Opus 125 Sinfonia n. 9 in re minore con coro finale sull’ode alla gioia di Schiller per orchestra, quattro voci soliste (soprano, contralto, tenore e basso) e coro

I) Allegro ma non troppo, un poco maestoso – II) Molto vivace – III) Adagio molto e cantabile, andante moderato – IV) Finale sull’ inno “An die Freude” di Schiller

Opus 125 Sinfonia n. 9 in re minore con coro finale sull’ode alla gioia di Schiller per orchestra, quattro voci soliste (soprano, contralto, tenore e basso) e coro, op. 125, dedicata al re Federico Guglielmo III di Prussia, 1822-febbraio 1824, pubblicata a Magonza (partitura, parti separate e riduzione per canto e pianoforte dell’ultimo tempo), Schott, fine agosto 1826. GA. n. 9 (serie 1/9) – B. 125 – KH. 125 – L. IV, p. 168 -N. 125 – T. 238

Il manoscritto originale si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino; così pure una parte di controfagotto del quarto tempo. Un foglio con le prime due battute della Coda dello Scherzo e le parti di trombone del secondo e quarto tempo sono conservati nel fondo Bodmer della Beethovenhaus, una parte dell’introduzione strumentale al solo del tenore (Marcia) del quarto tempo si trova nella biblioteca del conservatorio di Parigi. Gli abbozzi sono riportati dal NotteBohm. Orchestra: flauto piccolo (in alcune parti del Finale), flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto (in alcune parti del Finale), 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni (nello Scherzo e in alcune parti del Finale), timpani, triangolo, piatti e grancassa (in alcune parti del Finale), archi.

Quattro anni separano la Settima e l’Ottava Sinfonia (1812) dai primi bagliori nella fantasia beethoveniana di quella che dovrà essere poi la Nona; ma alcuni elementi fondamentali, musicali ed ideologici, che in essa trovano coordinamento e sviluppo, risalgono ad epoca molto anteriore. Abbiamo ricordato a suo tempo i vari precedenti: la lettera di Fischenich a Carlotta Schiller del 23 gennaio 1793, in cui si parla dell’intenzione del giovane maestro di «musicare strofa per strofa la Gioia di Schiller», il Gegenliebe del 1795, l’abbozzo Muss ein lieber Vater wohnen del 1798-99,3 la Fantasia per pianoforte, orchestra e coro del 1808, l’appunto per l’ode schilleriana fra gli abbozzi dell’ Ouverture « per l’onomastico » del 1815.

A partire da quest’ultimo anno però cominciano ad apparire degli abbozzi in cui le idee musicali che troveranno poi ampio sviluppo nella futura sinfonia si vengono facendo man mano sempre più chiare e determinate. In un quaderno dello stesso 1815, dopo gli ultimi lavori per la Sonata in re maggiore op. 102 n. 2 per pianoforte e violoncello, si trova uno spunto di fuga il cui tema diverrà poi quello dello Scherzo della Nona. Verso la fine di un altro quaderno, che va dal maggio 1815 al maggio 1816, è riportato il medesimo spunto con le parole: Sinfonia al principio soltanto quattro voci; due violini, viola, violoncello, bassi in mezzo forte, con altre voci e se possibile lasciare entrare man mano ogni altro strumento.

Esso riappare in un quaderno del 1817, ove si trovano anche molti abbozzi del primo tempo, fra quelli del primo tempo della Sonata op. 106 per pianoforte. Nessun accenno del terzo e quarto tempo. Della seconda metà del 1818 è l’annotazione di Beethoven: “Adagio cantico. Canto religioso per una Sinfonia negli antichi modi: « Herr Gott dich loben wir. Alleluja » in un modo indipendente o come introduzione ad una fuga. Forse in questa seconda maniera l’intera Seconda Sinfonia potrebbe essere caratterizzata con l’entrata delle voci nel Finale o già nell’Adagio. Decuplicare i violini dell’orchestra, ecc., per l’ultimo movimento. O l’Adagio sarà in qualche modo ripetuto negli ultimi pezzi in cui le voci poi entrano gradatamente. Nell’Adagio come testo un mito greco o un cantico di chiesa: nell’Allegro festa a Bacco”.

