Opus 12 Sonate (3) per pianoforte e violino in re maggiore, la maggiore, mi bemolle maggiore

Opus 12 Sonate (3) per pianoforte e violino in re maggiore, la maggiore, mi bemolle maggiore, op. 12, 1797-1798, dedicate a Ferdinando Salieri, pubblicate a Vienna, Artaria, dicembre 1798. GA. n. 92-94 (serie 12/1-3) – B. 12 – KH. 12 – L. I, p. 127 – N. 12 – P. 102 – T. 60.

Il manoscritto originale è perduto. Ad abbozzi quasi compiuti della seconda sonata, conservati a Berlino, accenna di sfuggita il Nottebohm (II, pag. 45) parlando della Sonata op. 14 n. 1 per pianoforte.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo originale: Opus 12 Drei Sonaten (D-dur, A-dur, Es-dur) für Klavier und Violine Widmung: Antonio Salieri NGA V/1 AGA 92-94 = Serie 12/1-3.

Creazione e pubblicazione: gli schizzi per le sonate n. 2 e 3 risalgono al 1797/98. Non si sa più nulla sull’origine della prima sonata. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Artaria a Vienna nel dicembre 1798 e nel gennaio 1799 (vedi anche BGA 40). Il primo tentativo beethovenino che si riferisce a questa strumentazione è il frammento di “Sonatine” Hess 46 (1790/91, vedi Opere incompiute Unv. 12), nel Rondo WoO 41 (1792) e nelle variazioni su “Se vuol ballare” WoO 40 di Mozart (1792/ 93). Il soggiorno a Vienna del virtuoso del violino Rodolphe Kreutzer, giunto nella capitale austriaca nel febbraio 1798 al seguito del generale Bernadotte, potrebbe essere stato uno dei fattori decisivi nella composizione delle Sonate per violino op.12 (Brandeburg/Op.12). Particolarmente negativa la recensione delle sonate sulla Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung: „Es ist unleugbar, Herr van Beethoven geht einen eigenen Gang; aber was ist das für ein bi-sarrer mühseliger Gang! Gelehrt, gelehrt und immerfort gelehrt und keine Natur, kein Gesang! Ja, wenn man es genau nimmt, so ist auch nur gelehrte Masse da, ohne gute Methode; eine Sträubigkeit, für die man wenig Interesse fühlt; ein Suchen nach seltener Modulation, ein Ekelthun gegen gewöhnliche Verbindung, ein Anhäufen von Schwierigkeit auf Schwierigkeit, dass man alle Geduld und Freude dabey verliert. […] Wenn Hr. v. B. sich nur mehr selbst verleugnen, und den Gang der Natur einschlagen wollte, so könnte er bey seinem Talente und Fleisse uns sicher recht viel Gutes für ein Instrument liefern, dessen er so ausserordentlich mächtig zu seyn scheint“ (1, 1798/99 , 5 giugno 1799, colonna 570f).

Beethoven in seguito commentò l’atteggiamento negativo del recensore in una lettera alla casa editrice AmZ, Breitkopf & Härtel, con le parole: „ihren Hr. Rezensenten emphelen sie mehr Vorsicht und Klugheit besonders in Rüksicht der Produkte jüngerer autoren, mancher kann dadurch abgeschrekt werden, der es vieleicht sonst weiter bringen würde, was mich angeht, so bin ich zwar weit entfernt, mich einer solchen Vollkommenheit nahe zu halten, die keinen Tadel vertrüge, doch war das Geschrey ihres Rezensenten anfänglich gegen mich so erniedrigend, daß ich mich, indem ich mich mit ändern anfieng zu vergleichen, auch kaum darüber aufhalten konnte, sondern ganz ruhig blieb, und dachte sie verstehen’s nicht; um so mehr konnte ich ruhig dabey seyn, wenn ich betrachtete, wie Menschen in die Höhe gehoben wurden, die hier unter den bessern in loco wenig bedeuteten – und hier fast verschwunden, so brav sie auch übrigens seyn mochten“ (BGA 59 del 22 aprile 1801).

