Opus 1

Tre trii in mi bemolle maggiore, sol maggiore, do minore per pianoforte, violino e violoncello.

Opus 1 Trii (3) in mi bemolle maggiore, sol maggiore, do minore per pianoforte, violino e violoncello op. 1, dedicati al principe Lichnowsky, 1793-1794, pubblicati in parti staccate a Vienna, Artaria, luglio – agosto 1795. GA. nn. 79-81 (serie 11/1-3)-B. 1 – KH. 1 – L. l,p. 9-N. 1 – P. 48 – T. 16

II catalogo beethoveniano si apre con i tre Trii op. 1, pubblicati nel 1795.

I trii per pianoforte, violino e violoncello di Beethoven non ricevono da parte della critica, degli esecutori e del pubblico un’attenzione paragonabile a quella riservata agli altri grandi gruppi di opere (ad esempio le Sonate ed i Quartetti per Archi), anche perché tradizionalmente il Trio con pianoforte era destinato agli esecutori dilettanti (era essenzialmente una Sonata per pianoforte, con “accompagnamento” di violino e violoncello). Eppure i Trii op. 1 non sono meno importanti delle coeve Sonate per pianoforte op. 2, sia per il loro intrinseco valore sia per la luce che portano sulla maturazione del giovane Beethoven e sull’affermazione della sua prepotente individualità artistica.

Beethoven già dall’op. 1 attribuisce ai tre strumenti un ruolo del tutto paritario, portando il discorso musicale verso un equilibrio dialogico che non poteva non apparire estremamente avveniristico ai contemporanei. A questo si aggiunga l’ampliamento delle dimensioni delle composizioni, nonché l’individuazione di uno stile personale, in equilibrio fra rispetto dei modelli classici, impiego di elementi tradizionali e ricerca di nuove soluzioni formali, espressive, dialettiche.

Non si conosce esattamente l’anno di nascita di queste composizioni ma, per determinarne una datazione, dobbiamo innanzitutto considerare che la loro prima esecuzione privata (di cui parla il Ries), nella casa del principe Lichnowsky e alla presenza di Haydn  non poté avvenire dopo il 19 gennaio 1794, data in cui il vecchio Maestro partì nuovamente per Londra da dove fece ritorno soltanto nell’agosto 1795, quando l’opera era già in stampa. Quindi si presume che il periodo della loro gestazione e stesura sia diluito nei tre anni precedenti, ovvero nel periodo in cui il giovane Beethoven si trasferiva dalla provinciale cittadina renana di Bonn nella quale era nato (1792), nella grande Vienna e veniva a contatto con l’aristocrazia di questa città. Non si tratta comunque delle sue prime opere in senso cronologico, ma certo costituirono un bel biglietto da visita per il giovane musicista che si presentava ufficialmente per la prima volta al pubblico come compositore, sostenuto, in questo passo, dall’entusiasmo di una cerchia di ammiratori viennesi che aveva intuito le potenzialità del suo genio. Cruciale per la fortuna di queste opere fu la figura del conte Carl von Lichnowsky, protettore e amico paterno del compositore, il quale insieme ad altri ammiratori garantì all’editore Artaria l’acquisto di 250 copie dei Trii, assicurando di fatto il successo della pubblicazione. E proprio al conte Lichnowsky Beethoven dedicò i tre Trii op. 1.

In quegli anni il poco più che ventenne Beethoven si faceva conoscere e apprezzare essenzialmente per le sue doti di grande pianista e soprattutto per il suo talento di improvvisatore. Proprio questa sua qualità suscitava nei salotti della città ammirazione, stupore, spesso sconcerto e, al tempo stesso, una grande aspettativa su ciò che egli avrebbe potuto esprimere come compositore. Erano gli anni in cui si prendeva coscienza della gravità del vuoto lasciato dalla recente scomparsa di Mozart (1791), mentre il sessantenne Haydn raccoglieva gli onori di tanti anni di luminosa carriera, assumendo il ruolo di patriarca della grande musica strumentale europea. Significativo e lungimirante è, a tal proposito, il messaggio di saluto che Beethoven ricevette dal conte Ferdinand Waldstein al momento della sua partenza da Bonn: «Caro Beethoven, Ella parte finalmente per Vienna ed esaudisce i suoi desideri a lungo contrastati. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte della sua creatura; presso il fecondissimo Haydn trovò asilo ma non nuova vita. Ora desidererebbe incarnarsi nuovamente in uno spirito superiore: possa Lei, in virtù di un lavoro incessante, ricevere lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn».

La prima esecuzione dei 3 Trii ebbe luogo dunque alla fine del 1793 o nelle prime settimane del 1794; quindi alla fine del 1793, o al massimo entro la prima metà del gennaio successivo, dobbiamo ritenere che la loro composizione fosse già ultimata; non è comunque inammissibile pensare che vi furono degli ulteriori rimaneggiamenti entro lo stesso 1794, o forse anche al principio del 1795.

