Idee politiche e sociali – L’ idea di libertà

[Per comprendere atteggiamenti, affermazioni e convinzioni di Beethoven in tema di politica e nei confronti della società in cui viveva, bisogna ricordare brevemente quale fosse, a quei tempi la situazione politica e sociale in Europa, e soprattutto ricordare che Beethoven visse, per i primi ventidue anni della sua vita, a Bonn e poi a Vienna fino alla morte.
Nel 1700 in Germania esisteva un coacervo di piccole sovranità governate da principi di estrazione ecclesiastica o laica che, nell’insieme, formavano ancora il Sacro Romano Impero che, fondato da Carlomagno nell’ottocento, dal 1400 era controllato dalla casata Asburgica. L’Arciducato di Austria e il Regno di Ungheria ne facevano parte. Dal 1438 l’Imperatore d’Austria, che su tali regioni governava, riceveva anche il titolo di Sacro Romano Imperatore. La sua funzione principale era quella di controllare i poteri locali per mantenere un buon equilibrio politico.
L’Imperatrice Maria Teresa salì sul trono degli Asburgo nel 1740. Con la Guerra di Secessione Austriaca, vari sovrani d’Europa cercarono di contestarne l’ascesa al trono ma, grazie alla fedeltà degli ungheresi, fu riconosciuta imperatrice con la pace di Aquisgrana del 1748.  Alla morte del marito, nel 1765, si affiancò come regnante il figlio Giuseppe II, che dalla sua morte in poi, dal 1780, regnò da solo fino al 1790.
Questo periodo coincise con lo sviluppo e la diffusione delle idee illuministe, e dell’Illuminismo razionalista Giuseppe II fu un fervido sostenitore. Giuseppe II impose delle riforme addirittura radicali in tema di liberalità e di rapporti con la Chiesa, abolendo privilegi ecclesiastici e feudali, e cercò di estenderle alle parti del Sacro Romano Impero non dominato dagli Asburgo. Egli si occupò in modo particolare della assistenza e della centralizzazione del potere. I suoi fratelli Leopoldo e Maximilian Franz erano a capo delle regioni italiane e renane. Sotto la guida di Leopoldo, che poi diverrà l’Imperatore Leopoldo II, Milano ebbe un grande sviluppo; e sotto Maximilian Franz, Arcivescovo Elettore di Colonia, Bonn divenne un centro artistico e del pensiero illuminista. Le riforme di Giuseppe II tuttavia alla fine naufragarono, anche se rimase l’eredità rappresentata dall’unificazione delle varie parti dell’impero.
L’Imperatore Leopoldo II, successore di Giuseppe II, fu un abile diplomatico che cercò di mantenere il più possibile uno stato di pace. Alla sua morte, avvenuta nel 1792, gli successe il fratello col nome di Franz II. L’impero austriaco non era stato eccessivamente turbato dalla Rivoluzione Francese, sebbene le idee libertarie si diffondessero rapidamente ma, poche settimane dopo la morte di Leopoldo II, la Francia dichiarò guerra al “Re di Ungheria e di Boemia”. Ebbero così inizio le Guerre Rivoluzionarie e Napoleoniche. Con esse ebbe inizio la disgregazione del Sacro Romano Impero. Franz II, che era Sacro Romano Imperatore, si trovò a fronteggiare una situazione difficilissima che, con le vittorie napoleoniche, culminate nelle occupazioni di Vienna del 1805 e 1809, provocò all’Austria perdite territoriali e le peggiori difficoltà politiche e finanziarie. Nel 1806 Franz abbandonò il titolo di Sacro Romano Imperatore – l’impero non c’era più – per fregiarsi, col nome di  Franz I, del titolo di Imperatore d’Austria. Le cose poi volsero al meglio grazie alla vittoria della coalizione antinapoleonica, di cui Franz I fu uno dei più energici sostenitori, grazie all’apporto di Metternich. Nel 1814, con la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna del 1814-1815, l’Austria riprese il suo ruolo di prima potenza continentale, riacquistando i territori perduti. La fondazione di una Confederazione Germanica, guidata da Franz I, in cui i 300 staterelli germanici furono ridotti a 39, non portò per il momento a ulteriori sviluppi politici. Franz I cercò di reinstaurare, dopo il 1815, il rigido tipo di governo asburgico, ma per questo furono necessarie misure restrittive durissime contro chi sembrava attentare all’ordine costituito.
Bonn nel 1700 era, da secoli, la sede dell’Arcivescovo Elettore di Colonia e capitale dell’elettorato. Sotto Maximilian Friederich Elettore, nominato nel 1761, vi fu una grande fioritura culturale teatrale, musicale e letteraria. Le opere dei grandi dell’epoca, Russeau, Klopstock, Herder, Schiller, Goethe, Montesquieu e dei pensatori antichi, quale Plutarco, vi erano diffuse. Con l’avvento di Maximilian Franz quale Elettore nel 1784, le idee illuministiche che circolavano da tempo e informavano la vita intellettuale della città, divennero ancora più dominanti. L’Accademia di Bonn fu nominata Università. I libri, le idee illuministiche, i giornali politici erano diffusi. Gli studi di filosofia, diritto e giurisprudenza fiorivano, si discuteva di riforme e di rapporti fra stato e Chiesa gettando le basi teoriche per avveniristiche riforme. Non vi è dubbio quindi che gli anni della gioventù di Beethoven passarono in un ambiente stimolante ed è difficile pensare che le idee di libertà e umanità che si respiravano nell’aria non abbiano profondamente influito sulle sue concezioni sociali e politiche. E certo l’atmosfera rimase invariata almeno fino al 1794, anno dell’invasione francese.
Quando Beethoven giunse a Vienna, nel 1792, le idee dell’illuminato Giuseppe II, furono almeno in parte ripudiate dai suoi successori, Leopoldo II e Franz II, che probabilmente temevano di essere travolti dalle idee libertarie propagandate dalla Rivoluzione Francese. Fu instaurato, sotto Franz II (che, come abbiamo visto, poi si chiamò Franz I d’Austria) un regime repressivo, nel quale naturalmente navigavano bene sia le classi commerciali sia la nobiltà, che continuò a vivere sontuosamente, fra balli e teatri, in un contesto sociale ove i costumi erano molto rilassati e la morale poco considerata. Pare che a Vienna all’inizio dell’800 vi fossero decine di bordelli (e la popolazione non era ceto superiore alle 120.000 anime). Si può dire che le sconfitte che portarono all’occupazione di Vienna nel 1805 e nel 1809 furono tollerate con indifferenza dai viennesi, anche se le restrizioni finanziarie e alimentari afflissero molto chi era dovuto restare in città, mentre i nobili, i ricchi e i potenti si erano trasferiti in campagna.
Le cose cambiarono con la sconfitta di Napoleone e con il Congresso di Vienna. L’Austria, alla quale si doveva certo in gran parte la vittoria sui francesi, poté rialzare la testa, rientrare in possesso delle regioni perdute e guidare la nuova spartizione dell’Europa. Si può dire che, grazie al Congresso, Vienna fosse ritornata ad essere la città gaudente di un tempo. Il Congresso vide l’afflusso di migliaia di persone, di nobili e potenti, che furono trascinati in un vortice di divertimenti in un’atmosfera surreale: concerti, balli, pranzi, feste notturne con fuochi d’artificio si susseguirono per mesi. E anche Beethoven fu travolto da questo vortice, ed espresse il suo compiacimento per essere stato vezzeggiato da regine e imperatrici.
Naturalmente la festa non poteva durare in eterno, né potevano essere cancellati del tutto i guai finanziari che già si erano manifestati in precedenza. Molte famiglie nobili si ritrovarono in miseria mentre si assisteva ad una continua ascesa delle classi lavoratrici di tutti i livelli, con a capo naturalmente i banchieri e i commercianti. Fu grazie a questo che Vienna poté continuare ad essere considerata la capitale della cultura occidentale. Era per così dire cambiata la classe che avrebbe sostenuto in futuro l’attività artistica, anche se non più sotto la stessa forma di protezione mecenatesca che vi era stata fino ad allora.]

