Opus 111 Sonata in do minore per pianoforte

I) Maestoso – Allegro con brio ed appassionato II) Arietta – Adagio molto semplice e cantabile

OPUS 111 – Sonata in do minore per pianoforte, op. 111, dedicata all’arciduca Rodolfo d’Austria, 1821 – primavera 1822, pubblicata a Parigi e Berlino, Schlesinger, 1822. GA. n. 155 (serie 16/32) – B. 111 – KH. 111 – L. IV, p. 85 – N. 111- T. 230.

Un manoscritto originale del primo tempo (datato 13 gennaio 1822) con molte modificazioni è conservato nella Beethovenhaus; un altro (bella copia) dell’opera intera, con la stessa data, si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. La copia, con numerose correzioni, consegnata all’editore per la stampa (Fondo Bodmer della Beethovenhaus, M. U., 158/54) è della primavera 1822.

Abbozzi comunicati dal Nottebohm. Il tema del primo tempo figurava già in un quaderno del 1801-1802, come abbozzo di un Andante, dopo quello del primo tempo della Sonata op. 30 n. 1 per pianoforte e violino. Lo troviamo poi nuovamente accennato come Finale di una Seconda Sonata, non più composta, che avrebbe dovuto avere per primo tempo l’Allegro con brio e per secondo l’Adagio di cui al n. 758.

Nella sua forma definitiva esso è stato posto a base della sonata attuale. Diciamo a base poiché analogie di struttura fondamentale lo collegano anche al Maestoso iniziale e all’Arietta costituente il secondo ed ultimo tempo. Il Maestoso con il suo apocalittico crescendo, introduttivo dell’Allegro, è un preambolo tragico in confronto del quale impallidiscono le pagine corrispondenti della Patetica e della Sonata in re minore op. 31 n. 2. «Si è creduto di ritrovare nella partitura del Dardano di Sacchini (atto II, scena IV) questo esordio tempestoso» scrive il Prod’homme.

 «Sono infatti le stesse note. Ma Sacchini non trae alcuno sviluppo da questa formula. E possibile d’altra parte che Beethoven abbia conosciuto, a Bonn o a Vienna, l’opera del maestro italiano, rappresentata a Versailles e a Parigi dal 1784». L’Allegro è d’una agitazione senza riposo, in cui soltanto il secondo elemento tematico — del quale il D’Indy nota la parentela col secondo tema del Finale della Sonata op. 27 n. 2 (il Chiaro di luna) — porta la nota di una relativa distensione; ma viene subito sopraffatto anch’esso dal primo elemento che porta tempestosamente alla conclusione della parte.

Nello sviluppo, breve in generale come tutti quelli delle ultime sonate, il tema iniziale propone ancora le sue interrogazioni; la ripresa appare di una maggiore drammaticità. Al termine di essa è ancora il medesimo tema a riprendere il suo martellamento, calmandosi alla fine soltanto nella cadenza; peraltro il movimento inesausto del basso al di sotto della frase melodica esprime ancora, nonostante il modo maggiore, un senso d’inquietudine. L’ Arietta è una di quelle «trovate di semplicità» piene di significato, come il tema della gioia della Nona Sinfonia, e segna l’avvento di una serenità fatta di dolcezza e di sicurezza. Le cinque variazioni seguono la stessa linea di condotta espressiva: nessuna complicazione agitata o passionale; soltanto una progressiva intensità del sentimento unico.

Le prime tre sono accomunate in un carattere fondamentale di fedeltà assoluta allo schema, per la struttura ritmica e armonica, con coloriture che non ne alterano la fisionomia originaria.

Quello che le distingue è soltanto la progressiva vibrazione del movimento: ondulato, d’una dolcezza quasi cullante nella prima (e tuttavia nel passaggio in minore il Rolland nota un colore sentimentale «che evoca curiosamente il tema della Sinfonia fantastica di Berlioz»); più articolato, ma ancora dolce, e con un certo anelito nella aumentata pulsazione ritmica, nella seconda; forte e turbinoso nel minore per moti contrari della terza, con un movimento a ondate che si accavallano l’una sull’altra. Nella quarta il quadro si ingrandisce nella linea e si sublima nel significato; ciascuna delle due frasi del tema è trattata due volte, in figurazioni che si contrappongono e si integrano a vicenda: il murmure quasi informe del basso e il lontano, luminoso polverio delle note alte che gli risponde.