«I tre Trii di Beethoven»  scrive Ries  «furono presentati per la prima volta al mondo artistico in una serata dal principe Lichnowsky. Era invitato un gruppo eletto di musicisti e intenditori, a cominciare da Haydn, il cui giudizio era atteso ansiosamente. I Trii suscitarono una straordinaria impressione e Haydn disse molte belle cose (soprattutto per i primi due trii, non a caso quelli più affini al suo modo di scrivere,), ma sconsigliò Beethoven dal pubblicare il terzo (il più intenso e il più geniale – in poche parole, il più bethoveniano dei tre). Ciò stupì molto Beethoven che lo riteneva il migliore: anche oggi piace moltissimo e fa un grande effetto. Perciò questa uscita di Haydn fece brutta impressione a Beethoven, lasciandolo con l’idea che Haydn fosse invidioso, geloso e non avesse simpatia per lui».

Le sue parole non furono ben accolte da Beethoven, che le attribuì all’invidia, mentre tanto Ries che Schindler, che erano amici devoti di Beethoven, ma conoscevano anche la rettitudine di Haydn, non poterono credere a una motivazione così meschina: Schindler inserì quest’episodio “nel lungo elenco di fraintendimenti che sono stati purtroppo assai numerosi nella vita di Beethoven“, mentre Ries chiese chiarimenti a Haydn stesso, che gli spiegò di temere che il pubblico non avrebbe compreso facilmente questo trio e avrebbe tardato ad apprezzarne il giusto valore; Haydn, che conosceva bene i gusti del pubblico viennese, riteneva infatti che il terzo Trio in do minore fosse piuttosto ardito per quel tempo e non pensava che non sarebbe stato adeguatamente capito, specialmente nei due tempi iniziali, l’Allegro incalzante e affannoso e l’Andante cantabile con variazioni, molto elaborati nel loro discorso musicale. I timori di Haydn potevano effettivamente sembrare giustificati, tuttavia questo Trio ebbe invece un immediato successo e fu uno dei primi lavori di Beethoven ad ottenere un certo favore del pubblico anche in Italia, relativamente presto, verso il 1840. Il racconto è comunque rivelatore di una dinamica creativa che nel giovane genio tendeva già a scalpitare spingendosi avanti, senza il timore dì dover oltrepassare una tradizione nei confronti della quale si sentiva debitore, ma non certo ancorato in maniera definitiva. In realtà è probabile che Beethoven non abbia ignorato del tutto le osservazioni del maestro, così come è ancor più plausibile che lo stesso Haydn avesse intuito la potenza innovativa di quel giovane, seppur non volesse manifestarlo esplicitamente, magari traendone tacitamente degli insegnamenti per una carriera, la sua, che non si era certo conclusa all’età dì sessant’anni.

Come abbiamo già accennato alla divulgazione di questi 3 Trii contribuì un gruppo di stretti ammiratori di Beethoven che ne permisero la pubblicazione garantendo l’acquisto di quasi 250 copie all’editore Artaria al prezzo non indifferente di un ducato l’una. Per interessamento di Lichnowsky e con l’aiuto finanziario di oltre cento sottoscrittori, quasi tutti appartenenti alla nobiltà viennese, i tre Trii furono stampati tra il luglio e l’agosto del 1795 dall’editore Artaria, il quale anticipò al compositore duecentododici  fiorini, con l’impegno a realizzare un’incisione chiara e ben curata, preceduta da un elegante frontespizio.

Il manoscritto originale è perduto. Abbozzi del secondo e terzo Trio si trovano in massima parte in un quaderno conservato nel British Museum e sono stati descritti dal Nottebohm e dallo Shedlock. Essi mostrano la graduale formazione di temi ed episodi, alcuni dei quali forse destinati originariamente ad altre composizioni come, ad esempio, nel Finale del terzo Trio, il primo tema (indicato in principio come Andante Rondomässig) ed un tema collaterale scritto in una figurazione, tema che non si adatta alla vivacità del movimento attuale.

Dal punto di vista dell’analisi strutturale, anche se i tratti stilistici e gli elementi della costruzione presi in prestito da Beethoven vengono profondamente modificati e sono utilizzati in un contesto totalmente nuovo, questi 3 Trii op. 1 di Beethoven hanno comunque un ineludibile punto di riferimento proprio in Haydn. Strutturati in quattro movimenti di grande durata, rivelano all’ascolto ancora una dipendenza da stilemi compositivi tipicamente haydniani (come l’introduzione lenta, l’uso della «falsa ripresa», il carattere festoso e popolare del Presto conclusivo) e questa influenza è dovuta plausibilmente alle saltuarie lezioni che il grande maestro aveva dispensato, senza eccessiva dedizione, al giovane astro nascente. Si intuisce già tuttavia come il legame con l’equilibrio formale della grande tradizione che lo aveva preceduto fosse per Beethoven un involucro nel quale la scalpitante irruenza del suo genio venisse contenuta a fatica.

