Opus 129 Rondo’ a capriccio per Pianoforte

Die Wut über den verlorenen Groschen

Opus 129 – Rondò a capriccio per Pianoforte – 1795-1798. GA. n. 191 (serie 18/9) – B. 129 – KH. 129 – L. IV, p. 301 – N. 129 – T. 289.

La prima pubblicazione di questo Rondò, rimasto ignoto per tutta la vita di Beethoven, ebbe luogo nel gennaio 1828 a Vienna, per opera dell’editore Diabelli. Il titolo era seguito dalle parole: “Dieses unter L. v. Beethoven’s Nachlasse vollendet vorgefundene Capriccio ist im Manuscript folgender Massen betitelt: « Die Wuth uber den verloren Groschen) ausgetobt in einer Caprice»” (Questo compiuto Capriccio trovato fra le carte della Successione Beethoven è intitolato nel manoscritto: «La collera per il soldo perduto sfogata in un Capriccio»).

Su tale pubblicazione, non avendo il Diabelli dato mai comunicazione del manoscritto originale, si dovette basare a suo tempo, in mancanza di altre fonti, anche quella della GA. Soltanto la scoperta del manoscritto originale avvenuta nel 1945 in una collezione privata a Providence negli Stati Uniti e la sua pubblicazione nel 1950 a cura di Otto von Irmer (Henle Verlag, Munchen – Duisburg) hanno permesso di stabilire con sicurezza l’epoca, il titolo e la stesura originale della composizione; ed in conseguenza anche l’ entità del lavoro di revisione e completamento fatte dal Diabelli.

Le particolarità della scrittura, la forma dei segni di ritornello, la grafia stessa delle note, l’epoca, storicamente indubitabile, di altre composizioni abbozzate che si trovano nell’ultima pagina del manoscritto inducono a concludere che il Rondò appartenga interamente ad un periodo di tempo fra il 1795 e il 1798, senza aggiunto né modificazioni posteriori. Il suo vero titolo è: “All’ingherese, quasi capriccio“; l’annotazione relativa alla collera per il soldo perduto è di un’altra calligrafia. Il manoscritto ha qualche lacuna, che l’editore Diabelli o chi per esso (lo Czerny forse, o qualche altro) si sono creduti in dovere di completare di propria iniziativa.

Nella pubblicazione del 1950 curata dall’Irmer questi completamenti, come pure l’interpretazione data ad alcuni punti non chiari della scrittura originale, sono stati messi in evidenza da un carattere tipografico più piccolo, così che è possibile individuarli a prima vista ed eventualmente discuterli. Per riempire le battute del basso rimaste vuote qua e là, il revisore si è basato sull’analogia che i passi da completare presentavano con altri simili e compiuti, o uniformandosi a comuni regole di condotta armonica; ci si può domandare se Beethoven si sarebbe regolato nello stesso modo o se avrebbe evitato procedimenti troppo uniformi.

(Possiamo anche immaginare che, ove si fosse deciso a dare al suo lavoro un assetto definitivo per la stampa, egli lo avrebbe probabilmente ritoccato, com’era suo costume, in chissà quanti altri punti). D’altra parte è da deplorare che siano state omesse le battute 25-32 del primo couplet, a scapito dell’equilibrio formale. Ma con tutto questo non ci sembra che la redazione Diabelli possa dirsi troppo infedele o arbitraria. Alcuni studiosi di fine secolo come il Bulow, il Thayer-Riemann e il Bekker, attribuiscono l’opera, almeno in parte, all’ultimo periodo della creazione artistica di Beethoven; altri più vicini all’epoca del maestro, come lo Czerny, il De Lenz e il Marx, l’avevano già considerata come un lavoro giovanile.

Il titolo Alla ingherese sta, secondo lo Hertzmann, per Rondò all’ongarese, una delle forme favorite di composizione alla fine del ‘700, a cui ricorse più di una volta anche Haydn, per esempio, nei Finali del Concerto per pianoforte (1784) e del Trio in sol maggiore (1795). L’aggiunta “quasi capriccio” sarebbe stata determinata dalla libertà di svolgimento che si nota dopo la quarta esposizione del ritornello, a partire dalla battuta 157 e sino alla fine: cioè per tutta una specie di seconda parte (molto più lunga della prima). Si è detto che la frase di riferimento alla collera per un soldo perduto (ispiratrice allo Schumann, come è noto, di una spiritosa pagina critica), è di calligrafia diversa. Dovrà considerarsi fondata probabilmente su qualche parola del maestro più o meno esattamente riferita o interpretata, o connessa con qualche circostanza aneddotica.

Composto a Vienna nel 1794/95. La prima edizione apparve postuma nel 1828 presso Diabelli & Co. a Vienna. La datazione di questo brano  si desume sia dalle informazioni contenute nella trascrizione dell’op. 129 che dagli abbozzi sopravvissuti tra quelli per il primo concerto per pianoforte ed orchestra Opus 15 e una sinfonia incompiuta in do maggiore.

