WoO 133 – La raccolta di Lieder In questa tomba oscura. Poesia con testo di Giuseppe Carpani

Articolo sulla La raccolta di Lieder per voce e pianoforte “In questa tomba oscura” Poesia con testo di Giuseppe Carpani e musiche di diversi musicisti, fra cui Beethoven (WoO 133)

WoO 133 – “In questa tomba oscura”, arietta per voce e pianoforte, 1807, pubblicata a Vienna, Mollo (edizione privata), in una raccolta di 63 composizioni di autori diversi sullo stesso testo, dedicata al principe Lobkowitz, 1808. GA. n. 252 (serie 23/39) – Boett. VII/2 – B. 239 – KH. (WoO) 133 – L. IV, p. 350 – N. p. 180 – T. 138.

Il cat. KH. (pag. 596) cita come fonti due manoscritti: uno in possesso della Stanford University, Memorial Library of Music (Stanford, California); l’altro appartenente alla raccolta Julius Lichtenberger di Heidelberg. Secondo una notizia pubblicata nel novembre 1806 dal Journal des Luxus una der Moden di Weimar, la dilettante di canto contessa Alexandra Rzewuska avrebbe, durante una serata musicale, improvvisato un’aria sul pianoforte, per la quale poi il Carpani, improvvisando a sua volta, avrebbe scritto, ad imitazione di una canzonetta di Jacopo Vittorelli, i versi seguenti:

In questa tomba oscura
Lasciami riposar;
Quando vivevo, ingrata,
Dovevi a me pensar.

Lascia che l’ombre ignude
Godansi pace almen
E non, e non bagnar mie ceneri
D’inutile velen.

Questo scherzo diede origine ad una gara fra molti maestri viennesi per musicare a loro volta il testo suddetto. Delle 63 ariette così raccolte la stessa Rzewuska curò la stampa a mezzo dell’editore Mollo. Fra gli autori figuravano i nomi di Czerny, Dalberg, Danzi, Eberl, Förster, Gelinek, Gyrowetz, Himmel, Kozeluch, Mozart figlio, Paer, Righini, Salieri, Sterkel, Tomaschek, Vanhall, Dionys Weber, Weigl, Zelter, Zingarelli.
C’era anche Beethoven tra i 63 compositori che nel 1808 parteciparono al concorso che invitava a musicare il poema “In questa tomba oscura” di Giuseppe Carpani, poeta, scrittore e librettista italiano. E se a vincere fu proprio la versione musicata da Beethoven, significa che Carpani, nel sceglierla, ci aveva visto giusto: “In questa tomba oscura” è infatti ancora oggi uno dei lied per voce e pianoforte più celebri e amati del repertorio del compositore tedesco.
Ultimo, in ordine di tempo, fu proprio Beethoven. Non conosciamo le altre sessantadue canzonette e ci manca quindi la possibilità materiale di istituire confronti. Ma considerando quella di Beethoven in sé e per sé possiamo dire che essa, per la concisione della forma declamata e per la forza drammatica, sia, pur nel suo piccolo, pagina degna dell’autore.

Stanford University, Memorial Library of Music: Beethoven, In questa tomba oscura, pagina 1

Stanford University, Memorial Library of Music: Beethoven, In questa tomba oscura, pagina 2

Stanford University, Memorial Library of Music: Beethoven, In questa tomba oscura, pagina 3

Stanford University, Memorial Library of Music: Beethoven, In questa tomba oscura, pagina 4

Questo diceva il Biamonti nel suo catalogo del 1968. Partendo dall’affermazione “Non conosciamo le altre sessantadue canzonette e ci manca quindi la possibilità materiale di istituire confronti.” Con Graziano si decise di affrontare la ricerca della raccolta e, avendola reperita, di rendere disponibili a tutti queste composizioni estremamente rare. Di seguito riportiamo le più dettagliate notizie riportate nei cataloghi da Anton Bruers.