Gli anni dal 1819 al 1822 sono dedicati principalmente ad altre varie opere: le Sonate per pianoforte op. 109, 110, 111, la Messa solenne, l’Ouverture op. 124, il coro per la Consacrazione della casa, ma, ultimati gli abbozzi di questi lavori, Beethoven riprende la Sinfonia e vi si dedica quasi esclusivamente. Nell’estate o nell’autunno del 1822 i lavori del primo tempo sono abbastanza avanti; e per la prima volta in un appunto figurano le parole e la musica dell’ode Alla gioia. (Di altri numerosi abbozzi del periodo 1817-1823, riferiti alla Sinfonia ma rimasti inutilizzati, è data notizia ai Biamonti 686, Biamonti 746 e Biamonti 779).

Una conversazione di Beethoven con Rochlitz dell’estate 1822 conferma l’intenzione, da lui già manifestata negli appunti del 1818, di scrivere due sinfonie. La prima, destinata alla Società Filarmonica di Londra, con la quale il maestro era in trattative dall’aprile e di cui ebbe l’incarico ufficiale con lettera del 20 dicembre, avrebbe dovuto essere in origine tutta strumentale. L’altra, la tedesca, sarebbe stata invece concepita in funzione di un coro finale, che, in principio non bene determinato, avrebbe poi preso consistenza nell’ode di Schiller. Ma infine Beethoven fuse i due progetti in una unica realtà trasportando, dopo una serie di tentativi, il coro di Schiller nella sinfonia, che divenne la Nona attuale, e fu così inviata poi alla filarmonica suddetta. I temi abbozzati per il Finale alternativo permearono nel Finale del Quartetto in la minore op. 132. In questa pagina viene proposta la ricostruzione di questo finale alternativo, a cura del compositore tedesco Gerd Prengel. (Vedere immagine a fondo pagina)

Nell’aprile del 1823 il secondo tempo è già tutto fissato in abbozzi. Un quaderno del maggio-luglio ne porta altri molto vicini a quelli definitivi del primo e terzo tempo. L’Adagio è ultimato ad ottobre. Nell’estate-autunno Beethoven riprende anche a lavorare intorno all’ode schilleriana. L’introduzione strumentale del Finale lo occupa dal luglio a tutta la seconda metà dell’anno stesso. Nel febbraio 1824, cioè otto anni dopo i primi abbozzi, la sinfonia è pronta in partitura. L’idea di Beethoven, che da tanti anni pensava all’ode di Schiller, fu, passando dall’espressione indefinita puramente strumentale alla determinazione della parola cantata e accompagnata dagli strumenti, quella di giungere, pur restando nel campo di una celebrazione essenzialmente musicale, alla più vibrante esaltazione di un concetto suscettivo di per sè stesso di vivificazione lirica.

Ed è innegabile che, penetrando gradatamente a fondo nelle varie parti della Sinfonia, tutto diventa sempre più omogeneo; l’introduzione e l’essenza stessa dei vari momenti corali appaiono sempre più legate fra loro e con il testo dell’opera nella celebrazione di un sentimento universale di fratellanza e di gioia, a cui si unisce inscindibilmente l’idea della bontà e della libertà, in seno alle quali tutti possono veramente ed umanamente dirsi felici. I quattro tempi della Sinfonia non vanno però considerati con i criteri interpretativi e descrittivi di un poema sinfonico nel senso più usuale e comune della parola.

La loro connessione è di carattere più essenzialmente musicale e profonda. Tre differenti stati d’animo: tragico, appassionato — fantastico, mutevole (giuoco di elementi impalpabili di passione) — contemplativo (aspirazione, affetto, speranza), di fronte ai quali la voce umana interviene per determinare il quarto tripudiante e risolutivo in cui l’elemento strumentale sottolinea, potenzia, integra i sentimenti espressi dalla parola con le variazioni di un eloquente tema primordiale piegato ad espressioni diverse. A questo risultato organico però Beethoven giunse dopo molti tentativi e in un modo del quale poi non sappiamo se egli sia rimasto alla fine soddisfatto. II canto sarebbe dovuto entrare nell’insieme come sostanza nella sostanza, illuminando retrospettivamente di una chiara luce le pagine strumentali precedenti e sciogliendo nell’ultimo tempo in modo inequivocabile il nodo di un’azione viva, per quanto latente, fin dal primo. Ma non era facile trovare la forma di passaggio dal campo della musica pura, che in un certo senso non bastava più, a quello della parola musicata, che sarebbe potuta apparire anche troppo determinata o grossolana.  Gli abbozzi riportati dal Nottebohm sono a questo riguardo molto significativi.

Per prima si trova una frase incompiuta, che suona pressappoco così: “Non questo … ricordiamoci della nostra disperazione”, sopra un preludio-recitativo al quale verosimilmente essa appartiene. Poi ad un tumultuoso passo strumentale, già abbastanza simile a quello che costituirà nella redazione definitiva il Presto introduttivo del Finale, seguono, sempre in forma di recitativo, le parole: “Oggi è un giorno solenne: che sia celebrato con il canto”.

