrana ,intorno al 1820 (Brandenburg/Entwürfe). Proviene da un taccuino tascabile, ma non può ancora essere assegnato ad un quaderno esistente.

Gioacchino Rossini (1792-1868) arrivò a Vienna il 23 marzo 1822 e vi rimase fino al 22 luglio 1822. La possibilità di un suo incontro con Beethoven è stata spesso discussa e da allora è stata confermata da Walther Brauneis (Brauneis / Rossini). L’ambiente di Beethoven era ostile a Rossini, come si può leggere dai commenti nei libri di conversazione (BKh 1 p. 154, BKh 2 p. 322, BKh 8 p. 93). Benché Beethoven facesse inoltre commenti sprezzanti sulla musica di Rossini („u dieser wicht von rossini von keinem wahren Meister der Kunst geacht[et]“ , BKh 7 p. 78, metà gennaio 1825),  il compositore non si fece scrupolo di inserire un’ aria di quest’ ultimo nell’ Akademie del 23 maggio 1824 .

Testo: Gottfried August Bürger (1747-1794), dal poema „Neue weltliche hochteut-sche Reime: enthaltend die ebentheyerliche, doch wahrhaftige Historiam von der wunderschönen Durchlauchtigen Kaiserlichen Prinzessin Europa und einem uralten heydnischen Gözen, Jupiter item Zeus genannt, als welcher sich nicht entblödet, unter der Larve eines unvernünftigen Stieres an höchstgedachter Prinzessin ein crimen raptus, zu teutsch: Jungfernraub auszuüben. Also gesezet und an das Licht gestellet durch Mr. Jocosum Hilarium“, [Göttingen] 1777.

Beethoven probabilmente conosceva il canone in quattro parti di Joseph Haydn sullo stesso testo (“Heerzigt das Dictum, Cacatum non est pictum”, Hob. XXVIIb n. 16) pubblicato da Breitkopf & Härtel a Lipsia nel 1810. (Riportiamo anche detto canone di Franz Joseph Haydn sullo stesso testo.) Beethoven stesso aggiunse al poema il nome Rossini.

Doch ihr, kunstjungerlein!
Mögt meine Melodenen
Nur nicht flugs nach fallenen;
Sanft wird die Kunst gemein.
Beherzigt doch das dictum:
Cacatum non est pictum.

Ma voi, novizi dell’arte!
Come le mie melodie
Basta non avere fretta di elevarsi;
L’arte diventa dolcemente consolante.
Prendi nota del detto:
Cacatum non est pictum.

Scrive Mark Zimmer sul sito Unheard Beethoven.

“Cacatum non est pictum” is an obscene Latin proverb, which means as much as “That what’s shat, is not painted”. What this exactly signifies is unclear. Some speculations are: “In what was being said, the bad things are left out”; “That what comes easily can’t have great value”; “One shouldn’t hang ones dirty linen in public”; “That what’s part of nature is no art”; “Nobody ever shat gold”. We would be happy to hear from anyone who can shed light on this matter or its apparently classical source!

The Beethoven sketch consists of three chunks. The first, 6 bars long, has only a single melodic line, and ends with a repeat sign. The second chunk of 4 bars has also just one voice. The last chunk, for two voices, is 5 bars long.

The solution for the canon is very easy to find: the second voice enters after 2 bars on the prime, the third voice after 4 bars, also on the prime. This results in a perfectly regular 3-part canon. The only problem with this solution is that bars 3-6 of the melody are rhythmically and melodically rather stiff. It is as if Beethoven has only roughly indicated what he intended to do for these 4 bars.

When we take a closer look at the 2nd chunk of the sketch, it becomes clear that it represents a more lively version for bars 3-6 of the first chunk. It’s not only harmonically almost identical to the bars it has to replace, it even takes care to avoid concealed fifths and other contrapuntal awkwardnesses when placed in context.

The third chunk of the sketch seems to represent another attempt by Beethoven to set the same text. The 2nd voice behaves like a fugue-answer, although it is incorrect, strictly speaking. It has a quaint, medieval quality, but it is impossible to speculate what Beethoven wanted to do with it.

The midi with the completion gives two versions of the Cacatum canon: the first is based exclusively on chunk 1 of our sketch. Then follows the same solution, but now with bars 3-6 replaced by the melody of chunk 2.

Solution by Willem. World premiere for the Unheard Beethoven.

….  E Rossini? il resoconto dell’ incontro con Beethoven fu riportato da Edmond Michotte (1831–1914) nel 1860 nel libro La visite de R. Wagner a Rossini (Paris Fischbacher 1860). Racconto da prendere con le dovute cautele, la cui unica fonte è Rossini stesso-