Segue un episodio in cui lo spunto tematico sembra in principio disperdersi nella rarefazione creata dall’ascesa cromatica della melodia trillata e ripercossa nelle profondità estreme del basso; ma, ripreso in frammenti, esso finisce per ricondurre, attraverso una varietà di passaggi tonali, al ristabilimento del do maggiore segnando l’entrata della quinta variazione. In questa il tema torna a distendersi nella limpida forma originaria, ma vibrante, per concludere in una estatica perorazione. Lo Schering riferisce questa sonata all’Enrico VIII di Shakespeare. Primo tempo. Atto IV, scena II: La figura del cardinale Wolsey, descritta dalla regina Caterina e dal marchese Griffith — Secondo tempo: Continuazione della medesima: Visione di sogno della regina Caterina: appaiono sei geni e le rendono omaggio al suono della musica.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 111 Sonate (c-moll) für Klavier Widmung: Erzherzog Rudolph von Österreich NGA VII/4 AGA 155 = Serie 16/32

Creazione e pubblicazione: abbozzata dal dicembre 1821 al febbraio 1822 a Vienna. Beethoven datò la prima trascrizione autografa 13 gennaio 1822. Il 20 febbraio, una copia della sonata fu inviata ad Adolph Martin Schlesinger a Berlino e il 9 aprile Beethoven annunciò che una sarebbe stata spedita il giorno successivo una nuova versione  del secodo movimento. L’edizione originale di Parigi fu pubblicata da Maurice Schlesinger nell’aprile (?) 1823, l’edizione londinese da Clementi & Co. nell’aprile dello stesso anno. L’edizione originale di Berlino seguì a maggio a cura di Adolph Martin Schlesinger, e tra giugno e dicembre fu pubblicata l’edizione viennese di Cappi & Diabelli. La sonata per pianoforte op.111 appartiene a un gruppo di tre sonate (op. 109-111) che Beethoven promise all’editore Adolph Martin Schlesinger a Berlino nell’aprile 1820 (BGA 1388; vedi op. 109).

Beethoven abbozzò solo il primo movimento intorno al dicembre 1821 nel quaderno “Artaria 197” Tra l’ altro inizialmente progettò di comporre questo movimento come una fuga, ma in seguito lasciò cadere l’ idea. Idee per il secondo movimento dell’opera, che in un quaderno tascabile seguono immediatamente gli schizzi scartati per la fuga della Sonata per pianoforte op.110, suggeriscono che buona parte del primo movimento dell’op. 111 era già stato abbozzato quando Beethoven stava lavorando all’op. 110. Presumibilmente iniziò la prima stesura del primo tema il „13ten jenner 1822”. Questa datazione si trova anche nel quaderno “Artaria 201”, che segue cronologicamente il quaderno “Artaria 197”, contiguo  all’inizio degli abbozzi per il secondo movimento. L’ Opus 111 è una delle poche opere di Beethoven di cui almeno una parte è stata conservata in due autografi. Esiste sia un manoscritto per il primo movimento, chiamato „Urschrift“ in letteratura, sia una bella copia realizzata successivamente. Per il secondo movimento si è conservata solo la bella copia. Verso la metà di febbraio 1822 Beethoven consegnò a Tendier & Manstein una bella copia per Berlino. A quanto pare Beethoven si affidò al copista Wenzel Rampl, ma questi per il secondo movimento non ricevette il modello corretto, motivo per cui annunciò nella sua lettera del 20 febbraio 1822 a Schlesinger a Berlino che una nuova copia del movimento sarebbe stata inviata immediatamente: „Sie werden nun schon die 2te Sonate [Op. 110] erhalten haben, vor einigen Tägen wurde auch die 3te [Op. 111] abgegeben […] – bey der lezten Sonate die jezt schon abgeschickt ist, worden zeige ich ihnen nur noch an, daß ich ihnen eine andere Abschrift gleich mit künftigem Postwagen schicke, u. zwar von dem lezten Saze mit Variationen — in so vielen zerstreuten Beschäftigungen geschah es, daß ich dem Copist mein bloßes erstes Koncept übergeben, wodurch wie es manchmal zu geschehen pflegt manches noch unvollkommen u nicht richtig angezeigt war, sie dürfen also gar keinen Gebrauch davon machen auch bitte ich sie es niemanden ändern zu zeigen, so bald sie die andere Abschrift erhalten haben vernichten sie es sogleich, durch meine frühere Krankheit blieb mir so manches liegen, daher hat es sich sehr gedrängt bey mir, u. Es kann wohl so etwas geschehen, sie werden diesen Saz höchstens 8 täge später als die Sonate selbst erhalten“ (BGA 1458).

