Opus 120 Variazioni (33) in do maggiore su un valzer di Diabelli

Opus 120 Variazioni (33) in do maggiore su un valzer di Diabelli, dedicate ad Antonie Brentano, 1819 – aprile 1823, pubblicate a Vienna, Cappi e Diabelli, giugno 1823. GA. n. 165 (serie 17/4) – B. 120 – KH. 120 – L. IV, p. 133 – N. 120 – T. 240.

Il manoscritto originale si trova nella raccolta Koch, di Wildegg (ora alla Beethovenhaus, 2011)  Gli abbozzi sono comunicati dal Nottebohm; altri si trovano nella biblioteca del conservatorio di Parigi, nella raccolta Wittgenstein di Vienna, e nel fondo Bodmer della Beethovenhaus.

L’editore Diabelli aveva chiesto ai più noti musicisti viennesi di comporre ciascuno una variazione su un tema di valzer da lui proposto. Beethoven rifiutò, non gradendo il fatto di scrivere un’opera in collaborazione con altri, ed anche perché il tema, da lui stesso definito da “Schusterfleck”, non era di suo gradimento. In seguito però incominciò per proprio conto a comporre qualche variazione; poi, prendendovi sempre più interesse, proseguì nel lavoro sino a raggiungere il cospicuo numero di trentatré variazioni. Queste furono offerte poi all’editore Diabelli, che le pubblicò a parte.

L’opera è tra le più importanti di Beethoven e tra più vaste e complesse del genere: ricca di interesse tecnico, di atteggiamenti melodici e ritmici disparati, di umorismo, di intensità meditative ed espressive diverse. Un mondo interiore quanto mai vario e molteplice rivelato in una serie di piccole immagini musicali vive, originali e smaglianti. La prima variazione (Alla marcia maestoso, 4/4) è come una presa di posizione nel senso della forza e dell’autorità: il tema diventa un inno da Maestri Cantori. La seconda (Poco allegro) giuoca in una sua costante leggera figurazione tutta a contrattempi; la terza (L’istesso tempo), blandamente melodica, s’incupisce all’improvviso nel momentaneo arresto sul si bemolle della seconda parte; la quarta (Un poco più vivace), in principio di una tranquilla scorrevolezza nelle snodature del suo sviluppo a tre parti, finisce coll’affrettarsi in un movimento ansioso; la quinta (Allegro vivace) si basa sullo spunto ritmico iniziale del tema, ripercorso dal principio alla fine, come una serie di appelli di corni da caccia, ma si anima anch’essa in ultimo della stessa ansia della precedente; la sesta (Allegro ma non troppo e serioso) intreccia, sulla guida della linea tematica sottintesa, un brioso sviluppo a canone; la settima (Un poco più allegro), con i suoi volteggi, ha fisionomia di brillante capriccio; l’ottava (Poco vivace) si svolge con la ondulata movenza di un valzer viennese di là da venire.

La robustezza e l’insistenza dell’impostazione ritmica della nona (Allegro pesante e risoluto, do minore, 4/4) ricorda il movimento del terzo Concerto di Brandeburgo di Bach; la decima (Presto) è come uno scherzo sinfonico richiama in alcuni momenti quello dell’Eroica): la ripetizione di ciascuna delle due parti avviene in modo diverso dall’esposizione, con l’effetto dinamico del passaggio dal pianissimo ad un crescendo (tipica la discesa a pieni accordi della mano destra sul trillo insistente del sol grave) scandito dagli sforzati sul primo tempo di ogni battuta, culminante  nel fortissimo conclusivo; l’undicesima (Allegretto) poggia sulla figurazione a terzine iniziale sviluppata, nella apparente monotonia del disegno, con originalità di procedimenti e di tinte armoniche; la dodicesima (Un po’ più moto) è tutta una vicenda di figure in legato dal principio alla fine; la tredicesima (Vivace) fa dello spunto tematico una figura più concisa nel suo ritmo puntato, che procede per incisi intervallati da pause, e sembra qui accennare ad un qualche effetto strumentale sinfonico (tipico il si bemolle al principio della seconda parte, come l’improvviso appello di un mondo lontano e diverso); la quattordicesima (Grave e maestoso, 4/4) dà l’impressione di una immobilità solenne, con la costante sovrapposizione del suo disegno iniziale e prelude in tal senso, per quanto non racchiuda in sé niente di misterioso e di oscuro, alla ventesima (che è stata non impropriamente chiamata dal Bulow il tempio gotico); la quindicesima (Presto scherzando, 2/4), che riporta il genuino spunto tematico iniziale, è come un leggero scherzo che fa pensare all’inizio della Caccia di Paganini.