In alcune delle sue opere Beethoven ha espresso le sue idee morali, sociali e politiche anche se non ha mai indicato in nessuna parte quali fossero queste sue idee.
Il testo del Corale della Nona Sinfonia, derivato da Schiller celebra lo slancio mistico, religioso e fraterno dell’umanità. Beethoven pensava ad uno stato futuro che realizzasse l’Elisio, nella fraternità degli uomini. Lo stato futuro di cui Beethoven si fa l’annunciatore riposerà sulla sintesi classica, sulla conciliazione, nell’uomo, del conflitto fra natura e spirito, fra istinto e dovere. E questo risulta chiaramente dall’esame del testo che egli ha musicato, coi tagli che ha fatto alle strofe di Schiller, dall’importanza che egli attribuisce a certe frasi e a certi versi ripetendoli con insistenza. Una volta realizzata la sintesi Schilleriana (e kantiana) tra dovere e istinto, non vi sarà più sulla terra che un’umanità pacifica e fraterna, i cui giorni trascorreranno nelle gioia, dono col quale il Padre Eterno ricompenserà le sue creature che hanno alla fine scoperto il vero senso dell’esistenza.
Anche un’altra opera di Beethoven, il Fidelio, aveva già mostrato quest’umanità moralmente e politicamente libera, fraterna e penetrata di spirito religioso, che canta la gioia nel finale della Nona Sinfonia. I cori dei prigionieri, alla fine del primo atto e nel finale del secondo esprimono il desiderio di libertà e l’allegria straripante della libertà conquistata. Il desiderio di liberare il marito che anima Leonora è una passione che oltrepassa la persona di Florestano ed è desiderio di liberazione di tutti gli ingiustamente oppressi.
La libertà politica è lo scopo che Egmont persegue col suo eroismo. Per Beethoven questa aspirazione alla libertà è divenuto il contenuto essenziale del dramma, come dimostra l’importanza data alla Sinfonia della Vittoria finale che egli ha utilizzato per terminare l’Ouverture.
Anche nella Fantasia per Piano con Orchestra e Coro Op.80 si esprime nettamente l’ideale beethoveniano di bella umanità. La poesia di sei strofe, che Beethoven ha messo in musica sarebbe di Kuffner secondo Czerny, di Treitschke secondo Nottebohm; ma si è anche detto che le idee che essa esprime siano state suggerite al poeta dallo stesso Beethoven (vedi Th.Frimmel, Beethoven-Handbuch, Lipsia 1926, 2 voll.).
Comunque sia, come le strofe dell’Ode alla Gioia della Nona Sinfonia, la poesia della Fantasia Op.80 evoca un’umanità superiore che vive nella chiarezza, l’armonia e l’amore. L’ultima strofa, ripetuta più volte, dice: “Ricevete voi allora gioiosamente, voi belle anime, i doni della bella arte. Quando forza e amore si uniscono il favore di Dio ricompensa gli uomini”. L’insistenza con la quale Beethoven ripete queste parole mostra l’importanza che egli loro attribuiva. Anche se la concezione romantica del ruolo dell’arte non è del tutto assente nei versi cantati dal coro (“quando uno spirito si solleva per un colpo d’ala, egli sente incessantemente un coro di spiriti”), è piuttosto a Schiller che ci rimanda il pezzo. Il ruolo dell’arte e della bellezza, che elevano a superiore altezza le “belle anime” e le rendono degne del favore divino, corrisponde a quello che loro assegna Schiller in certe sue opere poetiche e filosofiche.
Anche alcuni dei Lieder di Beethoven cantano la aspirazione alla libertà.
È in tutte queste opere che Beethoven ha espresso le sue idee di morale sociale; è difficile vedere in lui, come alcuni hanno voluto, un repubblicano e un rivoluzionario.
Certo Beethoven ha subito l’influenza delle idee del movimento rivoluzionario, che aveva suscitato qualche eco nell’elettorato di Colonia ove era cresciuto. Vi è nella sua corrispondenza una sola allusione ad una simpatia momentanea per la Rivoluzione Francese. [Quasi] certamente nel 1797-1798 Beethoven fu in relazione con i rappresentanti francesi e con l’Ambasciatore a Vienna Bernadotte, che gli avrebbe suggerito di celebrare Napoleone con un’opera musicale. Tuttavia non si può dire che Beethoven sia stato un ammiratore della Rivoluzione Francese. Schindler ci ha lasciato detto che la repubblica ideale che Beethoven avrebbe voluto veder realizzata era quella di Platone.
I Quaderni di Conversazione non contengono che una allusione al repubblicanesimo di Beethoven, quando nel 1823 il consigliere Peters, rispondendo a Beethoven, scrive “Voi siete un rivoluzionario e un carbonaro”.
La dottrina politica cara a Beethoven era quella del dispotismo illuminato e liberale; il suo ideale positivo fu Giuseppe II, il buon monarca. Le parole delle Cantate per la Morte di Giuseppe II e per l’Incoronazione di Leopoldo II, esprimono un sentimento di gioia per lo spirito liberale del dispotismo illuminato cui corrisponde una musica spontanea e appassionata.
Anche la cantata “Der glorreiche Augenblick” Op.136 (Il momento glorioso), del 1814, esprime idee analoghe. E le opere composte nel 1812 per la inaugurazione del Teatro di Pest, su poemi di Kotzebue, le cantate “König Stephen” Op.117 (Re Stefano) e “Die Ruinen von Athen” Op.113 (Le rovine di Atene) esprimono gli stessi concetti.
In tutti questi pezzi di circostanza, mediocri poemi ufficiali poco adatti ad ispirare un musicista, la musica vi sottolinea le idee di fraternità e di fedeltà ad un principe paterno per mezzo del procedimento più semplice: quello della ripetizione delle parole.
A questa ammirazione per l’assolutismo illuminato di Giuseppe II, ed anche per la costituzione inglese, Beethoven rimase fedele fino alla fine della vita.
Boyer