Dedica: Antonio Salieri, nato il 18 agosto 1750 a Legnago (vicino a Venezia), morto il 7 maggio 1825 a Vienna. Fu dal 1766 in Vienna, dal 1774 compositore di corte e direttore dell’opera italiana, dal 1788 k.k. Hofkapellmeister, dal 1788 al 1795 presidente, poi vicepresidente della Wiener Tonkuenst-ler-Societät. Nel 1813 fu membro del comitato fondatore della Gesellschaft der Musikfreunde e dal 1817 capo del conservatorio associato. Dal 1790 Salieri fu la figura centrale della vita musicale viennese e ebbe numerosi studenti di composizione e canto. Probabilmente Beethoven prese lezioni da Salieri per imparare la corretta impostazione del testo cantato dal 1801 al 1802. La dedica fu tanto al maestro Salieri (Beethoven in quel momento non era ancora allievo di Slaieri), ma al „Musik-Patron“ della speranza di una protezione o di raccomandazione (Brandenburg/ Op 12). Nel 1801 Beethoven invitò Salieri a una festa musicale (BGA 70). Nel 1808 Beethoven lo accusò di invidiarlo, perché la Tonkünstler-Societät tenne un concerto lo stesso giorno in cui anche lui organizzò una sua accademia, il 22 dicembre 1808 (BGA 350). In tutti i casi, la data del concerto della Tonkünstler-Societät era tradizionalmente fissata in questa data e la maldicenza di Beethoven era infondata.

Anche questo litigio non durò a lungo. Alle rappresentazioni della „Wellingtons Sieg“ op.91 tenutasi 8 e il 12 dicembre 1813 e Salieri partecipò come direttore dei timpani e dei cannoni. Il 14 febbraio 1818, Salieri e Beethoven pubblicarono una dichiarazione congiunta sull’AmZÖ di Vienna (2, 1818, col. 58f), in cui si esprimevano a favore del metronomo di Mälzel. Nell’autunno del 1823 Salieri fu ricoverato in ospedale per demenza senile (AmZ 25, 1823, 19 novembre 1823, colonna 766). All’inizio del 1824 si sparse a Vienna la voce che Salieri avesse ammesso di aver avvelenato Mozart. Ne fu informato anche Beethoven (BKh 5 p. 92, 95, 132, 136), ma la sua reazione alla notizia non è nota. Dall’opera di Salieri “Falstaff” (1799) Beethoven utilizzò il tema del duettino “La stessa, la stessissima” per variazioni per pianoforte pubblicate da Artaria nello stesso anno; vedere WoO 73. (Clive/Dictionary.)

La prima esecuzione di una delle tre sonate si tenne forse in un concerto della cantante Josepha Duschek il 29 marzo 1798 a Vienna, con Beethoven stesso al pianoforte. Un foglio di annuncio per questo concerto è in A-Wgm. Sul foglio è riportata solamente un’opera per “pianoforte con accompagnamento” (TDR II p. 65). È possibile che Ignaz Schuppanzigh fosse il partner strumentale di Beethoven. Secondo un’annotazione nel diario di Zinzendorf del 5 aprile 1798, fu suonata una sonata per violino poco dopo durante un’esibizione privata nella famiglia Lobkowitz, sebbene non sia chiaro se si tratti dell’op. 12:  „Gestern hatten wir zu Ehren der Herzogin Musik. […] Beethoven spielte die Sonate mit Violoncello, ich die letzte der drei Violinsonaten [op. 12] mit Schuppanzighs Begleitung, der wie alle ändern göttlich spielte.“ (Wagner/Zinzendorf p. 105.) Più di due anni dopo la composizione della terza sonata dell’op. 12 fu eseguito in un concerto di musica a casa di Josephine Deym e Ignaz Schuppanzigh alla presenza di Beethoven, come spiega Josephine Deym in una lettera alle sorelle del 10 dicembre 1800: „beym Verleger hier nur von meinen frühem Sonaten mit violin [gefunden], da dieses polledro dur[ch]aus wünschte, muste ich mich eben bequemen ein[e] alte Sonate zu spielen“ (LaMara/ Brunsvik p. 14.) Beethoven potrebbe anche aver eseguito le sonate insieme al violinista Giovanni Battista Polledro in un concerto di beneficenza tenutosi a Karlsbad il 6 agosto, 1812. Beethoven informò poco dopo l’arciduca Rodolfo:  „beym Verleger hier nur von meinen frühem Sonaten mit violin [gefunden], da dieses polledro dur[ch]aus wünschte, muste ich mich eben bequemen ein[e] alte Sonate zu spielen“ ( BGA 592).

