Opus 9 Trii (3) in sol maggiore, re maggiore, do minore, per violino, viola e violoncello

Opus 9 – Trii (3) in sol maggiore, re maggiore, do minore, per violino, viola e violoncello op. 9, dedicati al conte di Browne, 1796 – primi mesi 1798, pubblicati in parti staccate a Vienna, Traeg luglio 1798; in partitura a Mannheim Heckel (con il consenso dell’editore proprietario Haslinger) ottobre 1848. GA. nn. 55-57 (serie 7/2-4) – B. 9 – KH. 9 – L. I, p. 88 – N. 9 – P. 93 – T. 53.

I manoscritti originali sono perduti. Abbozzi del Finale del primo Trio e dello Scherzo del terzo sono ricordati dal Nottebohm in mezzo ad alcuni del Rondò della Sonata patetica.

Titolo ufficiale: Opus 9 Drei Trios (G-dur, D-dur, c-moll) für Violine, Viola und Violoncello Widmung: Johann Georg Reichsgraf von Browne-Camus NGA VI/6 AGA 55-57 = Serie 7/2-4 SBG VI/7 (Quelle 1.2, Hess 28)

Come dicevamo gli schizzi sopravvissuti per i Trii n. 1 e 3 risalgono alla seconda metà del 1797 o all’inizio del 1798, un contratto di pubblicazione con Johann Traeg per queste opere è datato 16 marzo 1798. L’edizione originale in parti è apparsa nel luglio dello stesso anno presso Traeg a Vienna.

L’elaborazione dei n. 1 e 3 è avvenuta in parte in parallelo, come dimostrano gli schizzi per lo scherzo del n. 3 e il finale del n. 1 su doppia pagina. Beethoven sembra aver concepito l’introduzione al primo movimento del n. 1 solo dopo che l’intero trio era già stato elaborato (Johnson/Fischhof vol. 1 p. 326).

Non è stato possibile determinare gli schizzi per il n. 2. In due lettere a Beethoven del dicembre 1796 e giugno 1797 (BGA 24 e 31), Johann Georg Albrechtsberger menziona un trio di Beethoven che avrebbe dovuto essere eseguito da un “Conte” in una versione orchestrata da Albrechtsberger. Non è possibile determinare con certezza se questo fosse forse il n. 2 e se questo trio sia stato scritto prima degli altri due (sarebbero papabili anche l’ Op. 3, Op. 8 o Hess 29; BGA riferisce anche in linea di principio alle lettere Albrechtsberger “per ragioni di contenuto”.

L’esistenza di un foglio con un secondo trio per il n. 1 è interpretata in modo diverso in letteratura. Mentre Douglas Johnson è dell’opinione che il foglio sia stato rimosso dall’autografo prima che andasse in stampa, Arnold Schmitz ipotizza che Beethoven abbia composto un nuovo trio dopo la pubblicazione dell’opera, forse per un’esibizione speciale. Ciò spiegherebbe l’iscrizione „das 2te trio muss zum Einlegen geschrieben werden“ sul foglio (Johnson/Fischhof vol. 1 p. 327f e Schmitz/sketches p. 14; (sul nostro sito) cfr. anche Platen/NGA VI/6 p. VTIf, ivi riprodotto del testo musicale in appendice) e ancora Hess 28 sul nostro sito.

Per il n. 3 Beethoven ha anche lavorato a un trio per lo scherzo che non è stato utilizzato in seguito. Gli schizzi per questo sono stati realizzati nel contesto delle annotazioni per il n. 1. Johnson sospetta quindi un’influenza reciproca del materiale musicale tra il trio scartato dal n. 3 e il trio dello scherzo dal n. 1 (Johnson/Fischhof vol. 1 p. 330 e Vol. 2 p. 30).

Il 16 marzo 1798 Beethoven firmò un contratto con l’editore Johann Traeg in merito alla proprietà dell’op. 9. Secondo il testo del contratto, Beethoven aveva lasciato a Johann Traeg „3 Trios für eine Violin, Alto und Violonzello, wovon das erste aus G dur, das zweite aus D dur und das dritte aus C moll ist, […] gänzlich als sein Eigenthum überlassen“ (TDR II p. 84f). La formulazione suggerisce che i trii fossero o fossero già stati consegnati all’editore in questo momento. (Soprattutto negli anni successivi Beethoven consegnò opere che furono spesso vendute molto più tardi, alcune di esse non erano ancora terminate al momento della firma del contratto.) Il 21 e 25 luglio 1798, l’editore annunciò la pubblicazione dell’op. 9 in poi. Una ricevuta datata 23 dicembre 1798 documenta la ricezione del compenso (vedi illustrazione in Schneider/Ausstellung1892 p. 98 fig. 4).

