Opus 59 Quartetti (3) in fa maggiore, mi minore, do maggiore per due violini, viola e violoncello

Opus 59 Quartetti (3) in fa maggiore, mi minore, do maggiore per due violini, viola e violoncello op. 59, composti per incarico del conte Andreas Rasumowsky ed a lui dedicati, 1805-1806, pubblicati in parti staccate a Vienna. Bureau d’arts et d’industrie, gennaio 1808; in partitura a Offenbach s/m., André, 1830. GA. nn. 43-45 (serie 6/7-9) – B. 59 – KH. 59 – L. Ili, p. 14 – N. 59 – T. 127.

Titolo ufficiale: Opus 59 Drei Quartette (F-dur, e-moll, C-dur) für zwei Violinen, Viola und Violoncello Widmung: Andreas Kyrillowitsch Graf Rasumowsky NGA VI14 AGA 43-45 = Serie 6/7-9 Beinamen: Rasumowsky-Quartette, Nr. 3 Heldenquartett

I manoscritti originali del primo e del secondo quartetto si trovano nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino; quello del terzo nella Beethovenhaus. Gli abbozzi sono contenuti in due fogli materialmente inclusi nel quaderno del Fidelio (vedere Opus 72 – Biamonti 434) senza però appartenervi. II Finale del primo Quartetto e il Trio dello Scherzo del secondo sono basati su due temi popolari russi, come è indicato nella partitura. Volle il maestro con ciò fare di propria iniziativa un atto d’omaggio al nobile committente, o aderire ad una sua esplicita richiesta? Un articolo della Allgemeine Musik. Zeitung del 1802, osserva il Thayer-Riemann, aveva parlato della musica russa; e fra Vienna, Mosca e Pietroburgo le comunicazioni erano abbastanza facili (in relazione naturalmente ai tempi) per potersi fare inviare delle raccolte di canti popolari.

Nottebohm cita i due temi come appartenenti ad una raccolta di Ivan Pratsch, del 1790, e contrassegnati da Beethoven stesso in un esemplare da lui posseduto. Ma forse oltre a queste due « citazioni » tematico-letterali anche altri punti rivelano nelle forme melodiche, negli atteggiamenti ritmici e armonici qualche cosa che all’ascoltatore sensibile può dare l’impressione di un mondo di fantasia diverso (vorremmo dire « esotico » se con questa parola non si evocassero immagini o idee troppo superficiali) rispetto a quello classico occidentale. Si comprende pertanto che qualche studioso abbia pensato ad altre derivazioni russe di origine popolaresca, per esempio nell’impostazione del tema dell’Allegro iniziale e nel ritmo e in qualche melodia dell’Allegretto del primo quartetto (noi pensiamo anche nello Scherzo e nel Finale del secondo, nell’Andante del terzo) sulla base di temi e forme che Beethoven poté conoscere anche direttamente dalla bocca di familiari della stessa ambasciata Rasumowsky. Ma, a parte ogni ipotesi più o meno possibile sulla ragione della speciale fisionomia dell’op. 59, certo è che questa per l’ampiezza, la varietà, la maestria delle forme, l’intensità dell’ispirazione, la bellezza delle sonorità e degli effetti strumentali costituisce una delle maggiori creazioni del periodo centrale dell’attività beethoveniana.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino]

Origine e pubblicazione: Scritti intorno ad aprile/maggio-novembre 1806. La partitura autografa del quartetto in fa maggiore, che fu composto per primo, riporta la data autografa „angefangen am 26ten Maj – 1806“. L’edizione originale in parti fu pubblicata nel gennaio 1808 dal Kunst-und Industrie-Comptoir di Vienna e da Schreyvogel a Pest. Una lettera dell’ottobre 1804 a Breitkopf & Härtel fornisce la prima indicazione che Beethoven volesse tornare al genere quartettistico dopo i quartetti opus 18, di diversi anni prima.  „Denn könnten Sie mir auch Ihre Meinung wegen Quartetten für Violin sagen, und wie hoch sie wohl 2 oder 3 annehmen können. Ich kann Ihnen diese zwar nicht gleich geben aber ich würde selbe für Sie bestimmen“ (BGA 194 del 10 ottobre 1804). Nonostante l’editore abbia risposto a novembre mostrando un certo interesse, Beethoven chiese al fratello Kaspar Karl di scrivere all’ editore dilatando i tempi, dal momento che il progetto di revisione della Leonore lo stava assorbendo completamente (BGA 198 e 199). Nel marzo 1806, completata la prima grande revisione della “Leonore”,  tornò a lavorare sui quartetti. Forse ciò fu fatto per conto del successivo dedicatario, il conte Rasumowsky. Per quanto riguarda la commissione del conte non esiste più alcuna documentazione se non in una lettera, oggi perduta , in cui Beethoven annunciò che il secondo quartetto sarebbe stato inviato e in cui chiede l’invio del suo compenso (riassunto della lettera in Katalog/ Music Loan l904 pagina 306).