Dopo una ripetizione del passo tumultuoso strumentale l’orchestra continua con le misure iniziali del primo tempo, e il recitativo riprende: “Oh no, non questo; qualche cosa di differente e di più piacevole è quel che io cerco”. Segue il tema dello Scherzo, così commentato dal recitativo: “Neppur questo! non è affatto meglio, ma soltanto più allegro”. Poi alcune misure dell’Adagio, interrotte da un altro recitativo: “Anche questo è troppo tenero; si deve cercare qualche cosa di più sveglio, come… vedrò io stesso di cantarvi qualche cosa, le voci non avranno che a seguirmi”. Infine appaiono le prime battute del tema della gioia (strumentali), a cui la voce risponde: “È questo! infine l’abbiamo trovato!” (recitativo), e poi: “Gioia, bella scintilla di Dio ...”(sopra il tema suddetto). Quest’ultimo doppio aspetto (recitativo e melodia) è successivamente sviluppato in una forma già molto prossima a quella dell’entrata del basso: “Amici, non questi suoni…“, ecc., della redazione definitiva.

In seguito Beethoven pensa ad una introduzione più breve, soltanto sinfonica. Egli scrive infatti, dopo varie interruzioni: “Lasciateci cantare il poema dell’immortale Schiller“, e entra subito dopo in argomento col noto canto: “Gioia, bella scintilla di Dio…“, poi ancora riporta il passo strumentale tumultuoso, facendolo seguire dalle parole: “Basso: Non questi suoni… più lieti; Voce: Gioia, Gioia!” e dallo spunto del tema.  Il crudo schematismo di tali progetti è mitigato e svolto nella redazione definitiva, la cui linea, dopo l’introduzione tumultuosa, passa dal contrasto fra un ampio recitativo di violoncelli e contrabbassi ed un’espressione più propriamente strumentale (richiamo dei tempi precedenti) all’esposizione e allo sviluppo, nell’orchestra, del tema strofico della gioia, portato fino alla maggiore magnificazione, poi sospeso, sviato e risolto, dopo un altro e più aspro grido essenzialmente strumentale, nell’entrata del basso: “Amici, non questi suoni, ma lasciateci intonare dei canti più graditi e gioiosi!” (O Freunde, nicht diese Töne! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen, und freudenvollere!). A queste parole (le uniche rimaste di tutte quelle pensate da Beethoven in un primo tempo, come sopra è riportato) segue, pure nel solista e sul noto tema, l’invocazione schilleriana, alla cui prima parola: Gioia! fa due volte eco il coro acclamante dei bassi.

Come si è già accennato, la Nona Sinfonia fu composta per la Società Filarmonica di Londra, ma questa ricevette il manoscritto solo dopo la prima esecuzione, che ebbe luogo a Vienna, al teatro di Porta Carinzia, il 7 maggio 1824, con grande successo di pubblico, ma scarso esito finanziario a causa della deficiente organizzazione amministrativa. L’opera fu poi dedicata ufficialmente al re Federico Guglielmo III di Prussia. Nell’occasione di una esecuzione della Nona, da lui diretta a Dresda la Domenica delle Palme del 1846, Riccardo Wagner scrisse un programma illustrativo servendosi per l’interpretazione della musica, fino all’entrata della parte vocale, di frammenti del Faust goethiano. Una tale interpretazione può essere criticabile, ma rimane pur sempre nella sfera di una generica affinità spirituale che l’autore ha creduto di poter ravvisare fra elementi espressivi musicali e poetici. Non ci sembra di poter dire altrettanto della interpretazione dello Schering che vuole stabilire la rispondenza dei singoli momenti della musica con quelli di alcuni testi poetici di Schiller per i primi tre tempi (Gruppo del Tartaro – La danza – La felicità) e fa dell’ultimo il quadro particolareggiato, come se si trattasse di una rappresentazione mimata e cantata, di una celebrazione dionisiaca.