Il numero 42 dell’editore dell’opera è stato inizialmente riportato solo sul titolo e solo successivamente come PN negli spartiti. Tali successive correzioni non sono rare nelle edizioni di Traeg tra il 1794 e il 1800, vedi Anhang Verlagswesen/Traeg.

Nel corso del complicato scioglimento della casa editrice da parte di Traeg la casa editrice fu acquistata da Artaria & Comp. Nel 1818 una terza persona (Theresia Klary) acquistò le lastre d’incisione e organizzò così una nuova edizione con il titolo dell’editore 2545 (lo stesso accadde con WoO 65 = VN 2526 e Op. 66 = VN 2547). Tuttavia, la partitura autografa, inclusi i diritti di pubblicazione, rimase Traeg. Come registrato in un poscritto al certificato di pubblicazione del 1798, co-firmato da Beethoven, Traeg lasciò entrambi a Steiner & Comp. il 5 giugno 1823. Di conseguenza, come successore legale di Steiner, Haslinger stampò l’opera con il suo avviso di proprietà nella sua edizione completa; ciò portò a una controversia legale tra Haslinger e Artaria, che a loro volta rivendicavano i diritti di pubblicazione (vedi Jäger-Sunstenau/Akten p. 31-36, Hilmar/Artaria p. 93f e Slezak/Originalverleger p. 93f).

Dedica: Per il testo della dedica, vedere l’edizione originale. — Johann Georg Conte imperiale von Browne-Camus, nato il 20 settembre 1767 a Riga, morto nel gennaio 1827 in luogo sconosciuto, figlio del conte imperiale George von Browne (1698-1792) e della sua seconda moglie Eleonora von Vietinghoff, nata baronessa Mengden (m. 1787) . Suo padre, nato in Irlanda, fu ufficiale dell’esercito imperiale russo dal 1730, divenne generale e infine governatore generale della Livonia e dell’Estonia. Anche Johann Georg von Browne-Camus inizialmente prestò servizio come ufficiale (colonnello) nell’esercito russo, ma si trasferì a Vienna con sua moglie nel 1794 o all’inizio del 1795 e vi visse sino alla morte.

Opus 9 numero 1 – Primo trio in sol maggiore per violino, viola e violoncello

I) Adagio – Allegro con brio – II) Adagio, ma non tanto e cantabile – III) Scherzo – Allegro – IV) Presto

Il primo Trio si apre con una introduzione lenta, dalle ultime battute della quale prende l’avvio il primo tema dell’Allegro compiendosi poi come significato in una melodia gioviale. Temi secondari, sviluppo, riesposizione, coda, hanno la stessa comunicatività di linguaggio aperta, vorremmo dire popolare nel senso più vasto ed essenziale della parola, come ad esempio nel primo tempo della Seconda Sinfonia. L’Adagio si distende nelle alternative di un fraseggio a larghe volute fra i tre strumenti con fisionomia di notturno, che l’episodio modulante in sol maggiore, mi minore, si maggiore, colorisce più espressivamente. Lo Scherzo è una delle consuete pagine del genere scritte da Beethoven in questo periodo: spunti melodico-ritmici elementari, quasi poveri, che s’arricchiscono man mano d’interesse nella vivacità del movimento e dell’intreccio strumentale. La particolare fisionomia del Presto finale è determinata dal primo tema, che domina poi il tempo in tutto il suo corso: una specie di cicaleccio continuo che, in forma più spigliata, corrisponde allo spirito dell’Allegro iniziale.

Carli Ballola: «(…) benché inspiegabilmente trascurati e dalla critica e dai concertisti, e condannati a sostenere l’oscuro ruolo di trampolino di lancio per i Quartetti Op. 18, i Trii Op. 9 sono da considerarsi tra i lavori più intensi e perfetti del primo B., assolutamente degni di stare accanto ai successivi sei Quartetti, che in alcune parti superano per profondità, maestria e maturità stilistica ». Abraham”. « Ormai B. non aveva più nulla da imparare dal punto di vista tecnico dai grandi musicisti del passato: padroneggiava in modo superbo la forma e la struttura e trattava le singole voci in modo magistrale (…). La mancanza del quarto strumento non si avverte:.la sentì forse solo B., dal momento che non scrisse mai più un Trio d’archi. In questo lavoro l’equilibrio tra omofonia (completa e spezzettata) e polifonia è comunque perfetto ».

In particolare sull’Op. 9 n. 1 –

Tranchefort: «Segna un netto arricchimento della materia musicale rispetto ai Trii precedenti; ed è significativo che il compositore stesso abbia considerato questo gruppo come “la migliore delle sue opere” fino a quell’epoca».

In particolare sull’Adagio –

Biamonti: «Più armonioso che appassionato, si distende nelle alternative del suo fraseggio a larghe volute, dall’uno all’altro strumento, con una fisionomia che ci ricorda il “notturno” ».