Nuova invece è la scrittura pianistica, che ormai si è completamente sganciata dagli ultimi residui clavicembalistici per adottare una muscolosa robustezza e una sonorità ampia, in cui è riconoscibile l’influsso di Clementi; nuova è soprattutto una maggiore indipendenza degli archi sciolti dal rapporto di sudditanza nei confronti del pianoforte mentre degna di nota è anche la scrittura indipendente, a tratti fiorita e con compiti solistici, del violoncello, che in Haydn si era spesso limitato a un ruolo di basso continuo.

Primo Trio in mi bemolle maggiore

I) Allegro – II) Adagio cantabile -III) Scherzo: Allegro assai – IV) Finale – Presto

Ad un attento ascolto del Trio op. 1 n. 1 si può avvertire come Beethoven riesca ad imprimere una vivace ricchezza di dialogo al circoscritto quadro del trio settecentesco con pianoforte, così da aprire nuovi orizzonti a questa forma di musica da camera. In questo senso è significativo il modo in cui si sviluppano i vari movimenti, a cominciare dall’Allegro iniziale, vivace e brillante, ma anche elaborato nel passaggio da un tema all’altro e da una modulazione all’altra.

Primo Tempo: il nucleo che stabilisce l’individualità dell’Allegro, e ne reggerà tutto lo svolgimento, è costituito già dalla formazione tematica iniziale. Il Primo Tema dell’Allegro si basa su un raffinato gioco di contrasti: alle prime quattro battute di arpeggi staccati (affidati al pianoforte), alternati con accordi ribattuti (affidati a tutti e tre gli strumenti), Beethoven risponde con una frase legata e cantabile. Nella successiva evoluzione del tema, la medesima «disputa» tra staccati e legati si fa più stretta, risolvendosi a favore della cantabilità. Un breve episodio di transizione porta quindi al secondo gruppo tematico, costituito da una pacata successione accordale e da una seconda idea, che si scioglie in un incedere più scorrevole. Il Secondo Tema è quindi, pur nella decisione della sua figura ritmica, di un carattere distensivo: simile, come tipo, ai corrispondenti del Trio per archi op. 9 n. 1 e del Quartetto op. 18 n. 6. Da un pedale di dominante a ottave ribattute parte infine un’ampia coda dell’Esposizione, attraversata da scale ascendenti a terzine staccate.

Lo Sviluppo si apre con echi del primo tema, dai quali prende il via una elaborazione dello stesso primo tema, seguita da una rivisitazione della coda dell’Esposizione.

La Ripresa segue lo schema tradizionale, con la riproposizione del primo tema e dell’episodio di transizione, ridotto e modificato per trasportare il secondo gruppo tematico nella tonalità d’impianto. Al termine della coda dell’Esposizione vi è una Ripresa Variata della prima parte del secondo tema, che lascia quindi spazio a un’ulteriore ampia Coda conclusiva.

Secondo Tempo: l’Adagio cantabile si dispiega in quella intensità lirica e quella interiorità espressiva che appartengono già alla sigla stilistica del grande Beethoven. Il tema principale, è un pacato e raccolto motivo esposto dal pianoforte che si conclude con una frammentata successione accordale. Il tema viene quindi ripreso dal violino, per poi lasciare spazio a un secondo episodio, dai toni lievemente più espansivi e affettuosi, che viene cantato in alternanza da violoncello e violino. Dopo un ritornello variato del tema principale vi è un deciso cambiamento di atmosfera, con una frase melodica triste e appassionata che i tre strumenti riportano in tre differenti tonalità, partendo dal fosco mi bemolle minore e risolvendo nella chiara ribattuta affermazione di do maggiore che rasserena l’umore melanconico con cui era iniziato l’episodio. L’ultimo ritornello del tema è infine seguito da una delicata fantasia, nella quale reminiscenze del tema si mescolano liberamente a nuovi frammenti tematici, portandosi gradualmente alla cadenza conclusiva.

Terzo Tempo: giocoso, ma solido ed elaborato alla maniera beethoveniana, lo Scherzo (a volte indicato in qualche partitura come “Menuetto quasi allegro assai”) è completamente costruito intorno a un brillante inciso di tre note con un’acciaccatura. Dopo l’esposizione della prima parte, lo Scherzo prosegue con reiterazioni dell’inciso iniziale, che portano a una cadenza da cui potrebbe ripartire il tema. Quando questa sezione cadenzale sembra conclusa, viene ulteriormente prolungata da Beethoven con l’inserimento di rapide «sciabolate» del violino ripetute in progressione. Una momentanea ripresa della prima parte dello Scherzo viene inframmezzata inaspettatamente da uno sferzante pedale di quinta, che sembra evocare danze popolaresche di campagna, subito seguito da una brillante coda cadenzale.

La sezione centrale del Trio presenta una prima parte con lunghe note tenute degli archi, su cui si sgranano delicati arpeggi del pianoforte, e una seconda parte che ripropone il medesimo tessuto musicale della sezione iniziale.