Nel primo tempo, dalla misteriosa introduzione alla prima irruzione del tema, alle varie formulazioni musicali di un anelito molteplice che sembrano ora interrogare con dolcezza ora avvolgersi in tempestosi grovigli, o spezzarsi, o disperdersi, o effondersi in voci di pianto, attraverso le complicazioni d’una forma che, pure osservando nelle linee fondamentali le regole dello schema classico, ne ingrandisce ogni elemento, è tutta una serie di contrasti, di lotte, di accasciamenti, di nuove lotte che la perorazione finale eleva al più alto livello tragico. Il secondo tempo è basato nella sua prima parte su una figura ritmica già magnificata da Beethoven nell’Allegro iniziale della Settima Sinfonia e introdotta anche nel Finale del Quinto Concerto per pianoforte e orchestra; è di una animazione ricca di elementi fantasiosi che si intramezzano ad episodi di un umorismo ora ruvido, ora sentimentale. La freschezza del Trio ci richiama ad uno stato di serenità che fa pensare alla Sinfonia Pastorale.

L’anima inquieta vi trova un riposo: ma solo temporaneamente, ché la prima parte ritorna con la sua inesausta corsa di note, per arrestarsi infine, dopo un altro breve accenno a quella medesima pace, in uno scatto che sembra quasi irosamente troncare ogni ulteriore lusinga. Il terzo tempo inizia con un Adagio molto e cantabile, specie di grave e dolce preghiera, a cui sembra rispondere, con la movenza di un’aria di danza idealizzata, un tema più umanamente appassionato (Andante moderato). La prima variazione dell’ Adagio è di una maggiore grazia persuasiva, a cui risponde nuovamente il dolce Andante. L’Adagio riprende una terza volta negli strumenti a fiato, misticamente raccolto, per elevarsi poi nella più ampia forma della magnificazione lirica (variazione dei violini, melodia originaria negli strumenti a fiato su accompagnamento degli altri archi e dei timpani), due volte interrotto da appelli che potremmo quasi chiamare « di battaglia » e ripreso con effusione sempre più intensa fino alla conclusione. (Per lo sviluppo dato originariamente a questo secondo tema, v. il n. Biamonti 779).

Come un brusco risveglio un Fortissimo di tutti gli strumenti a fiato attacca il Finale, ma sono poche battute; e subito dopo si leva a contrasto il recitativo dei violoncelli e contrabbassi alle cui frasi l’orchestra oppone di volta in volta gli spunti tematici dei tempi precedenti della sinfonia.  Il  contrasto si risolve nell’entrata di una melodia che ha l’ampiezza serena, la confidenza, la semplicità di un inno religioso a tinta popolare. Intorno a questa melodia, esposta in principio linearmente pianissimo dai soli violoncelli e contrabbassi, vengono ad intrecciarsi man mano in contrappunto altre parti dando luogo ad uno sviluppo gradatamente più complesso; dal quale poi infine essa torna a riemergere nella forma monodica originaria, accompagnata ora dalla piena orchestra. Ma anche questa si frammenta ed irrompe di nuovo, più aspro, il grido strumentale dell’inizio, fortissimo.

Subito dopo si leva la voce del corifeo (baritono), sul tema già del recitativo strumentale, con le parole: “O Freunde, nicht diese Töne! sondern lasst uns angenehmere anstimmen und freudenvollere” (Amici, non questi suoni! Ma lasciateci intonare dei canti più graditi e gioiosi). Parole, com’è noto, immaginate da Beethoven e da lui introdotte quasi ad invocare il soccorso del canto umano, per celebrare in forma concreta e definita il sentimento consolatore. Dopo l’invocazione: Gioia! riecheggiata dai bassi, il corifeo intona il canto sul tema della melodia che già l’espressione strumentale aveva parimenti magnificato: “Gioia, bella scintilla di Dio, figlia dell’Eliso, noi entriamo ebbri d’ardore, o  Celeste, nel tuo santuario. I tuoi incanti ricongiungono quello che la moda ha rigidamente separato; tutti gli uomini divengono fratelli dove la tua dolce ala si posa“. Il coro ripete la seconda strofa; poi il quartetto dei solisti prosegue con la melodia medesima: “Colui, al quale è toccata la grande ventura di essere amico dì un amico, colui che ha ottenuto una dolce donna unisca alla nostra la sua gioia! Si, chi anche soltanto un’anima può chiamare sua sulla terra! E chi non lo ha potuto si involi piangendo da questa riunione“.

L’orchestra imita per alcun po’ le armonie dell’organo. La fede si definisce e raccoglie: “Vi prosternate, o milioni ? Senti tu il Creatore, o mondo ? Cercalo sopra la volta stellata! Egli deve abitare sopra le stelle!”

I due elementi celebrativi, l’umano e il divino, pervasi dallo stesso entusiasmo, vengono ripresi ed intrecciati dal coro e dall’orchestra con energica animazione. Seguitando, solisti e coro tornano a riprendere i versi iniziali dell’ode con una animazione quasi frenetica. Dopo un’ultima, calda invocazione del quartetto vocale, la celebrazione assume un deciso aspetto di tripudio popolare che conclude tumultuosamente, pur in mezzo a qualche altro momento di estatica sospensione.

