Opus 53 Sonata in Do maggiore per pianoforte

I) Allegro con brio – II) Introduzione. Adagio molto – III) Rondò – Allegretto moderato

OPUS 53 – Sonata in Do maggiore per pianoforte, op. 53, dedicata al conte Waldstein, 1803 – seconda metà 1804, pubblicata a Vienna, Bureau d’arts et d’industrie, maggio 1805. GA. n. 144 (serie 16/21) – B. 53 – KH. 53 – L. II, p. 270 – N. 53 – T. 110.

Il manoscritto originale è conservato nell’archivio della Beethovenhaus (fondo Bodmer). Gli abbozzi si trovano nel quaderno dell'”Eroica”. II titolo di “Aurora” con cui l’opera viene spesso designata, le è stato attribuito posteriormente, non sapremmo dire quando e da chi. E naturale che commentatori e studiosi abbiano cercato di trovarne la giustificazione nel carattere della musica.

Per Madame Wartel il primo tempo «semble représenter ledésordre des éléments», mentre l’ultimo è «l’aurore de la vie, ou aurore du jour, c’est bien un matin, que n rien n’a encore fané ni flétri»; per il D’Indy e il Rolland si tratta dell’aspetto particolare di una concezione generale «pastorale»; lo Chantavoine cita il  crescendo dell’esordio e il risveglio crepuscolare della lenta introduzione che precede il Rondò finale;  Casella, riferendosi all’altro crescendo che nel primo tempo precede la ripresa, dice che esso potrebbe essere stato determinato dall’«espediente dinamico di far sorgere progressivamente uno sprazzo di luce abbagliante da una sonorità sorda, caotica, lontanissima»; Edwin Fischer paragona questo stesso episodio al sorgere del sole annunziato da un rombo di tuono nel Faust goethiano.

Comunque si considerino le cose da punti di vista più o meno spirituali o descrittivi, non può disconoscersi che una caratteristica di luminosità o serenità o gioia «solare» valga a distinguere l’op. 53 tra le altre cinque sonate per pianoforte composte nello stesso breve arco di tempo (1802-1804): dalla bizzarra op. 54, dalle op. 31 nn. 1  e 3, accomunate in un qualche modo in una certa fisionomia umoristica, dalle op. 31/2 e 57, legate da analogie di drammatica passionalità.

Il primo elemento tematico dell’Allegro con brio è di carattere sinfonico, per il martellamento degli accordi, le ripercussioni guizzanti all’acuto, le ampie linee di crescendo, fortissimo, decrescendo, il movimento lanciato, sospeso, ripreso, ed infine risolto nella dolce coralità del secondo tema, che a sua volta dà vita ad un episodio di splendore, coronato da fanfare squillanti, e poi nostalgicamente si attenua fino al piano della modulazione in minore. Questo dinamismo costituisce la sostanza dello sviluppo culminante nell’episodio di passaggio alla ripresa, e dopo di questa anche della parte conclusiva. Si è detto come in origine a secondo tempo della sonata fosse destinato l’Andante favori di cui al n. precedente, e come in seguito Beethoven lo abbia sostituito con l’attuale Adagio molto, introduttivo del Finale.

La caratteristica fisionomia di questa pagina è data da un continuo senso di ascesa tendente ad una liberazione nella melodia come un graduale passaggio dall’ombra, alla penombra e infine alla luce; e si esprime nella figura ritmica che, sospinta in certo qual modo dal basso, s’innalza reiteratamente come per una lenta ripercussione di suoni, fino a spiegarsi in un canto dolce e aperto, ma troppo presto riassorbito nella cadenza del basso medesimo. L’alternanza si ripete intensificandosi: la parte superiore sempre più ostinata nello sforzo ascensionale, l’inferiore, a sua volta più animata, discendente nel grave, come tentando di trascinare con sé l’altra; finché dall’ultima vibrante interrogazione non sgorga la melodia risolutiva del Rondò. Originariamente Beethoven aveva progettato per questo tempo un tema differente che non lega certo con l’introduzione di cui sopra, ma, a quanto pare, era stato già messo da parte prima ancora che si pensasse a questa. Del tema attuale il Rolland nota qualche affinità con uno spunto di canzone popolare, il Grossvaterlied, accennato, a quanto egli dice riportandolo, in un foglio d’abbozzi del 1800-1803. Esso regge tutto il tempo, che è senza dubbio uno dei più lunghi del genere composti dal maestro; ma non stanca mai, sostenuto da una tecnica vigorosa e pittoresca.

