Opus 93 Sinfonia n. 8 in fa maggiore

I) Poco sostenuto – Vivace – II) Allegretto – III) Presto – IV) Allegro con brio

Opus 93 – Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 (con le battute iniziali del primo tempo diverse dalle attuali), estate –  ottobre 1812, pubblicata (con le battute finali attuali) a Vienna, Steiner, 1817, partitura e parti d’orchestra in fascicoli separati. GA. n.8 (serie 1/8) – B. 93 – KH. 93 – L. III, p. 239 – N. 93 – T. 170

ll manoscritto originale è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Gli abbozzi si trovano nel quaderno Petter, di cui al n. 544, insieme con quelli della Settima Sinfonia. Nella redazione secondo cui l’opera fu eseguita la prima volta nel concerto del 27 febbraio 1814 (insieme con una ripetizione della Settima e il trio: Empi, tremate), c’erano, in luogo delle ultime 42 battute attuali del primo tempo, le dieci Hess 1. (V. Hess, I, e quarto fascicolo dei Supplemente zur GA., 1961) La sostituzione avvenne in tempo posteriore, fra il 1813 e il 1816. Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani e archi. Anche in quest’opera l’elemento ritmico ha molta importanza, cosi da far pensare talora alla Settima: esso è però di un carattere diverso, più rude, mentre qualche aspetto pastorale, che pure vi fa capolino, ricorda fuggevolmente lo stato di serenità e di riposo della Sesta. D’altra parte certi atteggiamenti strumentali bizzarri e improvvisi cambiamenti d’umore, che vanno dalla dolcezza alla bonomia, all’ironia, all’esasperazione orgiastica, vi sono tanto caratteristici da potersi considerare come gli elementi formativi e decisivi d’individualità.

Il tema principale dell’Allegro adempie senza pompa al suo ufficio di protagonista. Entra subito in azione, diciamo così, nella sua forma compiuta, senza preparazione né introduzione né alcuna di quelle brevi ma essenziali impostazioni di massima, come i due accordi dell’Eroica, le affermazioni categoriche, i motti, per così dire, della Quinta e della Sesta, il cupo preambolo di genere della Nona.

Chiude solo soletto, pianamente, come una parola naturale di commiato detta senza vibrazioni speciali di calore e senza freddezza. Ricorda, nello spunto, la Sonata per pianoforte e violino in do minore op. 30 n. 2; ed appare anche nel Valzer di Diabelli, sul cui tema Beethoven dovrà comporre le Variazioni per pianoforte op. 120. Il suo carattere è anche qui danzante e comune. Una volta enunciato esso non entra più nemmeno per sottintesi, o quasi niente, nell’esposizione; ha invece parte molto significativa nello sviluppo e nella coda. Divide (senza soverchiarli, ma senza neanche restare al disotto) l’interesse sinfonico con gli altri elementi individualistici del tempo, che sono vari: primo fra essi quello dell’accentuazione, dell’impuntatura ritmica, quale si rivela subito nella figura di raccordo che si inasprisce negli sformati del terzo quarto della battuta, dando luogo alle ottave ribattute fra archi e fagotti (che ricorreranno poi anche nel Finale) e preparando e sostenendo l’entrata del secondo tema.

Nella prima formulazione in abbozzo di questo appare, ancora più che in quella definitiva, la marca viennese che Chopin limpidamente e brillantemente inciderà nel suo Valzer in mi bemolle maggiore op. 18. Tutta la rimanente parte del tempo (sviluppo, riesposizione, coda) è ugualmente informata a significazioni espressivo-strumentali analoghe. Manca un vero e proprio tempo lento; c’è invece al suo posto un Allegretto scherzando, breve pagina, insieme gentile e spiritosa, con la quale Beethoven sembra aver voluto creare un altro tipo di movimento, come un quid medium differente sia dallo Scherzo e dal Minuetto che da una qualunque forma di Andante o Adagio.