Dopo la ripresa da capo dello Scherzo, una breve coda conclusiva chiude il movimento.

Quarto Tempo: Più leggero e scorrevole il Presto finale mostra, pur non distaccandosi del tutto dalla lezione autorevole di Haydn e di Mozart, un compositore già maturo in fatto di invenzione tematica e di piglio ritmico.

Si apre con un divertito botta e risposta tra i salti singhiozzanti del pianoforte e la replica galoppante del violino. E’ questo il primo gruppo tematico, al quale, dopo una sezione modulante che porta alla tonalità di dominante, succede un secondo tema, costituito da una frase a saltellanti note staccate che ruota tra i tre strumenti. Dopo un breve stacco contrastante dall’armonia cromatica che interrompe momentaneamente il fluire del discorso musicale, l’andatura ritorna a essere rapida e incalzante in occasione della coda di fine Esposizione.

Nello Sviluppo viene riproposto il primo tema in modo minore, seguito da una frenetica corsa a semicrome di violino e pianoforte che si rifà alla parte conclusiva dell’Esposizione. Raggiunto il culmine dell’intensità espressiva, Beethoven stempera la tensione con un episodio più pacato, nel quale note lunghe degli archi si sovrappongono a fluidi arpeggi legati del pianoforte.

Si giunge così alla Ripresa, con il secondo tema trasportato nella tonalità di impianto, completata la quale Beethoven sembra voler «giocare» con i due temi, facendo riecheggiare l’incipit del primo in un breve episodio interlocutorio, per poi trasportare inaspettatamente il secondo in una tonalità molto lontana. Una breve modulazione riporta quindi il secondo tema nella tonalità d’impianto, quasi a voler correggere in corsa una momentanea distrazione, mentre la coda dell’Esposizione si dilata in un più ampio episodio conclusivo, a completamento dell’intero Trio.

Secondo Trio in sol maggiore

I) Adagio – Allegro vivace – II) Largo con espressione – III) Scherzo: Allegro – IV) Finale – Presto

Dei tre Trii op. 1 è quello che maggiormente prende spunto da stilemi tipicamente haydniani.

Primo Tempo: si apre con una introduzione lenta e pensosa, secondo un modo di comporre preferito sin d’allora da Beethoven, che contiene in nuce gli elementi motivici che caratterizzeranno l’Allegro vivace successivo e presenta una certa vaghezza tonale e una certa ambiguità; dopo due stacchi iniziali l’Adagio introduttivo si dipana lentamente sull’intreccio tra il libero fluire della mano destra del pianoforte e frammentari incisi melodici degli archi; giunto quindi a un punto espressivo culminante, il discorso musicale prosegue il suo cammino scemando gradualmente verso la sua conclusione.

L’Allegro, è contrassegnato da una elegante spigliatezza nel dialogo tra pianoforte e violino in un saldo contesto tematico, al quale partecipa con misurato equilibrio la voce del violoncello.

Il primo tema fa il suo ingresso quasi in punta di piedi, iniziando infatti curiosamente con un piano sul IV grado, tanto da apparire come un’ulteriore introduzione al tema vero e proprio; quest’ultimo, infatti, si impone subito dopo nella sua veste compiuta e definitiva, con il violino che lo ripropone partendo dall’accordo di tonica e con un forte convinto e risoluto. Una canonica transizione modulante, che presenta ancora spunti motivici del primo tema, precede l’ingresso del secondo tema, spiritoso e galante composto da un soggetto principale esposto dal violino e da un’idea secondaria delineata invece dal pianoforte. Frammenti del primo tema caratterizzano la coda conclusiva.

Anche lo Sviluppo è nel segno del primo tema, ora trattato in imitazione fra i tre strumenti; si apre con un motivo, derivato dall’incipit del primo tema, che viene messo in progressione tra tonalità minori vicine. Il successivo episodio rielabora invece un materiale melodico che al nostro orecchio appare come nuovo; gli elementi tematici dell’Esposizione sono tuttavia presenti, anche se distribuiti in maniera frammentaria nel tessuto musicale. Un ultimo episodio elaborativo precede la Ripresa, nella quale si succedono regolarmente primo tema, transizione, secondo tema nella tonalità d’impianto e Coda; nella Ripresa, comunque, tra il primo gruppo tematico e il secondo trasportato nella tonalità principale, viene inserito un ampio episodio di collegamento quasi totalmente differente dal ponte modulante originale. Quando poi una perentoria cadenza sembra aver sancito la conclusione, la trama musicale riparte con un’ulteriore coda, che ripropone l’attacco dello sviluppo, introducendo ulteriori elementi di elaborazione motivica proprio nella parte finale dell’Allegro vivace.

Secondo Tempo: di notevole efficacia per il suo romanticismo premonitore è il Largo che, col suo decorso melodico placido e fluido e la sua linea di canto di purissima lega melodica, è una tra le più felici invenzioni del primo Beethoven.