Avevo già ascoltato a Milano alcuni quartetti di Beethoven e non ho bisogno di dirle con quanta emozione e ammirazione! Conoscevo anche alcune sue composizioni per pianoforte. A Vienna assistei per la prima volta all’esecuzione di una delle sue sinfonie, l’Eroica. Quella musica mi sconvolse. Ebbi un solo pensiero: conoscere quel grande genio, vederlo, fosse pure una sola volta. Ne parlai con Salieri che sapevo essere in rapporti con Beethoven…. Per soddisfare il mio desiderio pensò che la cosa migliore fosse parlarne con Carpani, il poeta italiano che era persona gradita a Beethoven; era certo che con il suo aiuto sarebbe riuscito. In effetti Carpani si adoperò con tale insistenza presso il maestro che ottenne il suo consenso a ricevermi. Ho bisogno di dirlo? Salendo le scale che conducevano alla misera dimora in cui abitava il grande uomo, feci un certa fatica a controllare la mia emozione. Quando la porta si aprì, mi trovai in una specie di bugigattolo sudicio e spaventosamente disordinato. Mi ricordo soprattutto che il soffitto, subito sotto il tetto, era percorso da grandi crepe attraverso le quali la pioggia doveva certo penetrare a fiotti. I ritratti di Beethoven che tutti conosciamo nell’insieme riproducono abbastanza fedelmente la sua fisionomia. Ma quel che nessun incisore saprebbe mai esprimere è la tristezza indefinibile che emana dal suo volto, mentre sotto le folte sopraciglie, come in profonde caverne, gli occhi, anche se piccoli, sembrano trafiggervi. La voce era dolce e un poco velata. Quando entrammo, senza fare attenzione a noi restò qualche momento chino su una pagina di musica che finiva di correggere. Poi, sollevando la testa, mi disse bruscamente, in un italiano abbastanza comprensibile: “Ah Rossini, è lei l’autore del Barbiere di Siviglia? Le faccio i miei complimenti, è un’eccellente opera buffa; l’ho letta con piacere e mi sono divertito. Fino a che ci sarà un teatro d’opera italiano verrà eseguita. Non cerchi mai di fare altro che opere buffe; voler riuscire in un altro genere significherebbe forzare il suo destino.” Carpani che mi accompagnava lo interruppe subito, naturalmente scarabocchiando in tedesco e traducendomi parola per parola; era questo il solo modo in cui si poteva tenere una conversazione con Beethoven; scrisse: “Ma il maestro Rossini ha già composto un gran numero di opere serie, Tancredi, Otello, Mosè; io stesso gliele ho mandate raccomandandole di esaminarle.” Beethoven rispose: “Infatti le ho scorse, ma vedete, l’opera seria non è per gli italiani. Per trattare il vero dramma non hanno sufficiente dottrina musicale; e come potrebbero mai acquisirla in Italia?” Io gli comunico tutta la mia ammirazione per il suo genio, tutta la gratitudine per avermi permesso di esprimergliela… Mi rispose con un profondo sospiro e con queste poche parole: “Oh! un infelice!”

Dopo una pausa mi chiese alcuni dettagli sui teatri italiani, sui cantanti famosi, volle sapere se si eseguivano frequentemente le opere di Mozart, se ero soddisfatto della compagnia italiana a Vienna. Poi augurandomi una buona esecuzione e il successo per Zelmira, si alzò e ci accompagnò fino alla porta, ripetendomi “Soprattutto faccia molti Barbiere.” Scendendo quella scala, provai un’impressione talmente penosa nel pensare all’abbandono e alla miseria in cui era lasciato languire un sì grand’uomo, che non potei frenare le lagrime. “Ma se è lui”, disse il Carpani, “che vuol vivere così! E’ un misantropo, un bisbetico, che non sa conservarsi alcun amico!” La sera stessa assistei ad un pranzo di gala in casa del principe Metternich. Turbato ancora da quella visita, da quella lugubre parola “infelice”, che mi era rimasta negli orecchi, mi sentii come confuso nel vedermi trattato, al paragone del Beethoven, con tanti riguardi in quella brillante società, e non potei fare a meno di dire francamente tutto quel che pensavo sulla condotta della Corte e dell’aristocrazia viennese verso il più gran genio musicale del tempo. N’ebbe la stessa risposta che mi aveva data il Carpani; ed allora feci osservare che lo stato di sordità in cui si trovava l’infelice doveva ispirare la più viva compassione e che non era generoso rimproverargli certe debolezze per giustificare il rifiuto di soccorrerlo. Aggiunsi che se tutte le famiglie facoltose di Vienna si fossero sottoscritte per una data quota, sarebbe stato possibile assicurare al grande compositore una rendita tale da metterlo al riparo di ogni bisogno; ma la proposta non trovò l’appoggio di alcuno. Non mi perdei di coraggio e cercai di raccogliere i fondi necessari per compargli almeno una modesta abitazione. Ottenni qualche adesione, ma il risultato finale fu assai mediocre; mi si rispondeva generalmente: “Voi conoscete poco il Maestro; il giorno dopo ch’egli sarà padrone di una casa, se la rivenderà; non si saprà mai adattare a tenere un’abitazione fissa; sente il bisogno di cambiare appartamento ogni sei mesi e domestica ogni sei settimane!” E così fui obbligato ad abbandonare anche questo secondo progetto.

Il sito Unheardbeethoven è a cura di Albert Willem Holsbergen e Mark Zimmer. A loro va il nostro ringraziamento.

I testi e i documenti di questa pagina sono stati riveduti da  i nostri  revisori. Chi volesse  contattare il revisore, lo può fare tramite il nostro modulo di contatto.