Opus 31 Sonate (3) in sol maggiore, re minore, mi bemolle maggiore per pianoforte

OPUS 31 Sonate (3) in sol maggiore, re minore, mi bemolle maggiore per pianoforte op. 31, 1801-1802, le prime due pubblicate a Zurigo, Nageli, aprile 1803 (quinto fascicolo del Répertoire des clavecinistes), e a Bonn, Simrock, autunno 1803, con il n. d’opera 31 scritto a mano; la terza, insieme con una nuova edizione della “Patetica”, a Zurigo, Nageli, maggio-giugno 1804 (undicesimo fascicolo del Répertoire), poi a Bonn (e Parigi), Simrock, prima in un fascicolo aggiunto ai due precedenti, sempre con il numero d’opera 31 manoscritto, poi in un unico fascicolo con quelli. Nel frattempo anche l’editore Cappi di Vienna aveva pubblicato le due prime Sonate nel 1803; nel 1804-1805 egli unì ad esse la terza dando all’insieme il numero d’opera 29. In seguito è rimasto all’opera il n. 31. GA. nn. 139-141 (serie 16/16-18) – B. 31 – Idi. 31 -L. II, p. 137 – N. 31 – T. 97

Secondo quanto racconta Czerny, «verso il 1803» Beethoven avrebbe detto una volta all’amico violinista Krumpholz di non essere soddisfatto delle opere fino allora scritte e di volere per l’avvenire battere una nuova strada. «Subito dopo apparvero le tre Sonate op. 29»

Queste parole, di cui lo Czerny è l’unico a darci testimonianza, non sono troppo chiare. A quali innovazioni ed a quali opere — in particolare o in generale — dal punto di vista della forma o della tecnica o della ispirazione creativa esse abbiano voluto alludere è difficile dire; né i vari studiosi che si sono occupati dell’argomento concordano nelle loro interpretazioni. Tanto più in quanto l’arte di Beethoven ha seguito una continua linea evolutiva, un tale proposito manifestato “nel mezzo del cammin di sua vita” ci lascia perplessi circa il modo d’intenderlo esattamente.

Pertanto, parlando delle Sonate in oggetto, ci limitiamo ad indicare gli elementi — a nostro parere — della particolare individualità di ciascuna, prescindendo da considerazioni di carattere generale sulla loro «posizione» rispetto alle antecedenti e alle seguenti. Al triste periodo della vita di Beethoven durante la composizione di queste Sonate abbiamo accennato parlando della Seconda Sinfonia. Ma anche qui, fatta eccezione per la Sonata in re minore, non si può dire che lo stato d’animo dell’artista abbia particolarmente influito sull’opera d’arte.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo Ufficiale: Opus 31 Drei Sonaten (G-dur, d-moll, Es-dur) für Klavier Widmung: — NGAVII/3 AGA 139-141 = Serie 16/16-18 Beinamen; Nr. 2 Sturmsonate, Nr. 3 Jagdsonate, La Chasse (nach dem Charakter des 4. Satzes)

Origine e pubblicazione: abbozzate verso giugno, al più tardi agosto 1802. L’edizione originale fu pubblicata da Nageli a Zurigo, le sonate n° 1 e 2 nell’aprile 1803, la n° 3 nel novembre 1804. Una lettera del musicista, editore e musicista zurighese Hans Georg Nageli a Johann Jakob Horner del luglio 1802 (BGA 99) suggerisce che Nageli si fosse già avvicinato a Beethoven per richiedere queste nuove sonate due mesi prima. Avrebbero dovuto apparire in un periodico per pianoforte chiamato “Repertoire des Clavecinistes”, contenente opere di noti compositori contemporanei. Nageli aspettava già le sonate nell’agosto 1802 e voleva convincere Beethoven a comporre una quarta sonata. Una copia autografa della terza sonata si rese disponibile non prima della fine di ottobre. Come riferisce Ferdinand Ries, ci furono discussioni tra Beethoven e suo fratello Kaspar Karl, che in quel periodo stava conducendo trattative con Breitkopf & Härtel a Lipsia: „Die drei Solo-Sonaten (Opus 31) hatte Beethoven an Nägeli in Zürich versagt, während sein Bruder Carl (Caspar), der sich, leider! immer um seine Geschäfte bekümmerte, diese Sonate an einen Leipziger Verleger verkaufen wollte. Es war öfters deswegen unter den Brüdern Wortwechsel, weil Beethoven sein einmal gegebenes Wort halten wollte. Als die Sonaten auf dem Puncte waren, weggeschickt zu werden, wohnte Beethoven in Heiligenstadt. Auf einem Spaziergange kam es zwischen den Brüdern zu neuem Streite, ja endlich zu Thätlichkeiten. Am ändern Tage gab er mir die Sonaten, um sie auf der Stelle nach Zürich zu schicken“ (Wegeler/Ries, p. 870). La vecchia ipotesi che questo evento abbia avuto luogo nel 1802 è stata ora smentita, poiché Ferdinand Ries presumibilmente conobbe Beethoven a Vienna solo all’inizio del 1803 (Zanden/Ries). Nageli scrive del “Repertoire des Clavecinistes” nell’„Ankündigung des neuen periodischen Werks“ : sottolineando „der mit Recht so berühmte Herr van Beethoven in Wien hat mir bereits wichtige Beiträge eingesandt“. Nel “Repertorie” apparvero in totale cinque sonate per pianoforte di Beethoven: Op. 31 n. 1-3 (Suites 5 e 11, 1803/04) come edizioni originali, Op. 13 (Suite 11, 1804) e Op. 53 (Suite 15, 1805) come ristampe.