L’ode schilleriana è stata musicata da Beethoven solo parzialmente e seguendo un ordine diverso dall’originale nella successione delle varie strofe. Ne riportiamo il testo integrale tedesco con la traduzione italiana.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

FRIEDRICH SCHILLER – AN DIE FREUDE

O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere.
Freude! Freude!

Freude, schöner Götterfunken
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum!
Deine Zauber binden wieder
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,

Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein;
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein!
Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer’s nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund!

Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur;
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihrer Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der Cherub steht vor Gott.

Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt’gen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Brüder, über’m Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such’ ihn über’m Sternenzelt!
Über Sternen muß er wohnen. »

« O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.
Gioia! Gioia!
Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisi,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò
ogni uomo s’affratella
dove la tua ala soave freme.
L’uomo a cui la sorte benevola,
concesse il dono di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, – chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c’è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
vanno i buoni e i malvagi
sul sentiero suo di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare! »

Titolo ufficiale: Opus 125 Symphonie Nr. 9 (d-moll) mit Schlusschor über Friedrich Schillers Ode „An die Freude“ für Soli, Chor und Orchester Widmung: Friedrich Wilhelm III. König von Preußen NGA 1/5 AGA 9 = Serie 1/9 Beiname: Chorsymphonie.

Creazione e pubblicazione: sostanzialmente elaborata tra la primavera del 1823 e il febbraio 1824. Tra il 1815 e il 1820 Beethoven scrisse ripetutamente schizzi pianificando una sinfonia. Solo dopo il completamento della Missa Soleminis riprese seriamente il progetto, attorno all’ ottobre 1822, per poi abbandonarlo nuovamente dal febbraio/marzo 1823 circa a favore delle Variazioni Diabelli op.120. In questa ulteriore fase si dedicò quasi esclusivamente alla sinfonia fino al completamento della partitura autografa nel febbraio 1824. L’edizione originale in partitura e parti apparve in agosto, la riduzione per pianoforte dell’ultimo movimento fu pubblicata da Schott a Magonza nel settembre 1826. Secondo un messaggio di Bartolomäus Fischenich a Charlotte von Schiller, Beethoven intendeva già nel 1792/93 comporre un “An die Freude” di Schiller come Lied (lettera del 26 gennaio 1793 in D-WRgs, GSA 83/1734). Le annotazioni del 1798/99 per una canzone in do maggiore con il testo „muß ein lieber Vater wohnen“ possono essere trovate in un quaderno di abbozzi (DB, Mus. ms. Beethoven Grasnick 1, Bl. 13r già disponibile sul Centro Ricerche Musicali. Biamonti 189 ). Forse in Biamonti 189 Beethoven stava rivedendo parti di un Lied composto in precedenza. Il 13 settembre 1803 Ferdinand Ries offrì quindi “An die Freude” all’editore Simrock di Bonn insieme ad altre composizioni che, secondo lui, erano state composte quattro anni prima (BGA 155). La canzone è ora perduta (Hess 143; Lühning/NGA XII/1 KB p. 7, Brandenburg/Op. 125 p. 89f). Degli anni 1811/12 (secondo Hans-Werner Küthen anche dal 1813) esistono abbozzi ancora per l’ode di Schiller. Appartengono al cosiddetto taccuino di Petter e vi si trovano, tra l’altro, nel contesto dell’ Ouverture op. 115 (Küthen/NGA II/1 KB p. 18f, 25; Küthen/Op.125 p. 49-51; Brandeburg/Petter Fig 2-3; Küthen vede nelle Misericordias Domini KV 222 di Mozart un modello per l’impostazione successiva dell’ode nella 9a sinfonia, cfr. Küthen/Opl25; la somiglianza melodica era già stata evidenziata nel 1854, cfr. NiederrheinischeMusik-Zeitung2, 1854, Literaturblatt 4, 29 aprile 1854, p. 15).