I Quaderni di Conversazione degli ultimi anni contengono molte citazioni relative alle conversazioni politiche di Beethoven coi suoi amici. Vi si rimproverano allo stato austriaco l’autoritarismo meschino e ficcanaso, gli eccessi della censura, le restrizioni che venivano imposte ai cittadini in materia religiosa, lo strapotere della polizia che aveva determinato un vero e proprio insopportabile regime di spionaggio. Vi si evocano con simpatia ricordi dell’epoca passata e il buon imperatore Giuseppe II.
Se si cerca di riassumere la curva degli ideali politici di Beethoven vi troveremo: all’inizio, nel periodo di Bonn, l’Aufklärung (Illuminismo); all’inizio del periodo viennese e al momento delle relazioni con Bernadotte un periodo di entusiasmo rivoluzionario; successivamente un ritorno alle idee della sua giovinezza su Giuseppe II e sul dispotismo illuminato. A questa ammirazione si affianca quella per la costituzione inglese, a causa del suo liberalismo.
Nulla indica che Beethoven e i suoi amici avessero delle opinioni repubblicane.
Non si può certo vedere l’espressione di idee politiche rivoluzionarie nelle scenate che Beethoven era capace di fare ai nobili dai quali non si considerava trattato come avrebbe voluto. Non erano idee politiche sovversive ma espressione del sentimento che Beethoven aveva del suo valore di artista.
Possiamo dunque mettere Beethoven fra i partigiani del liberalismo e del cosmopolitismo quale anticipato da alcuni pensatori alla fine del diciottesimo secolo.
Non vi è dunque nelle idee politico-sociali di Beethoven alcun elemento romantico: il romanticismo si opponeva nettamente in effetti alle tendenze liberali e cosmopolite della fine del secolo diciottesimo.
 Boyer

[Beethoven visse fino al 1792, ai ventidue anni, a Bonn: i primi contatti con la vita pubblica e con l’organizzazione statale li ebbe dunque nella cittadina renana in  quegli anni della vita in cui si tracciano le linee fondamentali del carattere e della personalità. Bonn faceva parte del Principato dell’Elettore di Colonia, uno dei primi in cui si diffusero e fecero sentire la loro influenza la letteratura e il pensiero dell’Aufklärung, l’Illuminismo Tedesco. Quel pensiero che portò al progressivo indebolimento e poi al disfacimento di molte delle anacronistiche strutture politiche, sociali, e religiose che a quei tempi dominavano anche e soprattutto grazie a privilegi ereditati fin dall’epoca feudale. A Bonn, il principe elettore Maximilian Friederich ebbe un ministro “illuminato”, Belderbusch col quale furono avviate riforme ecclesiastiche, fu fondata una accademia, vennero potenziate non solo le attività industriali ma anche quelle culturali. Quando alla sua morte, nel 1784, il principato passò all’Arciduca di Asburgo Maximilian Franz il terreno era fertile per una sempre maggiore diffusione delle idee illuministiche. Questa diffusione fu anche favorita dal fatto che proprio in quegli anni il fratello maggiore dell’Elettore Maximilian Franz, Giuseppe II, salì sul trono degli Asburgo. Questo imperatore Austriaco seguace di Voltaire, di Federico il Grande e degli enciclopedisti, fu certo un sovrano illuminato, un esempio di “buon principe”, di grande coscienza sociale, che nel decennio in cui regnò, 1780-1790, cercò di attenuare il contrasto fra classi sociali superiori e masse plebee con l’emancipazione dei servi della gleba. Pose inoltre un freno ai privilegi feudali ed ecclesiastici con la confisca delle terre della chiesa; impostò riforme tributarie e giuridiche, propugnò la diffusione dell’educazione e gettò le fondamenta del primo stato assistenziale d’Europa. Come è facilmente comprensibile questo programma lo fece entrare in conflitto con le alte gerarchie ecclesiastiche e gran parte della nobiltà.
Sotto il nuovo elettore Maximilian Franz, le idee illuministiche divennero i principi ispiratori della politica dell’elettorato così che si ebbero a Bonn grandi aperture culturali. L’Accademia di Bonn venne innalzata al grado di Università. Vi si tennero corsi di filosofia kantiana, di letteratura greca, di diritto, di medicina e ginecologia. Per dare un’idea della atmosfera che vi si respirava basta ricordare le lezioni di Eulogius Schneider che accese l’animo degli studenti inneggiando alla rivoluzione francese; le prediche del frate carmelitano Dereser che propagandava idee per una riforma ecclesiastica tali da farlo accostare a Lutero; la libera circolazione delle opere non solo dei pensatori antichi ma anche di Voltaire, Rousseau, e Montesquieu e dei poeti tedeschi, Klopstock, Herder, Schiller e Goethe.
Nel 1776 vi era stata fondata una loggia massonica. Quando la massoneria fu soppressa nell’impero austriaco, nel 1781, fu fondato al suo posto l’Ordine degli Illuminati, segreto e anticlericale, il cui vessillo era l’idea illuministica di “progresso attraverso la ragione“. Anche questo fu soppresso e allora gli illuminati di Bonn fondarono un’altra associazione, la Lese-Gesellschaft (Società di lettura). Tra i suoi membri si trovavano Neefe, Nikolaus Simrock, Franz Ries, Eichoff, il conte Waldstein. Fu come è noto con loro che Beethoven srinse stretti rapporti, e fu da loro che venne a Beethoven l’incarico per la composizione della Cantata per la morte di Giuseppe II WoO87.