L’ utilizzo di melodie russe nei primi due quartetti può essere vista come un gesto di particolare attenzione verso il cliente (le melodie si trovano nella raccolta di canzoni popolari russe di N.A. Lwow e Ivan Prac, (vedere WoO 158 come esempio e Hübsch/Op59). Come sottolinea Alan Tyson, a differenza dell’op. 18 qui Beethoven compone i quartetti nell’ordine in cui sono poi apparsi (Tyson/Op59). Il 5 luglio 1806 Beethoven scrisse a Breitkopf: “auch können sie sich mit demselben [seinem Bruder Kaspar Karl] auf neue violin quartetten einlaßen, wovon ich eins schon vollendet und jezt fast meistens mich gedenke mit dieser Arbeit zu beschäftigen“ (BGA 254). Und am 3. September bot er an: „sobald ich ihre Meynung hierüber weiß – können sie also gleich von mir 3 Violin quartetten […] haben“ (BGA 256). . Ed ancora il 3 settembre: „sobald ich ihre Meynung hierüber weiß – können sie also gleich von mir 3 Violin quartetten […] haben“ (BGA 256). (BGA 256). Un esame più attento degli schizzi, tuttavia, mostra che alla fine dell’ ottobre 1806 fosse disponibile solo una partitura elaborata in fa maggiore dei primi due movimenti del quartetto di mi minore, mentre i restanti movimenti di quest’ultimo e del primo movimento del quartetto in do maggiore erano solo abbozzati (Tyson/Op59 e JTW pp. 524-526).

Poiché Beethoven compose altre opere più grandi (inclusa l’Op. 61 nel novembre/dicembre dell’anno precedente) entro il febbraio 1807, quando i quartetti erano già stati suonati a Vienna (vedere prima esecuzione), i quartetti potrebbero essere stati completati nel novembre 1806. Per gli sforzi di Beethoven di pubblicare assieme le Opere da 58 a 62 sul mercato tedesco, austriaco, inglese e francese, vedere op. 58. Contrariamente a quanto riportato nella Zeitung für die elegante Welt del 10 dicembre 1807, queste „sechs neuen großen Werke“ (compresa la versione per pianoforte dell’op. 61) non furono pubblicate contemporaneamente a Pasqua presso il  Kunst-und Industrie-Comptoir. Un annuncio nella Wiener Zeitung del 9 gennaio 1808 cita inizialmente solo l’op. 59 e 62 come „neu erschienen“. Alla fine apparvero annunci separati: per l’op. 59 il 23 gennaio 1808 e per l’op. 62 il 10 febbraio 1808.

Più o meno nello stesso periodo, la Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung riportava in un rapporto del 16 gennaio: „Beethovens neue grosse Quartetten dem Grafen Rasu-movsky zugeeignet, […] sind jetzt im Schreyvogelschen Industriecomptoir erschienen“. Un rapporto di Vienna pubblicato nel gennaio 1808 sul Journal des Luxus und der Moden (con un riferimento alla Messa op. 86 databile probabilmente alla fine di agosto / inizio settembre 1807) suggerisce che i quartetti siano stati incisi durante la seconda metà del 1807 “Mit dem größten Vergnügen gebe ich Ihnen die Nachricht, daß unser Beethoven so eben eine außerordentlich schöne, ganz seiner würdige, Messe vollendet hat, welche am Feste Mariä bei dem Fürsten Esterhazy aufgeführt werden soll. Beethovens Oper Fidelio […] soll nächstens in Prag mit einer neuen Ouvertüre aufgeführt werden. Die 4te Symphonie von ihm ist im Stiche, so auch eine sehr schöne Ouvertüre zum Coriolan, auch ein großes Violin-Concert; dabei fängt er bereits eine zweite Messe an; auch 3 Quartetten werden gestochen. – Sie sehen daraus, wie rastlos thätig der geniale Künstler ist.“ (Journal des Luxus und der Moden 23, 1808, p. 29.) L’ipotesi di Cooper che i quartetti fossero già stati incisi nell’agosto 1807 non può essere verificata (piuttosto, è probabilmente un errore di traduzione se il „werden gestochen“ della citata relazione fosse stato tradotto in inglese come  „have been engraved“, cfr Cooper/Clementi p. 348).