Il terzo movimento fu probabilmente elaborato in autunno, e infine il finale fu scritto nel dicembre 1823 (per la cronologia e le prove documentali, cfr. Albrecht/Op. 125). Nel febbraio 1824 la sinfonia era probabilmente completa. Già prima della prima esecuzione Beethoven commissionò una copia della partitura, che fu realizzata nei primi tre mesi del 1824. Detta copia servì come spartito per il direttore d’orchestra e successivamente come modello per l’incisore dell’  l’edizione originale. La nona sinfonia fu menzionata per la prima volta a un editore nel 1822 in una lettera di Johann van Beethoven ad Antonio Pacini a Parigi (BGA 1518 del 27 dicembre 1822). Ludwig van Beethoven la offrì ufficialmente a Maurice Schlesinger a Parigi il 25 febbraio 1824: „Auch biethe ich Ihnen die Partitur einer ganz neuen grossen Symphonie, welche aber erst 1825 herausgegeben werden kann. Dazu gehört ein grosses Finale mit Chören u. Solostimmen, auf dieselbe Art, doch größer ausgeführt, als meine Clavierphantasie [Op. 80]“ (BGA 1782). Altre offerte furono fatte il 10 marzo 1824 a Probst a Lipsia e Schott a Magonza: „eine neue große Sinfonie, welche mit einem Finale (auf Art meiner Klawier-Fantasie mit Chor) jedoch weit größer gehalten mit Solo’s u. Chören von Singstimmen die worte von Schillers unsterbl. bekannten lied an die Freude schließt“ (BGA 1787). Beethoven aggiunse a Probst: „Freylich ist bey dieser Sinfonie die Bedingung, daß selbe erst künftiges Jahr 1825 im Juli erscheinen dörfte, jedoch würde ich für diesen langen Zeitraum auch ihnen gern den Klawieraus-zug Unentgeldlich verfaßen“ ( BGA 1788). Nessuna conclusione fu raggiunta con Schlesinger o Probst, ma Schott poté riferire il 19 luglio 1824: „Den Verlag der beyden Werken [Op. 123 und 125] werden wir ohne Aufschub vornehmen, und die Partituren zugleich mit dem Klavier Auszug und einzeln Stimmen, zusammen dem Puplikum übergeben. Wir hoffen deutliche und Corecte Abschriften der Partituren zu erhalten, welchen Sie alle Bemerkungen gefälligst beyfügen wollen, die dem Stecher zu wissen allenfals nöthig sein könnten. Auf die corecturen werden wir die gröste Sorgfalt verwenden, und wenn Sie vieleicht selbst die lezte Corectur übernehmen wollten, so haben Sie die Güte es uns wissen zu lassen“ (BGA 1852).

Questo ritardo fu probabilmente legato al diritto esclusivo di diciotto mesi che Beethoven aveva concesso alla Philharmonie Society di Londra. L’ arrivo della copia inglese fu confermato solo da Charles Neate il 20 dicembre 1824. Il 28 marzo 1826 Beethoven riferì che Federico Guglielmo III aveva accettato la dedica della sinfonia. Tuttavia, poiché la corte prussiana chiese una copia dell’opera, Beethoven chiese nuovamente alla fine del luglio 1826 di posticipare la pubblicazione fino a quando il Re non avesse ricevuto il manoscritto (BGA 2172). Già l’8 luglio 1826 Schott incaricò Beethoven di inviare due copie dell’edizione all’ illustre dedicatario a Berlino annunciando che la partitura era disponibile a stampa. Secondo i resoconti dell’editore, tuttavia, la partitura e parti dell’opera non apparvero sino al 28 agosto e la riduzione per pianoforte dell’ultimo movimento il 14 settembre 1826. Copie in abbonamento della partitura arrivarono a Vienna il  2 o il 5 settembre (BKh 10 p. 183f). Federico Guglielmo III probabilmente ricevette la copia della dedica solo nell’ottobre 1826. Dopo il primo grande annuncio pubblicitario dell’editore del 27 settembre 1825 per le Opus 123 – 124 e 125, più volte ripetuto e la cui data di sottoscrizione fu più volte prorogata le opere  furono inserite dal maggio 1826 nel “Supplement au Catalog du Fonds […] des Fils de B. Schott”

Schott progettò anche arrangiamenti della sinfonia per quartetto d’archi (Caecilia 2, 1825) e per pianoforte a quattro mani di Christian Rummel . Tuttavia, entrambe le edizioni (così come accadde per l’Op. 124) non furono mai realizzate. Allo stesso tempo, Schott annunciò anche un arrangiamento per pianoforte con flauto, violino e violoncello ad libitum di Johann Nepomuk Hummel come „noch unter der Presse“, ma anche questo non vide mai la luce. L’intenzione di Hümmel di organizzare tutte e nove le sinfonie per questa strumentazione e pubblicarle simultaneamente in Inghilterra e in Germania fu portato avanti solo sino alla 7a sinfonia, che apparve nel 1835. Fu solo intorno al 1870 o dopo che Schott portò sul mercato arrangiamenti a due e quattro mani di tutte e nove le sinfonie con il titolo „Symphonies de L. van Beethoven, arrangées pour Piano par J. N. Hummel“. Cinque delle edizioni pubblicate o programmate della sinfonia, vale a dire partitura, parti e arrangiamenti per quartetto d’archi, quartetto con pianoforte e duetto con pianoforte, furono annunciate nel 1824/25.