Opus 9 numero 2 – Secondo trio in re maggiore per violino, viola e violoncello

I) Allegretto – II) Andante quasi allegretto – III) Menuetto – Allegretto – IV) Rondò – Allegro

Il secondo Trio è analogo al primo per la « cordialità espressiva » e la poetica dolcezza di alcuni momenti; ha forse, nel complesso, minore consistenza, ma è elaborato con la medesima finezza. Il tema iniziale dell’Allegretto consta egualmente di due parti: la prima (qui più ampia) risolta nella seconda, e questa del pari marcata nel ritmo; tipiche in essa la ricorrenza del gruppetto propulsivo, simile a quello che dovrà poi caratterizzare il tempo corrispondente della Seconda Sinfonia, e l’« impennata » a metà del suo corso, che ci fa pensare ad un momento dello Scherzo dell’opera medesima. Andante quasi allegretto, d’una fine eleganza, ha fisionomia di romanza o di serenata; ne è principale interprete il violino, e subordinatamente il violoncello. Inquadra la melodia una figura in staccato come un preludio, un intermezzo o commento più propriamente strumentale. Il terzo tempo ha nelle prime due parti carattere di minuetto melodico; il Trio è come un piccolo intermezzo di colore, con il ritmico battito del suo motivetto pianissimo. Il Rondò riassume in certo qual modo lo spirito della composizione intera; particolarmente risponde in forme più vivaci a quello del tempo iniziale

Mersmann: «Tanto la pienezza di suono del primo Trio quanto la soggettiva individualizzazione del terzo, costituiscono veri e propri passi verso il quartetto; ma al mondo del quartetto sono ignoti la tranquilla dolcezza dei temi, il fluido scorrere delle voci, l’assenza di abbandoni di questo secondo Trio, caratteri che si incontrano soltanto nelle Sonate per violino e pianoforte».

Biamonti: « Si direbbe un’opera di un artista differente: meno volto a conquiste solari o a sfoghi impetuosi, più raccolto nella contemplazione (…) dove però fantasia e poesia lavorano con altrettanto impegno».

Opus 9 numero 3 – Terzo trio in do minore per violino, viola e violoncello

I) Allegro con spirito – II) Adagio con espressione – III) Scherzo : Allegro molto e vivace – IV) Finale – Presto

Come il corrispondente dell’op. 1 per pianoforte, violino e violoncello, questo Trio si distingue dai due precedenti per il carattere impetuoso ed appassionato, tipico del resto anche di tante altre composizioni in do minore di Beethoven. Ci sembra di poter individuare la particolare fisionomia del primo tempo nel frammento di scala minore discendente do, si naturale, la bemolle, sol, con cui si annuncia il tema iniziale: elemento musicale distintivo dell’esposizione, ed ancor più eloquentemente dello sviluppo e della coda, nella quale viene ampliato in una specie di lenta, desolata figurazione cadenzale. L’Adagio, per quanto in maggiore, è tuttavia, specialmente nella formulazione e nell’insistenza del suo tema breve e tronco, di un certo colore oscuro, un poco misterioso. Nel terzo tempo l’animazione assume una organicità di movimento e una foga che non conoscono arresto se non all’ultima battuta, senza il temperamento di pensieri accessori (fatta eccezione per il Trio in maggiore con ritmi e sonorità di caccia). Del tema del Presto possiamo notare una certa affinità letterale con quello del Finale del Quartetto op. 18 n. 1, ma le fisionomie sono poi tutte diverse. D’altro canto per la concisione impetuosa la nostra immaginazione si volge indietro all’ultimo tempo del terzo Trio per pianoforte, violino e violoncello dell’op. 1 e corre in avanti a quello della Sonata per pianoforte e violino op. 30 n. 2. Al Trio medesimo dobbiamo riferirci anche per l’identità del tema iniziale del suo primo tempo con il secondo del nostro Finale — che sarà poi ulteriormente ripreso nel Prometeo — e per la conclusione nel modo maggiore, in cui esso si spegne pianissimo, definitivamente placato.

Prod’homme: «La tonalità di Do minore conferisce l’accento delle grandi opere di questo autore; il suo taglio in quattro tempi è quello reso classico e immortale da B.».

Riezler: «Il Trio in Do minore è fra le opere più significative del periodo. Qui B. tratta la tonalità di Do minore con la stessa gravità degli anni successivi, e soprattutto dimostra già la sua tecnica di costruzione dei tempi: il pericolo della fragilità del suono incombente sul trio d’archi viene evitato con consapevole magistero».

Carli Ballola: «È in questo capolavoro che B. tenne in serbo le sue carte migliori. (…) Pur non forzando i limiti della propria forma, esso tende a superarla con la formidabile forza di espansione dell’invenzione musicale; si che è arbitrario ravvisare, tra le ragioni storiche o puramente contingenti che possono avere indotto B. ad abbandonare per sempre il Trio d’archi, il fatto che tale forma era ormai diventata troppo angusta per lui».

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