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

Opus 12 numero 1 Sonata per pianoforte e violino in re maggiore

I) Allegro con brio – II) Tema con variazioni (Andante con moto) – III) Rondò – Allegro

Il primo tema dell’Allegro con brio, che sarà poi base dello sviluppo in minore, è costituito, dopo la fanfara d’esordio, dall’appello del violino, che affiora dalla figura di movimento del basso; il secondo, dialogato fra i due strumenti, ha una forma più elaborata e di carattere distensivo. A caratterizzare l’Adagio basta il grande quadro formato dalle due ultime Variazioni (III e IV): l’una in minore, con la dinamica alternativa delle sue larghe simmetrie melodiche e ritmiche; l’altra di nuovo in maggiore che sembra risponderle, come a placarla, piano e dolce: in principio quasi timida nella lenta penetrazione del sincopato; poi animandosi vittoriosamente e infine spegnendosi in serenità. Il Finale (Rondò) si adegua allo spirito del primo tempo con un ritornello, si direbbe, di canzone popolare danzante e intermezzi di bel respiro melodico tonalmente coloriti.

Opus 12 Sonata numero 2 per pianoforte e violino in la maggiore

I) Allegro vivace – II) Andante più tosto allegretto – III) Allegro piacévole (!)

L’Allegro vivace iniziale si presenta con la festosità e lo slancio che nello stesso tono e ritmo apriranno qualche anno dopo il Quinto Quartetto dell’op. 18; la conclusione del tempo spiegherà lo spirito racchiuso già in quest’entrata, nel graduale spegnimento in frammenti delle varie parti, fino all’ultima del basso. L’Andante si svolge nella stessa atmosfera nostalgica in cui nascerà tanti anni dopo il tempo corrispondente della grande Sinfonia di Schubert in do maggiore. Il clima sentimentale è lo stesso, per quanto meno raffinato; la struttura diversa, impiantata come di consueto sul principio del dualismo espressivo. Al primo tema, tanto felicemente compenetrato nel ritmo (a somiglianza in questo dell’Allegretto della Settima beethoveniana), se ne alterna, quasi ad addolcirne la malinconia, un secondo in cui due voci melodiche scorrono con dolce indolenza l’una in imitazione dell’altra: alla fine essi appaiono felicemente fusi in un unico senso poetico musicale. Il Rondò partecipa della spigliatezza e festosità del primo tempo, con alternanza di elementi eleganti e popolareschi: ai quali ultimi possono riferirsi i due intermezzi, il secondo specialmente in re maggiore.

Opus 12 Sonata numero 3 per pianoforte e violino in mi bemolle maggiore

I) Allegro con spirito – II) Adagio con molta espressione – III) Rondò – Allegro molto

È nell’Allegro e nel Rondò di un carattere più concertistico e brillante delle altre due sonate: nell’Allegro soprattutto con il suo paludamento di arpeggi e di passi in volata. La prima melodia dell’Adagio, d’una tranquillità senza scosse, ha qualche punto di contatto con la congenere, nello stesso tono di do maggiore, della Sonata per pianoforte op. 31 n. 1. La seconda — una lenta frase del violino, accompagnata dagli arpeggi del pianoforte — si libra nell’atmosfera di una superiore contemplazione. Il Rondò, come quelli delle due sonate precedenti, è retto da un sentimento di elementare gaiezza; ma qui siamo nei sobborghi piuttosto che nei salotti, e possiamo anche immaginare qualche atteggiamento di opera buffa. Lo Schering riferisce questa sonata ad alcune scene del piccolo Singspiel buffonesco: Scherz, List und Rache (Scherzo, astuzia e vendetta) di Goethe, scritto nel 1784 (e musicato già nel 1790 dal Kayser), ove si tratta dei raggiri a cui Scapino e Scapina ricorrono per riprendere ad un vecchio, avaro dottore il gruzzolo che questi intrigando era riuscito a farsi lasciare in eredità da una loro zia. Il primo tempo troverebbe la sua ragione nella scena del primo atto che ha per argomento l’incontro di Scapino con Scapina sulla soglia della porta di casa del dottore, da cui Scapino è riuscito a farsi accettare come servo. Il secondo deriverebbe dal Canto della notte di Scapina al principio del quarto atto: “O propizia notte! tu sei l’altra metà della vita“, ecc. Il terzo si riferirebbe alla scena tragicomica del secondo atto minutamente concertata fra Scapino e Scapina, che riescono a mettere il dottore nella condizione di subire senza possibilità di scampo il loro ricatto e di spogliarsi, ducato per ducato, di tutto il suo gruzzolo.

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