Beethoven crebbe in questa atmosfera, accolto in famiglie di elevato rango sociale, quali Breuning e Wegeler, ove era considerato uno di casa, entrò in contatto e fu apprezzato del mondo culturale di Bonn. Non abbiamo alcuna notizia che il suo comportamento negli anni di Bonn sia stato diverso da quello di un qualunque giovane musicista di corte, servitore obbediente dell’Elettore al quale doveva il suo posto nella cappella musicale e quindi un miglioramento della situazione  economica familiare traballante per l’alcoolismo del padre.
Una volta giunto a Vienna Beethoven dovette ben rendersi conto che i formalismi, i privilegi, le ingiustizie ereditate dal Settecento erano ancora ben radicati nella aristocrazia e nella organizzazione sociale, col relativo sfarzo e servilismo. Dopo la abolizione, sotto l’imperatore Franz II, di molte delle riforme di Giuseppe II, la restaurazione di un regime poliziesco, il fiorire di ostilità contro le idee libertarie frutto della Rivoluzione Francese, le cose, almeno sul piano psicologico, dovettero andare ancora peggio per lui. Si spiegano così almeno in parte le sue invettive contro il governo, la giustizia arbitraria e servile, le vessazioni poliziesche, la burocrazia che uccideva ogni iniziativa individuale, i privilegi di una aristocrazia degenerata, le ribellioni e i rifiuti. Gratificava l’imperatore,  Vienna e i viennesi di tutte le ingiurie possibili. Ma vien fatto di chiedersi se a scatenare questa reazione furono solo motivi ideali o anche il fatto che, dopo le guerre e le occupazioni francesi, la bancarotta austriaca con la svalutazione falcidiò non solo le ricchezze dei suoi aristocratici protettori ma anche la sua rendita che da quelle dipendeva in gran parte. Senza dimenticare che nei suoi primi anni viennesi egli fu certo felice della protezione e dell’aiuto degli aristocratici, e che per la causa per la tutela del nipote accettava di buon grado il giudizio del tribunale dei nobili ove poteva trovare il sostegno dei suoi aristocratici sostenitori.]

Le prime esperienze a Bonn, di un regime politico “illuminato”, gli saranno efficace antidoto, per tutta la vita, contro le dottrine estremistiche dei rivoluzionari francesi.
M.Cooper

Se Beethoven rimase sino alla fine un uomo del XVIII secolo, tanto nelle reazioni emotive che nelle opinioni, lo si deve al fatto che opinioni e carattere erano in lui già formati, quando prese coscienza dei mali sociali e politici dell’ancien regime.
M.Cooper

[Come ha scritto M.Cooper “Beethoven non ebbe nulla da obiettare ai re, sino a quando non ritenne d’essere stato defraudato dei suoi risparmi da Francesco I e non venne a sapere che il monarca diffidava di qualsiasi tipo di genio e voleva come sudditi solo uomini utili”. Ad essere obiettivi il suo atteggiamento verso i monarchi fu quasi sempre quello di ossequio, specialmente quando lo blandivano. Sono prova di questo il suo comportamento, e i suoi commenti, in occasione del Congresso di Vienna, e quanto accadde con Luigi XVIII Re di Francia, che aveva accettato di essere sottoscrittore, insieme ad altri monarchi e principi, della Missa Solemnis. Per l’occasione egli fece dono al compositore anche di una medaglia d’oro. Beethoven si sentì molto onorato e scrisse subito a J.K.Bernard, redattore capo della “Wiener Zeitung”, affinchè pubblicasse la notizia: “Schindler Le mostrerà il regalo del Re di Francia. Vedrà che tanto ad onor mio che ad onore del Re vale la pena di divulgare [la notizia]. È evidente che Sua Maestà non ha voluto solo levarmi di mezzo in quanto S.M. ha pagato il suo esemplare. Io trovo in questo un Re generoso e un uomo di sentimenti delicati” [K.1150 aprile 1823].

[Beethoven ostentò sempre un grande disprezzo per i viennesi, sebbene egli frequentasse solo strati di popolazione di rango abbastanza elevato. Nel 1794 dopo le prime disfatte austriache contro i francesi scrisse: “Qui fa molto caldo; e i viennesi temono di non poter più avere gelati; l’inverno è stato così poco freddo che il ghiaccio è scarso. Qui hanno arrestato diversa gente importante; si diceva che avrebbe potuto scoppiare una rivoluzione. Ma io credo che gli austriaci finché avranno birra scura e salsicciotti non si rivolteranno”.(Lettera a N.Simrock, 2 agosto 1794, K.11). Considerava i viennesi “indegni di esser guardati dall’alto in basso dall’imperatore”, definendoli con un irriverente gioco di parole “Österreicher = Eselreicher” (dell’impero d’Austria o Austriaci = dell’impero degli asini o Asiniaci).]

[I suoi rapporti con le persone di livello inferiore ci fanno quasi dubitare che in fondo al suo animo albergassero sentimenti di amore per l’umanità o di rispetto della dignità umana. Il trattamento riservato alle persone assunte per il disbrigo delle faccende domestiche ci fa rivivere una atmosfera addirittura feudale nei rapporti fra padrone e servitore. Secondo lui tutti i domestici erano degli infami e malvagi furfanti, campioni di “sfrontatezza, cattiveria e volgarità” (K.827) e avrebbero dovuto essere trattati come le bestie, perché non capivano ragioni. Di tutto questo abbiamo le prove nelle sue lettere. Basta leggere quelle all’amica Nannette Streicher del gennaio 1818 per rendersi conto della atmosfera di sospetto e disprezzo della dignità umana che il Maestro aveva nei confronti delle sue domestiche. In una del gennaio 1818, in cui la ringraziava perché aveva accettato di continuare ad aiutarlo nella conduzione domestica, esprime il suo dubbio che le donne di casa rubino, scrivendo: “Lei può facilmente vedere nel libro di cucina se ho mangiato a casa da solo o con altri, o niente del tutto.  Io non ritengo la N. del tutto onesta” e continuava “per di più è una terribile bestia; vedo ora chiaramente che certa gente deve essere educata non con l’affetto  ma con la paura” (K.826).
Sovente  ricopriva i domestici di insulti e scrisse a loro riguardo: “Quanto alle persone di servizio vi è una unica opinione sulla loro immoralità, alla quale sola sono dovute le restanti disgrazie di tutti qui” (Lettera a Nannette Streicher, gennaio 1818, K.827). Talvolta giunse a lanciare contro di loro oggetti ed uova e a picchiarli. “Inoltre ho buoni motivi di credere che la N[any] o l’altra continuino a fare la spia a casa sua. … Ieri mattina sono ricominciati i tiri diabolici. La ho fatta corta e ho scagliato sulla B[aberl] la mia pesante poltrona da letto, dopo di che mi sono sentito tranquillo tutto il giorno. .. Per quanto riguarda l’onestà della N., non mi sembra sia molto spiccata.” (Lettera K.826, gennaio 1818). E cosa pensare del fatto che il Maestro, che tanto si scagliava contro il regime poliziesco di Metternich (sul quale sono rimaste battute di scherno nei Quaderni di Conversazione), istigasse la amica Streicher ad istruire la nuova ragazza assunta in cucina in modo che si schierasse dalla sua parte e non da quella della governante!]