Ben tre sono le idee melodiche che si succedono quasi senza soluzione di continuità mentre il gioco armonico si snoda con straordinaria misura di accenti, senza mai venir meno all’essenzialità dell’espressione: una prima idea esposta dal pianoforte e subito ripresa dal violino, una seconda idea dal carattere quasi implorante ed un terzo spunto sereno e disteso, tutto giocato sulle note principali della tonalità e presentato ancora una volta dal pianoforte.

Il Largo è composto da una prima parte articolata sull’esposizione dei tre differenti temi inframmezzati da elementi di collegamento e da una seconda parte nella quale questi temi vengono riproposti, nello stesso ordine, ma con notevoli varianti e con la trasposizione di una quarta sopra del secondo e del terzo tema (analogamente alla Ripresa di una forma-sonata compiuta).

Il tema principale (A) è un motivo pacato e affettuoso che il pianoforte espone in un cullante tempo di 6/8; nella successiva riesposizione da parte del violino il tema si prolunga verso una tonalità minore, formando così un collegamento modulante che porta verso la tonalità di dominante. Da qui parte il secondo tema (B), originato da un delicato intreccio di tutti e tre gli strumenti e poi concluso, analogamente al primo tema, da un passaggio modulante che conduce al successivo episodio. Il terzo tema (C) appartiene invece a una tonalità lontana ed è di breve durata; dopo cinque battute, infatti, ha inizio un terzo spunto modulante, che si presenta però come episodio distinto nettamente dal tema C che lo precede, tanto che vi ritroviamo l’incipit del primo tema (A) reiterato sopra una sequenza di mesti ribattuti del pianoforte.

Quest’ultimo episodio è l’elemento di congiunzione che porta alla seconda parte del movimento, ovvero la ripresa dei tre temi. Il primo di questi (A) viene nuovamente esposto in due versioni (la prima condotta ancora dal pianoforte, ma all’ottava superiore e con l’aggiunta di piccole varianti e dell’accompagnamento degli archi, la seconda con la melodia al violoncello punteggiata da scale staccate del pianoforte) che sembrano dissolversi riducendosi a brevi spunti frammentari degli archi lasciando spazio al solo tessuto armonico. Ciò che segue è il secondo tema (B) e il suo conseguente episodio modulante trasportati nella tonalità principale, il terzo tema (C) trasportato per analogia una quarta sopra ed infine un nuovo episodio costruito su frammenti del tema principale, a cui si aggiunge la riproposizione variata dell’ultimo episodio modulante con l’incipit del primo tema sopra i ribattuti del pianoforte. Niente lavorio tematico, dunque, ma solo libero e disteso fluire di idee melodiche, come conferma anche la coda, dove dominano gli arpeggi e le delicate sonorità del pianoforte.

La conclusione è costituita da una libera fantasia nella tonalità della principale, nella quale il filo conduttore è costituito da un inciso della seconda parte del primo tema, mentre ulteriori frammenti del tema stesso emergono saltuariamente nel lento dissolversi verso la conclusione del movimento.

Terzo Tempo: Molto gustoso è lo Scherzo successivo, sicuramente più legato ai Minuetti di Haydn piuttosto che ai futuri Scherzi dello stesso Beethoven. Il tema prende le mosse da un breve gioco imitativo iniziato dal violoncello, muovendosi dolcemente nella scansione ternaria del tempo di 3/4; evolve poi in una seconda parte, nella quale trova spazio un breve accenno a un nuovo soggetto tematico. L’incipit di questo motivo secondario è ritmicamente lo stesso che da vita al tema del Trio il quale non si differenzia molto dallo Scherzo (ma si presenta, con l’introduzione della tonalità minore, come una variante «coloristica») se non per un carattere un po’ più deciso e risoluto, e un andamento armonico che si alterna tra una tonalità minore e la sua relativa maggiore. La ripresa da capo dello Scherzo e una breve coda conclusiva completano infine il movimento.

Quarto Tempo: Il pirotecnico finale (cosparso di piacevoli umori mozartiani ma che nasconde tra le pieghe un preciso e determinato razionalismo tutto beethoveniano) è un Presto frizzante e pieno di energia («Haydn al quadrato», secondo la felice definizione di Giovanni Carli Ballola); in questo movimento, oltre all’omaggio al maestro Haydn, si ravvisano sicuramente una gioia e una spensieratezza non ancora offuscate dai dolori e dalle drammatiche tensioni della vita.

Si apre con rapidissimi ribattuti del violino ai quali risponde il pianoforte con un motivo molto simile in tonalità di dominante. Dopo la ripresa del tema da parte del violoncello, un ponte modulante porta al secondo gruppo tematico in tonalità di dominante, nel quale violino e pianoforte si intrecciano dando vita a un primo motivo leggero e grazioso, ma al tempo stesso deciso e risoluto, e a una idea secondaria dal carattere più pacato, con cui si conclude l’Esposizione.

