Beethoven ed il Fiesco di Schiller: cronaca di un incontro mancato

Articolo di Armando ORLANDI Apparso sulla rivista della A.B.F. (Association Beethoven France) “Beethoven, sa vie, son oeuvre” , numero 10 – 2008, pagine 25 – 29.

A partire dalla pagina 13a del quaderno di conversazione numero 31, del marzo 1823, conservato nella Preussische Staathbibliothek di Berlino, si può leggere la seguente conversazione fra il Dottor Johann Baptist Bach e lo stesso Beethoven, presenti anche Anton Schindler ed il nipote del Maestro Karl:
13a  Es soll das Buch Fiesco besteh[en],  das  vare ein würdiger Gegenstand Ihrer       Bearbeitung.
Wanda ist nichts
Allein  Fiesco ist schon klassisch
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13a  Ci deve essere un testo sul Fiesco, che sarebbe un soggetto di venire musicato da Lei.
Wanda non è niente
Solo che Fiesco è già un classico
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13b  Sie schreiben nicht fur uns allein, sondern fur die ganze Welt
Crescentini  hat es gesung[en],  ware nicht neu.
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13b Lei non scrive solo per noi,  ma per il mondo intero.
Crescentini l’ha  cantato, non sarebbe nuovo.
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14a Schiller und Beethoven.
Diese 2 Namen sind wûrdig bey ein ander zu stehen.
Ich seibst singe einen Part im Fiesco von Ihnen geschrieben.
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14a Schiller e Beethoven.
Questi 2 nomi sono degni di stare al fianco.
Io stesso canterei una parte nel Fiesco composto da Lei.
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14b  Schiller
vorausgesetzt, daß es gut gesetzt wird.
Sie kennen meine Frau.
Ich bin zur guten Stunde weg, sonst hätten sie mich eingesperrt.
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14b Schiller
Premesso che venga bene adattato.
Lei conosce mia moglie. Arrivo ad andarmene proprio in tempo, prima che mi chiudano dentro.
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15a  Schindler: Der unter Theil der Federn ist gar nicht zu brauchen.
geben Sie mir doch die Briefe an die Gesandten.
der Brud[er] will so nicht mitgehen.
Andere Schrift: Ich bin (…………….)
Sie (…………..)

15a Schindler: La parte inferiore delle penne è del tutto inservibile.

Mi dia pure le lettere per gli ambasciatori.
Dunque il frat(ello) non vuole venire insieme.
Altra scrittura: Sono (…………….)
Lei (…………..)

15b Neffe Karl: Krauge
Kroi
Bernard: Fiesco ist von Hofmann  bearbeitet und verworfen worden, weil es nicht gut war. Forti  wollte den Fiesco geben. Man hat von Lembert eine Oper fur Sie bestimt gehabt; vielleicht ist es die, welche jetzt ihr Bruder hat.
15b Nipote Karl: Krauge
Kroi  Bernard: Fiesco è stato elaborato da Hofmann ed è stato respinto,  perché non adatto. Forti vorrebbe cantare nel  Fiesco. Le deve essere stata donata un’ opera da Lembert; forse è quella quello che adesso ha suo fratello.
16a Von wem ist sie denn ?
Er ist imer in einer Art von Angst, als ob Ihre arbeiten liegen bleiben könnten. Er will ökonomisiren.
Ich glaube das der Hofrath von Melnik diese Woche ankomen wird.
Scbreibproben: Ich glaube     Ich     daß der
Hof   Ich
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16a Ma di chi è?
Egli vive sempre in una specie di angoscia, quasi che i Suoi lavori potessero essere ignorati. Egli vuole fare economia.
Credo che il consigliere aulico arriverà da Melnik questa settimana.
Prove di scrittura:     Io credo che egli
Corte io
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Ed adesso alcune considerazioni generali su questa discussione, che probabilmente avvenne in casa di Beethoven nel marzo 1823. Questo quaderno comprende 26 fogli, nel quale, purtroppo, manca il foglio 25, strappato ed asportato. Molti gli argomenti trattati in questo quaderno:  Il nipote Karl parla a Beethoven della madre, La questione della vendita della Fuga per quintetto d’ archi (poi Opus 137), ma soprattutto la proposta del Dottor Bach di fare adattare il Fiesco di Schiller quale libretto d’ opera da far musicare dal Maestro. Da diversi anni il maestro di Bonn cercava, con disperata, tipica compulsione, un soggetto  che potesse riaccendere la fiaccola della sua ispirazione  operistica. In questi tardi anni della sua vita si affacciano sui quaderni di conversazione decine di progetti, alcuni appena abbozzati, altri subito abortiti.