[Beethoven, conscio com’era della sua superiorità ha detto e ripetuto di essere un aristocratico per il suo lavoro di artista che lo elevava al di sopra tutti – compresi gli aristocratici per censo – e di non appartenere quindi alla massa plebea.
“Io non appartengo per la mia attività [di artista] a questa massa plebea … Il borghese – e a me è capitato di essere uno di costoro – è destinato a rimanere escluso dalle classi superiori della società”. Dai Quaderni di Conversazione, gennaio-febbraio 1820, VI-VII]

[Un altro esempio di una certa insofferenza di Beethoven alle regole nei rapporti sociali e di una obbedienza ad esse per ragioni che potremmo definire di comodo ci viene dal suo comportamento nei confronti dell’Allievo Arciduca Rodolfo. Rodolfo era fratello minore dell’imperatore e nipote del principe elettore di Bonn, Maximilian Friederich. Divenne allievo del Maestro per la composizione. Non dimentichiamo che Rodolfo fu uno dei tre sottoscrittori dell’impegno per il vitalizio da pagarsi a Beethoven dal 1809 in poi e che in molte occasioni si adoperò in suo favore. Beethoven aveva preso l’impegno di dargli lezione di composizione quando era a Vienna. Nei circa 20 anni in cui durò questa relazione, molte volte le lezioni saltavano per addotti (e reali) malesseri del Maestro o per altri impegni e preoccupazioni. Dalle lettere talvolta traspare un malcelato fastidio per il tempo che veniva sottratto alla composizione, e d’altra parte Beethoven non volle mai sottoporsi alle regole dell’etichetta (e l’Arciduca lo assolse per questo!) e dichiarò orgogliosamente: ”non sono mai stato un cortigiano, non lo sono ora e non riuscirò mai ad esserlo”. Ma se si leggono le lettere si rimane colpiti dal fatto che esse ridondano di frasi come queste: “Il mio stato di salute è per me tanto più penoso in quanto non sono in grado di dimostrare a V[ostra] A[altezza] I[imperiale] tutto il mio zelo e desiderio di servirla” [E.1107]; “… tosto che V.A.I. si troverà di nuovo in città  mi metto subito a disposizione di V.A.I.” [K.781]; “Sono purtroppo costretto ad abitare molto lontano, ma questo non mi potrà trattenere dal potermi rallegrare il più presto possibile di venirle a presentare i miei servigi.” [K.799]. E il primo gennaio 1819, ringraziando l‘Arciduca per avergli inviato il manoscritto delle sue “40 Variazioni sul tema O Hoffnung”, (tema datogli da Beethoven) scrive: “Io non oso esprimere, né per voce né per iscritto il mio grazie per questo sorprendente favore col quale sono stato onorato, poiché io sto troppo in basso, per contraccambiarlo per quanto ardentemente  lo voglia e lo desideri” [K.881][e, vien fatto di dire, Ludwig, ipocrita  adulatore, proprio in tema di Variazioni!]. Questo linguaggio si avvicina tanto a quello adulatorio dei vecchi servitori settecenteschi che vien fatto di chiedersi dove sia finito l’artista ribelle ed indipendente.]

La sua partecipazione alla vita comprende anche la passione politica: per lui la libertà doveva essere conquistata ed egli seguiva con trasporto gli eventi che gli sembravano volti a promuoverla ed attuarla. Egli dava libero sfogo a sentimenti ostili verso un governo reazionario e poliziesco: era, come riferisce Schindler, in costante rivolta contro le autorità superiori, le leggi e le ordinanze.
“Czerny mi ha raccontato” riferisce Bernard a Beethoven, “che l’abate Gelinek ha sparlato di voi: ha detto che siete un secondo Sand (lo studente che il 23 marzo 1819 aveva ucciso, a Mannheim, Kotzebue), che parlate male dell’Imperatore, contro l’Arciduca, contro i Ministri, che finirete sulla forca”.
Magnani

La musica per Beethoven assume una funzione sociale. È espressione di nuovi valori spirituali, destinati ad agire sulle realtà umane.
Magnani

Beethoven per tutta la vita sarebbe stato saldamente guidato da una consapevole fede nei principi della libertà politica, dalla ricerca della perfezione personale, della moralità del comportamento. La sua devozione per l’arte e la bellezza e l’accettazione dei concetti chiave dell’illuminismo (virtù, ragione, libertà, progresso, fratellanza universale) furono costanti.
Solomon

Detestava la tirannia, ma non ebbe mai a sperimentarla realmente perché a Bonn non vi si era imbattuto, e a Vienna i suoi nobili mecenati lo proteggevano.
M.Cooper

Fino alla fine della vita Beethoven continuò ad ispirarsi agli ideali settecenteschi di dignità umana, tolleranza e umanità. Non ebbe la minima idea della vera democrazia e non fu mai un egualitario. Il suo ideale era ciò che conosceva (o immaginava) della costituzione inglese.
M.Cooper

[Nonostante certe sua affermazioni, che tanto sanno di reazione a chi ogni tanto cercava di imporgli la sua volontà, basta ricordare al proposito i suoi rifiuti di suonare per intrattenere gli ospiti nelle case dei suoi protettori,] Beethoven poco aveva da obiettare agli aristocratici in quanto tali, propenso com’era ad annoverarsi fra loro in virtù del suo talento artistico; cambiava atteggiamento quando i nobili rivendicavano i loro privilegi in base alla loro nascita o quando lo umiliavano. In tutto ciò era un uomo dell’illuminismo piuttosto che della rivoluzione francese; ammiratore del dispotismo benevolo, come quello di Giuseppe II, piuttosto che repubblicano; nemico dei privilegi feudali e assertore della carriera aperta ai talenti.
M.Cooper

Le correnti utopistiche del XVIII secolo erano centrate sull’idea del ‘buon principe’, un eroe illuminato in grado di risolvere i problemi del rapporto tra padroni e servi. [E il “buon principe” che deteneva il potere doveva sapere come usarlo saggiamente.] … La fiducia nell’idea di un redentore aristocratico rimarrà sino all’ultimo un elemento chiave del credo beethoveniano. La figura di un principe salvatore entra nella musica di Beethoven con la cantata, composta nel 1790, per le celebrazioni funebri dei Giuseppe II, l’imperatore Aufklärer, illuminato [e con la figura di Don Fernando nel Fidelio]. [La Cantata] gli era stata commissionata proprio dalla Lese-Gesellschaft, fondata a Bonn, nel 1787, da appartenenti all’Ordine degli illuminati. In seguito, alla venerazione di Beethoven per i governanti illuminati ideali – siano essi re, principi o primi   consoli –, si contrapporrà poi un processo di disillusione nei loro confronti.
 Solomon

Beethoven si era acceso di entusiasmo per Napoleone credendo di vedere in lui l’uomo che avrebbe potuto portare al mondo libertà e felicità universali.
Schindler