Esiste poi anche una copia, dello stesso periodo,  di mano di Beethoven, del trio per pianoforte Sol maggiore Hob XV: 25 di Joseph Haydn, in stile zingaresco. (Vedere sul nostro Centro di Ricerche IX) Trascrizioni da Joseph Haydn)

Una prima stesura completa dell’op. 15 fu probabilmente completata alla fine del 1794 o all’inizio del 1795, per uno dei concerti del 29 marzo e del 18 dicembre dell’ anno successivo; inoltre Beethoven abbozzò la sinfonia incompiuta dal 1794 al 1796 (vedere Unvollendete 2 Schizzo d’un movimento di sinfonia (Già Biamonti 73) Queste circostante delimitano la data di composizione dell’ opera attorno al 1794/95. Hertzmann (Op. 129 pp. 184-188), nel suo fondamentale saggio sulla scrittura autografa dell’op. 129, notò ulteriori parallelismi strutturali e stilistici al già citato movimento del trio di Haydn.

Il maestro di Rohrau compose il trio al più tardi nell’aprile del 1795, lo stesso anno in cui apparve la prima edizione a Londra (Haydn GA / Piano Trios p. 356). Beethoven avrebbe potuto quindi visionare l’opera solo dopo il ritorno di Haydn da Londra, nell’agosto 1795.

Al contrario, Jos van der Zanden, considera la data della prima esecuzione del Concerto per pianoforte op.15 il 29 marzo 1795, e conclude che il trio non può esser la fonte d’ ispirazione per l’opera di Beethoven. Per il musicologo e compositore olandese il  il Rondo a Capriccio fu pensato prima del marzo 1795, probabilmente nel 1794 (Zanden / Ingharese pagina 119).

Carl Anton Spina, socio amministratore della casa editrice musicale Anton Diabelli & Co. dal 1824, acquistò diversi autografi all’asta della “successione Beethoven” il 5 novembre 1827 a Vienna, compreso il Rondò.

Il brano fu pubblicato e pubblicizzato dalla  Wiener Zeitung il 9 gennaio 1828.  Una nota a piè pagina sulla prima pagina dell’edizione originale afferma che il lavoro è stato trovato “completo”. Diabelli nascose il fatto che furono fatte delle aggiunte, soprattutto nelle figure di accompagnamento e nelle armonie della mano sinistra.

Ulteriori differenze dal modello autografo riguardano battute mancanti; tanto che Hertzmann (Op 129), classifica l’edizione di Diabelli come arrangiamento: “un arrangiamento fatto da qualcuno non abbastanza scrupoloso da preservare le intenzioni di Beethoven”.

Robert Schumann, che visionò l’opera divenne attorno al 1835, scrisse: “Non c’è niente di più divertente di questo “Schnurre”. Ho dovuto ridere tutto d’un fiato quando l’ho suonato per la prima volta l’altro giorno” (NZfM 2, 1835, vol. 2, 3 Marzo 1835, pagina 73). Per quanto riguarda il numero d’opera, il numero 129, che rimase vacante sino al 1827, fu inizialmente destinato da Schott per il quartetto d’archi op.131. Nel 1837 il Rondo fu incluso nel “Catalogue des Oeuvres” di Artaria del 1837 come op. 129, seguito dalla B & H / nel 1851. Spina, successore legale di Diabelli, pubblicò un arrangiamento per pianoforte a quattro mani nel 1857 senza numero d’opera.

L’opera scritta autografa ha due titoli autografi: al testo musicale che inizia sulla foglio 1versus è assegnato il titolo “Alla ingharese quasi un Capriccio” annotato a margine; Sul foglio 1recto si può notare una aggiunta “Leichte Kaprice”, successivamente aggiunto a matita, forse utilizzato per identificare gli schizzi annotati sul foglio 1 recto e non aveva quindi un carattere “ufficiale”. Sempre sul primo foglio esiste, probabilmente autografo di Anton Schindler, un titolo che si potrebbe tradurre in italiano “La rabbia per un soldino perduto che si sfoga in un capriccio”. La prima edizione postuma a cura di Anton Diabelli è intitolata semplicemente “Rondo a Capriccio” e fa riferimento ad una nota a piè di pagina al titolo probabilmente annotato da Schindler nella trascrizione dell’opera autografa.

Autografi e schizzi: US-NYpm, Robert Owen Lehman Deposit, B4155.R771. Data: agosto e dicembre 1795 (Johnson / Fischhof vol. 1 p. 152). Sul foglio 4versus schizzi per la sinfonia incompiuta in Do del 1794-1796 (Opere incompiute Unv 2) e per l’op. 15. 4 fogli; Pagina 1 recto schizzi per op. 129, 6 pagine spartiti musicali 1v-4r. Carta: formato orizzontale, 22 x 32 cm. Provenienza: “Successione Beethoven” numero 185.

L’ Opus 129 fa parte del progetto La ricerca diventa Arte

Una nuova vita per le opere di Ludwig van Beethoven: Un’ esplorazione artistica a cura del pianista maestro Emanuele Stracchi

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