Nonostante ciò il nuovo modello per l’ incisione del secondo movimento non arrivò all’editore di Berlino sino all’inizio del maggio 1822 (BGA 1460). O Beethoven trascurò il fatto che il primo movimento nel modello dell’incisore non corrispondeva al testo della successiva trascrizione dell’opera o non lo ritenne importante. Edizioni originali: come per l’op. 110 gli editori decisero di far incidere la sonata da Maurice Schlesinger a Parigi e di pubblicarne un’edizione parallela a Berlino. Padre e figlio Schlesinger informarono Beethoven della corretta ricezione all’inizio del luglio 1822 (BGA 1474 e 1476; nella stessa lettera Maurice Schlesinger chiese a Beethoven i tempi metronometrici, che non furono forniti). Il 13 luglio 1822, Adolph Martin Schlesinger chiese se la sonata „nicht ein drittes Stück [Satz] bekömmt“ (BGA 1481) – una domanda che Beethoven trovò indegna di risposta. Verso la fine dell’anno 1822/23, Beethoven ricevette una prova su cui fare le correzioni, che restituì l’11 febbraio 1823 (BGA 1568) L’edizione originale di Parigi fu pubblicizzata su “The Harmonicon” nel maggio 1823 e sulla Wiener Zeitung il 27 maggio da Sauer & Leidesdorf, uno dei distributori citati in prima pagina dell’edizione parigina, come „eben neu angekommen und zu haben“; e da Giovanni Cappi il 23 giugno („zu haben“”).

Beethoven sapeva che Cappi & Diabelli volevano ristampare la sonata a Vienna. Il compositore scrisse ad Anton Diabelli a fine maggio/inizio giugno: „Stechen sie nur nach dem E.[xemplar] von Paris, das andere [von Sauer & Leidesdorf] hat wieder andre Fehler schicken sie mir nur die Correctur gerade hieher, wo ich selbe auf der Stelle zurücksenden werde, eilen Sie, Es geschieht beyden recht, da sie es verdienen, obschon ich kein Verfechter d.g. bin — für mich bitte ich mir 4 E. [Exemplare] aus, wovon eines für Seine Eminenz auf schönem Papier“ (BGA 1661). L’arciduca Rodolfo ricevette una copia in anteprima della stampa viennese alla fine del giugno 1823 (BGA 1682, 1686). Tuttavia, Cappi & Diabelli sospese la vendita ufficiale fino al dicembre. A Londra una copia della sonata fu pubblicata da Muzio Clementi tramite Ferdinand Ries. In una lettera del 6 luglio 1822 Beethoven scrisse a Ries: „ich habe 2 neue Klawier Solo Sonaten geschrieben [Op. 110 und 111], welche eben nicht gar schwer sind, ich wäre zufrieden, wenn sie mir die nemliche Summe von 26 Pf. Sterling dafür verschafften, indem ich selbe in deutschland auch anbringen kann, ohne daß sowohl der englische als der Deutsche Verleger beeinträchtigt werde, können sie mehr haben, desto beßer, nur bitte ich sie mich wieder nicht so lange auf eine Antwort warten zu laßen, weil ich sonst, wenn es zu spät wird, sie doch gleich hier oder anderwärts hingeben müste“ (BGA 1479 ).

Dedica: Beethoven inizialmente pensò di dedicare ad Adolph Martin Schlesinger l’op. 111 (BGA 1462 del 1 maggio 1822). Alla fine di agosto 1822, però, dopo una rinnovata inchiesta da parte dell’editore, informò il figlio Maurizio che la sonata fosse dedicata all’arciduca Rodolfo che ne era già stato informato (BGA 1491 del 31 agosto 1822). Il 18 febbraio 1823  espresse il desiderio che come dedicatario fosse indicata Antonie Brentano (BGA 1572), dedica che compare anche sul frontespizio della prima edizione londinese di Clementi & Co. Maurice Schlesinger rimase fedele alla dedica all’arciduca Rodolfo. Il 27 giugno 1823 Beethoven inviò all’arciduca una copia dell’edizione originale viennese da Cappi & Diabelli. A quanto pare l’arciduca Rodolfo non sapeva nulla della dedica, perché in una lettera datata 1 luglio di quell’anno Beethoven gli scrisse: „E.K.H. ersehen aus dem Beyfolgenden Recipisse vom 27ten Jun. die Übersendung einiger Musikal., da E.K.[H.] schienen vergnügen zu finden an der Sonate in c moll, so glaubt ich mir nicht zuviel herauszunehmen, wenn ich Sie mit der Dedication an Höchstdieselben überraschte. […] die Sonate in c moll ward in Paris gestochen sehr fehlerhaft, u. da sie hier nachgestochen wurde, so sorgte ich so viel wie möglich für Korrecktheit“ (BGA 1686). Prima esecuzione sconosciuta. Carl Czerny suonò la sonata privatamente all’inizio di febbraio 1824 (BKh 5 p. 133).

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

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