Attorno al 1844 Chappell stampò a Londra un arrangiamento di William Watts per pianoforte a quattro mani con flauto, violino e violoncello ad libitum, che – nell’interpretazione degli accordi di Beethoven con la London Philharmonic Society – fu intitolato „Grand Choral Symphony composed for the Philharmonie Society“ .

Il coro finale è tratto da Friedrich von Schiller (1759-1805), “An die Freude”, composto probabilmente nell’estate del 1785, pubblicato nel febbraio 1786 in Thalia 1 (1785-1787), n. 2, pp. 1 -5. Una versione riveduta era prevista nel 1803 su „Gedichte von Friedrich Schiller“ (Lipsia, Vol. 2, p. 121-127). Le modifiche sono sostanzialmente in alcuni versi  „Was die Mode streng getheilt, / Alle Menschen werden Brüder“ (al luogo di „was der Mode Schwerd getheilt; / Bettler werden Fürstenbrüder“). In questa versione, l’ultima (nona) strofa fu omessa („Rettung von Tirannen-ketten“). Schiller prevedeva di includere An die Freude in un’edizione definitiva della sua opera. In una copia scritta a questo scopo si può leggere le correzioni di Schiller (copia che fu trovata al momento della sua morte)  nella strofa 4 si può leggere  “„Wandelt Brüder eure Bahn“ (a luogo di „Laufet Brüder eure Bahn“). L’ode è suddivisa in stanze di otto versi e strofe corali di quattro versi. Beethoven ne fece una selezione dalle strofe 1-4: musicò completamente la 1a e la 3a strofa con le strofe del ritornello, la 2a senza strofa del ritornello e dalla 4a prese solo la strofa del ritornello.

Dedica: Federico Guglielmo III, re di Prussia, nato il  3 agosto 1770 a Potsdam,  deceduto il 7 giugno 1840 a Berlino, figlio di Federico Guglielmo II (dedicatario dell’ Op. 5) e della sua seconda moglie Friederike Luise von Hessen-Darmstadt (1751- 1805). Beethoven conobbe Federico Guglielmo III; forse lo incontrò durante il suo viaggio a Berlino nel 1796 e probabilmente lo incontrò di nuovo nel 1814 al Congresso di Vienna. Nel 1823 il re sottoscrisse la Missa Soleminis op.123. Beethoven inizialmente accarezzò l’idea di dedicare la nuova sinfonia a Ferdinand Ries. In una lettera dell’inizio di maggio 1823 si dice: „da Sie, wie es scheint eine Dedication von mir wünschen, wie gern willfahre ich ihnen, lieber als dem größten großen Herrn entre nous der Teufel weiß, wo man nicht in ihre Hände gerathen kann. – auf der neuen Sinfonie erhalten sie die Dedication an Sie. – ich hoffe endlich die Ihrige an mich zu erhalten —“ (BGA 1641). Appena un anno dopo, alla fine di aprile 1824, il fratello di Beethoven, Johann, scrisse in un quaderno di conversazione: „Was die Dedication der Simfon[ie] betrift, so war dies nur eine Anfrage des Kirchhofer für Reis [!], und muß auf keinen Fall seyn. M M Ries hätte es gern gesehn weil er bald von London fortgeht, — Ich erklärte ihm daß es mit diesem Werk schwerlich sein kön[n]te, worauf er auch nicht weiter mehr etwas sagte.“ (BKh 6 p. 93.) Il nominato Franz Christian Kirchhoffer (1785- 1842) era cassiere e contabile presso il grossista di articoli di seta Hofmann e Goldstein in Rabengasse n. 645 a Vienna. (Il contatto fu iniziato tramite il fratello di Ries, Franz Joseph Ries [1792-1860], che visse a Vienna e fu un costruttore di pianoforti e visse nella Starhemberg-sche Freihaus su Wieden n. 1, Altwiedner Hauptstrasse, vicino a Kirchhoffer.