 [Beethoven mantenne un atteggiamento ambivalente anche nei confronti di certi eventi politici. Qualcuno lo ha voluto vedere come un simpatizzante delle idee portate dalla Rivoluzione Francese, un alfiere di libertà, uguaglianza e fraternità. E certe sue affermazioni, anche musicali, lo possono far sospettare. Ma in realtà Beethoven è stato uno strenuo sostenitore della libertà, non certo del tutto dell’uguaglianza e della fraternità. Il desiderio, cantato nella Nona, di unire il mondo in un solo abbraccio unendo popoli distanti doveva realizzarsi soprattutto attraverso l’arte. Ma egli non ha mai cessato di dimostrare il suo disprezzo per le classi inferiori coi fatti (si vedano i suoi rapporti con la servitù) o con le parole: “Il borghese – e a me è capitato di essere uno di costoro – è destinato a rimanere escluso dalle classi superiori della società” [Quaderni di Conversazione, febbraio 1820 Q.vii 48a-b]. In fondo era un classista: alla classe superiore si apparteneva non per nascita ma per nobiltà d’animo o per meriti nelle opere anche artistiche, e quindi lui vi apparteneva. Per quanto interessato alla politica, come par di capire leggendo i Quaderni di Conversazione, egli non ha mai espresso le sue opinioni politiche, se non in qualche battuta in qualche conversazione privata. È difficile capire quali siano state le sue idee in proposito. Certamente nel suo credo politico il posto preminente lo ebbe sempre il “buon principe” di estrazione illuministica. Difficile capire quanto egli conoscesse delle libertà democratiche inglesi e se l’ammirazione per gli inglesi fosse veramente basata su conoscenze reali. Fu certo un avversario di ogni forma di tirannia. Parlava sempre ad alta voce anche quando si scagliava contro la rigida censura asaburgica nonostante le esortazioni alla prudenza: “Zitto! I muri hanno orecchie!“ gli scrisse una volta il nipote Karl. E d’altra parte due dei suoi massimi capolavori Fidelio e Egmont sono un inno alla libertà. La miglior prova di questo fu certo l’esplosione di rabbia al momento in cui apprese, nel 1804, che Napoleone si era proclamato imperatore, quando, come ci ha raccontato Ries che fu presente alla scena, esclamò: “È uguale a tutti gli altri … calpesterà ogni diritto umano … e diventerà un tiranno”. Ma anche qui affiora la ambivalenza di Beethoven. Dopo i fatti del 1804 e lo sdegno per le guerre successive, egli divenne francofobo. Ma rimase un ammiratore di Napoleone. Ne sono la prova il fatto che nel 1809, l’anno che segnò il bombardamento e la seconda entrata in Vienna dei francesi, Beethoven ricevette amichevolmente il Barone de Tremont, nonostante fosse membro del Consiglio di Stato Napoleonico. Col Barone parlò della grandezza di Napoleone che ammirava per come aveva saputo sollevarsi tanto in alto con le sue sole forze. E in suo libro Solomon riporta la strabiliante notizia della scoperta di una annotazione di pugno di Beethoven che l’8 ottobre 1810 aveva scritto ”La Messa in Do maggiore Op.86 potrebbe forse essere dedicata a Napoleone!” E a riprova di questa ammirazione mai sopita sta una notizia che si trova negli appunti che Czerny preparò per Otto Jahn (studiati da Bottegal). Racconta Czerny “Nel 1824, a Baden, mi recai in un caffé con Beethoven. Vi trovammo molti giornali. In uno di questi lessi l’annuncio della “Vita di Napoleone” di Walter Scott e lo mostrai a Beethoven. “Napoleone” esclamò “tempo fa non potevo soffrirlo, ora la penso in tutt’altro modo”. D’altra parte si racconta che appresa la notizia della morte di Napoleone, il 5 maggio 1821, Beethoven abbia detto: “Ho già composto la musica adatta per questa catastrofe.“]

[Una domanda cui è difficile rispondere riguarda i sentimenti patriottici di Beethoven verso la sua patria adottiva, l’Austria degli Asburgo. Non vi è dubbio che egli si sia espresso sovente, specialmente dopo il 1815, contro il governo, le misure repressive instaurate, contro Vienna e i viennesi. Ma è altrettanto vero che egli ha ammirato prima l’imperatore illuminista, Giuseppe II, e che il suo sentimento patriottico lo abbia indotto a comporre canti nazionalistici. Sono canti di ispirazione antifrancese quali il Canto d’addio ai cittadini di Vienna WoO 121 e il Canto di guerra degli austriaci WoO 122  che risalgono agli anni 1796-1797. Seguirono anni dopo, nel 1813-1814, opere celebrative della sconfitta di Napoleone: La vittoria di Wellington ovvero la battaglia di Vittoria Op.91 e Il momento glorioso Op.136.]

La posizione di Beethoven rispetto al suo tempo è completamente diversa da quella dei suoi predecessori che dipesero, talora trattati quasi come impiegati, come Bach e Haydn, dalle autorità che li pagavano, o come Mozart che, a parte sporadiche ribellioni, non evase mai dalla condizione di “povero musicante” che viveva della grazia dei ricchi. Nella medesima città e nella medesima società a Beethoven nessuno osò dar ordini. Quando egli accettò incarichi li eseguì come e quando piaceva a lui e non al committente. Fu il primo che, salvo rare eccezioni, decise da solo cosa voleva scrivere, e a vivere (stentatamente) coi suoi guadagni sul libero mercato.
Riezler

In pochi anni (1792-1795) Beethoven si afferma come artista indipendente, libero impresario di se stesso, secondo il nuovo ruolo sociale del musicista. Era giovane organista dell’Elettore di Colonia, che si era lasciato indurre a concedergli un permesso per andare qualche tempo a Vienna, quando le truppe della Francia repubblicana, nel 1794, rovesciarono l’elettorato di Colonia con l’annessa cappella musicale di Bonn. Perso il posto Beethoven si industria da sé con lavori distribuiti fra i maggiori editori viennesi. Attorno al 1810 Beethoven è ritenuto il primo musicista d’Europa.  Ma nella carriera di Beethoven un posto dominante spetta ancora all’istituto della protezione: alla sua indipendenza economica contribuiscono il principe Carl von Lichnowsky, i conti Zemskall, Gleichenstein e Rasumovsky, l’Arciduca Rodolfo fratello dell’imperatore Leopoldo II, i principi Franz Joseph Lobkowitz e Ferdinand Kinsky. Gli ultimi tre, all’inizio del 1809, garantiscono al compositore una rendita annua di 4000 fiorini alla sola condizione che resti a Vienna a scrivere la musica che più gli pare.  Nella musica un riconoscimento del genere non aveva precedenti. Il vecchio Maestro di Cappella era una servitore di rango più o meno alto; aveva una serie di doveri pattuiti: comporre o dirigere ogni tipo di musica richiesta dalla vita pubblica e privata della cappella; curare la disciplina del personale musicale; acquistare strumenti; sovraintendere alla biblioteca musicale. La proprietà delle sue opere non era dell’autore, ma del signore.
 Pestelli 