La data di pubblicazione delle prime due sonate è documentata da diverse lettere. Ad esempio, il 21 maggio 1803, Kaspar Karl van Beethoven menziona in una lettera „die Sonaten von Beethoven welche so eben in Zürch erschienen“ (BGA 138) e il 25 maggio „die Sonaten welche in Zürch erschienen“ (BGA 139). Nel supplemento annuale al repertorio editoriale di Nageli del giugno 1803, il contributo di Beethoven è elencato come il 5° volume del “Repertoire des Clavecinistes”. Seguì la Sonata n. 3, insieme alla ristampa dell’op. 13 come numero 11 nel novembre 1804. Nageli annunciò pubblicamente i numeri 8-12 per „bald nach der Ostermesse“.

Nel maggio 1803 Beethoven ricevette una copia completa delle Sonate n. 1 e 2. Ciò è confermato anche dalla lettera di Kaspar Karl a Breitkopf & Härtel datata 21 maggio:„Dann haben Sie auch die Güte, in Ihrer Zeitung [AmZ] anzukündigen, daß die Sonaten […], welche soeben in Zürich erschienen, aus einem Versehen ohne Korecktur versendet worden sind, und folglich sind noch viele Fehler darin“

La prima esecuzione è sconosciuta.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

Opus 31 Sonata numero 1 in sol maggiore per pianoforte

I) Allegro vivace – II) Adagio grazioso – III) Rondò – Allegretto

Il manoscritto originale è perduto. Gli abbozzi si trovano nel quaderno Kessler. L’Allegro vivace ha il carattere di una ostinazione estrosa, quale appare subito dall’enunciazione del tema iniziale, che dà a tutto il tempo la sua individualità. Il secondo tema è invece snello e gentile nella sua forma sincopata e nelle alternative dei modi di si maggiore-si minore (tipica la conclusione della prima parte), ma resta confinato nel campo episodico non entrando in conflitto con l’altro e non apparendo nello sviluppo. Lo spunto melodico dell’Adagio non è tra i più originali e ricercati di Beethoven: lo troviamo già nell’aria di Lied: “Mit Wurd und Hoheit” della Creazione di Haydn, nel preludio strumentale introduttivo del duetto fra Achille e Briseide: “Per te, mio tesoro”, dell’Achille di Paer, del 1801 (atto II n. 14) e nello “Hyale’s Waltz” che figura tra le opere falsamente attribuite a Mozart nella terza edizione del catalogo Kochel, pag. 898, n. 294.
Riprendendolo, Beethoven ebbe forse l’intendimento di trasportare e sviluppare nel campo pianistico una melodia di facile cantabilità, circondandola anche degli abbellimenti propri di certa musica vocale: trilli, accompagnamenti arpeggiati, fioriture e coloriture, e intramezzandovi di volta in volta episodi essenzialmente strumentali: fra cui più importante ed esteso è quello centrale a dialogo fra le parti estreme, con un tipico effetto di pizzicato nel basso. Nel terzo tempo prevale formalmente e concettualmente il carattere di Rondò, ma la stretta affinità del tema del ritornello con quelli dei vari intermezzi contribuisce ad aumentare un senso di lunghezza (avvertibile del resto anche nel Largo). La fisionomia generale si accorda con quella dei due tempi precedenti; un qualche momento umoristico si affaccia in mezzo al classico spirito di divertimento. Il Riezler trova — con una certa esagerazione — che nell’episodio in minore (senza dubbio il più importante) l’umorismo ingenuo, talora un po’ grosso (caratteristico, secondo lui, di tutta la Sonata) si elevi al grandioso. Nella conclusione con il tema a frammenti e la ripresa in Adagio seguita dal Presto affiora qualche analogia di spirito con le ultime battute della Quarta Sinfonia.
Lo Schering si riferisce per questa sonata alla Bisbetica domata di Shakespeare. Primo tempo: Atto II, scena I: la bisbetica Caterina litiga con il suo amato Petruccio e lo rimbrotta — Secondo tempo: Atto III, scena I: Bianca legge i versi nei quali Ortensio, travestito da maestro di musica, con il pretesto di spiegarle il solfeggio le manifesta il suo amore — Terzo tempo. Atto V, scena II: Caterina (fattasi ora docile) con Petruccio e Bianca con Ortensio festeggiano in piena concordia la loro unione. «Nel Presto forse Beethoven ha avuto sott’occhio, come un comico epilogo, l’immagine del risveglio del calderaio Sly, dopo il sogno di ricchezza, come ci è dato dal testo che la traduzione tedesca dell’Eschenburg (da lui posseduta) fa seguire nella commedia alle ultime parole di Lucenzio».