L’edizione di Muzio Clementi dell’op. 59 (ca. 1809) non si basa su un modello di incisione manoscritta, secondo Alan Tyson, ma sull’edizione originale di Vienna (Tyson/Editions p. 53). Tuttavia, nel maggio 1807 Beethoven di inviò una copia di queste opere a Londra il più rapidamente possibile, forse in un pacco a settembre, le parti copiate basate sull’edizione originale, che potessero esser usate come modello per l’ incisione. (Cooper/Clementi p. 347f). In questo contesto scrisse anche al conte Franz Brunsvik a Ofen (Buda) l’11 maggio 1807: „ich brauche lieber B. die quartetten, ich habe schon deine Schwester deswegen gebeten, dir deshalb zu schreiben Es dauert zu lang, bis sie aus Meiner Partitur kopirt – eile daher und schike sie mir nur gerade mit der Briefpost — du erhältst sie in höchstens 4 oder 5 Tägen zurück — ich bitte dich dringend darum, weil ich sonst sehr viel dadurch verliehre[n] kann […] schicke Morgen gleich die quartetten – quar – tetten – t — e-t-t-e — n“ (BGA 281). (BGA 281).

Le indicazioni metronometriche originali riportati negli incipit provengono da un opuscolo pubblicato da S. A. Steiner intorno al 1817 „Bestimmung des musikalischen Zeitmasses nach Mälzel’s Metronom. Zweite Lieferung. Beethoven. Sämmtliche Quartetten von dem Author selbst bezeichnet“ (VN 2812, copia in US NYp). Contiene indicazioni per i quartetti fino all’op. 95, alcuni dei quali trovarono anche la loro strada in Hofmeister/Index 1819 (vedi Nottebohm/Beethoveniana ll p. 519-521 e Weinmann/Senefelder vol. 1 p. 157).

Il soprannome di „Heldenquartett“ rifrito al numero 3 è spesso associato a una nota di Beethoven che si trova tra gli schizzi dell’ultimo movimento: „Eben so wie du dich hier in den Strudeln / der Gesellschaft stürzest, eben so / möglich ist’s opern troz allen gesell- / schaftlichen Hindernißen zu schreiben – / Kein Geheimniß sey dein nichthören / mehr – auch bey der Kunst“. Presumibilmente descrive anche il carattere del (primo e) ultimo movimento.

Dedica: Andreas Kyrillowitsch Conte Rasumowsky, nato il 2 novembre 1752 (secondo il calendario giuliano allora in uso in Russia il 22 ottobre) a San Pietroburgo e deceduto il 23 settembre 1836 a Vienna, figlio del feldmaresciallo conte Kyrill Grigoriewitsch Rasumowsky (1728- 1803) e di sua moglie Katharina Ivanovna nata Narishkin (1731-1777). Diplomatico, dal 1792-1806 (con una breve pausa nel 1800/01) ambasciatore russo presso la corte austriaca e dal 1815 elevato al titolo di principe. Dal 4 novembre 1788 Rasumowsky fu coniugato con Elisabetta contessa di Thun-Hohenstein (1764-1806), sorella maggiore della principessa Maria Christiane Lichnowsky (vedere Op. 43) e figlia della contessa Guglielmina di Thun-Hohenstein (1744-1800; vedere Op. 11); si sposò una seconda volta il 10 febbraio 1816 con Constanze contessa von Thürheim (1785-1867). Palazzo Razumovsky fu teatro di numerosi festival, concerti e serate e fu utilizzato per ricevimenti ufficiali durante il Congresso di Vienna dallo zar Alessandro I.