Stanford University, Memorial Library of Music: Salieri In questa tomba oscura, abbozzi pag. 1

Stanford University, Memorial Library of Music: Salieri In questa tomba oscura, abbozzi pag. 2

Composto nel 1807. «Sublime per grandiosa sobrietà» (Curzon) con parole musicate da Beethoven sul testo italiano. Per l’origine di questo Lied lo Schindler, riportando quanto ne scrisse la «Gazzetta musicale» di Lipsia, anno XI, n. 3, narra che essa si deve all’iniziativa di una delle prime signore di Vienna (la principessa Lobkowitz) la quale, scelto il testo del Carpani, invitò a musicarlo i principali maestri e dilettanti di Vienna; fece poi stam­pare a proprie spese la raccolta per farne dono ai collaboratori e agli amici. E continua: fra i compositori d’ambo i sessi vi erano persone di alta posizione sociale; contesse, principesse, baronesse e altri distinti dilettanti. Parecchi compositori musicarono il testo più di una volta. Zingarelli dieci volte in forma d’aria da opere, canzonette e ariette; Salieri due volte, Sterkel tre, Paër due. Aggiungiamo i nomi di Eberl, Foerster, Righini, Zelter, Tomascheck, D. Weber, Czerny, Weigl e in ultimo Beethoven sotto il n. 63. Se non che la cosa finì male, cioè con una spassosa parodia, rappresentata con la pubblicazione di una vignetta che raffigurava caricaturalmente una donna in lutto, presso una tomba, nell’atto di riempire di lagrime un enorme fazzoletto. E non mancava neppure la musica: un minuetto di Heckel. La parodia spiacque agli autori dell’album e fu ventilata l’idea di una protesta pubblica, alla quale però si rinunziò per il timore di suscitare altre parodie. (Ecco la rarissima edizione di questa parodia; grazie a Graziano Denini)

Altre notizie ci dà il Carpani, autore delle parole. Nato a Villalbese (odierna Albavilla, in provincia di Como) il 28 Dicembre 1751, Giuseppe Carpani fu letterato, librettista, storico della musica e poeta alla Corte Imperiale di Vienna, dove morì il 22 gennaio 1825.

Studiò a Pavia e a Milano, dove visse fino al 1795 e divenne noto come poeta e librettista. Il suo libretto Gli antiquari in Palmira per Giacomo Rust fu con successo rappresentato al La Scala nel 1780.

Dal 1792 al 1796, Carpani scrisse articoli per la Gazzetta di Milano. Questo fu il periodo storico delle conquiste di Napoleone in Italia e Carpani scrisse alcuni pezzi nettamente anti-francesi sulla rivista. Nel 1796, i francesi occuparono Milano e Carpani fuggì a Vienna dove rimase fino alla sua morte anche se nel 1797, venne nominato censore e direttore di scena nei teatri di Venezia.

Carpani conobbe Beethoven e nel 1822 fece da mediatore nell’unica visita a Beethoven di Gioachino Rossini. Beethoven ha ricevuto Rossini educatamente e ha espresso apprezzamento per le sue opere comiche e Rossini ha contraccambiato la sua ammirazione.

Nel  1812 venne alle stampe (da Candido Buccinelli) a Milano  Le Haydine ovvero lettere sulla vita e le opere del celebre  maestro Giuseppe Haydn, plagiate da Stendhal e pubblicate in seconda edizione a Padova, dalla Tipografia della Minerva nel 1823; e un anno prima della sua morte furono pubblicate sempre a Padova: Le Rossiniane, ossia lettere musico-teatrali. Egli stesso nelle Haydine ha lasciato questa interessante notizia sull’origine della sua poesia:

“Avrete certamente udito parlare di una famosa collezione, unica in suo genere di cento e più arie con accompagnamento del cembalo, composte dai più celebri maestri d’Europa sopra le stesse parole da me improvvisate per celia dietro una strofetta di Vittorelli, e che fu stampata in Vienna dal Mollo.

Invitato Haydn nel 1807 a voler egli pure scrivere quattro noterelle sopra queste parole, volle vederle, e siccome vi si parlava di tomba e di morte, disse: «mi con­vengono, e sono belle; farò anch’io la mia arietta come potrò». Si provò più volte,  un anno gli editori tennero in sospeso la stampa, aspettando questo ultimo canto del cigno; ma alla fine dovettero pubblicare la raccolta senza l’arietta dell’Haydn, che mai non aveva potuto riuscire a comporla”.