Tumultuose e rapide la sedicesima variazione (Allegro 4/4) e la diciassettesima (stesso tempo) con il loro ritmo martellato, rispettivamente all’alto e al basso, a cui si intersecano figurazioni di un rapido ininterrotto movimento; al contrario la diciottesima fiorisce sullo schema tematico in un delicato dialogo a botte e risposte, sommerse poi dal movimento delle figurazioni legate in ottava. La diciannovesima (Presto) brilla in un saltellante leggero giuoco a canone, più incalzante nella seconda parte. La ventesima (Andante, alla breve 3/2) è la più importante della intera serie per la gravità solenne, piena di mistero, cupa, e rischiarata solo negli accordi conclusivi delle cadenze finali (la parte superiore iniziale accenna quasi alla melodia dell’Arietta della Sonata op. 111, composta nello stesso tempo, pur non avendone la dolce, augusta serenità).

Nella ventunesima le due frasi di ciascuna parte sono di un movimento diverso: alla proposizione (Allegro con brio, 3/4) simile ad un ghiribizzo in salti d’ottava, discendenti la prima volta, ascendenti dal basso nella seconda, risponde il Meno allegro 3/4 in figurazioni melodiche legate di moti contrari: un quadretto di contrasti (per lo meno esterni), già sperimentato del resto come espediente di sviluppo anche in altre serie di Variazioni precedenti. La ventiduesima (Allegro molto, alla Notte e giorno faticar di Mozart, 4/4) adatta al tema le prime battute della nota aria di Leporello nel Don Giovanni; ma presto il fraseggio bonario si stringe e deforma come in una fretta stizzosa. Così pure l’inizio della seconda parte sullo stesso tema, in altra proposizione tonale, e tanto più la sua continuazione e conclusione, danno alla musica un che di brusco e quasi di frenesia collerica: volle qui parodisticamente Beethoven alludere alla sua vita tormentata, senza riposo?

La ventitreesima variazione (Allegro assai 4/4) suona come un preludio tempestoso alla seguente ( Fughetta: Andante), che è invece una breve pagina distensiva; la venticinquesima (Allegro, 3/8) ritorna ad un tipo più comune con lo scorrere veloce del basso sotto l’invariabile ritmo a pieni accordi della parte inferiore; la ventiseiesima (stesso tempo e movimento) e la ventisettesima (Vivace, pure in 3/8) riportano nelle loro figurazioni a terzine il tipo scherzo-studio; la ventottesima (Allegro, 2/4) sembra continuare in senso più stretto e massiccio il movimento delle due precedenti con un testardo martellamento di note legate a due a due e l’insistenza dei suoi sforzati.

Segue il gruppo delle tre variazioni in minore (anche la nona era in minore, ma di tutt’altro carattere): la ventinovesima (Adagio ma non troppo) e la trentesima (Andante sempre cantabile 4/4), che trattano il tema, sempre più inteso in funzione melodica, sfociano nella trentunesima (Largo molto espressivo, 6/8) di un’ampiezza fiorita, in cui si direbbe che il maestro abbia preso a modello dei vocalizzi di virtuosismo, togliendo però ad essi ogni carattere di esteriorità per piegarli ad una vibrante fantasia romantica.

La trentaduesima (Allegro, Fuga, mi bemolle maggiore, alla breve) è improntata, al contrario, ad un senso di forza, ma con qualcosa di duro, e insieme quasi di anelito frenetico. Alla fine, dopo una cadenza sospesa, ritorna il do maggiore con l’ultima variazione: un rasserenante Tempo di “Minuetto moderato ma non strascicato”, nelle chiuse un poco più anelante, seguito da una Coda in cui viene  ancora ripreso lo spunto tematico con un carattere che richiama la conclusione delle variazioni dell’Arietta della Sonata op. 111 (pure in do) composte, come si è detto, nello stesso giro di tempo.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 120 33 Veränderungen (C-dur) über einen Walzer von Anton Diabelli für Klavier Widmung: Antonie Brentano NGA VII/5 AGA 165 = Serie 17/4 Beiname: Diabelli-Variationen

Realizzazione e pubblicazione: Beethoven realizzò nella prima metà del 1819 ampi schizzi. Secondo un abbozzo del periodo, il ciclo avrebbe dovuto constare di 23 variazioni. Dopo una pausa Beethoven continuò a lavorare ad ulteriori schizzi dall’ottobre/novembre 1822 circa all’inizio del 1823 e completò la trascrizione dell’opera entro marzo/aprile 1823. L’edizione originale fu pubblicata da Cappi & Diabelli a Vienna nel giugno 1823. L’idea per la composizione venne da Anton Diabelli, che desiderava far variare un suo tema da alcuni noti compositori austriaci e pubblicare l’ opera collettiva. Diabelli, affermato e produttivo compositore ed insegnante di musica, fondò con Pietro Cappi nel dicembre 1818 l’editore musicale Cappi & Diabelli, le cui pubblicazioni principali vertevano su danze, variazioni e raccolte musicali.