Le pagine si riempiono di vuoti titoli: Bacchus, Melusine, Dragomira, Attila, Antigone…. Sino ad arrivare al vertice dell’  ispirazione,  quel Faust di Goethe, la più grande delle passioni Beethoveniane, che interessò il compositore a più riprese, e senza che egli ne abbia mai scritto una sola nota. Contrastato, come sappiamo, il rapporto con Goethe, che portò nondimeno a numerose pagine vocali, come l’ Egmont, Opus 84, meno tormentato quello con Friederich Schiller, e, sebbene fecondo in misura minore, portatore di quella fiaccola che illuminerà  la favella nella nona sinfonia Opus 125.

Poche altre volte, difatti, si avvicinerà al suo tardo ispiratore con la nota scritta : forse un tentativo di musicare  « An die Freude » ancora a Bonn, giovinetto, come ci tramanda lo « Staatstrat » Bartolomaus Fischenisch in una lettera del 23 gennaio 1793 indirizzata proprio a Carlotte Schiller, figlia del poeta : « Le accludo una composizione del Feuerfarb, e desidererei conoscere la sua opinione in proposito. E’ di un giovane di qui, i cui musicali talenti sono generalmente magnificati, e che il principe elettore ha mandato ora a Vienna, a studiare con Haydn. Egli musicherà anche la Gioia di Schiller, strofa per strofa. M’ attendo qualche cosa di perfetto, poiché, per quanto ne so, egli è tutto portato verso ciò che è grande e nobile…. D’ altronde non si occupa di piccolezze, come quella che le accludo, composta soltanto per soddisfare il desiderio d’ una dama »

In seguito un piccolo abbozzo sul lied «In Einem Thal bei Armen Hirten », Biamonti 523, sino ad arrivare allo sbalorditivo « Gesang der Monche » tratto dal « Guglielmo Tell », WoO 104, nel quale la Religio laica si riflette come primigenio specchio  della ancora da venire MissaSolemnis.

La tormentata ricerca Beethoveniana sembra contraltare alla creazione del Fiesco o La congiura di Fiesco a Genova (Die Verschwörung des Fiesco zu Genua), tragedia in prosa in 5 atti che Friedrich Schiller (1759-1805) iniziò a vergare nel 1782 a Mannheim, subito dopo la creazione de  “I Masnadieri”. La scelta della città non è casuale, dal momento che Schiller si trovava in quel luogo avendo disertato dall’esercito del duca del Württemberg. Dopo l’ assunzione come direttore del teatro della stessa città (Teatherdichter) e dopo avere rielaborato ancora un paio di volte la tragedia, Schiller riuscì, nel 1784 a rappresentarla nello stesso teatro, ma la fortuna ottenuta con i “Masnadieri” non arrise al Fiesco, che pur diventando un classico della prosa tedesca, non raggiunse mai la popolarità della prima tragedia scritta dal prodigio di Marbach.

 

Così come nell’ Egmont di Goethe, quel che attrasse Beethoven fu lo spirito dello Sturm und Drang, ovvero eroi plutarchiani che stoicamente combattono e muoiono per i propri ideali. Sfondo storico, libertà, coraggio , rimandano il pensiero all’ Egmont, ma anche alla Leonora del Fidelio, nonché alla misconosciuta eroina della Leonore Proaska di Dunker. Obbedendo alle severe regole della verità storica, Schiller  prende spunto da un fatto realmente accaduto a Genova nell’ anno 1547.

Essendo Genova comandata dal vecchio Andrea Doria, filospagnolo, Gian Luigi Fieschi “il Giovane”, conte di Lavagna, della nobile famiglia dei Fieschi, capo del partito filofrancese, ordisce una congiura ripristinare le libertà della Repubblica di Genova che i congiurati ritenevano fossero state mortificate dal potere dittatoriale di Andrea Doria.