Vale la pena di riprodurre il testo della canzonetta di Vittorelli perché, dal punto di vista del concetto, essa si può ritenere l’origi­nale della poesia musicata da Beethoven (La canzonetta di Vittorelli è stata musicata da Verdi. Essa è la prima delle Sei Romanze che risalgono al 1838. Fanno parte del volume: Composizioni  da camera per canto e pianoforte di Giuseppe Verdi, edito da Ricordi)

Non t’accostare all’urna che il cener mio rinserra: questa pietosa terra è sacra al mio dolor.
Odio gli affanni tuoi, ricuso i tuoi giacinti; che giovan agli estinti due lacrime o due fior ?
Empia ! Dovevi allora porgermi un fil d’aita, quando traea la vita ne l’ansia e nei sospir.
A che d’inutil pianto assordi la foresta? Rispetta un’ombra mesta e lasciala dormir.

E qualche altra cosa vale la pena di dire intorno a Carpani che i suoi libri rivelano uomo di acutissimo e dottissimo ingegno. La sue Haydine, per arguzia, per eleganza, per le continue referenze della musica con la poesia e con le arti belle, presentano singolari analogie col libro di Lenz su Beethoven. Se non che ingegno, arguzia, dottrina non salvarono Carpani dal non capire Beethoven. In tutto il sopra citato volume, nel quale egli rievoca, si può dire, tutti i musicisti antichi e moderni, il coetaneo Beethoven è citato una sola volta; e verso la fine dell’opera, senza farne il nome, in appoggio del suo malinconico pessimismo sulla … crisi della musica del suo tempo:

Ma che avverrà all’arte, e singolarmente della musica strumentale, quando, coll’aver cessato di scrivere Haydn, è chiusa quella miniera di tesori sinfonici? Che ne avverrà ? Voi lo vedete già in parte, e tra non molto lo vedrete ancor più. Un solo potrebbe ancor sostenerla. Un suo bellissimo settimino, i primi trio, le prime sinfonie, i primi concerti per cembalo, che diede alle stampe; l’unire ch’ ei fece in que’ suoi lavori veramente pregevolissimi lo stile di Haydn a quello di Mozart, provano quanto fondate sarebbero le mie speranze. Ma vorrà egli porre un freno alla sua fantasia? Vorrà darle un ordine, una misura, un carattere? Vorrà anteporre la bellezza alla singolarità? Vorrà cessare d’essere il Kant della musica?

In una parola: vorrà farsi un sistema chiaro, intelligibile, sensato seguirlo? Certo è che in questa sfera di composizioni la natura gli ha dato dei doni che all’ Haydn ed al Mozart soli sembrava aver riservati. Ma egli, invece di farne uso moderato e saggio, dilapida e distrugge il suo patrimonio, scrivendo persino delle sinfonie che, durando ore, vi recano un piacere di pochi minuti, mentre se durassero minuti, vi lascerebbero con un piacere di più ore. Non basta il genio; vi vuol misura e ragione.

Fu chiesto una volta ad Haydn da un mio amico, che gli sembrasse di questo giovine compositore. Rispose il vecchio con tutta sincerità: «Le prime sue cose mi piacquero assai; ma le ultime confesso che non le capisco. Mi pare sempre che scriva delle fantasie». (pag 256)

e questo bell’elogio al compositore tedesco:

Né quel suo stile domina in oggi soltanto la scena, ma si trasfonde in quasi tutte le composizioni diverse de’ suoi contemporanei, che, per dare nel genio de’ musicofili, costretti sono a rossineggiare le loro composizioni. Se ne eccettui l’originalissimo Beethowen [sic], che ricco com’è di belle e sue proprie idee, e sordo divenuto per sua sventura, tolto venne per essa al pericolo d’imitar chichessia, e resterà sempre grande e originale. (pag. 298)

Bisogna pensare che sulla musica chiara e complicata Carpani avesse idee davvero non complicate se giungeva ad accomunare a Beethoven, nella stessa accusa di musica erudita, nientemeno che Mozart:

Il Mozart ed il Beethoven accumularono i numeri e le idee, e la quantità e la stranezza ricercarono delle modulazioni: e produssero allora delle erudite, intricatissime confusioni, piene di ricercatezza e di studio, ma scarse d’effetto. (pag 13).