Probabilmente inviò ad ogni musicista un invito; Carl Czerny diede il suo contributo il „7. May 1819“ “. In tutti i casi non è possibile verificare quando Beethoven abbia ricevuto il tema di Diabelli. Probabilmente decise subito di non fornire una singola variazione ma di scrivere un proprio ciclo.

La creazione dell’op. 120 può essere determinata studiando gli abbozzi presenti sui quaderni denominati “Wittgenstein”, “Artaria 201” e “Engelmann”. Nel quaderno di schizzi “Wittgenstein” esistono appunti immediatamente precedenti ai primi schizzi per la Missa solemnis op.123. I lavori per la messa iniziarono probabilmente nel marzo/aprile 1819. Una lettera all’arciduca Rodolfo datata 3 marzo 1819 non solo contiene la prima prova scritta dell’intenzione di Beethoven di comporre una messa, ma si dice inoltre: „manches befindet sich unterdeßen in meinem schreibpulte, wo ich das Andenken an I.K.H. bezeugen kann, u. ich hoffe dieses alles in einer beßeren Lage auszuführen“ (BGA 1292).

Presumibilmente Beethoven accantonò il lavoro sulle Variazioni Diabelli nell’estate del 1819. Altri abbozzi relativi all’op. 120 si trovano solo nell’  “Artaria 201” immediatamente dopo gli schizzi per l’ouverture „Die Weihe des Hauses“ op. 124 e i primi schizzi per la Nona sinfonia op.125. Quindi fu solo alla fine di quell’anno che Beethoven tornò al ciclo di variazioni. La trascrizione dell’opera fu apparentemente completata tra la fine di marzo e l’inizio di aprile dell’anno successivo: una copia inviata a Ferdinand Ries nel luglio 1823 è datata 30 aprile. La trascrizione autografa fu consegnata agli editori originali Cappi & Diabelli tra il 13 e il 25 aprile.

Tre anni prima, il 10 febbraio 1820, Beethoven aveva già offerto all’editore Nikolaus Simrock di Bonn il ciclo per la stampa: „Große Veränderungen über einen bekannten Deutschen — welche ich ihnen unterdeß nicht Zusagen kann noch vor der Hand“ (BGA 1365). Due anni dopo, nel giugno 1822, seguì un’offerta a Carl Friedrich Peters a Lipsia: „Variationen über einen Walzer für Klawier allein (es sind viele)“ (BGA 1468 del 5 giugno). Dopo aver consegnato la copia per l’ incisore a metà maggio 1823, Beethoven corresse le bozze in maggio/giugno. Il 16 giugno Cappi & Diabelli annunciavano la pubblicazione del numero sulla Wiener Zeitung con parole insolitamente stravaganti: „Wir bieten hier der Welt keine Variationen der gewöhnlichen Art dar, sondern ein großes und wichtiges Meisterwerk, […] so, wie es nur Beethoven, der größte jetzt lebende Repräsentant wahrer Kunst, einzig und allein liefern kann. Die originellsten Formen und Gedanken, die kühnsten Wendungen und Harmonien sind hier erschöpft, alle auf ein solides Spiel gegründeten Effecte des Pianoforte benützt, und noch interessanter wird dieß Werk durch den Umstand, daß es über ein Thema hervorgebracht wurde, welches wohl sonst Niemand einer solchen Bearbeitung für fähig gehalten hätte, in der unser hoher Meister als einzig unter seinen Zeitgenossen dasteht. […] Wir sind stolz darauf, die Veranlassung zu dieser Composition gegeben zu haben, und waren auch möglichst bemüht, in Rücksicht des Stiches Eleganz mit großer Correctheit zu vereinen”. 