L’ insurrezione procede speditamente, ed i filo francesi sembrano impadronirsi con facilità delle difese della città, tanto che nella notte  precedente il 3 gennaio 1547 i congiurati riescono ad impossessarsi della darsena. In questa occasione viene trucidato il nipote di Andra Doria, Giannettino, forse da Vincenzo Calcagno, che pagherà il suo gesto pochi giorni dopo con la decapitazione a Montoggio.

Ed è solamente a questo punto che il fato gira le spalle ad i congiurati. Mentre  vengono prese d’ assalto le galee fedeli ai Doria, forse appesantito dalla pesante corazza, Gian Luigi Fieschi scivola da una passerella e cade in mare.

Trascinato a fondo dal peso stesso delle sue armi annega in poco tempo. Solo con la morte del venticinquenne comandante i congiurati sbandano e si danno alla fuga. La ritorsione dei Doria, come ci viene tramandata dal giovane  cardinale de Retz, e dallo storico scozzese William Robertson, fu terribile.

Dal giorno 12 gennaio 1547 incominciò la caccia ai Fieschi. Decapitati Gerolamo, Cybo ed altri congiurati, uccisi tutti i discendenti residenti a Genova. Incendiati e rasi al suolo i loro palazzi, compreso il famoso e magnifico Palazzo Fieschi in via Lata, venduti marmi ed arredi. Eliminati i possedimenti in Genova ed in Liguria,  che furono inglobati nel territorio della Repubblica, sequestrati i loro beni. I pochi superstiti, che fecero grande Genova, donandole due papi, papa Adriano V (Ottobono Fieschi) e papa Innocenzo IV (Sinibaldo de Fieschi) nonché Santa Caterina Fieschi Adorno (1447 – 1510) trovarono rifugio alla corte di Versailles.

La durezza della repressione, che si può comprendere solamente riflettendo su  quanto la gente ligure era devota al bene della libertà e della Repubblica, fece sì che gli scampati cambiassero persino cognome,   incominciando il rapido declino che porterà all’ estinzione della casata alla fine del diciottesimo secolo.

Esattamente rispettando la regola che già ebbi modo di dire, Schiller osserva l’ unità di luogo e di tempo: l’azione si svolge infatti nel palazzo del conte Fiesco a Genova e non si protrae per più di tre giorni, precisamente dalla mezzanotte del 31 dicembre 1547 alla notte fra il 2 e il 3 gennaio 1547.

Nella prefazione al libro, il poeta cita le fonti dalle quali trasse parte dei protagonisti della tragedia,  ovvero i libri summenzionati del Retz e del Robertson. Inoltre, dal procedere della trama, risulta evidente la libertà grazie alla quale  Schiller riesce a ricreare una trama funzionale alla sua opera.

Ecco i protagonisti, con la descrizione fisica e morale, così come ci viene proposta nella tragedia:
ANDREA DORIA Doge di Genova, un vecchio venerabile di ottant’anni, evidenti segni di un elevato spirito: le caratteristiche principali in questo carattere sono la dignità, la concisione, l’attitudine al comando.
GIANNETTINO DORIA Nipote del primo e pretendente al potere ducale, ventisei anni di età, rozzo e sboccato nel linguaggio, nel comportamento e nei modi, con un orgoglio volgare e caratteristiche disgustose. Entrambi i Doria vestono di porpora.
FIESCO Conte di Lavagna, capo della cospirazione, un giovane alto, bello, ventitré anni di età; il suo carattere è quello dell’orgoglio dignitoso e dell’affabilità maestosa; cortese, elegante e malizioso. I nobili vestono di nero.
VERRINA Un repubblicano deciso, sessanta anni di età; grave, austero, e inflessibile.
BURGOGNINO Un cospiratore, un giovane di venti anni; franco e simpatico, orgoglioso, svelto e spontaneo.
CALCAGNO Un cospiratore, un libertino magro di trenta anni; ipocrita e intraprendente.
SACCO Un cospiratore, quarantacinque anni di età, senza tratti caratteristici nell’aspetto.
LOMELLINO Uomo di fiducia di Giannettino, un cortigiano.
LEONORA Moglie di Fiesco, diciotto anni di età, grande sensibilità; esile e pallida, fine e sensibile, volto malinconico. Veste di nero
GIULIA Contessa vedova del nobile Imperiali, sorella del più giovane dei Doria, venticinque anni di età; una civetta orgogliosa, alta e formosa nella persona, la sua bellezza è guastata dall’affettazione, carattere maligno, espressione sarcastica. Veste di nero.
BERTA Figlia di Verrina, una ragazza innocente.
ROMANO Un pittore, franco e semplice con l’orgoglio del genio.
MULEY HASSAN Un moro di Tunisi, un carattere molle, una miscela originale di bricconeria ed umorismo.
ROSA, ARABELLA Domestiche di Leonora.
UN TEDESCO Del corpo di guardia ducale, di semplicità onesta e comprovato valore.
CENTURIONE, CYBO, ASSERATO Tre cittadini sediziosi