Dalle Rossiniane vi sono altri riferimenti a Beethoven e al suo Fidelio:

Eccovi l’opera vostra. Una musica della prima nota all’ultima sempre in tensione. Un tessuto di pensieri esagerati, e di modulazioni per lo più stravaganti, ricercate sempre, e rinforzate poi d’accordi in battaglia fra loro e coll’udienza, vale a dire, amici secondo il calcolo, nemici secondo il timpano. Una musica non già alleata, ma schiava della parola; una musica ad urti, a sbalzi, a capricci, che, strascinata dal cariante impeto della passione, vi permette appena appena de’ cenni di un canto stringato e reciso, che il si e giù rassomiglia di un mare in tempesta; un canto che non è canto, ma voglia interrotta di canto; in una parola, il Fedelio  di Beethowen [sich], un furente modo Frigio quasi perpetuo, con de’ piccioli e scarsi intervalli di Lidio, e per tal modo una declamazione strumentata, sparsa qua e là di bei lampi; ma opera in musica non mai; chè il canto vuole essere ove musica si pretende.

E chi sono essi? Voi li proclamata un Gluck, un Sacchini, un Beethowen. Oh potentissimi Numi! il bello di Beethowen è il bello di Sacchini? L’Edipo a Cologna assomigliato nel genere al Fidelio? Il primo scritto con una cantilena perenne, l’altro a guisa di fantasie, discorrente da cima a fondo con una sbrigliatezza che non ha pari? Simmetricamente l’uno, bisbetico l’altro. Quello cantando sempre, questo non cantando mai. Ah! se il Beethowen scritte avesse pel teatro, come scrisse varj de’ suoi primi pezzi strumentali, a chi non sarebbe dell’adorazione dei suo genio? Ma la voglia si battere un sentier nuovo lo fe’ dare in musicali frenesie dottissime, che la natura condanna, ed il buon senso non può più approvare. E tanto più alto io qui levo il grido, un quanto di bellezze, che non di rado emanano da questo Beethoweniano caos, sono sì lucide, s’ vere e seducenti, che gli animo si attraggono della gioventù studiosa, e la invogliamo a seguire il falso profeta, senza averne il genio e il sapere. (pag 78-79)

Cose nuove ad un Rossini? Le domandi a tutti i compositori viventi, tranne il Beethowen, e non disperi.. (pag. 199).

Le medesime frasi erano state pubblicate sul periodico Biblioteca Italiana dell’Aprile 1818.

Prego il lettore di non giudicare sommariamente Carpani per queste sue opinioni. Esse erano condivise da uomini la cui intelligenza è fuori questione. Veda, ad esempio, le sentenze analoghe di Ulibicheff che riporto all’op. 29. Nè basta ancora. Passi per Beethoven, passi anche per Mozart. Ma Rossini, il Rossini del Barbiere di Siviglia  Ebbene, ecco una lettera nella quale Carlo Botta – che fu conoscitore di musica e intorno alla musica ha lasciato pagine interessanti — trascinato da fanatismo per Cimarosa e soprattutto per il «divino» Paisiello, giunse ad accusare di meccanicità e di astruseria Rossini:
La musica ch’io chiamo meccanica e che ai giorni nostri prevale, a me non piace. La musica è canto e senza canto non è musica, ma rumore. Io ho paura di dire una brutta bestemmia; pure la dirò, anche con pericolo di scomunica. Io non potrei mai stare sino alla fine alle rappresentazioni del Mosè e del Barbiere del Rossini. Tanta noia mi davano! Tutti i nervi della testa mi tiravano, e la testa mi pareva, venuta grossa come quel pallone che stava appeso ai nostri vecchi tempi nel Borgo del Pallone. Insomma, io non poteva reggere, io di quella musica io non ne capisco un’acca.

Ma Carpani alla fine ammette che Beethoven ….resterà sempre grande e originale

La raccolta completa di Lieder In questa tomba oscura. Poesia con testo di Giuseppe Carpani