1810 Paris Imbault, Numero di lastra 883. Dalla pubblicazione Londinese di Cianchettini & Sperati. Lastra adoperata per cessione attorno al 1812 anche da Janet e Cotelle. Proprietà dell’ Archivio Musicale Luca Moretti

1810 Paris Imbault, Numero di lastra 883. Dalla pubblicazione Londinese di Cianchettini & Sperati. Lastra adoperata per cessione attorno al 1812 anche da Janet e Cotelle. Proprietà dell’ Archivio Musicale Luca Moretti

Dal 1808 al 1816 Rasumowsky mantenne un quartetto d’archi privato guidato da  Ignaz Schuppanzigh (con Ludwig Sina, Franz Weiß e Joseph Linke), in cui suonava di tanto in tanto il violino e suonava spesso quartetti di Beethoven. Beethoven deve essere entrato in contatto con Rasumowsky forse attraverso la sua relazione con i Lichnowsky e con Wilhelmine von Thun. Secondo il diario del conte Zinzendorf, Beethoven suonò al pianoforte con Rasumowsky il 23 aprile 1795 (Kopitz/Cadenbach vol. 2 p. 1114). Sia il Conte che sua moglie furono sottoscrittori dei trii OPus 1. Nel 1814 Rasumowsky fece in modo che il manoscritto della „Wellingtons Sieg“ op.91 fosse consegnato al principe reggente inglese e poi a re Giorgio IV, cui l’opera doveva essere dedicata. A lui e al principe Lobkowitz sono dedicate, oltre ai quartetti d’archi op.59, anche la 5a e la 6a sinfonia (vedere op. 18).

Prime esecuzioni probabilmente all’inizio del 1807 in ambienti privati ​​o semipubblici, come si evince da una relazione del 27 febbraio 1807 nella Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung: “„Auch ziehen drey neue, sehr lange und schwierige Beethovensche Violinquartetten, dem russischen Botschafter, Grafen Rasumovsky zugeeignet, die Aufmerksamkeit aller Kenner an sich. Sie sind tief gedacht und trefflich gearbeitet, aber nicht allgemeinfasslich – das 3te, aus C-dur, etwa ausgenommen, welches durch Eigenthümlichkeit, Melodie und harmonische Kraft jeden gebildeten Musikfreund gewinnen muss.“ Il 5 maggio 1807 seguì un altro breve avviso: „In Wien gefallen Beethovens neueste, schwere, aber gediegene Quartetten immer mehr; die Liebhaber hoffen sie bald gestochen zu sehn“ (AmZ 9, 1806/07, 5 maggio 1807, colonna 517).

Le annotazioni del diario del pittore Joseph Stieler mostrano che il Quartetto Schuppanigh fu tra i primi ad eseguire i quartetti: „9. Aprill [1807] Im quartete des Schupanzigs, was so vollkommen ist als man nur ein quartet hören kan, habe ich ein neues quartette von Bethoven aus E mol [Op. 59 Nr. 2] gehört, welches von außerordentlicher Schönheit ist“. Tuttavia, Stieler riferisce anche che altre formazioni di quartetto suonarono le nuove opere, come ad esempio il ​​13 aprile 1807 un quartetto per archi che aveva come violinisti Karl Traugott Zeuner (1775-1841) e Conradin Kreutzer.

1 Schizzi del 1806 (vedi JTW pp. 524-526): (1) N. 1-3: A-Wgm, A 36, su 25 fogli del faldone. Facsimile p.14: Tyson/Op59 p.119, trascrizioni parziali: Nottebohm/Beethoveniana ll p.82-90 e Tyson/Op59; per i dettagli del contenuto, vedere Tyson/Op59 e JTW pp. 524-526; a pagina 27f del faldone vedi DelMar/Op59 Critical Commentary a pagina 16. (2) n. 1: D-B, Mus. SM. autogr. Beethoven Mend.-Stift. 15 (“Mendelssohn 15”, “Leonore”), schizzi su fogli originariamente non appartenenti al libro, pp. 183-186 e 346. Facsimile: SBB/ descrizione: Klein/catalogue pp. 255 e 277 , riporto parziale: Nottebohm/Beethoveniana ll pp. 79-81. (3) n. 2: D-B, Mus. SM. autogr. Beethoven Landsberg 10, pp. 39-46. Facsimile: SBB/ trascizione parziale: Virneisel/Sketchbooks p. 436. (4) n. 2: D-B, Mus. SM. autogr. Beethoven Grasnick 20b, fogli 18-19. Facsimile: SBB/ online.