La trama, scritta a suo tempo con due finali diversi, per venire incontro alle esigenze della censura, è abbastanza vicina alla realtà dei fatti. Il tiranno di Genova non è Andrea Doria, ma suo nipote Giannettino. (e questo si può considerare veritiero: Andrea Doria, già minato dalla gotta era perlopiù confinato nel suo suntuoso palazzo)
Per Schiller il grande ammiraglio Andrea Doria aveva reso più forte e prospera la repubblica di Genova e, sebbene avesse poi trasformato il dogato in signoria, aveva conservato le libertà repubblicane di Genova. Il suo successore, il nipote Giannettino Doria, è invece un despota iracondo e volgare il cui regime provoca presto a Genova una congiura contro i Doria ordita da Verrina, ardente repubblicano, la cui figlia Berta era stata violentata da Giannettino.

Anche per Schiller, come per il cardinale de Retz, Fiesco, conte di Lavagna, apparentemente è uno dei tanti eroi plutarchiani che in nome della patria e della libertà si ribellano all’oppressione e viene perciò facilmente convinto da Verrina a unirsi alla congiura. La congiura è coronata da successo: i Doria sono rovesciati, Giannettino viene ucciso e i repubblicani si illudono di aver riconquistato la libertà. Sennonché anche Fiesco, che si fa proclamare doge, aspira alla signoria: la sua smisurata ambizione è sorda perfino all’amore della moglie Leonora e alle proteste dell’onesto Verrina.
Costui si rende conto che Fiesco non è un novello Bruto, un vendicatore delle libertà repubblicane, ma un novello Cesare, un aspirante tiranno, e come tale dovrà essere fermato: non a colpi di pugnale, ma gettato in mare con uno spintone. Il vero Bruto, l’austero repubblicano Verrina, si rivolgerà al vecchio Andrea Doria chiedendogli di reggere nuovamente la città e garantirle la pace.

Concludendo, quale fu  la molla psicologica che spinse il Dottor Johann Baptist Bach a proporre al compositore proprio questo dramma, per tanti versi così lontana dalla loro esperienza Mitteleuropea? La trasposizione della fedeltà della Leonora del Fidelio diventa qui una fedeltà a livello ancora più alto, ovvero dedizione al bene della Repubblica. « Si formeranno Repubbliche un po’ ovunque, in Europa » aveva detto con spirito premonitore lo stesso Beethoven. In questo senso il vero Eroe è Verrina, uomo disposto a ridare il comando della Repubblica al vecchio tiranno Andrea Doria : tiranno, si, ma illuminato. Il tempo, il procedere dell’ ultima malattia muteranno in muto pentagramma il Fiesco, ma forse, a pensarci bene, come disse Grillparzer, « oramai Beethoven si era talmente abituato a concedere una libertà d’ azione sconfinata alla sua fantasia, che nessun libretto al mondo avrebbe potuto contenerne gli sfoghi entro i dovuti limiti.”

BIBLIOGRAFIA:
Numerose le pubblicazioni sulla vita e sull’ opera di Schiller, delle quali non farò menzione.
Indispensabile il volume di Agostino Mascardi “La congiura del conte Gio. Luigi de’ Fieschi”  Gammarò  Editore, 2007 ISBN: 8895010264
Interessante il volume I Fieschi: potere, chiesa e territorio di Marina Firpo  Frilli Editori
Una scoperta unica fu la rappresentazione fatta nell’ ambito delle iniziative culturali di Genova, capitale della cultura 2004, messa in scena mercoledì 15 dicembre 2004, con adattamento di Tonino Conte.