Lo Sviluppo si apre invece con un rapido stacco pianistico che porta a due riproposizioni del secondo tema, la prima in una tonalità lontana, la seconda, dopo un episodio di collegamento che si rifà ai rapidi ribattuti del primo tema, in una tonalità vicina. Il successivo pedale di dominante, costruito sugli elementi del primo gruppo tematico, porta alla Ripresa, con il primo tema sostenuto da un diverso accompagnamento pianistico, il ponte, più breve e variato, e il secondo tema trasportato secondo copione nella tonalità principale. Un’ampia coda conclusiva con echi del primo tema porta infine a compimento l’intera composizione.

Terzo Trio in do minore

I) Allegro con brio – II) Andante cantabile con variazioni – III) Menuetto: Allegretto – IV) Finale – Prestissimo

Il Trio in do minore, op. 1 n. 3 è giudicato non soltanto il migliore della raccolta ma anche uno dei migliori lavori giovanili di Beethoven (secondo Giovanni Carli Ballola è paragonabile alle Sonate per pianoforte op. 10 n. 2 e op. 13 “Patetica”, alle quali sarebbe anche superiore quanto a equilibrio costruttivo e ad unità d’ispirazione); non stupisce che fosse quello preferito dall’autore in quanto esso appare infatti come il più maturo e personale della raccolta. La scelta della tonalità di do minore e il carattere intenso e drammatico che pervade quasi l’intera composizione, così come i vigorosi impulsi dinamici che innervano i fraseggi e l’arditezza di alcuni passaggi armonici, sono alcuni dei principali elementi che creano una netta distinzione tra il Trio n.3, ed i primi due numeri della stessa op. 1.

Nel 1817 Beethoven ne ha fatto una trascrizione per Quintetto d’archi, (op. 104).

Primo Tempo: Nell’insieme il movimento presenta continui rivolgimenti espressivi, rispondenti ad una logica di studiati contrasti. Si apre con un primo soggetto tematico (un’interrogativa frase iniziale, esposta all’unisono) simile a una breve introduzione lenta: un mesto disegno melodico che si chiude cadenzando sopra una laconica declamazione del violino. Dalla corona sospensiva dell’ultimo accordo cadenzale parte una reiterata cellula ritmico-melodica, caratterizzata da tre note staccate in levare, che forma il secondo motivo del primo gruppo tematico; l’atmosfera si tinge sempre più di ansia e di drammaticità, contenute ma inequivocabili, punteggiate da pause espressive, senza trovare pacificazione; il ritmo è destinato a divenire più incalzante nel successivo ponte modulante, che introduce il secondo tema. Questo, in contrasto con il carattere intenso e drammatico dell’inizio, è costituito da una dolce melodia in modo maggiore, i cui toni pacati e rasserenanti sono interrotti dall’improvviso fortissimo di una perentoria cadenza accordale. Da essa parte l’ampia coda dell’Esposizione, composta da tre brevi episodi conseguenti, nei quali ritroviamo frammenti del primo gruppo tematico rielaborati tra sforzati e mutamenti di dinamica.

Lo Sviluppo è tutto costruito sul primo gruppo tematico: inizialmente vi è una citazione della frase introduttiva, della quale viene poi elaborato un frammento con improvvisi sbalzi d’umore e intensità espressiva, mentre in seconda battuta viene rielaborato il soggetto con le tre note staccate in levare.

Nella Ripresa il primo gruppo tematico cambia aspetto: il motivo introduttivo, infatti, si espande prendendo nettamente il sopravvento sul secondo soggetto tematico, del quale non restano che poche tracce nella riproposizione variata e ridotta del ponte modulante. Il secondo gruppo tematico viene quindi riproposto nella tonalità d’impianto, passando così dal modo maggiore al modo minore; una battuta d’adagio precede la Coda, che, come sarà anche in seguito tipico di Beethoven, è alquanto ampia ed offre nuovi sviluppi dei temi, accentuando ulteriormente il carattere agitato e tormentato del movimento

Secondo Tempo: La drammaticità del primo movimento lascia il posto a una purissima e inalterabile serenità nell’Andante cantabile con variazione (sic): sono cinque variazioni, prive di innovazioni o particolarità dal punto di vista della struttura, ma sono comunque tra le più affascinanti degli anni giovanili di Beethoven, con il tema che viene ripetuto quasi ostinatamente, passando attraverso trasformazioni molto leggere, fino all’inattesa coda, piena d’intimo sentimento ed immersa in una calma luce crepuscolare. Il contrasto è però solo apparente: le variazioni infatti si dipanano senza nulla concedere al gusto decorativo.

E’ l’unico dei quattro movimenti ad utilizzare il modo maggiore nella tonalità principale e presenta come tema un semplice motivo composto da due parti riassumibili con lo schema AB CB’.