Sembra che la prima ispirazione  sia venuta al maestro in uno di quei momenti di buon umore genuino, non tanto infrequenti in lui quanto improvvisi, alla fine di un banchetto d’addio offerto a Maelzel. Lo spunto del movimento gli sarebbe stato dato dalle ritmiche oscillazioni del metronomo (in principio chiamato cronometro), che era allora alla sua prima prova, sulla base delle quali il maestro avrebbe improvvisato il noto canone scherzoso: Ta, ta, ta, caro Maelzel, addio… Ad una tale origine altresì vorrebbero alcuni, come lo Chantavoine, riportare la spiegazione di certi momenti particolari del breve tempo, quasi imitazione d’un movimento d’orologeria sul punto di scattare e poi di rallentare e fermarsi (la « musica per istrumenti meccanici » era del resto abbastanza conosciuta ai tempi di Beethoven ed egli stesso, come anche Mozart ed Haydn, ne aveva scritto qualche pagina). Tutto questo può essere o no (ferma restando in ogni modo l’analogia del canone scherzoso di cui sopra con l’inizio del tempo); come può essere che veramente qualche intenzione di caricatura, o più semplicemente di scherzo musicale, sia nascosta nella cadenza finale, calcata su modelli di cadenze conclusive abbastanza frequenti nelle opere buffe italiane. Ma la creazione dell’artista va oltre questi fatti esterni; e l’Allegretto scherzando ci appare oggi come una schietta pagina beethoveniana nella snellezza dei ritmi, delle melodie e del giuoco strumentale.

Visione pomposa e vigorosa, dove le forme della vecchia galanteria e la grazia un po’ leziosa di un’epoca musicale tramontata sembrano rivissute con novello spirito o ricordate con sorriso ora compiaciuto ora umoristico: tale appare il Minuetto che il maestro ha voluto sostituire allo Scherzo vero e proprio, richiamando in onore, almeno esteriormente, l’antica forma sinfonica tanto cara ad Haydn e a Mozart. Singolare è la conclusione, in cui il ritmo della cadenza passa e s’intreccia dall’una all’altra delle tre categorie strumentali (legni, archi, ottoni) con varietà di aspetti. L’elemento fondamentale tematico si innalza con energia nell’appello delle trombe; e lo spirito giuoca nelle alternative della accentazione ritmica e nella pompa caricaturale degli sformati che strascicano dall’uno all’altro strumento i tre quarti delle ultime battute.

Il carattere un po’ convenzionale della frase dei corni, accompagnata dall’arpeggio dei violoncelli e continuata dal clarinetto, con la quale incomincia il Trio (avvicinata dal Grove al Minuetto e Allegro per due flauti) rivela forse anch’esso qualche intendimento parodistico di musica da ballo o da tavola, come poteva essere quella delle piccole orchestre girovaghe nei caffè e nei ristoranti viennesi, delizia del buon pubblico borghese. Ma la conclusione nelle parti alternate o intrecciate del clarinetto e dei corni, leggermente appoggiata dai fagotti e contrabbassi e accompagnata dall’arpeggio dei violoncelli, assume una fisionomia di dolcezza pastorale dimostrando come alla fine il maestro sia rimasto anche lui un po’ sedotto dal semplice fascino di quell’espressione che forse aveva avuto intenzione di parodiare soltanto.

Anche il Finale, il movimento più lungo della sinfonia, ha carattere alternativamente leggero ed energico, idilliaco e burlesco. La derivazione del tema dal primo tempo di una celebre sinfonia di Haydn in sol maggiore non va esagerata nella lettera e tanto meno nello spirito. Dalla sua prima affermazione — una specie di cicaleccio sommesso, slanciato in una corsa di note e concluso, come borbottando, sulla dominante pianissimo (ppp) — prorompe ad un tratto un do diesis, fortissimo, in unisoni ed ottave di legni ed archi: uno di quei bizzarri scatti a sfondo caricaturale (di cui si trovano tracce, in varia forma, anche in altre composizioni beethoveniane, particolarmente negli ultimi quartetti), che faceva uscire dai gangheri al suo tempo l’Ulibiscef: «Voi discorrete tranquillamente e lietamente con alcuni amici.