Gli intermezzi ne rinnovano di volta in volta la freschezza con la loro fisionomia danzante e festosa. Dobbiamo dar ragione al Rolland: «C’est comme un jour d’été. On n’en a jamais assez!». Schering si riferisce per questa Sonata all’Odissea, che, insieme con l’Iliade, era una delle letture preferite di Beethoven. Primo tempo: La vecchia nutrice Euriclea annuncia a Penelope il ritorno dello sposo. Dubbio di Penelope. Riferimento alla lotta con i Proci e alla loro uccisione. Sentimenti di lieta attesa nella conversazione delle due donne. Decisione di Penelope, che s’incammina per andare ad incontro allo sposo — Secondo tempo: (Introduzione): Penelope osserva piena di stupore, di sospetto e d’incredulità l’uomo ancora ricoperto di cenci da mendicante (Rondo). Tripudio di festa e danze in casa di Odisseo per distogliere i sospetti dei parenti degli uccisi. Poi l’eroe, in cui Atena ha infuso nuova bellezza e gioventù,  rientra nelle sale sfarzosamente vestito. Penelope lo riconosce e lo abbraccia tra il tripudio generale.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 53 Sonate (C-dur) für Klavier Widmung: Ferdinand Ernst Graf von Waldstein NGA VII/3 AGA 144 = Serie 16/21 Beinamen: Waldsteinsonate, L’ Aurore.

Composizione e pubblicazione: Abbozzato con il movimento lento originale, l’Andante WoO 57, tra il dicembre 1803 e l’inizio del gennaio 1804. Alla fine di agosto 1804 Beethoven offrì la sonata Breitkopf & Härtel e presumibilmente nel dicembre 1804 inviò un’incisione – modello a Lipsia. L’edizione originale fu pubblicata solo nel maggio 1805 dal Kunst-und Industrie-Comptoir di Vienna. Beethoven originariamente compose la sonata con l’Andante WoO 57 come movimento medio. Secondo Ferdinand Ries, su consiglio di un amico che pensava che la sonata fosse troppo lunga, eliminò l’Andante e lo sostituì con una lenta introduzione (e molto più breve) al terzo movimento: „In der Sonate (in C dur, Opus 53), die seinem ersten Gönner, dem Grafen Waldstein gewidmet ist, war anfänglich ein großes Andante. Ein Freund Beethoven’s äußerte ihm, die Sonate sei zu lang, worauf dieser von ihm fürchterlich hergenommen wurde. Allein ruhigere Ueberlegung überzeugte meinen Lehrer bald von der Richtigkeit der Bemerkung. Er gab nun das große Andante in F dur, 3/8 Tact, allein heraus und componirte die interessante Intro-duction zum Rondo, die sich jetzt darin findet, später hinzu.“ (Wegeler/Ries pagina 101.) La considerazione del Ries sarà pubblicata avendo come supporto la trascrizione autografa dell’opera. I due fogli con l’ introduzione lenta furono aggiunti successivamente e incollati o cuciti tra i due telai (per un ulteriore movimento che Beethoven pianificò, vedere WoO 56). La sonata Opus 53 appartiene al gruppo delle ,,neue[n] Solo Sonaten“ che Beethoven aveva offerto a Breitkopf & Härtel a Lipsia il 26 agosto 1804 insieme ad altre opere (BGA 188). Presumibilmente inviò la spedizione con le bozze per le incisioni (op. 53-55) alla fine del dicembre 1804. In risposta alla lettera di Breitkopf del 22 dicembre 1804 in cui vi era scritto che le opere promesse non erano ancora state ricevute, Beethoven scrisse il 16 gennaio 1805: „So viel ich sehe, ist Mein von mir an Sie abgeschiktes Paquet noch nicht angekommen – sie erhalten darin, die Simphonie und zwei Sonaten“ (BGA 209). Quando, nove mesi dopo, tutti i modelli di incisione non erano ancora arrivati ​​a Lipsia, l’editore interruppe le trattative e nel giugno 1805 rispedì i manoscritti già ricevuti, compresi quelli per l’op. 53 e 54 (BGA 226). A questo punto l’op. 53 era già apparso a Vienna e l’opera autografa era stata utilizzata come modello per l’ incisione dell’ edizione originale.