Nelle prime due Variazioni vi è una netta prevalenza del pianoforte nella prima e degli archi nella seconda; nella terza Variazione la funzione di accompagnamento degli archi, che si sovrappone all’andamento «galoppante» del pianoforte, si distingue con maggiore evidenza per l’uso dei pizzicati. Più cantabile è invece la quarta Variazione, con una languida melodia in modo minore degli archi, mentre l’ultima presenta un flusso continuo di scale cromatiche del pianoforte a terzine staccate, che si differenzia nettamente dal fluido tappeto armonico creato dagli archi.

Una successione cadenzale dilatata, che si conclude con frammentati echi di terzine, è invece la coda che conclude il movimento.

Terzo Tempo: Questo è l’unico Trio dell’op. 1 ad avere un Minuetto e non uno Scherzo come terzo movimento. Non si tratta tuttavia della tradizionale danza di corte dall’incedere aulico e regale, tipica del minuetto settecentesco, ma qualcosa di molto simile, per il suo ritmo brusco e i suoi repentini cambiamenti d’umore, ad uno Scherzo.

Il tema è in modo minore e viene esposto nella prima parte dal pianoforte con fraseggi, frammenti imitativi e un’alternanza di accordi che rendono volutamente ambigua la collocazione dell’accento ritmico. Nella seconda parte il tema viene sviluppato tra rapidi arpeggi ascendenti del pianoforte, lungo un percorso armonico inverso rispetto alla prima parte, muovendo cioè da una tonalità maggiore verso la sua relativa minore, per poi riprendere la prima parte e stemperarsi in una coda cadenzale.

Decisamente contrastante è la sezione centrale del Trio nella quale rapide scale discendenti del pianoforte danno il via a frasi melodiche del violoncello dai toni sereni e affettuosi accompagnate da arpeggi legati del violino.

La ripetizione del Minuetto da capo senza ritornelli conclude infine il movimento.

Quarto Tempo: Nel Prestissimo ritorna moltiplicata la drammaticità dell’Allegro con brio iniziale: è il primo di quei grandi movimenti beethoveniani in cui il contrasto dei temi viene portato alle dimensioni d’un dramma di tensione quasi insostenibile. È senz’altro a questo movimento che si riferiva Nigel Fortune quando ha scritto che questo Trio “è l’opera di Beethoven che ha più segnato la sua epoca per il suo ampio dramma tonale, intensificato dalla natura del materiale tematico, dal gioco dei contrasti e dalla foga”.

Anche per questo finale Beethoven adotta la forma-sonata con i tre strumenti che si impegnano in una sorta di moto perpetuo il quale vede, ad un primo tema agitato da un’energia cupa e da una foga inarrestabile, in un patetico do minore, contrapporsi un motivo cantabile, dolente e implorante; l’intero movimento vede questi due temi affrontarsi in una lotta incessante, con una tensione e una drammaticità estreme, che si stemperano solo nelle ultime battute, quando la coda avvia il Trio a una serena e dolce conclusione pianissimo in do maggiore.

Un perentorio stacco dei tre strumenti all’unisono introduce con irruenza quasi melodrammatica il primo tema: una semplice melodia dal fraseggio legato che si snoda, con una palpitante corsa, in un pianissimo carico di tensione. Torna lo stacco introduttivo che, come una sciabolata, delimita il fluire del primo tema, mentre nel successivo ponte modulante il motivo del primo tema al violoncello viene invece messo in secondo piano dagli sferzanti impulsi dati dagli sforzati.

Il secondo tema è invece una dolce melodia esposta nella relativa tonalità maggiore dal pianoforte e quindi dal violino, la cui cadenza conclusiva viene prolungata come coda dell’Esposizione. Dopo un’iniziale e breve riproposizione dello stacco introduttivo, lo Sviluppo si configura interamente sul secondo tema, che viene riproposto in due tonalità lontane, collegate come da un filo attraverso una singola nota sottesa; lo stesso tema si riduce poi alle sole due battute iniziali, che, con continue trasposizioni inframmezzate da rapide scale pianistiche, portano a un pedale di dominante.

Nella Ripresa troviamo il primo tema privo dello stacco introduttivo, mentre il secondo viene trasportato nella tonalità d’impianto, iniziando tuttavia in modo maggiore per giungere al modo minore solo verso la conclusione.

Al termine del movimento Beethoven inserisce quella elaborazione del primo tema che era mancata completamente nello Sviluppo, optando poi per una conclusione piuttosto singolare: invece di ribadire il carattere energico e dinamico del movimento con un finale perentorio e deciso, porta il discorso musicale a sfumare con una graduale dissolvenza che si chiude sull’accordo di do maggiore, a mo’ di cadenza sospesa.