L’idea profetica della fondazione del regno di Dio sulla terra tra gli uomini di buona volontà, già auspicata da Kant, Beethoven l’aveva solennemente celebrata nel Finale della Nona Sinfonia, ove si esalta il regno della fraternità umana, la vittoria dell’uomo su ciò che fisicamente e moralmente lo opprime, la sua vittoria sulla tirannide politica e su quella delle passioni, la sua libertà.
Magnani

[Un altro episodio che sottolinea certe inclinazioni di Beethoven, che oggi chiameremmo socialiste, è stato ben illustrato da Solomon nel suo “Il Magazin der Kunst” di Beethoven [Su Beethoven. Musica. Mito. Psicoanalisi. Utopia. Einaudi, Torino 1998, pagg.225-239]. Vediamone un breve riassunto. Nel 1801 (lettera del 15 gennaio [K.43]) Beethoven propose ad Hoffmeister, per gli artisti, una forma di vita quasi da comunità socialista: “Dovrebbe esistere al mondo un mercato dell’arte (Magazin der Kunst) dove l’artista dovrebbe portare le proprie opere e prendersi ciò che gli serve. Ma ccome stanno le cose ora si deve essere un mezzo uomo d’affari“.

L’ideale di un sistema sociale fondato sulla comunità dei beni ha radici antiche, risalenti addirittura ai tempi di Sparta. Ma fu Thomas Moore il primo a descrivere, nel 1516, un utopistico sistema distributivo nel quale tutti i cittadini portavano i frutti del loro lavoro ad un comune magazzino ove i padri di famiglia attingevano, senza pagare, il necessario per i bisogni familiari. Probabilmente la fonte dell’idea beethoveniana fu il Code de la nature (Parigi 1775), scritto dall’Abbé Morelly, ma attribuito a Diderot, una delle cui leggi recita “Ogni cittadino contribuirà, per parte sua alla pubblica utilità, secondo le proprie forze, il talento e l’età”. Il critico e moralista sociale francese Gabriel Bonnot de Mably (1709-1785) incluse un’ipotesi simile a quella di Morelly nel suo De la Législation, ou Principes des lois (Amsterdam 1776): “Vedo ovunque magazzini pubblici che contengano le ricchezze della repubblica; i magistrati  distribuiscono ad ogni famiglia il necessario per vivere”. Ovviamente i progetti di Morelly e Mably furono ripresi durante la Rivoluzione Francese quando il Francois Noel (Gracchus) Babeuf (1760-1797) li propugnò calorosamente nei suoi discorsi e nei suoi scritti:  “tutti lavoreranno per un magazzino comune, e ogni cittadino riceverà la propria quota del prodotto collettivo della società”. Babeuf elaborò questa sua dottrina, pubblicandola nel suo Manifeste de Plébéiens, nel novembre 1795. Questa dottrina comunitaria infiammò gli animi. Ne nacque la “Conspiration pour l’Egalité” e Babeuf ne capeggiò l’insurrezione armata contro il Direttorio. Arrestato coi suoi seguaci nel 1796, processato dal 20 febbraio 1797 davanti all’Alta Corte di Giusitizia, dichiarato colpevole il 24 maggio 1827 nonostante un’autodifesa con un’arringa di tre giorni, fu condannato a morte.
Sono questi i principali antecedenti della idea contenuta nella lettera di Beethoven ad Hoffmeister. Non sappiamo se fossero noti a Beethoven. Certo è che di queste opere, a cominciare dall’Utopia di Moore, si ebbero molte edizioni negli anni 1704-1798. Come molti nativi della regine renana, Beethoven conosceva abbastanza bene il francese. Non è escluso che negli ultimi anni di Bonn sia venuto a conoscenza di certe idee alla Lesegesellschaft e all’univeristà, ove, non dimentichiamolo, teneva lezione il rivoluzionario Eulogius Schneider. Più difficilmente, dice Solomon, avrebbe potuto venirne a conoscenza a Vienna, ove certi scritti, che propugnavano la abolizione della proprietà privata, sarebbero sfuggiti difficilmente alla censura viennese, censura che però poco poteva sul  flusso delle idee trasmesse verbalmente da viaggiatori provenienti da Parigi e dalla Renania.
Sembra difficile, dice Solomon, dubitare che la concezione del Magazin der Kunst non discendesse dalla utopica idea di Morelly, Mably e Babeuf: Beethoven, che come sappiamo aspirava ad ottenere un posto che gli desse la sicurezza finanziaria, probabilmente restò affascinato dalla possibilità di trovare in una simile organizzazione la soluzione dei suoi problemi finanziari.]

[Una prova che la infatuazione di Beethoven per la Rivoluzione e Napoleone si andava progressivamente attenuando si ebbe nel 1802, quando Hoffmeister,  propose a Beethoven di comporre, su richiesta di una certa contessa Kielmansegge, una sonata “a programma” sulla Rivoluzione Francese.  La risposta del musicista, datata 8 aprile 1802 [K.59], vergata con la sua solita rude franchezza, ci dice come egli fosse disilluso da Napoleone per il concordato col Vaticano del luglio 1801 che, come uno schiaffo ai liberi pensatori, ristabiliva il culto cattolico in Francia: “Che il diavolo vi porti tutti quanti Signori miei –  propormi di comporre una sonata del genere? Al tempo della febbre rivoluzionaria – una cosa simile sarebbe stata possibile, ma ora che tutto cerca di scorrere nei vecchi binari, che Bonaparte ha concluso il Concordato con il Papa –  una tale sonata? Fosse ancora una messa pro Sancta Maria a tre voci [in latino e in italiano nel testo] o un vespro e così via, allora prenderei subito il pennello in mano e con note da mezzo chilo scriverei un Credo in unum – ma santo Dio, una tale sonata in questi tempi cristiani che ricominciano – oh oh – lasciatemi fuori – poiché non se ne fa nulla“. Se mai volevamo un altro esempio della ambivalenza di Beethoven ricordiamoci che i primi schizzi per l’Eroica che ci sono rimasti risalgono all’estate del 1802.
Un altro episodio merita di essere ricordato a questo proposito. Come è noto dal maggio al novembre 1809 Vienna fu nuovamente occupata dai francesi. In quel periodo Napoleone sposò Maria Luisa d’Asburgo. Beethoven non partecipò ai festeggiamenti per i quali composero opere e durante i quali si esibirono i migliori musicisti viennesi. La fama di Beethoven a quel tempo era ormai tale che se avesse voluto avrebbe trovato facilmente la strada per presentare le sue opere alla corte. A proposito di questo periodo è curioso rilevare che l’8 settembre, il giorno dopo la partenza di Napoleone da Vienna, Beethoven diresse l’Eroica in un concerto di beneficenza per il fondo di assistenza degli artisti poveri. A questo proposito Solomon si è chiesto se la data non fosse stata scelta da Beethoven per puro sarcasmo. Cosa poco probabile mi pare, poiché la data dei concerti veniva anche allora stabilita con molto anticipo.]