Opus 31 Sonata numero 2 in re minore per pianoforte

I) Largo – II) – Adagio – III) Allegretto

Anche di questa Sonata il manoscritto originale è perduto. Gli abbozzi, riguardanti prevalentemente il primo tempo, si trovano nel quaderno Kessler, ove precedono di una cinquantina di pagine quelli della Sonata in sol maggiore, testé veduta, che tuttavia figura come la prima dell’opera. Nella proposizione Adagio-Allegro delle prime venti battute è contenuto già in nuce lo spirito dell’intero tempo: non vi appare soltanto il primo tema — esposto per così dire allo stato di riposo — ma anche il senso di agitazione del secondo, che seguirà con tanta ampiezza e passione dopo che il primo, completato in un certo senso dall’aggiunta di una tenue frase implorante, sarà passato all’azione con l’entrata dell’Allegro vero e proprio alla ventunesima battuta. Lo sviluppo, basato sul primo tema, è anch’esso a forte tinta drammatica. Molta efficacia ha poi l’introduzione del recitativo nella riproposizione Largo-Allegro con cui si inizia la ripresa. Nella coda una ulteriore derivazione del secondo tema disperde l’agitazione nel cupo mormorio del basso.

Un Adagio segue una linea di graduale schiarita: dall’esordio misterioso, a piccole frasi, alla progressione ascendente della melodia in crescendo accompagnata dalla figura di timpano del basso e alla limpida definizione del secondo tema, che ne stabilisce il punto centrale luminoso, per poi tornare di nuovo ad oscurarsi e ripetere il ciclo, con un poco più di animazione nella prima parte, fino alla conclusione insieme tranquilla e velata. Una pagina di fascinosa fantasia, che prepara adeguatamente l’Allegro finale. Di questo è stato detto che «risuscita una specie di super clavicembalo, o evoca una inesistente arpa a tastiera con il suo moto fitto e continuo nello svariare dei coloriti dinamici e delle tinte armoniche». Parole che, mentre definiscono la fisionomia tecnica, danno adito a immaginazioni di delicatezza, di colori translucidi, di giuoco raffinato, di preziose filigrane.

È da ricordare una qualche analogia con l’ultimo tempo della Sonata in la minore K. 310 di Mozart, tenendo sempre presente però che quello che era ivi elemento concomitante sostenitore o integratore di melodia, assurge ora ad entità per sé stante, a nucleo primo ed indipendente di un fatto creativo nuovo. Si potrebbero riferire a questo tempo gli abbozzi di cui ai nn. 317 e 318 del presente catalogo. Un movimento simile assumerà anche la paginetta pianistica “Per Elisa” composta da Beethoven nel 1810. Lo Schindler racconta che, avendo molti anni dopo (1823) chiesto a Beethoven di rivelargli la chiave per l’interpretazione delle due Sonate op. 31 n. 2 e op. 57 (Appassionata), si sarebbe sentito rispondere: «Leggete La tempesta di Shakespeare». Se Beethoven abbia in tal modo voluto suggerire il primo spunto di una «interpretazione autentica», o non piuttosto liberarsi evasivamente da una domanda importuna, non sapremmo dire; fra i moderni esegeti il Rolland pende per la prima ipotesi, il Riezler per la seconda.