Opus 59 Quartetto numero 1 in fa maggiore per due violini, viola e violoncello

I) Allegro – II) Allegretto vivace e sempre scherzando – III) Adagio molto e mesto – IV) Allegro

La condotta melodico-lineare del tema iniziale e principale (un canto disinvolto che riposa e rallegra) su un battito d’accordi senza riguardo all’armonia assomiglia, dice il Bücken,  «alla musica a più voci nello stile dell’organum diffusa ancora oggi nel popolo russo». Elementi tematici diversi segnano il graduale passaggio al secondo tema, che ne costituisce l’integrazione nel senso di una maggiore pienezza melodiosa, ma ritorna subito dopo al movimento per arrestarsi poi in una tipica alternativa di accordi fra i violini da una parte, e la viola e il violoncello dall’altra (qualche cosa di analogo, in diverso clima espressivo, troviamo nel primo tempo della Quinta Sinfonia) conducendo alla limpida cadenza in do maggiore conclusiva della prima parte. Nello sviluppo ampio e vario e nella Coda tutti questi elementi collaterali, esposti finora più che altro linearmente, vengono man mano a più stretto contatto fra loro e con il tema principale sempre presente, fondendosi nell’espressione pacifica e gioconda che costituisce la fisionomia dell’intero tempo.

La fantasia poetica e la raffinatezza tecnica fanno dell’Allegretto vivace e sempre scherzando, che viene come secondo tempo, una pagina di rara squisitezza artistica. Sul battito d’un tema-ritmo che assume di volta in volta, pur nella sua costanza, aspetti diversi si succedono, passando dall’uno all’altro strumento, dolci figure melodiche, di cui l’ultima ha fisionomia di canzone melanconico-sentimentale: un particolare soltanto nel quadro d’insieme, che contribuisce tuttavia efficacemente alla sua individualità. Il Thayer-Riemann pensa che possa essere di origine russa e non sapremmo che cosa dire al riguardo. Ne ritroveremo lo spunto nel Coro dei matadori della Traviata. Una certa affinità espressiva lo lega ad altri temi beethoveniani: nei Finali del Concerto per violino e orchestra op. 61 e del Quartetto op. 95, come si è avuto già occasione di notare. L’Adagio molto e mesto fa pensare alla Marcia funebre della Sinfonia Eroica, della quale però è meno cupo e più liricamente aperto. Alla sua base è un tema doloroso, sviluppato in una forma che non a torto è stata chiamata di polifonia melodica.

Un secondo tema in maggiore non vale che per poco a mitigarne la piangente effusione, troncata solo all’ultimo quasi improvvisamente dalla cadenza del primo violino introduttiva dell’ultimo tempo. Questo si svolge, come già è stato detto, su un tema russo di vigorosa consistenza ritmica, al quale non possiamo peraltro attribuire una particolare fisionomia né triste né gaia, e che l’artista foggia di volta in volta in un senso o nell’altro, integrandolo con altri due temi (originali): l’uno nel secondo violino sul vibrante bilanciamento delle ottave del primo, seguito in contrattempo dagli strumenti inferiori (poi trasportato in minore violoncello e nel primo violino); l’altro, ancora più ritmicamente marcato e quadrato, scandito nei due strumenti inferiori sotto la figurazione, per così dire, squillante di quelli superiori, e viceversa. Nel complesso una pagina piena d’interesse strumentale: meno ricca tuttavia interiormente delle tre precedenti. Lo Schering riferisce il quartetto al Wilhelm Meister di Goethe. Primo tempo: secondo libro, cap. 1-3: Lotte nell’anima del giovane Wilhelm Meister — Secondo tempo: id., cap. 8: Danza di Mignon davanti a Wilhelm Meister — Terzo tempo: id., cap. 13 : Canzone dell’arpista: Chi è dedito alla solitudine -— Quarto tempo: id., cap. 4: Corteo di funamboli e giocolieri.