Nell’ultimo decennio del XVIII secolo, la persecuzione asburgica dei dissenzienti, nonché la censura repressiva, incoraggiarono molti radicali viennesi a coltivare la discrezione e persino il conformismo. La prudenza è l’imperativo evidente nella lettera di Beethoven a Simrock, del 2 agosto 1794, [A.12] nella quale lo informava degli arresti di “varie persone importanti” e lo diffidava: “Non osi alzare la voce qui o la polizia lo metterà agli arresti”. Per lui, come per moltissimi giovani idealisti dell’epoca, l’impulso alla ribellione fu deviato dalla politica all’arte. Beethoven, trascorse questi anni perseguendo l’unico scopo di  trasformare la musica in modi non meno rivoluzionari e forse più permanenti di quelli con cui i radicali politici avevano potuto trasformare la società. Che il radicalismo di Beethoven non fosse ancorato ad alcun programma politico, specifico ed effimero, può essere stata la sua forza. L’attrazione di Beethoven per la Francia e per Bonaparte, per quanto ambigua e contraddittoria, suggerisce che anche il giovane compositore ambisse cimentarsi nell’arena della storia: fu soltanto negli anni della maturità che egli giunse a rallegrasi che il regno che a lui si confaceva  fosse  “il regno della mente” o, come  si espresse in un’altra occasione, che il suo “reame” fosse “nell’aria”.
Solomon

Beethoven  non abbandonò mai la propria fondamentale fiducia nei valori dell’Illuminismo: amore altruistico, ragione e ideali umanitari.
Solomon

Beethoven non può dirsi un filosofo, perché le sue meditazioni mancarono di qualsiasi coerenza sistematica e di una qualsiasi sintesi coronatrice. Ma è cosa indubbia che egli amò profondamente le idee. I suoi libri “de chevet” comprendevano le Critiche kantiane, La filosofia della natura e l’Idealismo trascendentale di Schelling, L’imitazione di Cristo, le opere di taluni poeti che oltre il puro intento estetico prospettavano problemi di indole assoluta ed eterna, Klopstock, Shakespeare, Goethe, Novalis. Ma l’interesse maggiore di Beethoven venne forse rivolto al pensiero dell’antichità classica e segnatamente al movimento stoico. Agli occhi del grande maestro lo stoicismo rientrava in quella concezione generica del mondo antico, inteso come sede di un’umanità superiore e come metro di dimensioni morali più vaste, che la Rivoluzione Francese andava riprendendo dalle epoche precedenti. Oltre a questo l’insieme di dottrine nate sotto il portico dell’Accademia Ateniese corrispondeva ad un aspetto personale di lui, innanzitutto il suo modo di assumere la verità morale; poi quel concepire l’Universo sotto specie animistica, quel porre Iddio come il fuoco che lo vivifica, quell’identificare nello spirito nostro una scintilla della medesima fiamma.
Confalonieri

[Nel 1801 (lettera del [15] gennaio [E.54]) [Beethoven] propose ad Hoffmeister una forma di socialismo reale che doveva essere estesa a tutti gli artisti: “Dovrebbe esistere al mondo un mercato dell’arte (Magazin der Kunst) dove l’artista dovrebbe portare solo le proprie opere e prendersi il denaro di cui abbisogna. Ma così come stanno le cose ora, un artista è costretto ad essere anche, in un certo senso, un uomo d’affari“. In tal modo tutti gli artisti sarebbero stati liberati dalla necessità di avere dei protettori e mecenati e di lottare sul mercato per ottenere il massimo rendimento dalle loro opere. In uno scritto da inserire in un’ edizione delle sue opere, Beethoven sostenne e cercò “di dimostrare che la mente umana non può essere venduta né come chicchi di caffè né come un pezzo di formaggio” [perché] “la mente umana di per sé non è una merce in vendita”. Ma quali erano i motivi per cui Beethoven, che pure aveva una elevata quotazione commerciale che gli rendeva – nonostante le sue lamentele, assai bene – voleva che l’artista fosse liberato da vincoli puramente commerciali? Come scriveva Solomon, di cui riporto qui alcune idee, alla base  di questo vi era  la sua adesione agli ideali di fraternità e di libertà  politica, artistica, religiosa e intellettuale. Ideali cui restò fedele per tutta la vita: da quando musicò a Bonn “Wer ist ein freier Mann”, WoO 117, (Chi è un uomo libero), a quando scrisse le parole di Schiller “Amare la libertà sopra tutto il resto” nell’album di un amico, fino alla sua dichiarazione all’Arciduca Rodolfo del 1819: “Libertà, progresso, sono questi i principali obiettivi nell’arte come nel nostro intero universo”. Beethoven, scrive Solomon, non pervenne per caso ai cori dei prigionieri del Fidelio, né al monologo culminante di Egmont e alla sua apoteosi strumentale. Le idee di fratellanza ricorrono spesso nell’opera di Beethoven: dalla Cantata Joseph  alla Fantasia Op.80  al corale An die Freude nella Nona Sinfonia.
Beethoven non fu però mai un egualitario come volevano gli ideali della Rivoluzione Francese. Egli, ricorda Solomon, considera i servi persone “inferiori” una “marmaglia bestiale”. Riteneva il “cittadino” comune indegno di essere da lui frequentato, preferendo la compagnia e la condizione sociale “degli uomini più elevati”. Si può dire che] l’egualitarismo di Beethoven non andò molto oltre i suoi “fratelli in Apollo”, i suoi amici più cari, che, come dimostrano le sue lettere, talvolta strapazzava senza motivo!, o quei pochi nobili che riteneva degni. Addirittura considerava solo degli utili “strumenti” persone come Zmeskall e Schuppanzigh, cui doveva molto!, di cui diceva che non avrebbero mai potuto essere parte della sua vita [lettera K.50, E.67]. E un’altra prova di questo atteggiamento è il nr. 45 del Tagebuch: “Non lasciar notare esteriormente alla gente il disprezzo che merita, perché non si può sapere se si ha bisogno di loro”. Al tempo in cui, sull’onda emotiva della Rivoluzione Francese, Babeuf stava coniando gli slogan fondamentali della propria dottrina sull’uguaglianza – “Lo scopo della rivoluzione è di distruggere l’ineguaglianza e di ristabilire il bene comune” -, Beethoven scriveva al suo amico Zmeskall: la forza è la morale degli uomini che si distinguono dagli altri ed è anche la mia [lettera K.24]. E concludeva Solomon è difficile riconoscere distinguere le motivazioni ideologiche da quelle personali che erano alla base della proposta beethoveniana del “Magazin der Kunst”. Forse alla base vi era il profondo interesse personale di Beethoven che desiderava creare le condizioni che gli avrebbero consentito nel modo più completo di soddisfare i suoi impulsi altruistici: nella propria musica.
Da Solomon