Ferdinand Ries lasciò Londra il 9 luglio 1824 e arrivò con la sua famiglia a Godesberg presso Bonn il 14 luglio. Allo stesso tempo Beethoven pensava probabilmente a un nobile dedicatario (da cui era prevedibile un grosso ritorno economico). All’inizio di aprile 1824, il nipote di Karl scrisse in un taccuino di conversazione: „Sobald die Synphonie nach England geschickt ist, wird sie nochmahl abgeschrieben, auf feines Velinpapier und mit Calligraphischer Aufschrift dem König v. Frankreich geschickt, u dedizirt“ (BKh 6 p. 17). Alla fine di maggio 1824, Karl affermò: „Vorteilhafter wäre es freylich, wen[n] du sie einem Auswärtigen Großen dediciren dürftest. Er sagt, der Kaiser v. Rußland wird ohne Zweifel auch ein Geschenk schicken“ (BKh 6 p. 237). All’ inizio dell’ agosto del 1825 Beethoven annunciò ufficialmente a Schott: „die sinfonie wird einem Großen Herrn gewidmet werden“ (BGA 2022). Successivamente l’annuncio della dedica fu ulteriormente posticipato. All’inizio di gennaio 1826 Karl Holz indicò i re di Baviera e Sassonia come possibili candidati (BKh 8 p. 258). Il 28 gennaio 1826 Beethoven menzionò lo zar Alessandro di Russia, ma deceduto il 1° dicembre 1825 (BGA 2110). A marzo Nel 1826 Beethoven si rivolse finalmente all’ambasciatore reale prussiano a Vienna, il principe Franz Ludwig Hatzfeld zu Trachenberg: „Ich bin im Begriff, meine größte Symph. die ich bisher geschrieben, herauszugeben. Ich würde es mir zu höchster Ehre u. Gnade rechnen, wenn ich Selbe S.M. dem K. v. Preußen widmen dürfte. Ich nehme mir daher die Freyheit, E.D. zu bitten, daß dieselbe die Gnade haben möchten, dieß S.M. zu eröffnen; u. d. Sache auf eine günstige Art vorzutragen. E.D. werden keine Unehre damit einlegen. Auch wünsche ich, daß S.M. wissen möchten, daß ich ebenfalls zu Ihren Unterthanen vom Rhein gehöre, u. als solcher um somehr wünschte, ihnen meine Ehrfurcht zu bezeugen“ (BGA 2129). Il re prussiano era già stato raccomandato da Karl Holz come dedicatario a metà dell’ agosto 1825 (BKh 8 p. 41). La dedica fu accettata, ma a condizione che Federico Guglielmo III ricevesse il manoscritto dell’opera. Questa copia con dedica fu realizzata da Wenzel Rampl e – all’inizio del 4° movimento – da Ferdinand Wolanek. Alla fine di marzo Wolanek aveva consegnato a Beethoven una copia incompleta della partitura del 4° movimento per un concerto ad Aquisgrana, che Rampl completò nell’estate del 1826 per la copia con la dedica. La copia contiene le indicazioni metronometriche che Beethoven comunicò a Schott il 13 ottobre 1826 scritta da mano sconosciuta.

Prima esecuzione nell’ “Akademie” del7 maggio 1824 al Kärntnertortheater di Vienna. Il programma prevedeva la Nona Sifonia Op. 125, l’Ouverture op.124, così come tre parti della Missa Soleminis op.123 – Kyrie, Credo e Agnus Dei – che furono eseguite – causa censura – come ” tre inni”. Il direttore musicale era Michael Runde, il maestro del concerto era Ignaz Schuppanzigh, i solisti vocali erano Henriette Sontag, Caroline Unger, Anton Haitzinger e Joseph Seipelt (come indicato dall’ Allgemeine Theaterzeitung numero 17, del primo maggio 1824, pagina 212) Beethoven era in piedi di fronte agli artisti accanto a Runde. Nel finale della sinfonia (come presumibilmente anche nei movimenti dell’op. 123) Conradin Kreutzer svolse ruolo di supporto per il coro e solisti al pianoforte (TDR V p. 92). Si esibirono l’orchestra e il coro del Kärntnertortheater, rafforzati dai „Dilettanten“ della Gesellschaft der Musikfreunde.

Abbozzi: I numerosi abbozzi e lo studio loro dedicato da Gustav Nottebohm saranno trattati in un articolo del Centro Ricerche Musicali creato appositamente per il sito.

Per gentile concessione della BH – Beethoven Haus Bonn

Per gentile concessione della  Staatsbibliothek zu Berlin Preußischer Kulturbesitz)

Gli esempi musicali in MIDI di questa pagina sono curati da Pierre-Jean Chenevez. Chi volesse consultare o richiedere questi file, può contattare l’ autore tramite il nostro modulo di contatto.