Dedica: Johanna Antonia Josepha (“Antonie”) Brentano nata von Birkenstock, nata il 28 maggio 1780 a Vienna, deceduta il 12 maggio 1869 a Francoforte sul Meno, figlia del k. K. consigliere Johann Melchior Edler von Birkenstock (1738-1809) e sua moglie Caroline Josefa nata von Hay; Sposata dal 20 luglio 1798 con il commerciante di Francoforte e poi senatore Franz Brentano (1765-1844), fratellastro di Clemens e Bettina Brentano. A seguito della grave malattia del padre di Antonie, la famiglia si recò a Vienna con i figli più grandi nel 1809 e vi rimase tre anni per liquidare i beni di famiglia dopo la morte di Birkenstock (ottobre 1809). Pare che Antonie Brentano conobbe Beethoven nel 1810 tramite la cognata Bettina. „Beethoven kam oft in das Birkenstock’sche, nun Brentano’sche Haus, wohnte dort den von ausgezeichneten Musikern Wiens ausgeführten Quartetten bei, und erfreute selber öfters seine Freunde durch sein herrliches Spiel“. Antonie Brentano rimase molto colpita dal compositore e scrisse a suo cognato Clemens il 26 gennaio 1811: “tief verehre, er wandelt göttlich unter den Sterblichen, sein höherer Standpunkt gegen die niedere Welt, und sein kranker Unterleib verstimmen ihn nur augenblicklich, denn die Kunst hält ihn umfangen und drückt ihn ans warme Herz“ (BGA 485 nota 9). Nell’estate del 1812 Beethoven incontrò i Brentano a Karlsbad e Franzensbad trascorrendo con loro alcune settimane. Sebbene Beethoven non la rivide di persona dopo il suo ritorno a Francoforte nell’autunno del 1812, i contatti rimasero. I coniugi Brentano sostennero Beethoven con prestiti nel 1813/14, in un periodo per lui finanziariamente molto difficile, e lo aiutarono anche con questioni relative al nipote Karl. Franz Brentano fece in modo che Beethoven pubblicasse la Missa Solemnis presso l’editore di Bonn Nikolaus Simrock e gli anticipò il compenso dovuto nel 1820. Antonie Brentano aveva già ricevuto edizioni delle opere di Beethoven con dediche personali (tutte oggidì conservate nella Beethoven-Haus di Bonn): I Goethe-Gesänge op. 83, la riduzione per pianoforte dell’oratorio “Christus am Ölberge” op. 85 e la canzone “So oder so” WoO 148. Nel 1822 era prevista anche la dedica delle sonate op. 110 e 111, ma questa intenzione si realizzò solo nell’edizione londinese dell’op. 111. Beethoven pensò per l’op. 120 una dedica all’arciduca Rodolfo. Presumibilmente voleva ringraziare Rodolfo per essersi visto dedicare dall’ allievo le 40 Variazioni su un tema di Beethoven, pubblicate nel 1819 (vedere anche WoO 200). Questa idea fu infine abbandonata e la stampa viennese dell’op. 120 nel giugno 1823 uscì con Antonie Brentano come dedicataria.

La copia inviata a Ferdinand Ries per una prevista edizione inglese all’inizio di luglio 1823 reca una dedica alla moglie Harriet Ries. Beethoven scrisse  il 16 luglio 1823: „Die Dedication an Ihre Frau konnte ich nicht selbst machen, da ich ihren Namen nicht weiß. Machen Sie also selbe im Namen Ihres und Ihrer Frau Freundes; überraschen Sie die Ihrige damit; das schöne Geschlecht liebt dies.“ (BGA 1703) Nel settembre 1823 quando fu chiaro che l’op. 120 non sarebbe stata stampata in Inghilterra Beethoven scrisse: „die dedikation an Brentan. sollte nur für Deutschland seyn, da ich ihr sehr verpflichtet u. nichts anders in dem augenblick heraus geben konnte […] — ihrer Frau kann ich dafür ein anderes werk dediciren“ (BGA 1740), ma questa promessa non fu mantenuta. Carl Czerny suonò più volte in privato le variazioni all’inizio di febbraio 1824 (BKh 5 p. 133). È possibile che Hans von Bülow sia stato il primo pianista a eseguire l’opera in pubblico. La suonò il 22 novembre 1856 a Berlino.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

Beethoven – Le variazioni per pianoforte – di Giuseppe Bruno

Ciclo di conversazioni musicali del M°Giuseppe Bruno “Beethoven – Le variazioni per pianoforte” nel 250° anniversario della nascita.
Associazione Culturale Italo Tedesca La Spezia con il gentile contributo del Goethe Institut
“Il congedo” – 33 Variazioni Op.120 su un valzer di Diabelli

“Se vi è piaciuta la lezione del Maestro Bruno, andatevi ad ascoltare

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