WoO 6 Rondò in sì bemolle maggiore per pianoforte e orchestra

Rondò : Allegro

WoO 6 – Rondò in sì bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, pubblicato a Vienna in parti staccate, Diabelli, giugno 1829; sulla scorta di queste, in partitura nella GA. Un’altra edizione moderna della partitura sulla base del manoscritto originale è opera recente di W. Hess nel terzo fascicolo dei zur GA.,1960. GA. n. 72 (serie 9/9) – B. 151 – KH. (WoO)6 – L. IV, p. 362// – N. p. 141 – P. 112 – T. 280.

Questa composizione, trovata fra le carte di Beethoven dopo la sua morte, fu inclusa nel catalogo, compilato per la vendita all’asta del 5 novembre 1827, fra i lavori abbandonati, incompiuti e autografi (Interlassene, nicht Wollstandige und Eigenhandig) al n. 177 con il titolo: Rondò für Orchester fürs P. F., unbekannt (Rondò con orchestra per pianoforte, sconosciuto). Il manoscritto originale è stato ritrovato soltanto nel 1898 ed è oggi conservato nell’archivio della società degli Amici della Musica di Vienna. L’abbozzo dell’Andante centrale è riportato dal Nottebohm insieme con quello della Romanza per cembalo, flauto e fagotto. L’annotazione, apposta ad un catalogo manoscritto da L. Sonnleithner e basata su una dichiarazione di Diabelli che il Rondò sarebbe stato lasciato incompiuto da Beethoven e ultimato per l’accompagnamento da Czerny, non risponde a verità, come ha precisato a suo tempo, cioè dopo la scoperta della partitura di cui sopra ed in seguito ad un confronto con quella pubblicata dalla GA., Mandyczewsky. Czerny in realtà si è limitato all’introduzione delle cadenze ed al completamento di alcuni passaggi del solista che Beethoven aveva appena accennato. La recente pubblicazione della partitura ad opera di Hess ci offre la possibilità di valutare con esattezza, anche riguardo alle conclusioni di Mandyczewsky, l’opera di Czerny che, pur entro i limiti accennati, appare uniformata a criteri virtuosistici e non tiene conto dell’estensione della tastiera dei pianoforti di allora. Alcuni sostengono — Jahn per il primo — che questo Rondò fosse stato in origine destinato a Finale del Concerto per pianoforte e orchestra in si bemolle maggiore e Mandyczewsky ha fatto notare vari passi che potrebbero apparire come primi accenni di quanto poi nel Finale suddetto è stato realizzato; ma si tratta di una supposizione non avvalorata da prove decisive. Orchestra: i flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi.

Il rondò inoltre è stato registrato a cura di Inedita, nostro partner e sostenitore, nel volume 2 della collana, con Roberto Diem Tigani alla direzione dell’orchestra di Sassari e Maurizio Paciariello al pianoforte.

Nel quadro della crisi compositiva che colpì Beethoven nel primo anno del suo arrivo a Vienna, si inserisce anche la revisione in una seconda stesura del “Concerto per pianoforte in sib+”, concepito già a Bonn nel periodo 1787/89.

Purtroppo, dati gli otto anni di gestazione e tutti i cambiamenti che il compositore apportò, è impossibile sapere esattamente le differenze fra le varie stesure perché a noi è giunta solo quella definitiva. Come afferma Luca Chiantore: «(…) I quaderni d’abbozzi permettono di ricostruire diversi momenti nella gestazione (…) E la molteplicità di fonti offre al musicologo e all’interprete l’opportunità di confrontare una grande quantità di dati che hanno relazione diretta con l’interpretazione (…) è però praticamente impossibile sapere quale fu la trasformazione pianistica (…)».[1]

L’unica cosa che appare abbastanza certa è che questa stesura ebbe come finale il Rondò WoO 6. Il Rondò ha certamente in comune con il Concerto in sib+, la medesima tonalità e la forte ascendenza mozartiana  e, inoltre, i primi abbozzi si possono trovare assieme alla Romanza cantabile in mi- per cembalo, flauto, fagotto, con accompagnamento di 2 oboi e archi WoO207, databile a circa il 1787, anno in cui probabilmente, iniziarono anche i primi approcci a questo Concerto. Luigi Della Croce, su questo movimento scrive: «(…) il refrain ondulato e melodioso, è esposto al solista, che poi, nel corso del brano, si concede più di un passaggio, di pura bravura digitale.(…)».[2]

Non risulta che questo concerto sia mai stato eseguito nella versione con il rondò originale in luogo di quello definitivo.

[1] Luca Chiantore: Beethoven al pianoforte. Improvvisazione, composizione e ricerca sonora negli esercizi tecnici. Il Saggiatore editore

[2] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica sinfonica e teatrale. L’Epos editore

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