Ad un tratto uno di essi si alza, manda un grido, vi tira la lingua, si siede di nuovo e riprende la conversazione proprio al punto in cui l’aveva lasciata ». Il discorso per altro non viene soltanto ripreso, ma anche portato avanti con maggiore forza, poiché il tema è riavviato e concluso da tutta l’orchestra, ottoni e timpani compresi. Una figura più breve e massiccia, in cui archi e fiati si alternano e intrecciano, lo ribatte, come un ruvido ritornello; poi i due gruppi sonori si dividono e contrappongono in frammenti modulanti, che conducono rapidamente al secondo tema.

Questo si svolge in la bemolle, piano; è formato da una frase dolce, cantabile, serena degli archi, ripresa subito e schiarita ancora più dai legni in do, conclusa da un epilogo che si direbbe immaginato da Rossini, se non contenesse qualche cosa di strumentalmente più nutrito ed espressivamente meno fluido ed elegante, e, invece di dar vita ad una forma di crescendo, non si fissasse in una antitesi di piano e forte arrestandosi poi in una clamorosa cadenza in fa. Tutto questo materiale è poi svolto con estrosità di coloriti, di atteggiamenti ritmici e di scattanti luci tonali; v’è forse anche — come del resto in altri momenti della sinfonia già notati — qualche intento parodistico; e l’accenno di Berlioz alle « boutades colériques » del finale della Quarta Sinfonia potrebbe trovare di tanto in tanto applicazione anche qui.

 [Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]

Titolo ufficiale: Opus 93 Symphonie Nr. 8 (F-dur) Widmung: — NGA 1/4 AGA 8 = Serie 1/8

Origine e pubblicazione: La partitura autografa è datata „linz im Monath october 1812“. Questa probabilmente non è la data in cui Beethoven aveva finito di lavorarci. I primi schizzi – inizialmente destinati a un concerto per pianoforte – risalgono alla primavera del 1812. La partitura autografa fu finalmente completata all’inizio dell’ aprile 1813, quando il materiale orchestrale fu utilizzato per una prova presso l’ arciduca Rodolfo. L’edizione originale fu pubblicata dalla Steiner & Comp a Vienna attorno alla Pasqua del 1817. Dopo aver abbozzato la settima sinfonia (autografo datato „1812. 13ten April“), Beethoven si dedicò ad idee per nuove composizioni. Partendo da abbozzi per un progettato concerto per pianoforte utilizzò il materiale per sviluppare un’altra sinfonia, ovvero quella che divenne la successiva op. 93. Questo riorientamento del materiale avvenne probabilmente prima della fine del maggio 1812, quando Beethoven riferì a Breitkopf & Härtel: „ich schreibe 3 neue sinfonien, wovon eine [Op. 92] bereits vollendet“ (BGA 577). Il progetto per un’ulteriore terza sinfonia si esplicitava solo in alcune idee musicali in re minore, che – come gli schizzi per l’op. 92 e 93 – sono contenuti nel quaderno detto “Petter” (pagina 45).