«(…) Sebbene si sia creduto per molto tempo che i Trii dell’op. 1 fossero stati scritti e completati nel 1793, ed eseguiti per Haydn prima della partenza di quest’ultimo per Londra, nel gennaio 1794, sembra ora chiaro, grazie alle ricerche di Douglas Johnson, che il n. 1 sia stato scritto a Bonn e rivisto nel 1793, mentre i n. 2 e 3 siano stati abbozzati e in seguito composti dopo la partenza di Haydn. (…)».[1]

I primi abbozzi del Trio n. 1 risalgono già, probabilmente, al 1790 e nel 1792 Beethoven lo aveva praticamente completato, ma lo rivide a Vienna nel 1793, dove lo completò entro la fine di quell’anno; non è escluso, però, che prima della pubblicazione, avvenuta fra luglio ed agosto 1795, Beethoven lo abbia ulteriormente revisionato. Si divide in quattro movimenti: “Allegro”, “Adagio cantabile”, “Scherzo – Allegro assai”, “Finale – Presto”.

In generale su questo Trio André Boucourechliev affermò che: «(…) Le figure stilistiche, gli elementi della sintassi, la tecnica di scrittura sono ancora quelle trasmesse da Haydn e Mozart. Ma è stupefacente come appaiono improvvisamente modificate nel loro metterle “in opera”. (…)».[2] Per Stefano Catucci: «(…) è il più rispettoso del modello haydniano sia per quanto riguarda i modelli formali, sia per quel che concerne la condotta dei singoli strumenti, portati a dialogare fra loro in uno stile di conversazione che da un lato si presenta molto scorrevole, e dall’altro è pur sempre garantito dalla presenza unificante del pianoforte.».[3]

Secondo la critica è nel primo movimento “Allegro” che: «(…) si avverte maggiormente l’influenza dei maestri viennesi; l’unghiata beethoveniana la si può cogliere viceversa, in alcune libere associazioni armoniche e in quella “linea di movimento” tipica della condotta quartettistica a venire. (…)»[4] e infatti, Stefano Catucci, afferma che: «(…) solo al livello delle concatenazioni armoniche, trattate con molta libertà, si può riconoscere il segno incipiente della personalità beethoveniania.(…)».[5] Luigi Della Croce scrive: «Tutto è più vasto e diffuso in questo movimento in forma sonata rispetto alle precedenti opere da camera, anche se non si può parlare ancora di distacco dai modelli haydniani (…) né il musicista rinuncia a quel tipo di appoggiatura che è un po’ il vezzo di Mozart.(…)».[6]

Giovanni Carli Ballola, invece, nota di più: «(…) L’influenza di Clementi (…) soprattutto nei drappeggi neoclassici del tema dell’“Adagio cantabile” il cui discorso assurge ad un’intensità lirica e a una profondità espressiva e armonica inconfondibilmente beethoveniane.(…)».[7] Questo movimento è per Luigi Della Croce la «(…) prima profonda manifestazione in tempo Adagio dell’anima beethoveniana, che sembra abbandonarsi allo scorrere spontaneo dei pensieri.(…)»,[8] e anche Stefano Catucci individua qui: «(…) maggiormente evidenza nell’ampia e chiara struttura melodica (…) il segno incipiente della personalità beethoveniana.(…)».[9]

Il terzo movimento è uno “Scherzo – Allegro assai” che, secondo Luigi Della Croce: «Nella sua estrosa fisionomia, questo primo “vero” Scherzo di Beethoven porta impressi i segni dell’evoluzione dell’accademico Minuetto: non più una danza ornata e sorridente, ma un vero e proprio scoppio di buonumore.(…)».[10] Non dello stesso parere è però Stefano Catucci che ritiene invece che «(…) A questo punto del suo percorso, tuttavia, questo tipo di movimento non ha né l’agitazione ritmica, né il tono umoristico che lo caratterizzeranno in seguito. Rispetto al Minuetto classico, Beethoven si limita ad ampliare il discorso formale, introducendo uno sviluppo più elaborato e dando vita perciò ad una pagina di maggiori dimensioni (…)».[11]

Un po’ differente è fra i due musicologi, l’opinione anche sull’ultimo movimento “Finale – Presto”. Se per Luigi Della Croce si tratta di un «Ritorno ad una vivacità e ad un quadro più di prammatica (…) conforme ai modelli dei maestri anche se non in contrasto con la geniale frenesia del precedente Scherzo.(…)»,[12] il giudizio di Stefano Catucci è più severo: «(…) è più modesto: molto ben definito nel tema, meno curato nello sviluppo.».[13]

[1] Maynard Solomon. Beethoven. La vita, l’opera, il romanzo famigliare. Supertascabili Marsiglio

[2] André Boucourechliev: Beethoven. Parigi 1963. Da Amedeo Poggi e Edgar Vallora: Beethoven. Signori il catalogo è questo! Einaudi editore

[3] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica

[4] Amedeo Poggi e Edgar Vallora: Beethoven. Signori, il catalogo è questo! Einaudi editore

[5] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica

[6] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

[7] Giovanni Carli Ballola: Beethoven. Biografie Bompiani

[8] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

[9] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica

[10] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

[11] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica

[12] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

[13] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica

Opus 1

Tre trii in mi bemolle maggiore, sol maggiore, do minore per pianoforte, violino e violoncello – Versione per orchestra di Michael Wermke.

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