“L’Aurore”: Il soprannome, diffuso nel mondo francofono, si è affermato probabilmente nella seconda metà dell’Ottocento. Ad esempio un’edizione del 1880 della casa editrice parigina Magnier ha inciso il soprannome come titolo di testa, ma non sul frontespizio (copia D-BNba C53/22). Wilhelm von Lenz (in “Beethoven et ses trois styles” 1852) e Oulibicheff (“Beethoven, ses critiques et ses glossateurs” 1857) al contrario non lo menzionano. Dedica: Conte Ferdinand Ernst von Waldstein, nato il 24 marzo 1762 a Vienna e  ivi deceduto il 29 agosto 1823, figlio del conte Emanuel Philibert Waldstein (1731-1775) e di sua moglie Maria Anna Theresia, nata Principessa Liechtenstein (1738- 1814). Ferdinand von Waldstein si unì all’Ordine Teutonico e trascorse il noviziato a Ellingen, nel Württemberg e dal 1 febbraio 1788 a Bonn (l’elettore Maximilian Franz era Gran Maestro dell’Ordine), dove l’Elettore lo nominò cavaliere il 17 giugno 1788. In seguito divenne  Consigliere Privato e membro della Conferenza di Stato dell’Ordine Teutonico a Bonn e assunse missioni diplomatiche per conto del Gran Maestro. Waldstein era membro della Mitglied der Bonner Lese- und Erholungsgesellschaft dal 1788 e la presiedette anche nel 1794.

Eclettico, era anche buon musicista. Suonava il pianoforte e componeva (Beethoven gli scrisse le “Otto variazioni per pianoforte a quattro mani su un tema del conte Waldstein WoO 67“; e vedasi anche la musica per il Ritterballett  WoO 1. Waldstein fu uno stretto confidente dell’elettore. Come uno dei primi mecenati di Beethoven, svolse un ruolo importante nella vita del compositore e il distacco da Bonn per Vienna fu consigliato da lui o almeno sostenuto in modo decisivo (cfr. Wegeler/Ries p. 13s). Prima che Beethoven se ne andasse, Waldstein scrisse nel suo diario: „Lieber Beethowen! / Sie reisen itzt nach Wien zur Erfüllung ihrer so lange / bestrittenen Wünsche. Mozart’s Genius trauert noch / und beweinet den Tod seines Zöglinges. Bey dem uner= / schöpflichem[!] Hayden fand er Zuflucht, aber keine Beschäf= / tigung; durch ihn wünscht er noch einmal mit jemanden / vereinigt zu werden. Durch ununterbrochenen Fleiß / erhalten Sie Mozart’s Geist aus Havdens Händen. Bonn d 29.’ Oct. [1]792. Ihr warer Freund Waldstein OT“ (Braunbach/Stammbuecher). Secondo le note del mastro fornaio di Bonn Fischer, l’elettore „dem Graf von Wallenstein den Auftrag, den Herrn Lutwig v. Beethoven nach Wien zu besorgen“ (Wetzstein/Bäckermeister p. 123f). Probabilmente Waldstein fornì a Beethoven lettere di raccomandazione all’alta aristocrazia viennese (ciò spiegherebbe il suo rapido e facile ingresso negli ambienti più “in” della società viennese).  La zia di Waldstein, Anna Elisabeth, era sorella minore della contessa di Thun-Hohenstein di Wilhelmine, nata contessa Uhlfeld (1744-1800; vedi Op. 11), che all’epoca gestiva il salone più importante di Vienna. Due delle sue figlie si sposarono con i successivi mecenati di Beethoven: il principe Lichnowsky, il primo mecenate di Beethoven a Vienna (vedi Op. 1), e il principe Rasumowsky (vedi Op. 59). Beethoven ringraziò Waldstein dedicandogli la grande sonata op.53. Negli anni successivi la loro buona relazione sembrò incrinarsi, ovvero non ci sono prove che Beethoven e Waldstein si siano incontrati dopo il ritorno del conte a Vienna nel 1809. Waldstein perse tutta la sua fortuna a causa di dubbie transazioni finanziarie e morì in povertà.  Prima esecuzione sconosciuta.

Moltissimi gli abbozzi che saranno trattati in apposita pagina futura. Prima edizione: 1805 (Maggio). Vienna, Kunst- und Industrie-Comptoir (Bureau des arts et d’industrie), VN/ PN 449. — Titel: „GRANDE SONATE / pour le Pianoforte, / composée et dédiée / à / Monsieur le Comte de Waldstein / Commandeur de l’ordre Teutonique à Virnsberg et Chambellan / de Sa Majesté J. & J. R. A. / par / LOUIS VAN BEETHOVEN. / Op. 53 / [1.:] 449. [r.:] f 2.15 x. / À Vienne au Bureau des arts et d’industrie.”

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