Opus 59 Quartetto numero 2 in mi minore per due violini, viola e violoncello

I) Allegro – II) Molto adagio – III) Allegretto – IV) Finale – Presto

L’Allegro ha un carattere agitato e melanconico. Il primo tema, annunciato dall’imperativo di due accordi cui dà carattere il salto di quinta, ha uno svolgimento ed elementi collaterali molto brevi; anche il secondo tema ha un’effusione melodica di corta durata, continuando in figure di movimento. Fra queste un crescendo in forma sincopata sopra una nutrita progressione di accordi preannuncia quello del Trio dello Scherzo della Settima Sinfonia. Nello sviluppo, basato sugli stessi elementi (escluso il secondo tema), il senso dell’inquietudine aumenta fino a risolversi nella ripresa, condotta con foga drammatica da un passo in unisono. La Coda è come un secondo sviluppo abbreviato e più teso, a cui l’impetuoso spiegamento finale del tema appone il suggello. Si dice che Beethoven abbia avuto l’idea dell’Adagio una notte in cui passeggiando per la campagna nei dintorni di Baden contemplava il cielo stellato e «pensava all’armonia delle sfere».

A parte questo, non si può negare che la pagina in oggetto – da trattarsi, dice un’annotazione sulla partitura, con molto di sentimento — abbia carattere di notturno, sulla base di un tema a corale enunciato compiutamente in principio e ripetuto in aspetti vari nel corso del tempo, intrecciato con altri elementi melodici che prendono talora il sopravvento spostando l’espressione in un campo di dolcezza più tenera. In qualche momento possiamo pensare di trovarci nello stato d’animo del secondo tempo della Sinfonia incompiuta di Schubert (nello stesso tono di mi maggiore), mentre in qualche altro sembra che la luminosità siderea si oscuri e la notte (per restare nel campo dell’immagine) riveli, sia pure fugacemente, un suo aspetto cupo, o misterioso, o negativo. Ma l’impressione mistica prevale. A contrasto l’Allegretto, con il suo tema sussultante in minore, torna nelle prime due parti ad avvicinarsi allo spirito del primo tempo.

Qualcuno lo considera come un precursore della mazurka chopiniana. Nel Trio in maggiore entra sveltamente il tema russo dichiarato: lo stesso che il Mussorgsky dovrà introdurre sessant’anni dopo nel Boris Godunof come elemento di tripudio popolare (coro del popolo al passaggio dello zar nella scena dell’incoronazione) e di cui ha fatto dopo di lui uso anche il Rimsky Korsakof nella Fidanzata dello Zar. Svolto in forma fugata, animato da una snella figurazione concomitante che ne aumenta la festosità, esso è ripreso dall’uno all’altro strumento con alternative di crescendo, sformato, piano fino a declinare melanconicamente nel passaggio di ritorno alle due prime parti. Il Finale giuoca con spirito sulle risorse dei ritornelli, dei couplets, delle riprese, in una figurazione ritmico-strumentale che darà una tipica fisionomia anche al tempo corrispondente del Quartetto in do diesis minore op. 131. Non c’è però niente di tragico né di appassionato: pensiamo piuttosto alla trasposizione immateriale nel complesso d’archi di una marcia di pifferi e tamburi, con riferimento anche qui ad elementi di carattere pittoresco popolare. Lo Schering riferisce il quartetto all’Età critica di Gian Paolo. Primo tempo: cap. 62: Ritratto dell’appassionato Vult: acceso di gelosia — Secondo tempo-. Ritratto del sognatore Walt suo fratello (in connessione con il racconto delle sue vicende musicali, nel 250 capitolo) — Terzo tempo, cap. 63: Scena di ballo mascherato, danza di Wina e di Walt — Quarto tempo. Continuazione del ballo mascherato. Danza di Wina con Vult, loro ardente confessione d’amore.