Il finale del primo movimento è documentato nelle fonti con tre fasi compositive successive: la partitura autografa contiene una prima versione corta e una terza versione finale (entrambe esistono anche in parte frammentaria per violino). Su un foglio separato dalla partitura autografa è presente una seconda versione da collocare cronologicamente nel mezzo, che è contenuta anche nella copia superstite della parte timpani. (Vedere Hess 1) La dichiarazione fatta circolare da Anton Schindler secondo cui il “Mälzelkanon” (WoO 162) fosse ispiratore del secondo movimento dell’op. 93 è fallace. Il canone è un apocrifo composto da Schindler (appendice opere spurie e dubbie WoO 162). Nel marzo 1815 Beethoven e Johann von Häring scrissero a George Smart a Londra e chiesero di trovare un editore per un gruppo di opere (Op. 91-93, 95-97, 113, 115, 117) in partitura e riduzione per pianoforte (BGA 790). Sebbene Beethoven abbia contattato anche Johann Peter Salomon su questo argomento nel giugno 1815 (BGA 809), non fu possibile trovare un inglese per la sinfonia. Sigmund Anton Fu Steiner a Vienna a pubblicare l’op. 93, facendo seguito al contratto concluso nel 1815, comprendente un gruppo di 13 opere. Nell’estate dello stesso anno, Anton Diabelli, all’epoca correttore di bozze di Steiner, scrisse la sagoma per incisione basata sulla partitura autografa di Beethoven. Sia Carl Czerny che Beethoven stessi corressero la riduzione per pianoforte a due mani preparata da Tobias Haslinger e pubblicata da Steiner.  Si presume così che l’ edizione fosse autorizzata col silenzio – assenso (BGA 1062f).

I tempi originali metronometrici riportati negli incipit delle edizioni provengono da un opuscolo pubblicato da S. A. Steiner attorno al 1817 „Bestimmung des musikalischen Zeitmasses nach Mälzel’s Metronom. Erste Lieferung. Beethoven. Sinfonien Nr. 1-8 und Septett von dem Autor selbst bezeichnet“ (VN 2811). Ad oggi nessuna copia di detto libretto è  sopravvissuta. Le indicazioni del metronomo per le sinfonie furono pubblicate nell’AmZ (19, 1817, 17 dicembre 1817, col. 873f) e trovarono collocazione nell’AGA e in parte anche in Hofmeister/Index 1819 (vedi Nottebohm/Beethoveniana l pagina 130f). Prima esecuzione pubblica il 27 febbraio 1814 all’Accademia di Beethoven nella grande Redoutensaal di Vienna, insieme alla Settima sinfonia, il terzetto op.116 e la „Wellingtons Sieg“ op.91. La sezione degli archi dell’orchestra era composta da „18 Violin prim / 18 [Violin] secund / 14 Violen / 12 Violoncelle / 7 Contrabässe / 2 Contrafagotte“ . Annuncio: Österreichischer Beobachter 24 febbraio 1814. Rapporto: AmZ 16 (1814), 23 marzo 1814, colonna 201f. Per l’esecuzione dell’op. 93 si legge sull’AmZ: „Die grösste Aufmerksamkeit der Zuhörer schien auf das neueste Product der B.sehen Muse gerichtet zu seyn, und alles war in gespannter Erwartung: doch wurde diese, nach einmaligem Anhören, nicht hinlänglich befriedigt, und der Beyfall, den es erhielt, nicht von jenem Enthusiasmus begleitet, wodurch ein Werk ausgezeichnet wird, welches allgemein gefällt; kurz, sie machte – wie die Italiener sagen – kein Furore. Ref. ist der Meynung, die Ursache liege keineswegs in einer schwächeren oder weniger kunstvollen Bearbeitung: (denn auch hier, wie in allen B.sehen Werken dieser Gattung, athmet jener eigenthüm-liche Geist, wodurch sich seine Originalität stets behauptet:) sondern, theils in der nicht genug überlegten Berechnung, diese Symphonie der in A dur nachfolgen zu lassen, theils in der Ueber-sättigung von schon so vielem genossenen Schönen und Trefflichen, wodurch natürlich eine Abspannung die Folge seyn muss. Wird diese Symphonie in Zukunft allein gegeben, so zweifeln wir keineswegs an dem günstigen Erfolge“. Una prima prova ebbe luogo il 21 aprile 1813 presso l’arciduca Rodolfo all’ Hofburg (vedi Op. 92; anche per una rappresentazione programmata con Joseph von Varena che non ebbe luogo). Beethoven diresse l’op. 93 anche in un’accademia a beneficio del fondo Bürgerspital 25/12/1817.

Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it

Opus 93 Sinfonia n. 8

Opus 93 Sinfonia n. 8

in fa maggiore

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