Divertivasi alla campagna una piccola società colte persone a far musica. Una di queste improvisò per celia una cantilena sul Piano Forte. Parve bella ad un amico delle muse, che il primo l’udi, e su due piedi vi appose delle parole. I dilettanti della piccola società le trovarono ben fatte, e vollero provarsi anch’essi a metterle in musica. Questo ticchio venne pure ad alcuni maestri di Vienna, ed ecco che in breve, in vece di una arietta fatta senza parole, una decina se ne ebbero di fatte sulle parole istesse. Ognuno dé socj voleva allora aver queste ariette, ed altri pure per curiosità. Per servir tutti presto, e bene, e con meno di spesa, si deliberò di stamparle, non mai coll’idea di darle al Pubblico; ma nel mentre che la Raccoltina era sotto il torchio, eccoti crescere a dismisura la messe per l’affluenza delle composizioni che spontaneamente da diverse parti mandavano, e maestri, e dilettanti, con meraviglia e piacere della piccola società: Parve gentile il dono, e curioso l’accidente, „e come l’un pensier dall’ altro scoppia“ avvisarono concordemente i socj che sarebbe cosa piacevole instruttiva e nuova il vedere per quante maniere di colori, e di stili si potesse anche in Musica animare uno stesso soggetto, e si formò pensiere di pregare quanti esistevano valenti compositori, e in paese, e fuori, a volere esercitarsi sul detto poetico tema onde l’esperimento fosse più stimabile, e per quanto potevasi compiuto, al che non pochi eccellenti compositori si prestarono con quella facilità e cortesia, che è si propria delle persone d’un talento superiore.

Avrebbero desiderato gli Editori, che non si avesse a cercare invano nella loro Raccolta alcuno dé nomi più distinti fra i viventi maestri d’Europa, ma la distanza dé Paesi, le difficoltà delle communicazioni, la salute degli uni, le occupazioni degli altri s’opposero al compimento dé loro voti. Se anche dopo pubblicata la raccolta si avrà il bene di ricevere le composizioni di taluno dé rinomati compositori che ora le mancano, se ne farà parte al pubblico con un supplemento, al qual fine sono essi pregati di indirizzare il loro manuscritto ai sigg. Arnsteìn ed Erskeles di Vienna. L’ordine col quale si trovano nella Raccolta le ariette è lo stesso con cui di mano in mano pervennero al Raccoglitore. Questo metodo può forse nuocere all’effetto di taluna, quando si eseguiscano di seguito tutte, ma si è creduto di dovervisi scrupolosamente attenere, onde, altrimenti disponendole, non nascesse il sospetto che si avesse voluto fare una classificazione di talenti da chi di non altro si vanta, che di saperli ammirare. Dovranno i conoscitori attribuirlo al caso, o alla ben facile conformità di vedere, e di sentire, quando chi vede e sente, vede e sente bene, se qualche accidentale rassomiglianza s’incontrasse fra taluna di queste composizioni. Autori tanto lontani, e ignari l’un dell’altro non poterono comunicarsi le idee, ed il Raccoglitore non mostrò prima d’ora ad alcuno le ariette affidategli.

Potendosi per errore credere d’un Autore ciò che era dell’ altro, ad impedire questo equivoco, e a far si che non venisse defraudato della giusta lode chi se l’aveva meritata, non che ad ottenere che meglio si potessero confrontare, e conoscere gli stili, si è creduto di apporre ad ogni pezzo il nome del suo compositore. Difficimente (sic!) vi si arresero i componenti la piccola società, i quali lontani dal pretendere ad una celebrità che non meritano, scritto avevano per puro, e privato loro divertimento; ma siccome col sopprimere i loro, si sarebbero dovuti sopprimere i nomi eziandio di altri Dilettanti che gareggiar possono co maestri di professione, s’arresero a vedersi andare alle stampe, malgrado la tenuità del loro lavoro che consigliavali ad occultarsi. Resta per ultimo a dirsi per l’intelligenza delle parole, che l’autore loro imaginò che parlasse in qué pochi versi l’Ómbra d’un amante sfortunato, alla cui tomba è venuta a piangere la Ninfa istessa che colla sua crudeltà lo condusse a morte, e l’Ombra le fà poi quell’amaro, e ben meritato rimprovero. E inutile d’avvertire che l’ultima delle qui unite ariette è un lepido sfogo di un bell’umore, il quale stanco di raggirarsi frà tante tombe, e tanti lamenti, trovò il modo di rallegrarsi alle spese del Lulli, e del sentimento.

La distanza in cui si trova il M. Zingarelli, autore delle 10 ariette seguenti, non ci ha permesso di rispedirgliele onde le riducesse egli stesso a cembalo solo dopo che per mero equivoco egli le ha scritte con accompagnamento di piccola orchestra. Fra i due inevitabili scogli di metter mano all’opera di si valente scrittore, o di sopprimerne l’edizione si è creduto che a nessuno dispiacerà il vederle riportate come sono uscite dalla penna del loro Compositore.