Opus 59 Quartetto numero 3 in do maggiore per due violini, viola e violoncello

I) Introduzione/Andante con moto – Allegro vivace – II) Andante con moto quasi allegretto – III) Menuetto – Grazioso – IV) Allegretto molto

Caratteristica di questo Quartetto (escludendone però, per la sua diversa fisionomia, il secondo tempo) è, nell’assenza di ogni lirismo, una affermazione di forza e di volontà; ciò che gli ha valso forse l’appellativo iperbolico di Quartetto degli eroi. Un raffronto potrebbe istituirsi con la Sinfonia in do maggiore di Mozart denominata, un po’ troppo retoricamente anch’essa, Jupiter. L’introduzione (Andante con moto), con il suo movimento di accordi lenti e dissonanti, ha un carattere oscuro che si protrae nella esitazione della prima frase del tema iniziale dell’Allegro vivace affidata al violino solo, per risolversi poi limpidamente nella seconda in forte scandita da tutti e quattro gli strumenti, ed assumere nel passaggio al secondo tema e nel suo svolgimento una fisionomia più cordialmente aperta.

Ma l’individualità del tempo, più che dal materiale tematico nel suo complesso melodico-lineare, è data dalla figura di due note con cui il primo tema si apre; base in realtà sia di questo che del secondo e d’ogni altro elemento collaterale: proposizione interrogativa, o dubitativa, che determina e regge il movimento, colorandone anche vari momenti espressivi, costituendo altresì l’elemento essenziale della parte di sviluppo (tipico in questi l’episodio di passaggio alla ripresa) e avviando la conclusione. L’Andante con moto ha, si è detto, una fisionomia diversa dagli altri tempi. Un abbozzo del 1808 (posteriore quindi al Quartetto) per il Machbeth (Coro delle streghe) di Collin ha qualche somiglianza con il tema principale. I vari elementi musicali costitutivi sono legati fra loro da una certa affinità dell’aspetto melodico e delle forme ritmiche. Anche quello che si potrebbe chiamare secondo tema, in do maggiore, non si libera interamente dal senso di tristezza nostalgica che grava su tutto il tempo (d’un colore anche questo che potremmo chiamare esotico nel senso a cui si è accennato parlando di una caratteristica di tutta l’op. 59), attraverso cui solo in qualche momento si fa strada un pallido raggio di sole. Tutti i ritorni di Beethoven alla forma del Minuetto dopo tante pagine più libere ed agili di Scherzo inducono a qualche perplessità di giudizio. Pensiamo al Minuetto dell’Ottava Sinfonia e al Tempo di Minuetto iniziale della Sonata per pianoforte op. 54.

La pagina in oggetto può ben considerarsi come una reazione al romanticismo troppo intenso del tempo precedente. Così il Trio, che nell’esordio fa l’effetto di una entrata di strumenti a fiato (legni e corni) d’una baldanza quasi rustica. Una Coda riprende il tema della prima parte come elemento di passaggio al Finale (Allegro) che attacca dopo una cadenza sospesa, in forma di fuga: liberamente trattata, questa, e d’uno slancio risolutivo che risponde allo spirito generale del Quartetto. Sopra un abbozzo Beethoven ha scritto: «Come tu ti getti oggi nel turbine della società, così è possibile scrivere delle opere nonostante tutte le contrarietà sociali. La tua sordità non sia più un mistero, neanche per l’arte». Lo Schering riferisce il Quartetto al Don Chisciotte. Introduzione, libro I, cap. I: Don Chisciotte medita sopra i libri di cavalleria — Primo tempo, id., cap. 2: Partenza a cavallo dalla Mancia, lieti pensieri di atti eroici da compiere, preoccupazione per la non ancora avvenuta investitura di cavaliere. Soliloqui di Don Chisciotte fino al tramonto del giorno — Secondo tempo: lib. II, cap. 3: Romanza di Antonio: Io so che tu m’ami, Olalla — Terzo tempo-, lib. IV, cap. 2: Scena galante fra la zitella Dorotea e Don Chisciotte e cavalleresca promessa di questo (nella Coda: Partenza del cavaliere) — Quarto tempo, lib. I, cap. 8 e lib. II, cap. 1: Uscita in campo di Don Chisciotte, battaglia contro i mulini a vento; battaglia contro il Biscaino. Vittoria e orgoglio di Don Chisciotte.

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