Il Rolland paragona la Stimmung generale della Tempesta («Le déchainement des forces élémentaires, passions, folies des hommes et des Eléments. Et la domination de l’Esprit magicien qui assemble et dissipe, à sa volonté, l’illusion») all’arte beethoveniana di quest’epoca e particolarmente nel primo tempo dell’op. 31 n. 2 e in tutta l’op. 5 7 («Le torrent d’une Force implacable et sauvage. La souveraineté de la pensée qui piane par dessus»). Ma tornando ad una interpretazione più aderente alle parole che avrebbe detto Beethoven, potremmo pensare ch’egli abbia rivissuto e risentito inconsciamente in sé tutto il mondo della commedia shakespeariana: nell’orrore e nella grandiosità della tempesta, nella magia di Prospero, negli incantesimi che avvolgono l’isola di suoni e rumori misteriosi, nel trasvolare di Ariele, nel tenero amore di Miranda e di Fernando; e che a tutto questo, come ad una determinante generica, l’anima dell’artista possa aver attinto la sua prima e profonda ispirazione di fantasia, attuandola poi in forme concrete puramente musicali, libere da ogni particolare riferimento.

Tale non è l’idea dello Schering che, quasi a rispondere oggi al “dove?” dello Schindler, ha voluto invece localizzare scene e musiche, citando per il primo tempo l’atto I, scena III (Fernando sente il richiamo dell’invisibile Ariele e ascolta commosso la ballata con la quale esso gli parla del padre morto); per il secondo l’atto III, scena I (duetto d’amore tra Fernando e Miranda); per il terzo l’atto V, scena I (immagine caratteristica del folletto Ariele, secondo la sua canzone).

Opus 31 Sonata numero 3 in mi bemolle maggiore per pianoforte

I) Allegro – II) Scherzo Allegretto vivace – III) Minuetto: Moderato e grazioso – IV) Presto con fuoco

Il manoscritto originale è andato perduto, come quello delle sonate precedenti. Gli abbozzi si trovano nel quaderno Wielhorsky. Mancano però quelli del Minuetto. L’Allegro è di un carattere piuttosto capriccioso con la triplice articolazione del tema iniziale interrogante, strascicato, deciso, con il giuoco di staccati e legati e il secondo tema a fisionomia di polacca.

Non vi manca un certo spirito di celia, per quanto concluso in una specie di accattivante abbandono. Così pure nello sviluppo e nella coda sulla base del primo tema, i cui vari elementi vengono presentati e combinati in aspetti che danno ancor più il senso di una lieve caricatura. Come nel Quartetto in do minore op. 18 n. 4, il tempo lento è stato sostituito da un Allegretto vivace, intitolato dall’autore Scherzo. La stessa cosa, a più di dieci anni di distanza, Beethoven farà poi anche nell’Ottava Sinfonia, ponendovi come secondo tempo un Allegretto scherzando. Titolo e forma autentica di Minuetto ha invece poi in tutte e tre le composizioni il terzo tempo. Con il nome di Scherzo è però designato qui un tipo sui generis tutto differente dall’usuale, di cui esso non ha il taglio né il carattere.

Di rilievo particolare è l’uso dello staccato, sia nell’accompagnamento del primo tema (ed in certo contrasto con la figurazione corale della melodia), che nella formazione del secondo. La pagina è d’una fluidità ritmica e melodica ricca di spirito strumentale. Il Minuetto che costituisce il terzo tempo ha un carattere serio e sostenuto. Nella sua linea melodica arieggia, per quanto in modo meno ampio e morbido, il tema dell’Adagio cantabile del “Settimino”. Dalla leggera punta del do bemolle al principio della seconda parte si sviluppa al termine del pezzo una Coda a tinta oscura che ha dato al Casella motivo di pensare ad un anticipo del desolato passo del fagotto alla fine dell’Andante della Quinta Sinfonia. Il Trio, per l’energia ritmica e l’incisività e perentorietà delle cadenze, appare anch’esso originalmente beethoveniano.

Il Finale (Presto con fuoco) che pur nella sua foga ha, per la figura di cornamusa che ne è a base, qualche punto di contatto con quello più placido della Sonata op. 28, consiste in un movimento incessante come di danza molto animata (anche se vogliamo chiamarlo pastorale) che ci riporta al tempo corrispondente del Quartetto op. 18 n. 3 ; il Bekker lo chiama «una specie di tarantella tedesca».

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